Ti iscrivi su Facebook (l'ennesimo servizio che promette meraviglie e che poi non userai mai se non vuoi che ti caccino a pedate dal posto di lavoro).
Ti chiede se vuoi che lui trovi amici per te (una bella evoluzione: quando ero piccolo, mia madre offriva le caramelle ai bambini, perché diventassero miei amici).
Ti chiede la tua password di gmail (da ex-sysadmin paranoico, cambi la password, inserisci la nuova, lo fai collegare, ricambi la password. E poi ripeti tutto due-tre volte finché non funziona).
Ti trova gli amici. Clicchi una volta di troppo.
E così, spedisci una raffica di "vuoi diventare mio amico?": a persone che hai conosciuto in un passato remotissimo; a persone che non hai mai conosciuto e chissà perché gmail invece le conosce per te; a persone che sai chi sono perché hai scritto loro una volta nella tua vita, magari per insultarle.
A persone che ti avevano dimenticato; che speravano di averti dimenticato; che speravi ti avessero dimenticato.
Rivoglio il mio fogliettino con i numeri stampati fitti fitti, nel portafoglio.
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