mercoledì 25 luglio 2012
La fantasia al potere
Oggi il fatto quotidiano, meglio conosciuto come la bocca della verità, si inventa di sana pianta che nel Parco olimpico «sarà ammesso solo un sandwich a persona perché lo sponsor (MacDonald’s) non vuole».
lunedì 23 luglio 2012
Capitan Fracassa
Chi avesse ancora qualche dubbio sul fatto che la 27esima ora non è il luogo di ricreazione delle più svitate pennivendole milanesi, bensì un esperimento mentale paragonabile al carcere di Stanford, può leggere questo bel pezzo in cui Camilla Baresani si pone, tra altre, una domanda fondamentale:
Come mai a Jean Paul Sartre è dedicato uno spazio tre volte superiore a quello di Simone de Beauvoir?
mercoledì 18 luglio 2012
La moglie pregna e la botte ubriaca
martedì 17 luglio 2012
Corrività
Marta Serafini (una giornalista che non solo scrive sulla 27esima ora, ma pure si vanta di essere corresponsabile di ciò che si dice alle Invasioni Barbariche) oggi scrive un pezzo lunghetto per stigmatizzare l'abitudine che i giocatori di videogiochi hanno di insultare pesantemente le femminucce in gara.
Chiunque abbia mai provato un videogioco, o anche solo abbia visto un gruppo di adolescenti farlo, sa benissimo che si tratta di un'esperienza del tutto avulsa dalla realtà: si commettono un tale numero di omicidi che avrebbero fatto venire una crisi di coscienza a Mengele; si usano trucchi bastardi e sotterfugi sleali; si tradiscono i compagni e gli amici; ci si tirano dietro insulti che farebbero impallidire un camallo ubriaco al quale una puttana abbia appena rubato il portafoglio.
Il glaucoma psicotico che colpisce la redazione di questo blog, cui siamo oramai affezionati come a un nipotino un po' ritardato, e che proprio per questo ci è caro, di questo fenomeno complesso e variegato riesce solo a vedere l'insulto che i maschi tirano alle femmine, bollandolo come sessista e dimostrando così di non aver neppure bene l'idea del significato del termine. Indignarsi per il genere del soggetto in questa citazione
E' come se queste brave signore che si guadagnano un immeritato pane digitando in via Solferino fossero dei geometri che, chiamati a eseguire i rilievi geodetici per tracciare il percorso di un'autostrada, siano dotati solo di un microscopio a effetto tunnel, e cerchino di arrangiarsi a misurare i chilometri con uno strumento per il quale persino i millimetri sono una grandezza incommensurabile.
Chiunque abbia mai provato un videogioco, o anche solo abbia visto un gruppo di adolescenti farlo, sa benissimo che si tratta di un'esperienza del tutto avulsa dalla realtà: si commettono un tale numero di omicidi che avrebbero fatto venire una crisi di coscienza a Mengele; si usano trucchi bastardi e sotterfugi sleali; si tradiscono i compagni e gli amici; ci si tirano dietro insulti che farebbero impallidire un camallo ubriaco al quale una puttana abbia appena rubato il portafoglio.
Il glaucoma psicotico che colpisce la redazione di questo blog, cui siamo oramai affezionati come a un nipotino un po' ritardato, e che proprio per questo ci è caro, di questo fenomeno complesso e variegato riesce solo a vedere l'insulto che i maschi tirano alle femmine, bollandolo come sessista e dimostrando così di non aver neppure bene l'idea del significato del termine. Indignarsi per il genere del soggetto in questa citazione
“Sei una cicciona, metti le tue grasse chiappe sul divano e inizia a giocare”, è un altro dei complimenti ricevuti da Kate, 17 anni, giocatrice di Call of Duty 3.dimostra ignoranza o malafede, dato che chiunque sa che le medesime frasi vengono pronunciate, assai più spesso, declinate al maschile.
E' come se queste brave signore che si guadagnano un immeritato pane digitando in via Solferino fossero dei geometri che, chiamati a eseguire i rilievi geodetici per tracciare il percorso di un'autostrada, siano dotati solo di un microscopio a effetto tunnel, e cerchino di arrangiarsi a misurare i chilometri con uno strumento per il quale persino i millimetri sono una grandezza incommensurabile.
lunedì 16 luglio 2012
Che non è mica acqua
Se c'è una cosa che proprio ammiro, di Lorella Zanardo, non è certo il documentario da lei prodotto, bensì la capacità di perdere con stile.
giovedì 12 luglio 2012
Genova per noi
Io nel mio lavoro di gente ricca ne incontro tanta. E quando intendo ricca, intendo ricca vera, quelli che il logaritmo dell'estratto conto sta a mezza strada tra l'otto e il nove.
Di genovesi invece ne incontro pochi, perché non è una piazza sulla quale il mio datore di lavoro lavori granché.
Però ultimamente ne sto incontrando un po' di più, e devo ammettere che la classe, la nonchalance, l'indifferenza -ma rispettosa- che hanno i genovesi ricchi nei confronti della propria ricchezza, ancora non l'avevo mai riscontrata da nessun altra parte.
Di genovesi invece ne incontro pochi, perché non è una piazza sulla quale il mio datore di lavoro lavori granché.
Però ultimamente ne sto incontrando un po' di più, e devo ammettere che la classe, la nonchalance, l'indifferenza -ma rispettosa- che hanno i genovesi ricchi nei confronti della propria ricchezza, ancora non l'avevo mai riscontrata da nessun altra parte.
#salvaiciclisti
Prima di chiudere definitivamente* questo blog ormai polveroso e ragnateloso, credo di potermi permettere di togliermi qualche sassolino.
Come qualcuno sa, io la bicicletta la uso abbastanza. Questa nuova, per esempio, da Natale a oggi ha fatto 2800 chilometri, tutti in città: per andare al lavoro, fare la spesa, passare da una delle varie case in cui dormo a un'altra, etc.
Dovrei quindi essere favorevole alle iniziative che tutelano la mia incolumità, e grato al sindaco Pisapia che nei pannelli luminosi sparsi per le vie chiosa i suoi consigli di buon senso con lo slogan salvaiciclisti. E invece no.
Uno dei motivi è che questo movimento, come tanti consimili (a partire da quelle anime belle di Critical Mass, che ogni giovedì mi fanno venir voglia di comperare un autoarticolato da sparar loro contro a 100 all'ora) ha sempre lo stesso fastidioso rumore di fondo: quello di coloro che, ritenendo di essere nel Giusto automaticamente sbattono nella Cayenna dell'Ingiusto tutti coloro che la pensano diversamente da loro.
Siam sempre lì: il Ciclista Militante crede che il suo apporto alla qualità della vita urbana gli conferisca il diritto di fregarsene delle regole; e così la sera occupa le strade in massa bloccando la circolazione, nascondendosi dietro all'anonimato del numero, mentre di giorno (quando rischierebbe la pelle, se facesse le stronzate serali) crede comunque legittimo passare col rosso, andare in velocità sui marciapiedi, girare a luci spente la sera, e via discorrendo.
In questo delirio messianico persino il buon senso va all'ammasso, e il Ciclista Militante ritiene che sia suo pieno diritto mettersi al fianco di un autotreno di 27 tonnellate, in prossimità di una curva, senza riflettere per un secondo sul fatto che dalla cabina di guida non si ha la stessa visuale che ha il ciclista, e che anche il più scrupoloso dei camionisti può avere un momento di stanchezza o di distrazione. Certo, non è che guidare un camion ti dia il permesso di ammazzare la gente, e difatti il camionista risponderà per omicidio colposo; ma se il Ciclista militante avesse il cervello nella scatola cranica anziché nel culo si renderebbe conto che aiutare il camionista a non ammazzarlo è una strategia più razionale che rischiare di crepare per l'affermazione di un principio.
Questa jattanza emerge con palmare evidenza fin dal manifesto della benemerita associazione di cicloamatori, con quel verbo "dovere" declinato all'indicativo che se possibile riesce a rendere ancor più antipatici gli estensori delle proposte.
Che poi non è che i ciclisti abbiano sempre ragione per il fatto che vanno in bici: quando io sono stato tirato sotto da una moto, e sono finito all'ospedale con un polso e una costola rotti, avevo fatto una cazzata. Certo il motociclista, se fosse stato scrupolosamente attento avrebbe potuto evitarmi, ma la cazzata l'ho fatta io, e gli ho pure pagato la riparazione della moto, come era giusto che fosse. Se -anche per un attimo- sei cretino o sbadato, rischi del tuo, e non è che il non inquinare la città ti dia l'immortalità, né la ragione. Il torto ce l'ha chi ha torto, non chi inquina di più.
Ciò detto, quella stringa #salvaiciclisti potrebbe essere semplicemente l'ennesima cialtronata nata su Twitter, e io potrei serenamente continuare a fregarmene; ma no, c'è qualcosa di più.
Il fatto è che lo slogan SALVAICICLISTI è, detto semplice semplice che lo possa capire anche un Ciclista Militante, oltre che inutile, dannoso.
Il perché è presto detto: da quando è nato questo ennesimo allarme, che forse sta per superare in popolarità il femminicidio, coloro che magari avrebbero voluto avvicinarsi all'uso della bicicletta, complice la bella stagione e il rincaro della benzina, non ci pensano neppure.
Il messaggio che veicola lo slogan SALVAICICLISTI -come tutte le campagne connesse- è che usare la bici in città è un rischio mortale. Il Ciclista Militante pensa che questo serva a salvargli la vita, ma la dura realtà è che quel 99% di popolazione che non fa parte della setta ogni volta che vede quel neologismo si convince che il ciclista, militante o generico, sia un pazzo scapestrato che si diverte a giocare con la propria pelle, alla stregua di un trapezista che si esibisce senza rete.
La conclusione è ovvia: col cazzo, che mi metto a girare in bici in città: continuo a usare la macchina, l'autobus o quel che uso di solito.
E quindi: più traffico, inquinamento e rischi. Sia per i Ciclisti Militanti sia per quelli che hanno l'unico desiderio di andare al lavoro, fare la spesa, passare da una casa all'altra, per il semplice fatto che hanno bisogno di lavorare, nutrirsi e dormire, senza che la soddisfazione di queste elementari esigenze debba diventare un fatto politico.
* da prendere in senso figurato, ché di definitivo c'è solo la Signora con la falce
Come qualcuno sa, io la bicicletta la uso abbastanza. Questa nuova, per esempio, da Natale a oggi ha fatto 2800 chilometri, tutti in città: per andare al lavoro, fare la spesa, passare da una delle varie case in cui dormo a un'altra, etc.
Dovrei quindi essere favorevole alle iniziative che tutelano la mia incolumità, e grato al sindaco Pisapia che nei pannelli luminosi sparsi per le vie chiosa i suoi consigli di buon senso con lo slogan salvaiciclisti. E invece no.
Uno dei motivi è che questo movimento, come tanti consimili (a partire da quelle anime belle di Critical Mass, che ogni giovedì mi fanno venir voglia di comperare un autoarticolato da sparar loro contro a 100 all'ora) ha sempre lo stesso fastidioso rumore di fondo: quello di coloro che, ritenendo di essere nel Giusto automaticamente sbattono nella Cayenna dell'Ingiusto tutti coloro che la pensano diversamente da loro.
Siam sempre lì: il Ciclista Militante crede che il suo apporto alla qualità della vita urbana gli conferisca il diritto di fregarsene delle regole; e così la sera occupa le strade in massa bloccando la circolazione, nascondendosi dietro all'anonimato del numero, mentre di giorno (quando rischierebbe la pelle, se facesse le stronzate serali) crede comunque legittimo passare col rosso, andare in velocità sui marciapiedi, girare a luci spente la sera, e via discorrendo.
In questo delirio messianico persino il buon senso va all'ammasso, e il Ciclista Militante ritiene che sia suo pieno diritto mettersi al fianco di un autotreno di 27 tonnellate, in prossimità di una curva, senza riflettere per un secondo sul fatto che dalla cabina di guida non si ha la stessa visuale che ha il ciclista, e che anche il più scrupoloso dei camionisti può avere un momento di stanchezza o di distrazione. Certo, non è che guidare un camion ti dia il permesso di ammazzare la gente, e difatti il camionista risponderà per omicidio colposo; ma se il Ciclista militante avesse il cervello nella scatola cranica anziché nel culo si renderebbe conto che aiutare il camionista a non ammazzarlo è una strategia più razionale che rischiare di crepare per l'affermazione di un principio.
Questa jattanza emerge con palmare evidenza fin dal manifesto della benemerita associazione di cicloamatori, con quel verbo "dovere" declinato all'indicativo che se possibile riesce a rendere ancor più antipatici gli estensori delle proposte.
Che poi non è che i ciclisti abbiano sempre ragione per il fatto che vanno in bici: quando io sono stato tirato sotto da una moto, e sono finito all'ospedale con un polso e una costola rotti, avevo fatto una cazzata. Certo il motociclista, se fosse stato scrupolosamente attento avrebbe potuto evitarmi, ma la cazzata l'ho fatta io, e gli ho pure pagato la riparazione della moto, come era giusto che fosse. Se -anche per un attimo- sei cretino o sbadato, rischi del tuo, e non è che il non inquinare la città ti dia l'immortalità, né la ragione. Il torto ce l'ha chi ha torto, non chi inquina di più.
Ciò detto, quella stringa #salvaiciclisti potrebbe essere semplicemente l'ennesima cialtronata nata su Twitter, e io potrei serenamente continuare a fregarmene; ma no, c'è qualcosa di più.
Il fatto è che lo slogan SALVAICICLISTI è, detto semplice semplice che lo possa capire anche un Ciclista Militante, oltre che inutile, dannoso.
Il perché è presto detto: da quando è nato questo ennesimo allarme, che forse sta per superare in popolarità il femminicidio, coloro che magari avrebbero voluto avvicinarsi all'uso della bicicletta, complice la bella stagione e il rincaro della benzina, non ci pensano neppure.
Il messaggio che veicola lo slogan SALVAICICLISTI -come tutte le campagne connesse- è che usare la bici in città è un rischio mortale. Il Ciclista Militante pensa che questo serva a salvargli la vita, ma la dura realtà è che quel 99% di popolazione che non fa parte della setta ogni volta che vede quel neologismo si convince che il ciclista, militante o generico, sia un pazzo scapestrato che si diverte a giocare con la propria pelle, alla stregua di un trapezista che si esibisce senza rete.
La conclusione è ovvia: col cazzo, che mi metto a girare in bici in città: continuo a usare la macchina, l'autobus o quel che uso di solito.
E quindi: più traffico, inquinamento e rischi. Sia per i Ciclisti Militanti sia per quelli che hanno l'unico desiderio di andare al lavoro, fare la spesa, passare da una casa all'altra, per il semplice fatto che hanno bisogno di lavorare, nutrirsi e dormire, senza che la soddisfazione di queste elementari esigenze debba diventare un fatto politico.
* da prendere in senso figurato, ché di definitivo c'è solo la Signora con la falce
Lennox è vivo e lotta insieme a noi
Enzo di Frenna -l'uomo il cui volto dischiude le porte del Sacrario della frenologia- ha preso a cuore la causa del cane Lennox, che dopo essere stato accalappiato a Belfast è stato soppresso in quanto la sua razza è illegale nell'Irlanda del Nord.
La questione viene ripresa da Repubblica, il foglio che da quando non c'è più Berlusconi si è talmente squalificato da non poterci neppure incartare il pesce*, con un articolo che pure cito, a dimostrazione dell'ubiquitarietà della cialtroneria dei giornalisti, della rete e soprattutto dei giornalisti che frequentano la rete.
Dunque, abbiamo un cane.
Secondo il Di Frenna, il cane somiglia a un Pit Bull. Secondo la Città di Belfast, che lo ha catturato, il cane è un Pit Bull.
"Lennox era innocuo, non aveva mai morso né aggredito nessuno", dice la Rete. "l'esperto del Consiglio ha descritto il cane come uno dei più imprevedibili e pericolosi cani mai incontrato", dice il Comune di Belfast.
"La Municipalità di Belfast si è coperta di vergogna e sarà da questo momento additata al disprezzo internazionale per avere assassinato una creatura innocente e indifesa, e per aver condannato con lui la bambina disabile che tanto lo amava e che con lui aveva instaurato una relazione speciale", dice l'Ente Nazionale per la Protezione Animali italiano, la cui presidenta con quel disabile tocca anche le corde dell'umana pietà**. Purtroppo -anzi per fortuna, a ben pensarci- non abbiamo la voce della mamma della bambina che il Pit Bull avrebbe potuto ammazzare se, come la squinternata animalista aveva chiesto, fosse stato portato in Italia e adottato da una tenera famigliuola.
Ora, di una cosa sono ragionevolmente certo: che né il Di Frenna né la presidenta dell'ENPA hanno visto il cane, mentre il perito della Municipalità di Belfast sì.
E quindi, se Belfast dice che quello è un Pit Bull, mentre Repubblica dice che il Di Frenna dice che l'ENPA dice che non lo è, ho il forte sospetto che risalendo alla fonte si scopra che tale affermazione provenga dalla padroncina disabile, che conoscerà pur bene il proprio cagnolino affettuoso, ma non è certo una veterinaria e comunque è, come dire, un testimone un po' troppo interessato e quindi poco fededegno rispetto all'esperto.
Ammettiamo quindi che quello sia effettivamente un Pit Bull, e chiediamoci cosa avrebbe dovuto pare una pubblica istituzione di uno Stato nel quale i Pit Bull sono, giustamente, *** banditi.
Secondo il Di Frenna e compagnia cantante, probabilmente il Sindaco di Belfast o chi per lui avrebbe dovuto dire qualcosa del tipo: «Sì, è vero, abbiamo una legge, ma vale solo per i padroni di cani che non sono su Facebook, per cui ora prendiamo il povero Lennox, che sta tanto simpatico a quei giustizialisti iperlegalitari (ma solo nell'ambito del diritto italiano) del Fatto Quotidiano e lo liberiamo con tante scuse. Anzi è l'occasione per imparare dagli italiani che le leggi non sono mica uguali per tutti».
Fortuna che a Belfast il Di Frenna e la Presidenta non andranno mai più. Fortuna per Belfast, naturalmente.
* immagino che De Benedetti stia seriamente pensando di vendere a qualche industriale francese: solo così riesco a spiegarmi la penosissima marchetta di ieri.
** a proposito, sono andato a vedere Hunger e mi sono sciolto alla voce della Thatcher: si vede proprio che sto invecchiando male.
*** secondo la tradizione del giornalismo anglosassone, in questo post le opinioni vendono evidenziate in viola per separarle dai fatti.
La questione viene ripresa da Repubblica, il foglio che da quando non c'è più Berlusconi si è talmente squalificato da non poterci neppure incartare il pesce*, con un articolo che pure cito, a dimostrazione dell'ubiquitarietà della cialtroneria dei giornalisti, della rete e soprattutto dei giornalisti che frequentano la rete.
Dunque, abbiamo un cane.
Secondo il Di Frenna, il cane somiglia a un Pit Bull. Secondo la Città di Belfast, che lo ha catturato, il cane è un Pit Bull.
"Lennox era innocuo, non aveva mai morso né aggredito nessuno", dice la Rete. "l'esperto del Consiglio ha descritto il cane come uno dei più imprevedibili e pericolosi cani mai incontrato", dice il Comune di Belfast.
"La Municipalità di Belfast si è coperta di vergogna e sarà da questo momento additata al disprezzo internazionale per avere assassinato una creatura innocente e indifesa, e per aver condannato con lui la bambina disabile che tanto lo amava e che con lui aveva instaurato una relazione speciale", dice l'Ente Nazionale per la Protezione Animali italiano, la cui presidenta con quel disabile tocca anche le corde dell'umana pietà**. Purtroppo -anzi per fortuna, a ben pensarci- non abbiamo la voce della mamma della bambina che il Pit Bull avrebbe potuto ammazzare se, come la squinternata animalista aveva chiesto, fosse stato portato in Italia e adottato da una tenera famigliuola.
Ora, di una cosa sono ragionevolmente certo: che né il Di Frenna né la presidenta dell'ENPA hanno visto il cane, mentre il perito della Municipalità di Belfast sì.
E quindi, se Belfast dice che quello è un Pit Bull, mentre Repubblica dice che il Di Frenna dice che l'ENPA dice che non lo è, ho il forte sospetto che risalendo alla fonte si scopra che tale affermazione provenga dalla padroncina disabile, che conoscerà pur bene il proprio cagnolino affettuoso, ma non è certo una veterinaria e comunque è, come dire, un testimone un po' troppo interessato e quindi poco fededegno rispetto all'esperto.
Ammettiamo quindi che quello sia effettivamente un Pit Bull, e chiediamoci cosa avrebbe dovuto pare una pubblica istituzione di uno Stato nel quale i Pit Bull sono, giustamente, *** banditi.
Secondo il Di Frenna e compagnia cantante, probabilmente il Sindaco di Belfast o chi per lui avrebbe dovuto dire qualcosa del tipo: «Sì, è vero, abbiamo una legge, ma vale solo per i padroni di cani che non sono su Facebook, per cui ora prendiamo il povero Lennox, che sta tanto simpatico a quei giustizialisti iperlegalitari (ma solo nell'ambito del diritto italiano) del Fatto Quotidiano e lo liberiamo con tante scuse. Anzi è l'occasione per imparare dagli italiani che le leggi non sono mica uguali per tutti».
Fortuna che a Belfast il Di Frenna e la Presidenta non andranno mai più. Fortuna per Belfast, naturalmente.
* immagino che De Benedetti stia seriamente pensando di vendere a qualche industriale francese: solo così riesco a spiegarmi la penosissima marchetta di ieri.
** a proposito, sono andato a vedere Hunger e mi sono sciolto alla voce della Thatcher: si vede proprio che sto invecchiando male.
*** secondo la tradizione del giornalismo anglosassone, in questo post le opinioni vendono evidenziate in viola per separarle dai fatti.