martedì 18 novembre 2008

Dolo eventuale

Il dolo eventuale è una bestia che fino a poco tempo fa era conosciuta solo dagli avvocati penalisti e dagli studenti freschi di laurea di giurisprudenza.
Si tratta di quel particolare tipo di volontà in relazione alla quale l'agente che tiene una certa condotta non ha di mira la realizzazione di un certo fatto (come ad esempio la morte per chi spara a qualcuno per ucciderlo), né se la rappresenta come sicuramente connessa alla realizzazione del proprio obiettivo (è il caso di chi spari a un poliziotto per sfuggire alla cattura), bensì se la rappresenta come possibile risultato della propria condotta.
Secondo la Cassazione penale (prendo un paio a caso delle tante sentenze in materia)
Nel nostro sistema penale, la linea di demarcazione che separa il dolo (eventuale o alternativo) dalla colpa con previsione va ricercata nell'accettazione del rischio; per cui risponderà a titolo di dolo l'agente che, pur non volendo l'evento, accetta il rischio che esso si verifichi come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di determinarlo; risponderà, invece, a titolo di colpa aggravata l'agente che, pur rappresentandosi l'evento come possibile risultato della sua condotta, agisce nella ragionevole speranza che esso non si verifichi.
La disciplina del dolo eventuale non si sottrae a quella del dolo dettata dall'art. 43 cod. pen., per cui se ne può affermare la sussistenza solo quando l'evento sia stato non solo previsto ma voluto, cioè quando lo stesso sia stato rappresentato dal soggetto, come una conseguenza probabile o, solo possibile, in modo apprezzabile, della sua azione, purché egli non abbia agito nel ragionevole convincimento, o almeno, nella speranza di una sua mancata realizzazione.

Le dispute scolastiche sul sesso degli angeli giungevano a conclusioni molto più chiare e universalmente condivisibili: è chiaro che con queste formulazioni si può affermare tutto e il contrario di tutto.
Neppure il concetto di accettazione del rischio è unanime, dato che la dottrina preferisce il concetto di accettazione dell'evento: si ha cioè dolo se l'agente accetta non solo il rischio connesso alla sua condotta, ma anche l'evento dannoso o, in altre parole, viene riconosciuto il dolo se l'evento è previsto come "concretamente possibile" e la colpa se "la verificabilità dell'evento rimane un'ipotesi astratta".

Chiaro, no? Bene.
Il dolo eventuale è venuto in grande auge nei mesi passati, quando si è affermato, da parte di ambienti governativi e con grande battage di stampa, che chi si mette alla guida avendo bevuto va incriminato per omicidio volontario perché accetta l'ipotesi di poter ammazzare qualcuno. Cosa che a ben vedere vale anche per chi si mette alla guida senza aver bevuto, dato che è fatto di comune esperienza che gli incidenti stradali mortali esistano; ma è la stampa, bellezza, e certe sottigliezze non vanno troppo approfondite, ché ai lettori viene il mal di testa.

Ieri il GUP di Torino ha rinviato a giudizio l'AD di Tyssen per omicidio volontario, adducendo il fatto che egli avesse accettato consapevolmente il rischio di un incidente mortale. Io non voglio qui esprimere il mio accordo o disaccordo con tale decisione: ognuno può ragionare e trarre le proprie personali conclusioni, salvo che sarà poi la Corte d'Assise a giudicare: credo però che dal punto di vista dell'elemento psicologico, la situazione dell'AD di Tyssen sia più grave di quella dell'ubriaco: questo non toglie che potrei essere d'accordo a riconoscere il dolo per entrambi o per nessuno, ma mi sembrerebbe molto sbagliato riconoscerlo per l'ubriaco e non per l'AD.

Il Corriere della Sera, già pronto a cavalcare la tigre della tolleranza zero contro i pirati della strada, sembra invece rinfoderare gli artigli quando si tratta di manager: e difatti oggi sul suo sito, accanto al lancio della notizia, ci sono ben due commenti che lasciano intendere che i giudici hanno esagerato e che poi le cose si metteranno a posto come è giusto che sia.
Due pesi e due misure si chiamano, a casa mia.

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