venerdì 29 marzo 2013

Può il Parlamento funzionare senza Governo? (lezioncina di educazione civica ad uso di bimbi di terza elementare e di parlamentari grillini)

La battutona di Grillo non è sbagliata. Tecnicamente, infatti, il potere esecutivo deve ricevere la fiducia dal Parlamento per entrare in carica nella pienezza dei poteri, e cominciare a lavorare; ma non è vero il contrario. Il potere legislativo non deve ricevere la fiducia da nessuno, se non dagli elettori nella gabina elettorale; e quindi una volta insediate le Camere, queste sono nella pienezza del proprio potere di fare e disfare le leggi.
Non è neppur vero che il Governo sia necessario perché senza di esso non è possibile presentare delle bozze di legge da approvare; se rammentiamo la tripartizione classica discendente dal dettato costituzionale (progetto di legge; disegno di legge; proposta di legge), l'assenza di un esecutivo toglie solo il secondo strumento, lasciando intatti gli altri due strumenti.

Quindi, ci ha ragione Grillo (e del resto beppegrillo(tm) ha ragione per definizione): il Parlamento può funzionare senza Governo.









































Airport '75 (sinossi)

Un Jumbo Jet collide in volo con un aereo da turismo, uccidendo copilota e pilota.  Il comandante, assai malconcio, e accecato dai frammenti di vetro del parabrezza, riesce a far attivare il pilota automatico a una delle hostess, una bella gnocca.
Il film potrebbe fermarsi qui, ma per tirarlo in lungo la storia prevede che il manzo della gnocca si cali con una carrucola dentro la cabina di pilotaggio: una manovra spericolata e stupida, che mette a rischio la sua vita (dopo che altro più sfigato era precipitato rovinosamente).  Un vero e proprio buco nella sceneggiatura di cui non si capisce la logica, dato che un aereo con pilota automatico inserito non ha bisogno di alcun pilota umano.


giovedì 28 marzo 2013

Uno vale radice di meno e alla pigreco

Pensandoci bene, beppegrillo(tm) non è neppure originale: un altro comico prima di lui aveva teorizzato la linea politica poi assunta dal movimento pentastellato.
Ma Alberto era infinitamente più bravo, simpatico e generoso del saltimbanco genovese.


domenica 24 marzo 2013

Modà

Lo spread BTP-BUND
Le rapine in villa
I sassi gettati dal cavalcavia
Le stragi del sabato sera
L'influenza aviaria
L'apertura di Wall Street
I suicidi per Equitalia
Gli esercenti che non scontrinano
Le adolescenti che si ricaricano il cellofono mostrando la patata
I randagi assassini

L'essenza del giornalismo è scrivere di ciò di cui scrivono tutti gli altri, perché ciò è quanto il pubblico si aspetta di leggere.
Certi fuoriclasse riescono a fare giornalismo toccando temi nuovi, o anche vecchi ma da punti di vista nuovi: ma quelli sono, per l'appunto, fuoriclasse.
Una volta tolte le eccezioni, c'è il placido mestiere dell'arrivare alla fine della cartella compiacendo il caporedattore.
E' la vita, bellezza! E se oggi vanno i cani, il pezzo sarà sui cani.
Mode, che arrivano con la rapidità di un temporale estivo e inatteso, e se ne vanno altrettanto velocemente, come una nevicata marzolina.
Mode che, in un mondo di firme sempre più indistinguibili tra loro, riescono a far emergere il nome dell'ultimo della classe: quello che parla della Val di Susa quando ormai la TAV è morta all'attenzione pubblica; quello che scrive due righe sul negoziante evasore quando la pancia dell'editoria è passata al suicida per debiti.

I tempi stanno maturando, e presto anche la nostra stampa comincerà ad avvertire un certo disagio nel riportare dettagliatamente ogni qualunque singola puttanata che esca dalla bocca di beppegrillo(tm). Comincerà dapprima a selezionare, poi a obliterare.
Purtroppo ciò non avverrà molto presto né molto in fretta, in quanto, capito il meccanismo, il Vate pentastellato inventerà nuovi numeri e nuove rutilanti capriole semantiche; ma a un certo punto si dovrà fermare, perché quando hai fatto il quadruplo salto mortale carpiato, l'unico modo di spingerti in là è provare il quinto, che è quello che ti ammazza.

I giornali smetteranno allora di pubblicare quella faccia da monatto; il movimento tornerà a ritrovarsi su internet e nei meetup, morendo di morte lenta tra una discussione sulla ciclabile di Albenga e un'altra sulla minerale a chilometro uno, con quel paio di migliaia di attivisti duri e puri sfiancati da muri di testo in confronto ai quali il Bar di wikipedia è Ungaretti nella versione del Reader's Digest.
Dopo un po' di tempo rammenteremo dei 5 stelle con quel senso di nostalgia del passato che ci evocano oggi parole come Freedomland o Timberland; e il monatto ci tornerà simpatico.

(nell'immagine, la home page di corriere.it)

venerdì 22 marzo 2013

Cose che fa male anche solo il pensarle

dover rivalutare Andrea Scanzi.

Cosa succederà se Bersani non riuscirà a formare un governo

C'è un certo rischio di nuovo governo tecnico all'orizzonte?
Non saprei valutarlo così, in soldoni, ma probabilmente sì.
I tecnici che stiamo per salutare, tuttavia, hanno avuto tutto il tempo di dimostrare la loro pochezza, e il destino ha voluto che il loro ultimo atto faccia assumere alla parola cialtroneria sfumature nuove e finora insospettabili.

Io una modesta proposta per una squadra di tecnici incomparabilmente più competente di quella uscente ce l'avrei:



giovedì 21 marzo 2013

Che ci ha anche un suo perché



( Elena Bulygina — nerd management and communication @ The Old Reader)

mercoledì 20 marzo 2013

Rottamiamo i dinosauri della stampa!

Grande giornata oggi, sul Fatto Quotidiano, con due pezzi del Direttore Antonio Tegamaro e del nume tutelare Marco PartoDoloroso*, i quali ci intrattengono con due temi freschi di giornata: i guai giudiziari del Caimano e l'inciucio**.
Caimano, inciucio. Parole portatrici di un senso distorto della realtà, ma funzionali a sorreggere l'immagine di un foglio che non si piega e non si spezza; che fa da baluardo a guardia della democrazia e del rispetto delle regole democratiche; e per il tramite di quest'immagine vende copie.

Caimano. Spersonalizzare l'avversario è un gioco fin troppo facile da porre in essere. Ma un bel gioco -lo sanno anche i bimbi- dura poco: il riso prima sfuma nell'indifferenza e poi nell'aperto fastidio.
Continuare a chiamare Silvio Berlusconi "Caimano" può servire solo a farne una sorta di Mefistofele, supremamente cattivo ma anche supremamente potente; e se un giorno vi sarà un'agiografia di Berlusconi, quest'aura di onnipotenza dell'inseguimento del Male occuperà il capitolo centrale.
Non è certo un problema dei il Direttore di un quotidiano che procede di forzatura in forzatura, senza il minimo senso della vergogna. Oltre alla smaccata bufala dell'ineleggibilità di Berlusconi (a supporto della quale, dal punto di vista giuridico, è stato trovato solo il parere di un presidente emerito della Corte Costituzionale, morto da 12 anni, viva la freschezza), il Direttore lascia trasparire, senza avere il fegato di affermarlo chiaramente, che lo status di senatore di Berlusconi impedisce la celebrazione*** dei processi per i quali rischia condanne (bufala) e che qualora non fosse parlamentare, verrebbe*** subito arrestato per l'affaire De Gregorio (bufala col fiocco, dato che i PM non hanno*** chiesto alcuna autorizzazione a misure nei suoi confronti). Tenerissima la sparata finale: cosa farà il Mostro di Cattiveria se non verrà accontentato nei suoi capricci? Imbraccerà il fucile? Creerà cellule di resistenza partigiana? No, signori: egli minaccia di mobilitare la piazza! Minaccia, cioé di fare la stessa cosa che minaccia di fare PFdA; ma quest'ultimo è buono perché la vuol mobilitare francescanamente mentre SB -è evidente- lo farà domenicanamente.

Inciucio. Enorme la messe di castronerie affastellate da Marco DilatazioneDellaCervice, e francamente il commentarle ci annoierebbe. Ma quella parola, che torna da anni, due parole di riscontro se le merita.
Perché è proprio dall'aver ribattezzato "inciucio" quello che un tempo si chiamava "compromesso", "accordo" o "transazione" che derivano molti mali della politica attuale.
L'inciucio è pessimo in sé, proprio come il Caimano è malvagio in sé; e quindi va evitato.
Ma la politica è fatta di compromessi, accordi, transazioni: alla ricerca di una maggioranza, il cui raggiungimento è il fulcro della democrazia.
Rifiutare l'accordo vuol dire teorizzare il raggiungimento del 100% come soglia per governare; vuol dire mandare a gestire il processo di formazione delle leggi (supremo momento dell'accordo tra interessi contrapposti) pattuglie di ragazzotti inesperti con un vincolo di mandato imperativo; vuol dire "o mi fate giocare centravanti o mi porto via il pallone".
Immaginate per un attimo di aver fatto un incidente stradale, e che il vostro liquidatore voglia darvi 1000 euri, mentre voi ne avete spesi 2000 per la riparazione. Vi sedete al suo tavolo, cominciate a parlare. Lui continua a dire 1000; voi continuate a dire 2000. Dopo cinque minuti (o cinque ore, o cinque anni) vi alzate con un nulla di fatto: voi non avrete i vostri soldi e lui non si sarà risparmiato una causa.
Che si fa nella realtà? ci si incontra, ci si parla, e alla fine capace che ve ne andiate via con 1700 euri: il liquidatore ha risparmiato una causa, e voi non siete riusciti a farvi pagare, visto che c'eravate, anche quel parafango che era un po' ammaccatello fin da prima. Avete fatto un inciucio? No: avete trovato un accordo, e siete contenti.
E se qualcuno vi dice che quell'accordo che avete raggiunto dovreste chiamarlo inciucio, lo mandate a cagare.



* il tenutario si scusa con i lettori abituali per essersi abbassato a scopiazzare i trucchetti retorici dei signori protagonisti del post.
** il tenutario si scusa con i lettori abituali per essersi abbassato a scopiazzare l'impostazione grafica degli articoli protagonisti del post.
 *** il tenutario si scusa con i lettori abituali per essersi  rotto i coglioni ed aver cominciato a grassettare situazionisticamente

martedì 19 marzo 2013

Rottamiamo il vecchiume politico!


Uno dei motivi per leggere il Fatto Quotidiano online è che ogni tanto compare la fotografia di Paolo Flores d'Arcais: un signore che, in ispregio del più elementare buon senso, non si perita di aver scelto una sua immagine nella quale sembra il sosia di Walter Veltroni.
Come tanti altri fini pensatori (i grillini fra tutti), questo dinosauro della sinistra che odia crede che i problemi dell'Italia siano nella persona di Silvio Berlusconi, e che farlo uscire dal Parlamento porterebbe alla compiuta realizzazione della Costituzione e a una nuova scintillante vita delle nostre istituzioni: il tutto senza riuscire a comprendere che il problema non sono le persone, bensì le idee che queste esprimono e diffondono.
Togliere Silvio Berlusconi dal novero dei senatori sarebbe ben poca cosa, dato che resterebbero, in quella stessa Camera, i berlusconiani, che ovviamente risponderebbero sempre agli ordini del Capo. Ma inveleniti; e con essi invelenito sarebbe quel quarto abbondante di italiani che -per motivi che francamente mi sfuggono, ma questo è un problema mio- in Berlusconi e nella sua ideologia continuano a credere.

Vogliamo arrivare ad una guerra civile (ideologica, non combattuta, ma pur sempre guerra) per il piacere di apporre una bandierina sulla mappa, in corrispondenza di un formicaio che resiste da quasi vent'anni? Liberi di farlo; ma sappiamo che a conquistare i formicai non è detto che ci si riesca; e anche quando ci si riesce, i morti spesso non valgono la candela. E il berlusconismo si scioglierà come neve al sole, sì: ma quando l'anagrafe chiamerà il suo fondatore a cambiare dimora per sempre, non certo finché il nostro e i suoi soldi continueranno a stare in via dell'Umiltà, e da lì impartire direttive a Montecitorio e Palazzo Madama.

Ma, al di là di ciò, c'è anche un punto che ormai è il caso di far fuori una volta per tutte. Il famoso D.P.R. 30 marzo 1957, n 361 dice all'art. 10:
"Non sono eleggibili inoltre: 1) coloro che in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l'obbligo di adempimenti specifici, l'osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o la autorizzazione è sottoposta."
E' abbastanza chiaro, no? Dice che per essere ineleggibile bisogna essere titolare di una concessione in proprio, o bisogna essere legali rappresentanti di una società che ha una concessione.
Silvio Berlusconi di concessioni a suo nome non ne ha. E le sue società hanno un legale rappresentante, il quale però non è lui.
Certo, si può discutere finché si vuole del fatto che Mediaset, Fininvest o chi diavolo sia il titolare della concessione siano società di o riconducibili a Silvio Berlusconi; ma la lettera della legge non dice "in qualità di rappresentanti legali o principali azionisti di società o di imprese private"; e trattandosi di una norma eccezionale (che deroga addirittura a un principio generale della Costituzione!), essa non è suscettibile di inerpretazione analogica o teleologica, bensì solo letterale (art. 14 prel).
La normativa in questione, insomma, "non si applica oltre i casi e i tempi in essa considerati"; e il caso del proprietario di una Società che ha una concessione, nel DPR che ci interessa, non è ricompreso, come ben vede chiunque voglia e sappia leggere il significato proprio delle parole secondo la connessione di esse.

Liberissimi, insomma, di ritenere che quella per l'ineleggibilità di Berlusconi sia una battaglia da vincere.  Solo che è una battaglia vecchia di vent'anni, e bolsa.  E non è che le battaglie per la conquista di un obiettivo bollito siano meno stupide se a portarle avanti sono i giovani grillini (PFdA probabilmente giovane non è mai stato).

sabato 16 marzo 2013

Chi di spada ferisce



Esquisse d'un tableau historique du niveau atteint dans la politique italianne par la merde, suivi d'un Fragment sur l'attitude de cette dernier à retourner directement sur le visage de ceux qui l'avaient naïvement tiré

giovedì 14 marzo 2013

Don't be stronzo

La chiusura di Google Reader dimostra che i motti delle aziende sono cogenti quanto le promesse elettorali dei partiti.

sabato 2 marzo 2013

iMulo

Il Gyovine Sofri è talmente innamorato delle Primarie da arrivare a sostenere che se -per assurdo- vi fosse la possibilià di costituire, rispettando il dettato costituzionale, un governo guidato da un leader del partito di maggioranza relativa, secondo lui quella soluzione non la si potrebbe percorrere perché quel possibile capo del governo ha perso le primarie.
Dunque, secondo il principale teorico italiano degli spaventapasseri, non solo le primarie sono una fonte di diritto superiore alla Costituzione, ma il parteciparvi dev'essere visto come una sorta di ordalia; e per fortuna che l'Evo di mezzo è passato, che ai bei tempi gli sconfitti perivano, mentre ora vanno solo incontro ad una lunga morte civile e politica.

giovedì 28 febbraio 2013

Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo

La passione del momento è quella di prevedere che fine farà questo disgraziato Paese, ora che il Parlamento è ostaggio di Grillo. Si leggono in giro una quantità di analisi fatte con tanto o poco buon senso, ma non sono riuscito a trovare nessuno che abbia seguito il mio percorso mentale. Pertanto, anche al fine di chiarirmi le idee (e superando la mia ormai naturale pigrizia), provo a scrivere come la vedo.
Il ragionamento non sarà lineare, del che peraltro non mi scuso (non mi pagano mica per scrivere queste fregnacce), ma invoco la pazienza di chi, per motivi che mi sfuggono, volesse seguirlo fino in fondo.

Credo anzitutto necessario sgombrare il campo da eventuali riconduzioni del sucesso di M5A a quello della Lega, vent'anni fa. Va affermato con decisione che i due soggetti sono profondamente diversi: la Lega era un fenomeno con una forte connotazione ideologica, per quanto di un'ideologia bislacca: elementi fondativi in tal senso ce ne erano molti: la secessione; la costruzione di una mitologia identitaria grazie al recupero di tradizioni vere (la solidarietà valligiana, il Carroccio, la laboriosità delle genti del Nord) o inventate di sana pianta (il Dio Po, i celtici...); il recupero dei localismi popolari fino allo sdoganamento delle loro manifestazioni più ridicole, come la festa del formai de mut o la Sagra della scoreggia. Certo, tale ideologia si esprimeva anche in una pars destruens (contro i terroni, contro i negri, contro gli immigrati che rubano il lavoro e violentano le donne; contro la globalizzazione, contro il centralismo...): ma erano dei contro derivanti dall'ideologia, non fondativi di essa.
All'opposto, M5S è del tutto privo di un'ideologia riconoscibile o, meglio, la sua ideologia è basata sulla lotta contro certi bersagli individuabili in alcune categorie variamente odiose alla genericità della popolazione (le banche, Equitalia, gli gnomi della finanza; gli speculatori; la casta).
Mentre l'ideologia leghista è riuscita a superare lo shock dell'esperienza di governo, convertendosi in parole d'ordine meno radicali e presentabili ad un pubblico più vasto (la secessione è divenuta il federalismo; la lotta ai negri è divenuta la rigida regolamentazione dei flussi migratori; la Sagra della scoreggia è divenuto il recupero delle tradizioni etniche a rischio di scomparsa), questo salto non è possibile a M5S, per il semplice motivo che manca un substrato ideologico sul quale costruire un insieme di iniziative coerenti.
E del resto il modo stesso in cui si è formato M5S non avrebbe mai potuto consentire la formazione di un set identitario condiviso: un carrozzone a bordo del quale poteva saltare chiunque, purché incensurato e disgustato del mondo moderno non può che contenere una congerie di anime, pur belle ma molto diverse tra loro e quindi impossibilitate a mettere a fattor comune le rispettive tendenze (il lettore può, volendolo, esercitarsi ad applicare questo concetto anche al PD).
Che le cose stiano così è dimostrato dallo stesso atteggiamento del capo e dei neodeputati, i quali ripetono come un mantra la formuletta mandata a memoria: «voteremo i singoli provvedimenti sui quali saremo d'accordo». Non si tratta di una provocazione, non si tratta di un bluff e non è necessariamente (e anzi io credo proprio non sia, come vedremo più avanti) una mossa strategica tesa a far costituire un governo d'unità nazionale PD-PDL: molto più banalmente, l'assenza di un'ideologia condivisa (che significa poi la presenza di tante ideologie personalistiche quanti sono gli aderenti al movimento) rende materialmente impossibile la stesura di un programma di durata, costringendo il movimento alla mera adesione o rifiuto delle proposte programmatiche altrui.

In questo quadro risulta come ovvio fondamentale la figura di Grillo (e Casaleggio; ma per amor di brevità citando Grillo indicheremo entrambi i personaggi, ove non diversamente indicato), le cui scelte organizzative sono state fin dall'inizio lucide ed efficaci. La Lega nasceva dapprima nei bar e nelle osterie, poi nei circoli e nelle piazze di paese, e quindi i suoi aderenti avevano un continuo e costante scambio tra loro, con gli altri circoli e con i vertici, per mezzo dei maggiorenti locali che erano sempre disponibili e rintracciabili dall'ultimo dei militanti (e se non siete d'accordo sul punto, si vede che non avete mai visto una valle bergamasca o bresciana); al contrario M5S sembra essere stato costruito con una rete diffusa di centri di aggregazione del tutto isolati l'uno dall'altro, sia dal punto di vista organizzativo che degli obiettivi proposti, rigidamente compartimentizzati alla dimensione puramente locale.
E' evidente come l'unico soggetto in grado di dettare una linea, in assenza di una classe dirigente in grado di coordinare le istanze della base, non potesse essere altro che Grillo, furbescamente qualificatosi come mero portavoce -e quindi senza alcun potere decisionale- ma di fatto l'unico in grado di indirizzare le istanze e gli umori degli aderenti.
Si è così creato un rapporto simbiotico tra Grillo e la sua base: gli uni sono persi senza una guida, un po' come sarebbe un'orchestra senza un direttore; ma anche Grillo non può portare le proprie istanze, che scendono dall'alto, senza far apparire come se in realtà salissero dal basso: a pena di perdere il ruolo di portavoce neutrale che gli garantisce l'assenza di opposizioni interne (come si fa ad opporsi a un portavoce che si limita a riportare, non potendo decidere nulla?) e, in ultima analisi, il proprio ruolo di controllore assoluto (sostanziale, non formale) del movimento.
Le cose, ahilui, sono destinate a cambiare presto, e proprio grazie al successo elettorale di M5S (successo che, ne sono convinto, è stato molto maggiore della soglia massima che Grillo si era riproposto). Grillo in Parlamento non è stato eletto, e -anche per motivi d'immagine- non può certo iniziare a frequentare quotidianamente le tribune del pubblico per vedere che succede. I suoi deputati e i suoi senatori invece sì: ci sono, e necessariamente inizieranno a parlare tra loro, a confrontarsi, a mettere a fattor comune le rispettive esperienze. Scopriranno così che il lavoro politico è molto più difficile e faticoso di quanto pensassero inizialmente; che per fare una legge non basta il buon senso ma ci vogliono capacità di mediazione tra mille interessi particolari, e che stare in Commissione è noiosissimo, ma è lì che si muovono davvero le cose. Scopriranno, per sintetizzare, che il semplice buon senso non basta.
Taluni -io tra questi- sono convinti che molti neoeletti, in quanto specchio del Paese, siano gente onesta solo perché non hanno ancora avuto occasione di rubacchiare, e che non appena messi di fronte al vaso della marmellata si serviranno avidamente da esso; ma se do per certo che ce ne saranno molti che ruberanno -facendosi beccare subito, ché anche per rubare ci vuole esperienza- do altrettanto per certo che la maggioranza di essi siano persone veramente oneste, che sentono l'importanza del loro compito e sono desiderose di migliorare la situazione del proprio Paese prima ancora che quella della propria famiglia.

Come accennavo sopra, alcuni commentatori ritengono che Grillo voglia spingere la leva dell'ingovernabilità per arrivare al governissimo PD-PDL, ribattezzato "governo dell'inciucio", e conquistare in capo a un anno la maggioranza delle due Camere. La cosa sarebbe astrattamente possibile, ma il piano per riuscire richiederebbe lo scatenarsi di una crisi di dimensioni tali da rendere una passeggiata di salute quella che stiamo vivendo oggi. Questo non preoccuperebbe certo Grillo, che ha mezzi sufficienti per campare a lungo di rendita, ma siamo certi che i parlamentari M5S sarebbero così cinici da voler affondare il Paese, e con esso le proprie famiglie, i propri amici, le comunità di riferimento, per inseguire un piano strategico sporco e inconfessabile?
Io credo proprio di no, e anzi immagino che il giorno in cui Grillo dovesse radunare i suoi esponendo questo protocollo di Sion, si troverebbe per la prima volta di fronte al rischio di un vero e proprio ammutinamento. Strategie così fini, e così ciniche, richiedono politici navigati, fini e cinici; e non lo si diventa in due settimane, specie se si è intimamente convinti di voler rendere un servizio al proprio Paese e alla propria comunità d'appartenenza.
Questo Grillo, che scemo non è, lo sa bene: e se oggi può permettersi proclami distruttivi, alla prima riunione sarà messo in croce dai suoi eletti, che vorranno sapere che fare e non si accontenteranno di parole vuote. Perfino Gasparri e Scilipoti hanno compreso che il Governo deve ottenere la fiducia: siamo così presuntuosi da credere veramente che in un paio di centinaia di persone attive a appassionate, non ce ne sia nessuna in grado di comprendere questa semplicissima verità?
No, il punto è che M5S sta traccheggiando, dando risposte lunari alle domande della Gruber, per un solo semplice motivo: non sanno cosa fare, non si aspettavano di essere determinanti. Ma non saper cosa fare oggi non vuol dire aver deciso di non far niente per i prossimi cinque anni: significa semplicemente che devono prima rifasarsi.
Del resto, Bersani non ha aspettato un giorno prima di andare a parlare in TV? E in quel giorno non è che sia stato a bere la birra al bar: ha lavorato intensamente per delineare una linea. Perché mai i grillini non dovrebbero essere disorientati? Certo, non vogliono farlo vedere, e quindi mandano sul palco le ballerine del can-can; ma nel frattempo stanno certo cercando di trovare una linea che possa mettere d'accordo gli obiettivi di Grillo e quelli dei grillini.

E se -per ipotesi- la sintesi delle rispettive aspettative non dovesse riuscire, chi vincerebbe? Secondo me, Grillo è molto meno forte dei suoi eletti. E' vero che ha il controllo totale del simbolo e della piattaforma organizzativa; ma nell'arco di una legislatura non sarebbe difficile mettere in piedi un movimento alternativo che passi dalla protesta alla costruzione; alle successive elezioni quindi si troverebbero contrapposti Grillo, che a quel punto raccoglierebbe solo il voto di protesta dura e pura (vogliamo dargli il 5%?) e gli ex grillini, che invece raccoglierebbero quel 20% di elettori che hanno votato Grillo per sfasciare non il Paese, ma solo la vecchia casta.
Secondo voi Grillo sarebbe disposto a rischiare? Non solo non lo credo proprio, ma anzi credo che questi scenari siano comunque fantasiosi e artefatti: l'obiettivo di Grillo non può essere lo sfascio, neppure con l'obiettivo della conquista del potere: ma per motivare tale affermazione dovremo passare a delineare un profilo psicologico del personaggio.
(segue)

mercoledì 13 febbraio 2013

Nomen Omen

Alcune perle dell'interessante articolo di Spinelli su Rep.

le rivoluzioni rovesciano ordini esistenti, politici o ecclesiastici, e neanche loro hanno la virtù della stabilità: sempre secernono controrivoluzioni, Termidori, perfino restaurazioni. Tuttavia hanno un'immediata vocazione a divenire l'anno-zero di una Storia in mutazione: nascono nuove istituzioni, nuovi sovrani, che della rivoluzione sono figli anche quando la disconoscono

Forse ciascuno di noi si dirà, come Montale negli Ossi di Seppia: ho visto anch'io, andando in un'aria di vetro, "compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco"

Oggi la forma è quella dei valori non negoziabili, o supremi. E delle leggi naturali, di cui la Chiesa si erige a custode: come se esistesse un quid che trasforma la legge - il nòmos sempre rinegoziato - in physis immodificabile dall'uomo

L'ammissione di estrema umanità, di fallibilità, è immersione-immedesimazione nella kènosis che svuota. Il sacro copre, non disvela. Protegge l'idolo, e le vaste cupole, e le così sfarzose, troppo imponenti mitre dei vescovi

mercoledì 9 gennaio 2013

Redditometro

Gran can can, tanto per cambiare, sul nuovo redditometro, che secondo alcuni quotidiani sarebbe uno strumento degno dell'Unione Sovietica staliniana.
In linea di principio non è del tutto sbagliato il principio che fa vedere con forte sospetto tutto ciò in cui lo Stato introduce un'inversione dell'onere della prova: dimostrare di NON aver fatto una certa cosa è assai più difficile che dimostrare di averla fatta; e se nei reati classici c'è sempre la possibilità di fornire un alibi (ma non è che uno possa andare tutte le sere al circolo del polo per poter in un futuro dimostrare di non aver ammazzato il proprio vicino di pianerottolo), ben diverso è il caso in cui si richiede al contribuenbte di dimostrare di NON aver speso 600 euri al mese per comperare pane e latte. A nulla servirebbe conservare tutti gli scontrini, pagare tutto con il bancomat, conservare il quotidiano anziché gettarlo nella differenziata: non potrai mai riuscire a dimostrare che NON hai comperato dei biscotti con una banconota da cinque euri; che NON sei andato a prendere l'aperitivo al bar e che NON hai fatto benzina al self-service.

Questo in linea di principio.
In pratica, però, le cose stanno un po' diversamente. Se io (che certo non guadagno molto ma rispetto alla media ho uno stipendio tutt'altro che disprezzabile) faccio fatica ad arrivare alla fine del mese, e guido una carretta così vecchia che mio figlio si vergogna di salirci sopra, come faranno allora tutti quelli che conducono macchinoni nuovi di trinca, vanno in vacanza nei villaggi turistici e godono di seconde case al mare e ai monti? Ci dev'essere qualcosa che non funziona: e il nuovo redditometro è uno strumento certo brutale, ma consono allo stato d'emergenza del nostro sistema fiscale. Del resto, non tutti sanno che Robespierre era ferocemente CONTRARIO alla pena di morte, salvo che quando essa fosse indispensabile per la salvezza dello Stato.

Ho quindi voluto provare a fare anche il il redditest, giusto per vedere quanto fossi "coerente".
Ne è risultato che io, che -mi ripeto qualora non si fosse capito bene- arrivo alla fine del mese stirato, resterei coerente anche qualora, oltre alle spese che già sostengo, mi permettessi di mantenere:
- una seconda casa da 1.200 euri/mese;
- un abbonamento alla pay-tv da 100 euri/mese;
- un cavallo;
- un abbonamento al circolo del tennis da 100 euri/mese.
Quando ho provato a mandare Nichita all'università (con una retta da 5.000 euri, mica scherzi), solo allora sono diventato non congruo.

L'esperimento dal punto di vista scientifico non sarà 'sto granché, ma direi proprio che non si tratti di uno strumento studiato per vessare il povero cittadino.

lunedì 17 dicembre 2012

Vous ne mangeriez pas ici des cédrats confits

Il post di qualche giorno fa ha suscitato una piccola serie di commenti tra qualche amico e conoscente della rete che si è preso la briga di leggerlo.
Io ho commentato molto di sfuggita, dato che le sensibilità personali sono, per l'appunto, personali, e che non mi sento ancora rivestito dello spirito del missionario né, tanto meno, del domenicano che cerca di far convertire l'eretico prima di abbruciarlo.

E' però forse opportuno spendere una parola per chiarire un piccolo equivoco nel quale, complice la mia esposizione non del tutto perspicua, sembra siano caduti alcuni lettori.
Taluno, infatti, ha ritenuto soprattutto l'ultima parte della mia esposizione; e così facendo si è convinto che la mia conversione (o presa di coscienza, o come la si voglia chiamare) sia stata dettata dal fatto che abbracciando (o comportandomi come se avessi abbracciato) un certo credo avrei avuto la possibilità di migliorare me stesso e il modo con cui mi relaziono al mondo. E costoro si chiedono, logicamente, perché mai io abbia dovuto cercare ristoro nei conforti di una religione e non abbia saputo trovare in me stesso la forza d'animo necessaria a migliorarmi o, in subordine, se non avrei potuto scegliere una qualsiasi delle altre religioni che circolano per il globo.
Ecco: si tratta di una visione sbagliata, frutto, come dicevo, anche della mia fatica nello scrivere quelle righe e nel dare contezza del mio percorso.

In realtà non è che io abbia sentito un richiamo etico e mi sia rivolto a una religione per rafforzare questo sentimento, quasi che il Paradiso fosse la lepre da far correre dinanzi alla mia morale: è proprio il contrario.
Io, a un certo punto della mia vita, ho deciso che non ero più soddisfatto dei libri che ti spiegano come e qualmente per fare un occhio bastino un po' di cellule e alcuni miliardi di mutazioni casuali; e ho avvertito pure che, quand'anche ciò fosse vero, non riuscivo più a sopportare di essere il frutto di quei miliardi di mutazioni casuali, dato che ciò avrebbe fatto della mia vita (perlomeno di quel che ormai ne resta) qualcosa di faticoso e opprimente.
Ho sentito che non volevo più vedere me stesso come un oggetto con un suo ciclo di vita, e ho pensato che cambiare un femore, ad esempio, sia qualcosa di diverso dal cambiare le pastiglie dei freni della Twingo: non solo qualitativamente bensì proprio sostanzialmente.
Ne è dipeso un mio avvicinamento al Cristianesimo: avvicinamento che immaginavo mi sarebbe costato caro; ma si trattava di un prezzo che volevo provare a pagare pur di smettere di sbirciarmi il contachilometri interiore.
Poi -non prima- ho scoperto che quell'avvicinamento non solo non mi è costato caro, ma ci ho anche guadagnato: per cui adesso mi sento meglio (che era lo scopo principale della conversione) e credo si essere migliore (il che non era lo scopo, ma è stata una gradita sorpresa).

giovedì 13 dicembre 2012

C'est la faute à Pascal

L'altro giorno, mentre il Paese Reale si struggeva sul tema il foglio di dimissioni dal pronto soccorso in arresto cardiaco è o non è giustificazione sufficiente per poter votare al secondo turno delle primarie?, il sottoscritto bel bello prendeva la bicicletta, se ne andava alla chiesa di via Caboto e, ivi giunto, si confessava, assisteva alla messa feriale e si comunicava.

La cosa è nota a pochi; e quei pochi sono solo taluni amici del socialino sul quale ho annunciato l'evento. Non l'ho ancora detto a nessun altro, e del resto temo che se ne informassi mia madre senza un'adeguata preparazione mi troverei ben presto in un pronto soccorso, con lei in arresto cardiaco; per cui mi faccio le ossa qui, sapendo che la massima reazione del lettore sarà un'alzata di sopracciglio.

Ma, anzitutto, perché raccontare di questo passo? Non certo per voglia di stupire o per peccato d'orgoglio: semplicemente perché scriverne è in un certo modo già rispondere alla prima supplica del Padre Nostro, quella che invocando la santificazione del nome di Dio impegna gli uomini a testimoniare le proprie inclinazioni e le proprie opere in tal senso. Se il racconto di ciò che ho passato potrà essere d'interesse e magari d'aiuto per coloro che si trovassero ad affrontare un percorso simile a quello che ho passato io, allora il tempo speso per scrivere queste righe sarà servito a qualcosa.
aggiornamento in corso d'opera questo post non è stato scritto tutto in una volta. Nel frattempo c'è anche stata la sciocca polemica sulla comunione di Ilona Staller; magari il post potrebbe essere utile anche a chi si è scandalizzato di ciò.

E allora raccontiamoci: e iniziamo da un annetto fa, quando eravamo in quella stessa chiesa io e un po' di coloro che leggeranno questo post, davanti a una cassa di legno.
Proprio pochi minuti prima avevo decliato al parroco la mia più totale agnosticità ed egli, sornione (o sarcastico?!?) aveva risposto «se voi non credete va bene: vorrà dire che saremo noi che crediamo a pregare per lei».

Poi, mentre ero lì sull'ambone a leggere quegli appunti che mi ero preparato, effettivamente ho sentito qualcosa: ho avvertito, in qualche modo, che non tutto poteva finire lì, o quantomeno che se tutto fosse finito lì, allora quel tutto non avrebbe avuto molto senso.
Sono cose che si provano, quando si viene colpiti da un lutto, una malattia o qualcosa di grave: ci si rivolge a Dio, anche se non si crede; e scommetto che perfino il buon Odifreddi, se dovesse trovarsi a 3000 metri d'altezza, fuor d'aereoplano e senza paracadute, forse forse un pensiero in tal senso lo formulerebbe. Ma sono cose che passano: i lutti si elaborano, i matematici si sfracellano al suolo, e tutto ritorna pian piano come prima.
Per me invece non era tornato tutto come prima. Mi ripeto: io sono sempre stato agnostico, mai ateo, e quindi il dubbio in fondo in fondo me lo ponevo, ma più come problema di indecidibilità, non di effettiva realtà di un Dio: esistenza suffragata al più da pochi frammenti di libri vecchi di secoli, e da una serie di pratiche superstiziose. Da quel giorno, invece, ho cominciato a pormelo più seriamente, il problema, e soprattutto ho iniziato a considerare quanto orgoglio ci fosse nel pretendere di aver ragione, nel non credere, considerato che la stragrande maggioranza dell'umanità in qualche essere supremo ci crede, a prescindere dal nome che gli attribuisce.

Il fatto vero è che quando uno arriva alla mia età, comincia a convincersi che -pur se non sempre- spesso se uno solo dice verde e cento altri dicono rosso, il problema non è che i cento sono cretini, bensì che l'uno è daltonico.
E' davvero possibile, mi chiedevo, che l'intero mondo vada a inseguire idoli frutto della fantasia e dell'oppio dei popoli, e che solo uno sparuto gruppo di Illuminati conosca la verità rivelata, vale a dire che non c'è nessuna Rivelazione?

La cosa avrebbe potuto andare avanti per un po' e morire lì, senonché una sera sono andato a bussare a casa di quel prete, gli ho parlato dei miei dubbi, sperando che lui mi tirasse fuori un picciol discorso all'esito del quale avrei potuto avere una risposta chiara e definitiva.
Il drudo invece si limitò ad ascoltarmi, assentire, scambiare due chiacchiere e suggerirmi di leggere il Vangelo di Marco («è piccolino, può bastare anche una mezza giornata...») invitandomi a tornare quando l'avessi fatto.
Mi sono letto quello di Marco, e anche gli altri tre; poi gli Atti, poi un po' di roba sparpagliata.

Nel frattempo mi era successa un'altra cosa poco gradevole: una di quelle che può cambiarti la vita. Sapevo che per uscirne con le ossa intere avrei potuto contare solo su me stesso, e ho fatto tutto ciò che potevo; nel frattempo -non foss'altro per non lasciar nulla d'intentato, e dato che oramai ero già nella giusta disposizione d'animo- me ne sono anche andato a Messa.
Vi risparmio le varie fasi della presa di coscienza; sta di fatto che a un certo punto, a pericolo forse non definitivamente scampato ma certo reso più distante, mi sono reso conto che in effetti il Dio cristiano non è una slot machine alla quale chiedere miracoli o grazie: Cristo parla della vita eterna e del Regno dei Cieli, e di questo mondo si occupa solo per spiegare come arrivare a quell'altro.

Ma, contemporaneamente a questa presa di coscienza (coscienza, mi ripeto, della perfetta inutilità dell'andare in Chiesa a pregare per scampare da un pericolo terreno incombente), cominciava a macerare dentro un po' di quel messaggio cristiano che non parla solo del divieto di andare a letto con chi ci pare, ma di tante altre cose ben più incisive nella vita di una persona.
Dà un futuro, o perlomeno la speranza di un futuro, e con esso un senso a ciò che facciamo nel presente. E impone una serie di regole che, se lette con attenzione, magari provando a lasciare per un attimo da parte il sesto comandamento, non sono altro che manifestazioni di buon senso.
Non uccidere, non rubare, non mentire: sono precetti universali; e lo sono anche quando si riferiscono ad argomenti controversi come l'aborto, che per quanto permesso dalla legge civile (e io credo fermamente che debba rimanere permesso dalla legge civile), resta pur sempre un atto che drammatico anzitutto per la donna che lo subisce.
E così anche per comandamenti meno chiaramente logici: santificare le feste non vuol dire andare passivamente alla Messa, bensì trovare il tempo per ricrearsi dalle fatiche quotidiane e per pensare a qualcosa di più elevato rispetto alla quotidianità che ci assilla; rispettare i genitori nella nostra società odierna dovrebbe essere posto quale primo articolo del Codice civile, non foss'altro per ricambiare tutto ciò che ci ha fatti quelli che siamo da adulti.
Ma, soprattutto, quei comandamenti sono fatti per fare stare meglio chi li segue, indipendentemente dal fatto che si creda o meno in un premio finale.

Nella mia vita sono sempre stato un po' leggero. In un recente periodo vivevo con una ex-moglie, avevo una fidanzata, coltivavo un'amante e non mi facevo mancare qualche occasionale scappatella. Ciò era fonte di un certo stress, come potrete bene immaginare: e non solo fisico, ma soprattutto dal lato del senso di colpa che provavo verso le persone che mi volevano bene e del cui amore mi sentivo indegno.
Poi un giorno, mentre continuavo ad arrovellarmi, a casa di quella famosa amante (che nel frattempo ha disdetto l'abbonamento a Sky, e quindi niente più Megastrutture), mi capita in mano Pascal.

Tutti conoscono la scommessa di Pascal come precorritrice della teoria dei giochi: tanto infinito è il premio finale, che qualunque cosa si debba mettere come posta, ne vale la pena anche se le probabilità di vittoria fossero minime. Un ragionamento che, in fede mia, non credo abbia mai convinto nessuno.
Ma non basta la lettura à la Odifreddi, per comprendere Pascal. Perché dopo il brano famoso, quello che recita
«Vous avez deux choses à perdre : le vrai et le bien, et deux choses à engager : votre raison et votre volonté, votre connaissance et votre béatitude ; et votre nature a deux choses à fuir : l'erreur et la misère. Votre raison n'est pas plus blessée, en choisissant l'un que l'autre, puisqu'il faut nécessairement choisir. Voilà un point vidé. Mais votre béatitude ? Pesons le gain et la perte, en prenant croix que Dieu est. Estimons ces deux cas : si vous gagnez, vous gagnez tout ; si vous perdez, vous ne perdez rien. Gagez donc qu'il est, sans hésiter. »(1)
, Pascal aggiunge qualcosa.

Anzitutto, che non siamo nella situazione di un giocatore di sala corse: noi non possiamo decidere di non scommettere: per il fatto stesso di essere vivi, e quindi destinati a morire, una scelta la dobbiamo fare su come affrontare questa certezza. Possiamo scegliere di credere in un futuro, o che tutto finisca lì; ma non possiamo permetterci di passare la mano: la fiche o sul nero o sul rosso dobbiamo comunque puntarla.
Ma, ed è il punto qualificante, Pascal aggiunge (umilmente, quasi un post scriptum) in coda al frammento della scommessa:
«Or quel mal vous arrivera‑t‑il en prenant ce parti ? Vous serez fidèle, honnête, humble, reconnaissant, bienfaisant, ami sincère, veritable... A la vérité vous ne serez point dans les plaisirs empestés, dans la gloire, dans les délices, mais n’en aurez‑vous point d’autres ?
Je vous dis que vous y gagnerez en cette vie, et qu’à chaque pas que vous ferez dans ce chemin, vous verrez, tant de certitude de gain, et tant de néant de ce que vous hasardez, que vous connaîtrez à la fin que vous avez parié pour une chose certaine, infinie, pour laquelle vous n’avez rien donné.»(2)

Ed è proprio questo il punto. Chi crede (o chi, non riuscendo a credere veramente, perlomeno si comporta come se credesse), vive meglio questa vita.
In questo anno, tentando di seguire i precetti dettati dall'oppio dei popoli, sono stato più attento a mio figlio; sono stato più impegnato sul lavoro; ho evitato di infilarmi nell'ennesimo triangolo o pentagono che avrebbe fatto soffrire un paio di brave ragazze che avevano avuto già modo di soffrire abbastanza in passato, e che non avevano certo bisogno di incontrare l'ennesimo prenditore in giro.
La sera vado a letto e mi sento meglio dopo aver detto le mie preghierine: non tanto per il fatto di averle dette, ma perché so che quell'atto è la conclusione di un giorno in cui sono stato migliore di quanto sarei stato un paio d'anni fa. E al contempo mi cruccio di non fare abbastanza di quello che potrei: dovrei impegnarmi ancora di più per Nichita; dovrei fare quella telefonata ad A., per sapere se quella certa cosa sta andando verso il bene; ma non ho coraggio di farlo temendo che la risposta possa essere il contrario; dovrei preoccuparmi di più della salute di mia madre, che rischia di diventare cieca, ma non riesco ancora a dimostrarle quanto la cosa mi tocchi. Ma mentre prima non mi ponevo il problema, né verso Nichita né verso A. né verso mia madre, oggi ogni giorno cerco di fare un passettino in più per migliorarmi.
Insomma: la scommessa in un certo modo l'ho già vinta, e ancora l'estrazione non c'è stata.

(1) Avete due cose da perdere: la verità e il bene, e due cose da mettere in gioco: la vostra ragione e la vostra volontà [cioè] la vosttra conoscenza e la vostra felicità; e la vostra natura ha due cose da fuggire: l'errore e la miseria. La vostra ragione non è toccata scegliendo l'una o l'altra possibilità, perché bisogna necessariamente operare una scelta. E questo punto è risolto. Ma la vostra felicità? Pesiamo il guadagno da una parte e dall'altra, e scommettiamo che Dio sia: se vincete, vincete tutto; se perdete, non perdete niente. Scommettete dunque che sia, senza esitazione.

(2) Orbene, che male può venirvi prendendo questo partito? Sarete fedele, onesto, umile, riconoscente, benefacente, amico sincero e vero... In verità non sarete in mezzo ai piaceri tribolati, alla gloria e alle delizie mondane, ma non avrete forse altri piaceri?
Vi dico che ci guadagnerete, in questa vita, e che a ogni passo che farete in questo cammino vedrete tanta certezza di guadagno e tanta nullità in ciò che mettete in gioco, che alla fine capirete di aver scommesso per una vittoria certa e infinita senza mettere in gioco nulla.

Nessuno è più modesto di me

Vedo con dispiacere che c'è tanta gente che disquisisce sulla frase con cui il noto comico genovese ha rotto i ponti con alcuni suoi seguaci, e che si compiace per la clamorosa caduta di stile con la quale il reuccio ((tm), anche se altrui) è divenuto improvvisamente nudo.
Con dispiacere, dicevo, perché la mia già scarsa fiducia nella sinderesi media dei miei concittadini subisce di giorno in giorno sempre maggiori erosioni, tanto che medito di divenire ben presto stilita (del resto mi sono già convertito, quindi il più è fatto)

Orbene: una frase come "chi pensa che non sono democratico se ne va fuori dalle palle" è, evidentemente, una frase costruita a tavolino, esattamente come quella che dà il titolo a questo post.
Non sono cose che escano dalla bocca per errore. Non uscirebbe neppure a uno studentello di seconda liceo che parli per la prima volta davanti a un'assemblea d'istituto; figuriamoci se può scappare a un tipo con quarant'anni di esperienza su palchi e palcoscenici, e che si è legato a doppio filo a un copywriter di esperienza altrettanto quarantennale.

Chi gode di questa cosiddetta gaffe, chi pensa che sia la prima di una serie di cazzate che ridurranno il movimento dei pirla a percentuali da prefisso telefonico, dovrebbe invece interrogarsi su come stiano veramente le cose.
Per una (rara) volta non sono d'accordo con Uriel: anche se condivido le linee di fondo della sua analisi sulla base grillina, credo che il comportamento del capobastone non sia il tentativo di ricompattare una truppa di fedelissimi per garantire la purezza ideologica del branco, bensì qualcosa di un po' più furbo.

Grillo e Casaleggio non sono dei coglioni: son gente scafata che ha costruito del nulla un mezzo impero mediatico e comunicativo; i loro comportamenti devono quindi essere razionali.

Ora, immaginate di essere quei due che si trovano per una riunione di lavoro con la mazzetta dei giornali e si accorgono che con tutto il casino che hanno fatto stanno guadagnando una marea di consensi.
- Ma ti rendi conto? siamo al 20%
- Eh, che ti avevo detto?
- Sì, ma non potevo credere che ce ne fossero davvero così tanti!
- Di cretini? in Italia?!? Svegliaaaaa!!!
- Belin, e adesso che facciamo?
- Certo non possiamo pensare di esercitare il potere con un branco di ritardati mentali da manuale psichiatrico...
- Eh!
- Oltretutto questi sono talmente rappresentativi della società italiana che come arrivano a toccare una poltrona si arraffano subito qualcosa...
- Belin!
- Tempo un anno e finiscono tutti in galera, e noi due pure, se non linciati.
- Appunto.
- Senza contare il lato economico...
- ?
- Finché stiamo a urlare dal blog riusciamo a vendere cazzate, organizzare spettacoli, muovere cose e diventare ancor più ricchi di quanto già non siamo. Nel momento in cui dovessimo arrivare al potere... non son più i tempi di una volta. Non solo il peculato è più difficile, ma soprattutto bisogna farlo con attenzione. Con il branco di dementi che ci troviamo, per il 90% rubano loro direttamente, e a noi non viene in tasca niente; il restante 10% sono troppo scemi o troppo onesti per farlo, e a noi non arriva niente lo stesso.
- E allora che minchia facciamo?
- Devi fare il pirla.
- Più di così?!?
- Sì, devi fare una grande cazzata, che ci faccia perdere un bel po' di consenso. Ricompattiamo i coglioni puri e allontaniamo quelli arrivati solo perché sentono odore di grana; allo stesso tempo possiamo continuare tranquilli a fare l'opposizione urlante e vendere il merchandising, senza alcuna altra responsablità che verificare i conti in banca.
- Eh, ma con tutte le cazzate che ho già sparato... e aumentano sempre. Che cosa possiamo inventarci stavolta?
- Pensiamoci un attimo... ci servirebbe qualcosa cha appaia idiota anche a un bambino di terza elementare... aspetta... forse ho una mezza idea...



sabato 27 ottobre 2012

Pi = 3

In questi giorni ho letto molti interventi che mettevano in ridicolo la sentenza che ha condannato i componenti della Commissione Grandi Rischi: interventi scritti da persone di scienza, in senso stretto o lato, i quali discettavano su un tema squisitamente giuridico.
Spesso, quando si vuole mettere in ridicolo il mondo delle scienze umane, si cita l'esempio di quello Stato unito (non ricordo quale), il cui Parlamento decretò per legge essere il Pi greco uguale a tre: una evidente sciocchezza di fronte alla quale lo scienziato si sente pervaso da sdegno verso coloro che considera appartenere a una razza e a una cultura inferiori.
Questo sdegno, questa superbia, sono le medesime che spingono gli uomini di scienza ad addentrarsi in campi che non sono loro propri, credendo che i loro modelli di interpretazione della realtà valgano universalmente.
E il bello è che la logica dello scienziato è esattamente la stessa logica del giurista, solo che lo scienziato non lo sa perché diversi sono gli argomenti ai quali gli operatori logici si applicano: e questo alla scienziato sfugge.
E valga il vero: la prima regola, quando si studia un fenomeno, è che bisogna poterlo misurare; e per poterlo misurare bisogna che il fenomeno si sia già manifestato.
Commentare un fenomeno che ancora non esiste (e tale è una sentenza non ancora scritta) è una sciocchezza. Certo, abbiamo già il dispositivo, ma questo è solo una manifestazione anticipata di un fenomeno (la motivazione), non il fenomeno stesso. E' un po' come se un fisico del suono volesse di studiare lo spettro armonico di un tuono, ma per far prima pretendesse di utilizzare solo i dati ricavati dallo spettro elettromagnetico del lampo: in effetti dal lampo sappiamo che di lì a poco arriverà il rombo del tuono, ma finché il suono non avrà compiuto il suo viaggio, non avremo nulla da misurare.
Sfugge alla logica dello scienziato che debba necessariamente esistere un lasso di tempo tra il momento della decisione del giudice (il dispositivo della sentenza) e la stesura per iscritto del ragionamento logico che lo ha sotteso (la motivazione): e ciò perché nell'ambito scientifico prima si scrive (o si dovrebbe scrivere) il ragionamento logico, e poi si danno gli annunci; ma questo metodo, in un procedimento penale, sarebbe inumano, perché lascerebbe tutte le parti processuali in un'incertezza che sconfinerebbe con la tortura. Rammentate quegli ultimi due-tre giorni di scuola, quando gli scrutini erano già stati fatti ma i quadri ancora non erano usciti? Ecco, immaginate un imputato che dovesse passare un paio di mesi ad attendere di conoscere il suo destino già deciso, e capirete cosa intendo.

Se questo discorso è valido per qualunque sentenza, lo è ancor di più nel caso specifico, dato il tipo di reato contestato.
Commentare il dispositivo di una sentenza che ha condannato la Franzoni (per riprendere il caso di cui si parla nel colonnino lì a destra) è relativamente facile: la condanna vuol dire che il giudice ha ritenuto che lei avesse ammazzato il figlio, punto. Poi servono le motivazioni per capire perché le prove a discarico siano state ritenute inconcludenti; ma una qualche certezza ce l'abbiamo.
Ma l'omicidio è un reato commissivo e doloso: si tratta cioè di una fattispecie in cui qualcuno ha fatto volutamente qualcosa.

La Commissione grandi rischi è stata imputata di un reato omissivo e colposo, vale a dire di non aver fatto qualcosa che era suo dovere fare, e di non averlo fatto non volutamente, bensì per negligenza, imprudenza o imperizia.
Per la Franzoni, era chiaro che qualcuno aveva volontariamente spaccato la testa del piccolo: si trattava solo di decidere se fosse stata la madre o qualcun altro.
Per la CGR, si trattava di capire:
- cosa avrebbe dovuto fare;
- cosa avrebbe potuto fare;
- cosa in effetti abbia fatto e che avrebbe dovuto evitare di fare;
- cosa in effetti non abbia fatto, e che avrebbe potuto fare;
- se avrebbe dovuto fare ciò che non aveva fatto pur avendolo potuto;
- se tutto ciò, dipenda da un errore scusabile, o se invece sia da ricondurre a imprudenza, negligenza o imperizia (sciatteria, sbadataggine, menefreghismo);
- se l'omissione (il non aver fatto ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare) abbia o meno una relazione di causa-effetto con l'evento (la morte di una o più persone).

Vedete bene che le cose si sono complicate, e molto. E la memoria del PM (grazie a .mau. per il link) queste cose le affronta, con ragionamenti che seguiono una logica formale precisa e puntuale, tanto che potrebbe essere riscritta in simboli. Ma la memoria del PM, ancora, non è la sentenza.

giovedì 13 settembre 2012

Già l'altra volta ci eravamo stracciate le vesti



Certezze che affondano

Uno pensa di avere quella minima infarinatura per scrivere una-frase-una in inglese, usando il pronome personale adeguato, e poi scopre che le navi sono di genere femminile.

 

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