venerdì 3 ottobre 2014
martedì 30 settembre 2014
Il bottegaio bulgaro
(questa cosa non è che dovessi scriverla per forza, ma se Chiara ordina io eseguo)
Poche persone sanno che gestisco un sito costruito sulla versione 1.5 di Joomla! sul quale pubblico fotografie di cene più o meno eleganti (il "meno", in questo contesto, significa che sono meno eleganti di quanto lo fossero quelle di quel precedente capo del governo che riteneva elegante organizzare cene in maschera al termine delle quali ci si toglievano le maschere da infermiera).
Per anni mi sono avvalso di un servizio di hosting che era molto economico e faceva molto cacare, e l'altro giorno, di fronte a un problema di compatibilità tra versioni di PHP, ho finalmente deciso di spostare il tutto da un'altra parte.
Quindi, un po' per bruciare i ponti e un po' perché mi avevano fatto veramente incazzare, ho mandato affanculo i signori che finora mi avevano servito male, e mi sono guardato in giro per vedere dove andare: dapprima ho pensato di farmi un VPS, poi mi sono reso conto che con le mie competenze avrei anche potuto riuscire a trasportare il sito, ma a prezzo di grandi sforzi e di molte richieste di aiuto sulla stanzetta Lega Nerd che non riesco più a raggiungere dal mio telefonino: e così mi sono sottoscritto un altro contratto di hosting con Siteground.
Dopo pochi minuti ero lì che smanettavo con il pannello di controllo, quando vedo che sul cellofono mi arriva una chiamata dalle Americhe. Per un attimo temo che sia qualche avvocato incazzoso che vuole indietro i soldi di qualche sòla che gli ho venduto, ma poi rifletto e mi rendo conto che (i) il mio telefono è sempre rimasto privato e gli avvocati americani non ne conoscono il numero; (ii) è domenica; (iii) in America sono più o meno le sei del mattino, ora che anche per gli avvocati d'affari è tabù.
Rispondo, e dall'altro capo del filo c'è un gentilissimo signore che mi chiede se io sono io, e una volta accertato ciò mi spiega che lavora per Siteground.
Nell'ordine egli:
* si congratula con me per aver scelto il loro servizio;
* mi chiede se il processo di iscrizione e pagamento è stato di mia soddisfazione e se ci sono aspetti del contratto che desidero approfondire;
* mi domanda se ho avuto già modo di familiarizzare con gli strumenti messi a disposizione, se gli stessi sono chiari e usabili e se ho qualche domanda tecnica da porre;
* nota che ho già montato una versione 3 di Joomla!, mi rammenta che, già compreso nel contratto, c'è il trasferimento di siti ospitati altrove e che se voglio usufruire di questo servizio non ho che da dirlo;
* mi ricorda che il loro servizio di helpdesk è in funzione 24/7 e che saranno felicissimi di aiutarmi a risolvere qualsiasi problema.
Marketing, certo: ma fatto bene. Fosero tutti così!
Poche persone sanno che gestisco un sito costruito sulla versione 1.5 di Joomla! sul quale pubblico fotografie di cene più o meno eleganti (il "meno", in questo contesto, significa che sono meno eleganti di quanto lo fossero quelle di quel precedente capo del governo che riteneva elegante organizzare cene in maschera al termine delle quali ci si toglievano le maschere da infermiera).
Per anni mi sono avvalso di un servizio di hosting che era molto economico e faceva molto cacare, e l'altro giorno, di fronte a un problema di compatibilità tra versioni di PHP, ho finalmente deciso di spostare il tutto da un'altra parte.
Quindi, un po' per bruciare i ponti e un po' perché mi avevano fatto veramente incazzare, ho mandato affanculo i signori che finora mi avevano servito male, e mi sono guardato in giro per vedere dove andare: dapprima ho pensato di farmi un VPS, poi mi sono reso conto che con le mie competenze avrei anche potuto riuscire a trasportare il sito, ma a prezzo di grandi sforzi e di molte richieste di aiuto sulla stanzetta Lega Nerd che non riesco più a raggiungere dal mio telefonino: e così mi sono sottoscritto un altro contratto di hosting con Siteground.
Dopo pochi minuti ero lì che smanettavo con il pannello di controllo, quando vedo che sul cellofono mi arriva una chiamata dalle Americhe. Per un attimo temo che sia qualche avvocato incazzoso che vuole indietro i soldi di qualche sòla che gli ho venduto, ma poi rifletto e mi rendo conto che (i) il mio telefono è sempre rimasto privato e gli avvocati americani non ne conoscono il numero; (ii) è domenica; (iii) in America sono più o meno le sei del mattino, ora che anche per gli avvocati d'affari è tabù.
Rispondo, e dall'altro capo del filo c'è un gentilissimo signore che mi chiede se io sono io, e una volta accertato ciò mi spiega che lavora per Siteground.
Nell'ordine egli:
* si congratula con me per aver scelto il loro servizio;
* mi chiede se il processo di iscrizione e pagamento è stato di mia soddisfazione e se ci sono aspetti del contratto che desidero approfondire;
* mi domanda se ho avuto già modo di familiarizzare con gli strumenti messi a disposizione, se gli stessi sono chiari e usabili e se ho qualche domanda tecnica da porre;
* nota che ho già montato una versione 3 di Joomla!, mi rammenta che, già compreso nel contratto, c'è il trasferimento di siti ospitati altrove e che se voglio usufruire di questo servizio non ho che da dirlo;
* mi ricorda che il loro servizio di helpdesk è in funzione 24/7 e che saranno felicissimi di aiutarmi a risolvere qualsiasi problema.
Marketing, certo: ma fatto bene. Fosero tutti così!
lunedì 23 giugno 2014
Giocare con i numeri / sqrt(e)
Il sindaco Marino sarà certo un bravo medico e un bravo ragazzo di Pittsburgh, come gi ha detto il presidente Obama quando il nostro primo sindaco l'ha appostato all'aereoporto.
Probabilmente è meno ferrato nei problemi di Fermi, e sicuramente ha la sgradevole tendenza a muovere la lingua nel cavo orale con troppa sollecitudine.
A chi gli ha fatto notare che affittare il Circo Massimo per 8.000 euri (scarsi) forse non è stato un grande affare per la città di Roma, ha subito replicato che con le 60.000 presenze turistiche venute per il concerto dei nonni del rock la città ha guadagnato 25 milioni di euri.
Il che -ammesso e non concesso che effettivamente gli spettatori da fuori Roma fossero 60.000, il che già di per sé desta dubbi, ma per amor di tesi accettaremo il dato- dovrebbe significare ciascun singolo spettatore dovrebbe aver speso, oltre al biglietto, car sé caro, la bella cifra di 415 euri.
Il che significa che ciascuno spettatore ha pernottato in hotel a quattro stelle, pranzato in ristorante di livello e viaggiato in tassì almeno un paio di volte, e rigorosamente da solo.
Probabilmente è meno ferrato nei problemi di Fermi, e sicuramente ha la sgradevole tendenza a muovere la lingua nel cavo orale con troppa sollecitudine.
A chi gli ha fatto notare che affittare il Circo Massimo per 8.000 euri (scarsi) forse non è stato un grande affare per la città di Roma, ha subito replicato che con le 60.000 presenze turistiche venute per il concerto dei nonni del rock la città ha guadagnato 25 milioni di euri.
Il che -ammesso e non concesso che effettivamente gli spettatori da fuori Roma fossero 60.000, il che già di per sé desta dubbi, ma per amor di tesi accettaremo il dato- dovrebbe significare ciascun singolo spettatore dovrebbe aver speso, oltre al biglietto, car sé caro, la bella cifra di 415 euri.
Il che significa che ciascuno spettatore ha pernottato in hotel a quattro stelle, pranzato in ristorante di livello e viaggiato in tassì almeno un paio di volte, e rigorosamente da solo.
giovedì 19 giugno 2014
A volte ritornano
Onorevole
Autorità Garante per la
protezione dei dati personali
fax 06.XXXXXXXXX
e p. c. Spettabile XXXXX XXXXX SpA
e-mail XXXXXXXXX
Reclamo ex art. 141 c.1 a) D.Lgs. 196/2003 - messaggi pubblicitari indesiderati
Onorevole Autorità,
in data 21 novembre, dopo aver ricevuto da parte di XXXXXXX XXXXXXX SpA e/o sue consociate una ennesima telefonata indesiderata di natura commerciale, inviai alla Società in questione la comunicazione che allego sub. 1), con la quale, in tono scherzoso ma comunque fermo e chiaro, intimavo di cessare tali fastidiose pratiche commerciali.
La comunicazione veniva ricevuta dalla destinataria alle ore 13:25 del medesimo giorno (all. 2), con richiesta di integrazione documentale. Fornivo anche le ulteriori indicazioni richiestemi, e alle ore 13:56 (all. 3) il Servizio Clienti di XXXXXX XXXXXX mi confermava di aver proceduto alla cancellazione del mio numero di telefono dai propri archivi, avvertendomi al contempo che altre strutture facenti capo alla medesima rete commerciale avrebbero potuto disporre di tale dato personale. Tengo a far notare che tale ultima comunicazione era di contenuto del tutto generico, talché, anche usando la miglior diligenza, quand'anche avessi voluto contattarle, mi sarebbe stato impossibile o oltremodo difficoltoso individuare quante e quali fossero tali entità, facenti parte di una organizzazione complessa e a me aliena.
Inviavo pertanto la e-mail che allego sub. 4 con la quale evidenziavo tale circostanza, intimando la controparte a porre in essere tutte le condotte atte a terminare le pratiche commerciali indesiderate, precisando che, in caso contrario, sarei stato costretto ad adire codesta Onorevole Autorità a tutela della mia riservatezza e della mia quiete.
Debbo, ahimè, constatare che anche tale passo è rimasto privo di esito, dacché nella giornata odierna ho ricevuto ben TRE messaggi via SMS (all. 5 e 6), che mi hanno fortemente disturbato e irritato proprio nel momento in cui le mie condizioni di salute mi imporrebbero un regime di pace e tranquillità.
Con la presente, pertanto, propongo formale reclamo ex art. 141 c.1 lett. a) D.Lgs. 196/2003, non ritenendo ormai possibile ottenere in altra maniera la tutela del mio diritto alla riservatezza.
A disposizione per eventuali necessità, chiarimenti e/o integrazioni, porgo i migliori saluti.
m.fisk
martedì 20 maggio 2014
La legalità e certa sinistra
E' da tempo che mi sono proibito di commentare ciò che leggo sui giornali e in rete, ma questa volta faccio un'eccezione perché un articolo del Gilioli (non che io ce l'abbia pregiudizialmente con lui, ma spesso il leggerlo mi fa saltare la mosca al naso) dà una bella dimostrazione di come l'animabellismo di certa sinistra duraepura non porti da alcuna parte.
La storia, come ce la racconta lo stesso giornalista, è questa: il Governo ha posto e ottenuto la fiducia sul "Piano Lupi" che all’articolo 5 prevede il taglio di acqua, luce e gas -e residenza- per chi occupa abusivamente un immobile. Un sistema che genera esclusione.
In Brasile invece le cose sono molto diverse: lì, per cercare di affrontare quei concentrati di miserie e di gang criminali che erano le favelas, il governo Lula ha adottato una politica molto diversa. Portando in quelle città illegali la luce elettrica, l’acqua, le fogne: gratis. E i nomi delle vie: avere una residenza ufficiale, con un indirizzo, è la precondizione per esistere, per ricevere la posta, per compilare un modulo, per iscrivere i figli a scuola, per lasciare un recapito a un colloquio di lavoro.
E' un po' come quelle storie che racconta la Gabanelli a proposito dell'Argentina, che secondo Report è rifiorita dopo il crack finanziario, e tutti sono felici, e la gente si è messa a riparare le sedie, e a fare il teatro all'aperto, e ha riscoperto la gioja di vendere torte fatte in casa. Certo, d'inverno si sta al freddo perché non c'è gas, e centinaia di migliaia di famiglie vivono dell'elemosina dei preti; ma questo la Gabanelli non lo mette in evidenza, che non si sa mai qualcuno si faccia venire in mente di destinare l'8 per mille.
Ma abbiamo divagato: torniamo alle favelas. Che sono baraccopoli costruite con diversi materiali, da semplici mattoni a scarti recuperati dall'immondizia: ricoveri provvisori -ahinoi destinati a divenir permanenti- fatti di latta da chi li andrà ad occupare. Portare le fognature, il gas e la luce in quei luoghi è un'azione caritatevole e lungimirante, che solo un malthusiano di ferro potrebbe ritenere socialmente sconveniente: si va a migliorare la qualità di vita di migliaia di persone, senza danneggiarne alcuna.
Ben diverso, caro il mio direttore, il caso delle case occupate italiane: che sono in massima parte edilizia popolare di proprietà pubblica, di guisa che chi occupa un appartamento non sta esercitando il diritto inalienabile di ogni persona di avere una casa in cui vivere, bensì usurpando il diritto inalienabile di un'altra persona di avere una casa in cui vivere.
Il che, non è difficile capirlo, è cosa ben diversa. E ben differentemente meritevoli sono le due situazioni: quella di chi usurpa il diritto altrui con la forza dello scasso e dell'intimidazione, e quella di chi -magari dopo molti penosi anni di lista d'attesa- ha ottenuto la possibilità di una vita un po' migliore, ma è troppo debole per far valere il suo diritto.
A leggere il Gilioli chi occupa una casa, in Italia, sta facendo la guerra a un ricco latifondista con centinaia di appartamenti lasciati vuoti; ma se così fosse, basterebbe pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che, per voce pubblica, son conosciuti come i più ricchi e i più cani, e impiccarli.
Purtroppo così non è: chi occupa una casa, qui da noi, è un poveraccio prepotente che sta facendo la guerra a uno un po' più povero di lui; e mi chiedo proprio per chi dovrebbe prender le parti, uno di sinistra.
La storia, come ce la racconta lo stesso giornalista, è questa: il Governo ha posto e ottenuto la fiducia sul "Piano Lupi" che all’articolo 5 prevede il taglio di acqua, luce e gas -e residenza- per chi occupa abusivamente un immobile. Un sistema che genera esclusione.
In Brasile invece le cose sono molto diverse: lì, per cercare di affrontare quei concentrati di miserie e di gang criminali che erano le favelas, il governo Lula ha adottato una politica molto diversa. Portando in quelle città illegali la luce elettrica, l’acqua, le fogne: gratis. E i nomi delle vie: avere una residenza ufficiale, con un indirizzo, è la precondizione per esistere, per ricevere la posta, per compilare un modulo, per iscrivere i figli a scuola, per lasciare un recapito a un colloquio di lavoro.
E' un po' come quelle storie che racconta la Gabanelli a proposito dell'Argentina, che secondo Report è rifiorita dopo il crack finanziario, e tutti sono felici, e la gente si è messa a riparare le sedie, e a fare il teatro all'aperto, e ha riscoperto la gioja di vendere torte fatte in casa. Certo, d'inverno si sta al freddo perché non c'è gas, e centinaia di migliaia di famiglie vivono dell'elemosina dei preti; ma questo la Gabanelli non lo mette in evidenza, che non si sa mai qualcuno si faccia venire in mente di destinare l'8 per mille.
Ma abbiamo divagato: torniamo alle favelas. Che sono baraccopoli costruite con diversi materiali, da semplici mattoni a scarti recuperati dall'immondizia: ricoveri provvisori -ahinoi destinati a divenir permanenti- fatti di latta da chi li andrà ad occupare. Portare le fognature, il gas e la luce in quei luoghi è un'azione caritatevole e lungimirante, che solo un malthusiano di ferro potrebbe ritenere socialmente sconveniente: si va a migliorare la qualità di vita di migliaia di persone, senza danneggiarne alcuna.
Ben diverso, caro il mio direttore, il caso delle case occupate italiane: che sono in massima parte edilizia popolare di proprietà pubblica, di guisa che chi occupa un appartamento non sta esercitando il diritto inalienabile di ogni persona di avere una casa in cui vivere, bensì usurpando il diritto inalienabile di un'altra persona di avere una casa in cui vivere.
Il che, non è difficile capirlo, è cosa ben diversa. E ben differentemente meritevoli sono le due situazioni: quella di chi usurpa il diritto altrui con la forza dello scasso e dell'intimidazione, e quella di chi -magari dopo molti penosi anni di lista d'attesa- ha ottenuto la possibilità di una vita un po' migliore, ma è troppo debole per far valere il suo diritto.
A leggere il Gilioli chi occupa una casa, in Italia, sta facendo la guerra a un ricco latifondista con centinaia di appartamenti lasciati vuoti; ma se così fosse, basterebbe pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che, per voce pubblica, son conosciuti come i più ricchi e i più cani, e impiccarli.
Purtroppo così non è: chi occupa una casa, qui da noi, è un poveraccio prepotente che sta facendo la guerra a uno un po' più povero di lui; e mi chiedo proprio per chi dovrebbe prender le parti, uno di sinistra.
giovedì 20 marzo 2014
Docemus
Tanti anni fa scrissi una frase passata inosservata riguardo alla Coop: "detto tra noi, non saranno fasciste ma sono schiaviste molto più dell'Esselunga, e fidatevi se vi dico che è così".
Gilioli oggi mi scopre che, ohibò, le coop pagano di merda; e cita anche un giornale (che, accipicchia, non è il suo) a riprova di ciò.
Qui si amano le parabole, e in particolare quelle del figliuol prodigo, e quindi qualunque resipiscenza è ben vista; ma ci sono coloro che ancora credono che la Coop sei tu, e Caprotti invece è uno stronzo cattivo che non ti lascia neppure pisciare.
Devo quindi ribadire ancora una volta il concetto: a parte il fatto che paghi meglio, da Caprotti i dipendenti pisciano anche meglio; e fidatevi se vi dico che è così.
Gilioli oggi mi scopre che, ohibò, le coop pagano di merda; e cita anche un giornale (che, accipicchia, non è il suo) a riprova di ciò.
Qui si amano le parabole, e in particolare quelle del figliuol prodigo, e quindi qualunque resipiscenza è ben vista; ma ci sono coloro che ancora credono che la Coop sei tu, e Caprotti invece è uno stronzo cattivo che non ti lascia neppure pisciare.
Devo quindi ribadire ancora una volta il concetto: a parte il fatto che paghi meglio, da Caprotti i dipendenti pisciano anche meglio; e fidatevi se vi dico che è così.
martedì 18 marzo 2014
Parole da Nobel
“We believe that freedom and self-determination are not unique to one culture. These are not simply American values or Western values; they are universal values. And even as there will be huge challenges to come with the transition to democracy, I am convinced that ultimately government of the people, by the people, and for the people is more likely to bring about the stability, prosperity, and individual opportunity that serve as a basis for peace in our world.”
lunedì 10 febbraio 2014
La realtà in scivolata
Il curling come tutti i giochi può indurre dipendenza, soprattutto se praticato da persone spinte da altre necessità che non quella puramente ludica.
Il pericolo maggiore che individua Maria Gabriella Manno, psicoterapeuta del centro studi Psicosomatica di Roma, è legato alla "compensazione nevrotica". Anche se non rientra attualmente tra le ludopatie, il curling può comunque portare gli individui a scaricare le proprie energie nel gioco, bloccando le capacità affermative nella vita.
Si è portati comunemente a concepire il curling come una trasposizione delle bocce nella realtà, ma non è così. "A livello cognitivo", chiarisce la psicologa "questo paragone non calza. Il giuoco delle bocce ingenera un senso di preveggenza che nulla ha a che vedere con il curling. Certo, per evitare ogni tipo di patologia è necessario avere sviluppato il senso di consapevolezza. Alla base di questo sport tuttavia c'è un aspetto naturale, quasi biologico. L'uomo subisce da sempre il fascino del bersaglio, perché soddisfa in lui il bisogno innato della competizione. Si pensi alle tribù che rappresentano il raggiungimento dell'obiettivo attraverso le proprie danze tradizionali. Non c'è molta differenza con questo sport".
Ma se esistono certamente aspetti positivi, come lo sviluppo dell'autocontrollo, della decisionalità e della leadership, non bisogna perdere di vista i pericoli cognitivi legati al curling. Primo fra tutti proprio la compensazione. "Tutto dipende dal tempo mentale che gli si dedica", aggiunge Manno "Ci possono essere casi in cui i soggetti tentano di compensare la propria affermazione individuale attraverso il gioco. È come se si creasse uno scollamento tra la vita reale e la pratica ludica. L'individuo si blocca nella vita, non riesce a soddisfare le proprie ambizioni e le scarica nel gioco. I sintomi più comuni sono l'eccessivo investimento economico, temporale ed energetico. Tuttavia ogni caso va analizzato singolarmente, anche perché non esistono studi specifici sul curling".
Il pericolo maggiore che individua Maria Gabriella Manno, psicoterapeuta del centro studi Psicosomatica di Roma, è legato alla "compensazione nevrotica". Anche se non rientra attualmente tra le ludopatie, il curling può comunque portare gli individui a scaricare le proprie energie nel gioco, bloccando le capacità affermative nella vita.
Si è portati comunemente a concepire il curling come una trasposizione delle bocce nella realtà, ma non è così. "A livello cognitivo", chiarisce la psicologa "questo paragone non calza. Il giuoco delle bocce ingenera un senso di preveggenza che nulla ha a che vedere con il curling. Certo, per evitare ogni tipo di patologia è necessario avere sviluppato il senso di consapevolezza. Alla base di questo sport tuttavia c'è un aspetto naturale, quasi biologico. L'uomo subisce da sempre il fascino del bersaglio, perché soddisfa in lui il bisogno innato della competizione. Si pensi alle tribù che rappresentano il raggiungimento dell'obiettivo attraverso le proprie danze tradizionali. Non c'è molta differenza con questo sport".
Ma se esistono certamente aspetti positivi, come lo sviluppo dell'autocontrollo, della decisionalità e della leadership, non bisogna perdere di vista i pericoli cognitivi legati al curling. Primo fra tutti proprio la compensazione. "Tutto dipende dal tempo mentale che gli si dedica", aggiunge Manno "Ci possono essere casi in cui i soggetti tentano di compensare la propria affermazione individuale attraverso il gioco. È come se si creasse uno scollamento tra la vita reale e la pratica ludica. L'individuo si blocca nella vita, non riesce a soddisfare le proprie ambizioni e le scarica nel gioco. I sintomi più comuni sono l'eccessivo investimento economico, temporale ed energetico. Tuttavia ogni caso va analizzato singolarmente, anche perché non esistono studi specifici sul curling".
giovedì 16 gennaio 2014
Della superiorità dello scalogno nel soffritto
Spettabile
$grande_fornitore_di_energia
Reclamo - Propposte commerciali indesiderate
ieri sera, dopo aver concluso una dura giornata di lavoro, stanco ma soddisfatto per il piccolo contributo da me dato alla crescita del Prodotto Interno Lordo della Nazione, sono tornato alla mia abitazione, dove ho cominciato a cucinare per me e il mio figliolo. Avviata una spadellata di carciofi ho messo a soffriggere lo scalogno per il sugo di pomodoro che presto si sarebbe trasformato in deliziosi gnocchi alla sorrentina.
A un tratto, e precisamente alle ore 19:46, è squillato il telefono, con l'annuncio di una chiamata riveniente dal numero 02xxxxxxx. Già!: perché purtroppo sono costretto a pagare, e profumatamente, un servizio che mi dica chi mi sta chiamando, e ciò per evitare di perdere il poco tempo libero del quale dispongo a declinare offerte di vini, olii e lupini rivenienti da imbonitori di dubbia serietà, i quali immancabilmente si mascherano dietro numeri anonimi.
Non era quello il caso, e infatti mio figlio, addestrato a verificare la provenienza della chiamata prima di alzare il ricevitore, mi ha avvisato che la comunicazione proveniva dalla mia bella città. Ho quindi distolto l'attenzione dal soffritto, e ciò solo per sentirmi apostrofare da una voce che pretendeva di chiamare da parte di Xxxx Xxxxxxx al fine di formularmi vantaggiose proposte.
Grande è stata la mia rabbia: perché posso pure ammettere, ben conscio di come questa nostra vita terrena sia solo una parentesi di imperfezione puntellata dal dolore, che esistano operatori commerciali che, emuli dei magliari del secondo dopoguerra, importunano il prossimo per smaltire un paio di vasetti di lampascioni in ispregio alle regole statuite.
Ma che Xxxx Xxxxxxx, dall'alto delle sue colossali dimensioni, non si premuri di verificare se il numero chiamato sia o meno iscritto al Registro delle Opposizioni, questo no. E quindi, delle due l'una: o chi mi ha chiamato asseriva falsamente di agire in vostro nome (e vi sarà facile appurarlo, dato che vi fornisco il numero chiamante; e se del caso agire a tutela del vostro buon nome) oppure l'operatore era davvero un vostro incaricato: nel qual caso desidero informarvi del fatto che, mentre declinavo alla mia sfortunata interlocutrice tutte le mie doglianze nei confronti della sua datrice di lavoro, lo scalogno sul fuoco si sia irrimediabilmente bruciato.
Tale circostanza è stata causa di grande stress in me e nella mia famiglia, sia perché per alcuni minuti si è verificato il permanere in cucina di un odore poco gradevole, sia perché desso era l'ultimo scalogno del quale disponessi, e ho pertanto dovuto riavviare il soffritto con l'aglio, che non tutti i commensali gradiscono.
Non sono a chiedervi un risarcimento pecuniario, pur ritenendomene moralmente in diritto: dacché lo stupro alla mia quiete e serenità domestica, che ho dovuto purtroppo subire, ha un valore per me incalcolabile e che sfugge alle meschine logiche del commercio al minuto. Ritengo tuttavia che il minimo che possiate fare, per riparare al mal fatto, sia quello di formalizzarmi le vostre scuse, accompagnate dall'espresso proposito di non disturbare mai più e in alcun modo la mia pace.
Distinti saluti,