lunedì 27 aprile 2009

50.000 dollari (giocare con i numeri /4)

Punto Informatico oggi riporta un rapporto del Ponemon Institute secondo cui la perdita di un laptop aziendale ha un costo valutabile in 50.000 dollari.
Punto informatico in realtà linka un articolo di Ars Technica il quale dimostra che tali cifre sono una puttanata, dato che su una marea di casi il costo subito è quello dell'hardware (e spesso neanche quello, dato che spesso le macchine sono assicurate). mentre in alcuni rari casi sono stati subiti effettivamente gravi danni per la compromissione delle informazioni contenute nelle macchine smarrite.
Leggendo il rapporto, redatto secondo la nota metodologia "medione del pollo", i 50.000 dollari di costo sono perlopiù riconducibili proprio alla compromissione di dati (ben 40.000 dollari circa); e la crittografia dei dati consentirebbe di risparmiare ben 20.000 dollari.
La chicca più bella è che il costo per lo smarrimento di un laptop backuppato è quasi il doppio rispetto a quello di un laptop non backuppato: e qui il rapporto si arrampica su vetri insaponati cercando di spiegare questa cazzata questo dato controintuitivo argomentando che l'esistenza di un backup consente di rilevare costi che altrimenti non sarebbero stati rilevati; e credetemi se vi dico che perfino io, che sono abituato a vedere i dati "controintuitivi" che escono fuori dai principi contabili internazionali, fatico non poco ad accettare l'ipotesi che perdere l'unica copia dei dati sia più conveniente rispetto a perdere una delle copie degli stessi.

Come vedete dal titolo, questa è la quarta puntata di Giocare con i numeri: una serie che ha avuto un discreto successo in passato, e che è ora di nobilitare con una dichiarazione di metodo.
I numeri non sono molto diversi dalla televisione: se sentite il vostro apparecchio di radiodiffusione dire che a Londra sono atterrati i marziani, non dovete crederci solo perché "l'ha detto la televisione". Allo stesso modo, quando sentite qualcuno che tira fuori un dato che vi sembra assurdo, non dovete pensare che il fatto che ci siano lì vicino delle cifre lo rende di per sé stesso credibile.
Le cifre sono come le parole: possono dire la verità o mentire, a seconda di chi le utilizza. Ma, a differenza delle parole, i numeri hanno una propria aura di affidabilità che per istinto confondiamo con un'oggettività in realtà del tutto inesistente. E' per questo che il pensiero critico è ancor più necessario quando l'interlocutore snocciola delle cifre: perché il dubitare è il primo passo che deve essere fatto prima di approfondire la metodologia utilizzata per produrle, quelle cifre, e così facendo scoprire che talvolta il nostro interlocutore non è un saggio, bensì un furfante o un allocco.
I più affezionati lettori sanno bene quanto me la sono presa con la fola dei 400 milioni: non tanto perché qualcuno cercasse di portar acqua al proprio mulino, bensì per la rapidità con cui una simile bufala si è propagata e in poco tempo è divenuta verità oggettiva, al di là di qualunque senso comune; spero tanto che anche attraverso questi esempi (certo anche in futuro non ne mancherà, di materiale!) possa dare una minuscola briciola di contributo perché ciascuno di noi aumenti il spirito critico e, con tal mezzo, divenga un cittadino migliore.
(lo so, quest'ultima riga è anch'essa una presuntuosa sciocchezza, ma ho calcolato che non lo è del tutto: solo al 97,26%)

1 commento:

  1. Personalmente, ho una mia classifica delle cazzate che passano in tv facendo leva sulla totale assenza del senso critico degli spettatori. Ad esempio quegli spot dove ti dicono che il prodotto migliora qualcosa in percentuale, senza dirti in percentuale rispetto a cosa.
    Alla vetta di questa hall-of-shame casalinga, c'è uno spot dela Tesmed di qualche anno fa, in cui veniva reclamizzato che l'elettrostimolatore prodotto dall'azienda migliorava la forma fisica nel 79% dei casi. Siccome casualmente la trasmissione veniva registrata, ho avuto l'occasione di fare un rewind e leggere la scritta microscopica che spiegava che si trattava di un "test di autovalutazione compiuto su un campione di 17 consumatori". A parte il numero francamente esiguo per considerarli rappresentativi dl alcunchè, il 79% di 17 non è un numero intero...

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