martedì 30 agosto 2011

Comunicazione di servizio

Son tornato dalle vacanze, e ho pensato bene di cambiare il motto del blog.

mercoledì 10 agosto 2011

venerdì 5 agosto 2011

(ma andate anche un po' a farvi stracatafottere)

From: Xxxxx Yyyyy
Re: Proposed_ meeting
Bonjour,
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Xxxxx Yyyyy


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Ovviamente il francese non è la lingua nella quale si inserisce il flusso di questa brillante conversazione.
Mi piacerebbe avere una stima di quanti zillioni di mail si perdono questi.

Campagna del pisello



giovedì 4 agosto 2011

Il biglietto del metrò

Come ben sanno i lettori milanesi e non solo, Giuliano Pisapia ha scritto una lettera al quotidiano milanese per antonomasia, al fine di spiegare agli elettori il motivo di certe scelte certo non popolari, quali l'applicazione dell'addizionale IRPEF, che Milano non aveva mai avuto, e l'aumento a 1,50 euri del biglietto ATM: aumento certo non indifferente, in quanto pari al 50% del precedente prezzo.
Tante cose sono state dette dai sostenitori di Pisapia in ordine a quest'ultima questione al fine di giustificare la scelta del Sindaco. Tra queste le principali sono due: (a) che il costo del biglietto aumenta per i viaggi singoli, ma non per gli abbonamenti mensili e annuali e (b) che comunque l'aumento sarebbe comunque stato necessario, quale fosse il nuovo sindaco, e che la giunta Moratti si era limitata a congelare le teriffe a fini meramente elettorali: qualora Letizia fosse stata eletta anche lei avrebbe fatto il medesimo ritocco tariffario.
Per quanto riguarda il punto (a), si tratta di un'osservazione oggettivamente verificabile, e non c'è granché da discutere. Il punto (b) è invece molto più rognoso, dato che si tratta di un'affermazione di buon senso ma comunque pur sempre opinabile. Credo che moltissimi politici e elettori di centro-destra siano disponibili ad ammettere in privato che certo anche la Moratti avrebbe aumentato il prezzo, ma in pubblico lo negano recisamente: e del resto hanno gioco facile, visto che l'onere della prova ce l'ha chi accusa, non chi si difende.

Bene, in realtà la prova c'è. E non solo prova che anche la giunta Moratti non potesse sostenere il prezzo del biglietto previgente, ma dimostra altresì come certe politiche finanziarie abbiano prodotto buchi che ci porteremo dietro per decenni.
Il discorso, lo dico subito, è un po' complicato: io cerco di semplificarlo, ma richiede comunque una certa attenzione per cui se avete appena finito di mangiare la parmiggiana di melanzane o le alici in carpione annaffiate da un bottiglione di Marino gelato, salvatevi il link e tornate più tardi.
Partiamo da questo documento: è una presentazione PowerPoint e so bene che c'è chi preferirebbe farsi tagliare l'uccello piuttosto che aprire un documento PowerPoint perché farlo aumenta l'entropia dell'universo, fa piangere Stallman e ci avvicina al 2012. Io però solo questo ho trovato, e se taluno preferisce far felice Stallman e rimanere ignorante posso solo dirgli che si fotta e soprattutto che continui a farsi fottere, non sono problemi miei.
Il nostro documento ha il pomposo titolo «MILAN METRO LINE 5 - Risk management in infrastructure project» e spiega come è stata finanziata la costruzione del Metrò 5, la nuova linea metropolitana destinata a servire la parte nord della città. Il documento si riferisce solo al primo progetto, quello da Garibaldi a Bignami, e non tiene conto della successiva variante che porterà la linea fino a San Siro.
Il progetto ha un costo complessivo di 550 milioni: di questi, 295 milioni vengono da contributi pubblici (233 dallo Stato e 62 dal Comune), 40 milioni sono mezzi propri messi dal consorzio che ha fondato Metro 5 S.p.A. e la differenza, pari a 205 milioni, sono soldi messi dalle banche in project financing, che ovviamente dovranno essere resi. Già questo primo dato ci fa capire che quando gli amministratori pubblici ci dicono che la costruzione in project financing non grava sulla spalle dei cittadini stanno dicendo corbellerie: non solo più dlla metà dell'opera sono soldi pubblici, ma a veder bene i privati ci hanno messo solo 40 milioni, poco più del 7% del valore dell'opera.
Diciamo quindi che dal punto di vista dell'amministratore pubblico il P.F. può essere visto in due modi: secondo l'interpretazione benevola, è un modo per fare grandi opere anche se non si hanno tutti soldi; secondo l'interpretazione malevola è un modo per fare grandi opere nascondendo il fatto che qualcuno le ripagherà in futuro.
Dal punto di vista dell'imprenditore, il P.F. è un bel modo per fare grandi opere mettendoci pochissimo denaro. E dato che il profitto di un investimento è inversamente proporzionale ai soldi che abbiamo messo nel medesimo, il P.F. è un bel modo di fare grossi profitti rischiando poco.

Quella che qui però ci interessa è la fetta di 205 milioni messa dalle banche. Dal punto di vista della banca il P.F. è un'operazione molto rischiosa: abbiamo visto che i soldi che ci mette il privato sono pochi, e quindi se qualcosa dovesse andare male c'è pochissimo "cuscinetto" di denaro messo dall'imprenditore (equity, come amiamo dire qui). In pratica, se salta qualcosa (e in un progetto di queste dimensioni il numero di cose che possono saltare tende a infinito), le banche ce l'hanno nel fracco.
Logico quindi che le banche, che non sono istituti di beneficienza, cerchino di tutelarsi coprendo ogni possibile rischio. Nel nostro caso qual è il rischio maggiore? Sicuramente quello che i passeggeri non bastino per coprire i costi di esercizio e gli oneri finanziari.
Bene: come farà Metro 5 S.p.A. a ripagare i 200 e briscola milioni di finanziamento e a guadagnarci sopra qualcosa? «Con la vendita dei biglietti», direte voi: e avreste anche ragione, se non fosse per un paio di cosine: (i) credete davvero che nel 2012 si possa fare una linea del metrò separata dal resto della rete e con un biglietto suo proprio, diverso da quelli di ATM? (ii) secondo voi le banche possono accettare il rischio di non essere pagate per mancanza di passeggeri, tenuto anche conto del fatto che nessuno è in grado di fare ragionevoli previsioni sui flussi di mobilità tra 10 anni?
Come avrete intuito, la risposta a entrambe le domande è negativa: e quindi come si è fatto a chiudere l'operazione?

Lo spiega bene il documento, alle pagine 12-14.
Metro 5 riceve i soldi non già dai passeggeri, bensì dalla "Concession Authority" (che poi altro non sarebbe che il Comune di Milano), per mezzo di una "availability fee" (canone di sisponibilità), che viene così calcolata:
* anzitutto è stato fissato fissato un numero "target" di passeggeri trasportati, via via crescente fino al tetto a regime di 11.200.000 passeggeri/semestre: per semplicità prenderemo solo quest'ultimo dato;
* se il numero di passeggeri reali è pari ad almeno il 32% del numero di passeggeri target, allora il canone viene pagato per intero;
* se il numero di passeggeri diminuisce oltre la soglia del 32% del target, allora la commissione viene ridotta di un pari importo: pertanto se in un semestre dovessero viaggiare solo 3.584.000 passeggeri (rispetto al target di 11.200.000 passeggeri) allora il Comune pagherebbe comunque a Metro 5 il canone intero; se i passeggeri fossero solo 3.583.999, il Comune pagherebbe il canone meno un passeggero, e così via;
* ne consegue che, quand'anche la linea non dovesse vedere il transito di un solo sfigatissimo passeggero, in ogni caso Metro 5 prenderebbe il 68% del suo bel canone.
Interessante, no? ma cosa scopriamo alla pagina successiva? Scopriamo che il costo che il Comune paga per ciascun passeggero ammonta a € 1,522 per i primi due anni, e a € 1,422 per gli anni successivi (ma l'importo è da rivalutare per effetto dell'inflazione).
Ecco quindi il nostro bravo passeggero che viene in città, poniamo da Cinghiate sul Membro, arriva al capolinea del metrò, compera il biglietto e sale sulla carrozza: fino a ieri per questo solo fatto il Comune avrebbe intascato (tramite ATM) un euro di biglietto e avrebbe pagato un euro e mezzo a Metro5. Noterete la differenza di mezzo euro, che sono soldi che ci mette il Comune di tasca propria, o meglio di tasca mia dato che io pago le tasse qui mentre il passeggero paga le tasse a cinghiate.
Oggi, con il biglietto a un euro e mezzo, l'ipotetico passeggero pagherebbe proprio il costo della sua corsa, ma notate che (i) se i passeggeri sono meno del previsto, comunque il Comune ci mette la differenza; (ii) se il nostro eroe si fa un abbonamento annuale o mensile, continua a pagare molto ma molto meno e (iii) se arrivato a Garibaldi il passeggero decide di prendere il tram, la'utobus e il calesse per tutti i 90 minuti ai quali ha diritto, quelle corse per l'ATM sono una perdita secca, dato che il prezzo del biglietto è già andato tutto a Metro 5.

Concludo, che mi sono dilungato fin troppo. Ma il concetto base è sempre quello: nel 2007 (cioè nel momento in cui è stata conclusa tutta l'operazione di project financing) era già previsto che il costo di un passeggero ammontassse a 1,5 euri.

mercoledì 3 agosto 2011

La memoria dell'acqua

Che poi, al di là del fatto di solidarizzare con qualche altro componente di questa nostra Casta, ci sarebbero pure un paio di cose che dell'omeopatia proprio non riescono a tornarmi a genio, e ve le illustro brevemente.
Accettiamo una momentanea sospensione del giudizio scientifico, e ammettiamo pure, anzi diamo per scontato e dimostrato, che l'acqua abbia una sua memoria, con la quale rammenta l'impronta delle sostanze con le quali è stata a contatto. Diciamo, come affermano gli omeopati, che le molecole di un dato principio, una volta sciolte nell'acqua, modifichino in un qualche modo le molecole della medesima, e che quindi queste risentano del principio anche quando il principio non vi è più (e che le molecole del principio attivo non vi siano più è certo, stante il rapporto tra il numero di diluizioni e il numero di Avogadro).
Ammettiamo, insomma, che per un qualche processo fisico o chimico, reale ma ancora a noi sconosciuto, le molecole della nux vomica o di qualunque altra diavoleria possano aver lasciato nelle molecole dell'acqua una traccia che c'è, anche se non sappiamo misurarla.

Ora, ci sono un paio di cosette che mi piacerebbe approfondire.
Prima domanda Come insegnano alle elementari, l'acqua della Terra è grosso modo sempre la medesima. Certo, piccole quantità d'acqua si decompongono, per effetto degli agenti naturali o dell'Uomo, in idrogeno e ossigeno, e poi si ricompongono. Ma la quasi totalità dell'acqua è sempre la medesima, che scorre nei fiumi, va nei mari, evapora, ricade sotto forma di pioggia e così via da un paio di miliardo di anni a questa parte.
Un bel giorno qualche litro di fortunatissima acqua arriva nei laboratori della casa farmaceutica omeopatica, e qui viene miscelata a un composto e agitata, e diluita via via al punto da far restare solo acqua, ma dinamizzata.
Ora, mi chiedo: ma quando quella benedetta acqua arriva nei laboratori, quante cazzo di miliardi di impronte avrà già addosso?
Perché, se l'acqua ha una memoria, non è che possiamo affermare che abbia memoria solo di quello che conviene a noi: quella data molecola avrà memoria di quando è finita nella bocca di un trilobita, nel Paleozoico. Avrà memoria di quando fu succhiata dalle radici di quella pianta di vite, a Capua, e dopo una serie di complicate vicissitudini fu pisciata da Annibale in una sordida latrina. Avrà memoria di quel brutto quarto d'ora in cui (mi fa male ancora il pensiero) finì dalle parti di una gualchieria scozzese e fu follata insieme ai panni di tartan destinati a coprire le graziose pudenda del Duca di Albany.
Ci pensate, che casino interiore deve scatenarsi nel nostro organismo, ogni volta che beviamo un bicchiere d'acqua? Tirannosauri, guerrieri, arsenico, vecchi merletti. Ogni singola molecola porta con sé una storia unica del mondo dalla creazione fino ad oggi: questo rafforza la mia determinazione a bere solo alcoolici, e se possibile di alta gradazione.
Certo, potrebbero dire alcuni, nella produzione dei rimedi entrano in gioco le succussioni: termine elegante e raro che, certo non a caso, gli omeopati preferiscono utilizzare per designare l'azione che il resto del nostro bel Paese usa correntemente definire scrollare (absit iniuria verbis). Ma se ci pensate bene, i ruscelli di montagna, i mari in tempesta, i temporali e le pompe degli acquedotti non sono certo da meno, quanto a scrollatine inferte all'acqua.

Seconda domanda Ma ammettiamo ora che l'acqua abbia sì una memoria, ma corta: che si limiti a rammentare solo l'ultima delle cose con cui è stata a contatto, e che ciascuno dei contatti successivi cancelli il precedente, come su una lavagna scolastica. Qui si apre un altro problema. Dopo la famosa nux vomica, il medicinale rimedio omeopatico passa una serie di eventi drammatici: prima ci viene sciolto lo zucchero dentro, poi va nelle boccettine di plastica, poi va nei polpastrelli dell'ingerente e poi passa per la bocca, l'esofago e lo stomaco del paziente: tutte cose che debbono offrire una gran congerie di stimoli a quelle famose molecole d'acqua un po' smemorate, con il rischio di farle confondere e di far loro dimenticare di quella volta, qualche mese prima, quando per qualche minuto hanno incontrato una molecola vagante di nux vomica.

Terza domanda Ma poi, alla fin fine, questi famosi rimedi sono delle pilloline di zucchero, mica dei flaconi di liquido. E allora, in queste pilloline, l'acqua con memoria ma un po' smemorata dove cazzo sta? Dovremmo parlare di memoria dello zucchero, non di memoria dell'acqua: ne convenite?

Solidarietà di casta

Grazie a Mantellini sono giunto su blogzero: un blog sfigato quasi quanto il presente e che, come il presente, parla in libertà degli argomenti che vengono in mente al tenutario.
Rispetto a chi scrive, il tenutario di blogzero è assai più educato: non dice parolacce, non prende per il culo né il lettore né il destinatario pro tempore dei suoi strali. E', insomma, un blogger civile.

Quel blogger ha spiegato qualche giorno fa come e perché sia scientificamente dimostrabile che nei farmaci omeopatici non ci sia nulla. Ma proprio nulla: il che a casa mia significa che si può dimostrare scientificamente che l'omeopatia non serva a una fava (certo, quel tenutario non si sarebbe mai permesso di mettere in mezzo le fave, ma questo tenutario è un ragazzo di campagna e va subito al sodo).
La più grande produttrice di farmaci omeopatici, nella persona della sua amministratrice delegata, ha preso carta calamaio e penna e ha scritto una bella lettera all'amministratore del blog, minacciando querele, pene e sanzioni: che ci mancava solo la chiosa invocante pena pecuniaria e corporale, ancora di relegatione o di galera, e fino alla morte, per dare almeno la prova della cultura liceale del legale che ha vergato la minuta della missiva.

Immagino che la cosa andrà avanti, e che il povero tenutario di quel blog dovrà affrontare di nuovo la Grande Casa Farmaceutica, la quale probabilmente ritiene che il proprio fatturato le conferisca, oltre che grassi utili, una sorta di monopolio del sapere e della scienza. Questo comporterà rogne e spese: è un rischio a cui va incontro chiunque scriva -aggratis e per passione- sulla rete, e del quale tutti siamo ben consapevoli.
Questa volta, tuttavia, la cosa mi è sembrata particolarmente odiosa, non so neppure io il perché: e quindi desidero esprimere la mia solidarietà al collega tenutario, e invito i miei quattro lettori a fare altrettanto.
Poi, la solidarietà è una gran bella cosa, ma non ci si mangia; e gli avvocati (che sono indispensabili quando si viene querelati) mangiano invece a quattro palmenti. Le grandi società (e pure le piccole società) queste cose le sanno; e sanno benissimo che un povero blogger che scrive aggratis e per passione, nel 99% dei casi non può affrontare i costi di un giudizio penale, dal quale comunque uscirà vittorioso ma spiantato. Quindi minacciano, sicure di ottenere quanto desiderano, anche quando non hanno diritto di ottenerlo.
Nel tenutario di blogzero la Grande Casa Farmaceutica ha trovato un soggetto assai tignoso, che anziché abbozzare e cancellare ha preferito rendere pubblica la vicenda, esponendosi al rischio (se non alla certezza) di dover affrontare un procedimento (dal quale comunque uscirà vittorioso ma spiantato).

Credo sia necessario che la solidarietà, oltre che a parole (che sono bit e non costano nulla), si esprima anche con cose un po' più concrete: e pertanto mi dichiaro fin d'ora disponibile, qualora ce ne fosse bisogno, a partecipare a una sottoscrizione per aiutare il tenutario di blogzero ad affrontare le spese legali cui dovesse andare incontro: e spero che i miei quattro lettori assumano il medesimo impegno, e così il rispettivi loro ventitrè lettori, e via via fino ad arrivare a una catena di solidarietà che consenta a ciascuno di noi, membri di questa assai poco influente Casta, di dormire sonni un po' tranquilli sapendo che non siamo soli, e che abbiamo sempre qualcun altro che ci è vicino.
Vicino non solo a parole, che non costano nulla e servono a meno nel momento del bisogno, bensì anche con fatti sonanti

 

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