Non potrei essere più d'accordo con questo post di Luca Sofri:
Alle molte cose dette nella discussione sulla vita e la morte di
Eluana Englaro ne aggiungerei due. Una è che il fronte dei contrari a
interrompere le cure ha al suo interno una separazione concettuale notevole:
molte persone si lasciano comprensibilmente convincere dall’ipotesi che una
persona in coma possa riprendersi, e quindi il loro argomento – “e se poi…” - è
che si possa “tornare alla vita” da questo stato di morte di fatto. Mentre le
alte cariche ecclesiastiche e il direttore del Foglio sostengono che a dover
essere tutelata è qualsiasi forma di vita, e quindi è per loro irrilevante –
rispetto alla sua sopravvivenza - la possibilità che la persona possa tornare a
stare meglio. La divisione è notevole: perché se sull’eutanasia in genere il
fronte dei contrari è cospicuo, su quello della difesa della “vita” qualsiasi
essa sia mi pare che sia più rumoroso e altolocato che numeroso.
L’altra cosa che mi pare molto sgradevole da parte degli oppositori alla scelta
del signor Englaro è la pretesa di difendere la ragazza da suo padre, con lei
impossibilitata a intervenire. Questo sì che è un sopruso che si approfitta di
lei, e compiuto da estranei. Io penso che se fossi in coma e anche ne uscissi,
se allora sapessi che qualcuno si è permesso di dire a mio padre (o mia madre, o
mia moglie, o i miei figli) cosa dovevano fare con me e di interpretare la mia
volontà al posto loro, mi incazzerei parecchio.
good start
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