Ci sono persone che d'un tratto diventano un'icona: ti chiedi come è possibile che fino ad allora fossero nell'ombra, o comunque in seconda fila; fino al giorno in cui, d'improvviso, emergono dalla massa o anche solo dalla seconda fila per divenire protagonisti.
Cofferati, quando era in predicato di diventare il leader del centrosinistra: lo ricordate? E che dire di Nichi Vendola, che sembrava dover rifondare il comunismo? Il giovane Scalfarotto (giovane si fa per dire), pur amato quasi solo nella ristrettissima cerchia dei blogger, sembrava avere un radioso futuro, e così pure la Serracchiani, forte del fatto di essere stata la prima ad aver l'occasione di dire davanti a Franceschini ciò che centinaia o migliaia di persone dicevano senza poterlo fare in presenza del destinatario del messaggio.
Il problema è che, passato quel momento di innamoramento e passione, spesso lasciano enormi delusioni; e ogni riferimento a Cofferati è del tutto voluto (ma potete metterci anche Veltroni, per quei tanti che all'inizio ci hanno creduto: io fortunatamente no; ma con Cofferati mi ero lasciato infinocchiare).
Concedetemi una divagazione milanese, che non c'entra nulla con il prosieguo, per dire che a Milano abbiamo avuto la gioia di vedere quali campioni della nostra parte politica figure che qualunque altro italiano avrebbe considerato impresentabili a prescindere dal colore politico: Diego Masi, sonoramente trombato alle regionali del '95, già con Segni poi nel governo D'Alema poi in Forza Italia.
Aldo Fumagalli, che concorse alla poltrona di sindaco nel '97 con l'obiettivo di fare il sindaco e basta, e che infatti una volta sconfitto si dimise immediatamente dalla poltrona di capo dell'opposizione, di cui non gliene infischiava un tubo.
Bruno Ferrante, pure candidato sindaco nel 2006, che pure dopo la sconfitta trovò una altra comoda poltrona su cui sedersi, seppur non immediatamente: ebbe il buongusto di aspettare un sei mesi circa.
Insomma: qui non ci si è mai fatti mancare nulla, e dovremmo essere abbastanza scafati da capire che una rondine di pensiero non fa primavera; ma ci ricaschiamo sempre lo stesso. Torniamo a bomba.
Ignazio Marino recentemente era divenuto il campione della laicità dello stato e del pensiero che ci piace. La sua lotta per la dignità della morte di Eluana Englaro e per essa della libertà di scegliere di tutti noi; il suo appello per il testamento biologico; la sua competenza in materia e non ultima la sua estromissione dalla commissione sanità del Senato a seguito di uno degli ultimi colpi di coda dell'innominabile ex segretario: tutto ciò aveva contribuito a fare di questo medico cattolico eppur laicissimo un mito per molti di noi.
Ed è per questo che questa sera, vederlo battibeccare a Otto e Mezzo con la sottosegretaria alla sanità, Francesca Martini, è stata una grande delusione. Perfino per un lombardo e milanese, uno abituato a sopravvivere alle delusioni lasciandosele alle spalle dopo pochi minuti.
L'argomento era quello dell'influenza suina, e mannaggia se io ho capito se sia una bufala totale o ci sia molto di vero o anche solo qualche grammo di vero affogato in palettate di sciocchezze; ma non è questo il punto.
Il punto è che i due discutevano animatamente, perché Marino imputava al governo il fatto che in Italia, oggi come oggi, ci sono medicinali (il famoso Tamiflu) sufficienti per curare un milione di ammalati, che sono appena il 7% della popolazione mentre altrove, ad esempio in Austria, ne hanno abbastanza per curarne il 50%.
La Martini rispondeva che in realtà anche in Italia ce l'abbiamo, il medicinale; ma Marino ribatteva che ce l'abbiamo sì, ma nei bidoni, mentre bisogna metterlo nelle capsule, e che per far questo ci vogliono quattro settimane mentre le capsule già pronte sono solo un milione.
La Martini, che devo confessare mi faceva un po' pena, anche per la sua incapacità di ribadire esponendo con chiarezza -e in ordine logico- i propri argomenti, faceva notare che se proprio ce ne fosse stato bisogno si poteva sempre sciogliere il medicinale nei bicchieri d'acqua, attirando gli strali del Marino che si rideva tutto all'idea che nell'emergenza si sciogliessero nell'acqua le polverine. E qui la Martini si riscattava, facendo notare che di emergenza adesso come adesso non ce n'è nessuna; e comunque l'attività di incapsulamento era già avviata.
Io aspettavo: tifavo!, perché la signora dicesse le uniche tre cose logiche anche per il profano, vale a dire che: A) crede davvero che entro domani si ammaleranno un milione di persone? e: B) crede davvero che nel corso della prossima settimana si ammaleranno dieci milioni di persone (che dieci milioni di dosi, facendo il conto della serva, si possono incapsulare in una settimana)? e: C) crede davvero che se venti milioni di italiani si ammalassero in una settimana, ci sarebbe da andare tanto per il sottile a distribuire il farmaco con i cucchiaini?
Ma la signora ciò non ha detto, e Marino aveva gioco facile a stroncarla dicendo che l'Austria ce le aveva, le capsule, e noi no; e perché loro sì e noi no?
Un dialogo tra sordi; e soprattutto un dialogo disonesto. Marino queste cose le sapeva benissimo. Sa meglio di me che buona parte dell'allarme è una montatura; sa meglio di me che se entro la prossima settimana ci saranno dieci milioni di dosi di antivirale si potranno curare le pesti suina, aviaria, canina e marsupiale per i prossimi trent'anni, visti i precedenti degli altri allarmi-di-fine-di-mondo risoltisi in una scoreggina.
Sa, soprattutto, che in una situazione da 28 giorni dopo non si va tanto per il sottile: si prende l'esercito, lo si manda per le strade occupando militarmente il territorio e si dichiara la legge marziale: a quel punto si distribuiscono i farmaci con i cucchiaini fregandosene del fatto che non è tanto bello; ma quello è solo un film.
Marino sa, insomma, che il nostro Paese è del tutto preparato ad affrontare un'emergenza quale quella di questa influenzaccia, che farà colare il naso e avrà anche ammazzato -forse- qualcuno, ma è tutto tranne che Ebola o Vaiolo.
Io credo che vi siano dei limiti etici al dibattito politico. Far montare l'allarmismo facendo credere allo spettatore che entro quattro settimane ci potranno essere quaranta milioni di ammalati di una malattia potenzialmente mortale non è un buon modo di fare politica né un buon servizio per il Paese.
Non lo sarebbe neppure se ci fossero da vincere le elezioni: perché perfino Machiavelli non ha mai detto che il fine giustifica qualunque mezzo, dacché il fine, in effetti, NON giustifica i mezzi se non in caso di forza maggiore; e se far perdere consensi a Berlusconi non costituirebbe comunque forza maggiore, a maggior ragione non lo è la speranza di far fare una magra figura a una sottosegretaria del suo governo in una trasmissione di scarso ascolto.
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