mercoledì 22 ottobre 2008

Ricordo di Giovanni Palladino /2


Qualche tempo fa Augusto Bianchi chiese ad alcuni amici di parlare della propria azione migliore e della peggiore. Ecco le risposte di Giovanni (via Il sito del Giovedì).


L'anno scorso avevo chiesto a Giovanni di mettere per iscritto la sua azione "migliore" e la sua azione "peggiore": ecco la sua straordinaria risposta, che tende - come sempre - al pianto e al riso.
Augusto


Palladino Giovanni, attore, cabarettista, pittore, 57, Monza

Orgoglio

Era il 15 dicembre del 1969. Ero in classe, in quinta geometra, quando fui convocato dal preside in persona, il quale serio mi disse: "tu e Limonta (un allievo di ragioneria) siete stati scelti per portare una corona di alloro con il nome del nostro istituto al funerale delle vittime delle bombe di piazza Fontana in Duomo. Mi raccomando comportatevi bene nel nome della scuola". Mi ritrovai in piazza del Duomo con Limonta. Seguendo le indicazioni dei vigili urbani, deponemmo la corona con una certa emozione nel luogo indicato. Era una mattina grigia e fredda. Limonta chiese di entrare in un bar a riscaldarsi un po', ma io fui preso da non so cosa, volli restare in piazza e attendere l'uscita dei defunti. E fu così che assistetti al passaggio di sedici bare nella piazza gremita di gente in un silenzio straziante, sconcertante, agghiacciante. E quel grande silenzio di diecimila persone o forse più mi colpì tantissimo. Provai una grande profonda sensazione di tristezza, di angoscia, di solidarietà. Mi sentii vicino a quelle bare di defunti che non conoscevo, come fossero i miei cari. In quel momento decisi che la storia della strage di piazza Fontana avrei dovuta seguirla fino in fondo. E così feci. Da quel giorno lessi tutto quello che riguardava la storia di quella strage e i suoi incredibili sviluppi giudiziari. In più mi ritrovai 35 anni dopo a mettere in scena a teatro la commedia di Dario Fo che parlava proprio di quel maledetto fatto. Ma il silenzio di quella mattina non l'ho mai dimenticato, quel giorno la mia coscienza sociale e politica prese forma.

Vergogna

Alla fine degli anni cinquanta ci fu l'avvento della televisione. Avere un televisore era un extra lusso. Noi in famiglia non l'avevamo, ma i signori Montesi, i vicini di casa, sì ! Ci invitavano volentieri tutti i sabati per il " Musichiere " e tutti i giovedì per " Lascia o raddoppia?" Un lunedì la signora Montesi contravvenendo alla regola ci invitò. Il lunedì c'era un film poliziesco o un giallo. Io mi godetti quella proiezione seduto su uno sgabello dietro ai divani. Un mese dopo, un lunedi', lessi sul giornale che ci sarebbe stato un film giallo di un certo Hitchcock, il giornale ne parlava un gran bene ed io sperai in cuor mio che la signora Montesi ci invitasse. Amavo i film ma ahimé alle quattro del pomeriggio di lunedì nessun invito era arrivato. Decisi di andare a fare la spesa come ogni giorno; quando tornai dissi alla mamma che avevo incontrato la signora Montesi e che ci aveva invitato a vedere il film giallo. Poi rapidamente andai in salotto sottraendomi a eventuali domande. Sì avevo detto una bugia pur di vedere quel film. Alle venti e trenta in punto suonammo il campanello dei Montesi. Mio padre, mia madre, io e le mie due sorelle. La signora Montesi vedendoci rimase sorpresa e disse che non aveva invitato nessuno, né tantomeno lo aveva detto a me. Ma prontamente invitò tutti ad entrare con gentilezza. Mia madre disse qualcosa nell' orecchio a mio padre poi entrò dai Montesi con le sorelle. Mio padre mi prese per mano e rientrammo in casa. Papà mi sdraiò sul letto e mi riempì di sberle e schiaffi sulle gambe, sulle braccia, sul viso. Mi disse che avevo coinvolto la famiglia in una menzogna e per questo dovevo pagare. Poi si lavò le mani ed uscì. Rimasi solo e piangente in un lago di vergogna e un pizzico di beffa. Solo io non avrei visto il film. Il giorno dopo fu difficile guardare negli occhi i genitori.

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