I miei due post sull'iniziativa di Alessandro Gilioli e Guido Scorza di indire uno "sciopero dei blog" per il prossimo 14 luglio hanno dato luogo a una serie di commenti, tra cui alcuni dei promotori stessi, che potete leggere direttamente: i toni sono accesi e talora hanno trasceso i limiti che dovrebbe avere una discussione urbana.
Dopo aver inviato a Guido scorza una copia del mio ultimo commento, in mail privata e firmata con il mio nome e cognome, ho ricevuto una sua mail molto civile (e uso volutamente questo termine, nella sua accezione più nobile) nella quale egli dà atto che c'è stato un fraintendimento che ha portato ad esasperare i toni: e io parimenti do atto a lui che il registro stilistico da me utilizzato si prestava a tale fraintendimento, essendo in taluni punti un po' (forse troppo) provocatorio.
Non è il caso di riportare qui gli ulteriori argomenti sviluppati nella mail, che fa parte di una conversazione privata: credo però a questo punto sia opportuno riassumere e sviluppare i termini della questione per coloro che, non avendo il bagaglio tecnico necessario a comprendere le reciproche differenze, si chiedessero chi diavolo abbia ragione.
Parto dalla coda, e dico subito che non ha ragione nessuno, o l'abbiamo entrambi: e spiego perché.
Io, che per guadagnarmi da vivere non faccio l'avvocato, ho sviluppato le mie argomentazioni da un punto di vista dottrinale: vale a dire che ho analizzato una serie di argomenti logici che mi hanno portato a ritenere che, da un punto di vista astratto e sistematico, la migliore interpretazione possibile dell'assetto normativo che uscirebbe dalla riforma in esame al Senato (ammesso che resti immutata rispetto al testo approvato alla Camera) è quella che l'obbligo di rettifica non si applichi ai blog (si veda anche qui un'altra analisi, molto più approfondita). Si tratta, è bene precisarlo, di una conclusione non semplice, dato che la lettera della nuova formulazione dell'art. 8 della legge sulla stampa risulta tutt'altro che univoca: e difatti alla mia posizione arrivo attraverso un'analisi sistematica, vale a dire del significato della norma in un contesto più ampio e generale.
Guido Scorza ritiene che tale tesi sia ragionevole e sostenibile ma lui, che di mestiere fa l'avvocato, sa bene che altro è il diritto nell'astrazione dottrinaria e altro è la pratica dei tribunali; e che anzi spesso capita che la dottrina affermi una cosa come verità rivelata e la giurisprudenza l'esatto contrario: riassumendo il suo pensiero, e sperando di non travisarlo (comunque lo spazio dei commenti è qui a sua disposizione), egli teme che l'approvazione del DDL comunque dia luogo a un'incertezza, molto pericolosa, in quanto chiunque potrebbe intimare ai gestori di blog la rettifica dei propri scritti nell'arco di 48 ore, sotto minaccia di sanzioni molto onerose. A quel punto il blogger, che scrive per passione e per hobby, se la sentirebbe di affrontare le spese e l'alea di un giudizio, con il concreto rischio di soccombere in primo grado? O preferirebbe piuttosto rinunciare ad esternare il proprio pensiero, per vivere tranquillo?
Sono, come vedete, due aspetti di una posizione comune, affrontata da due punti di vista molto differenti: io resto convinto della bontà della mia interpretazione, ma mi rendo ben conto che per il comune cittadino sarebbe estremamente difficile affrontare le enormi spese di un procedimento giudiziario necessario a veder riconoscere la propria ragione, magari solo all'esito di tre gradi di giudizio: pertanto è vero che il DDL potrebbe assumere una funzione intimidatoria anche se, ritengo, è altrettanto vero che al blogger che volesse e potesse intignarsi, alla fine non potrebbe che esser riconosciuta la ragione.
Io stesso sono consapevole che, pur certo della bontà del mio ragionamento, non avrei esitazione a mandare questo blog a donne di facili costumi, non volendo e non potendo affrontare gli oneri di cui parlavo prima.
Nella sua mail Guido mi rimprovera, sia pur amichevolmente, anche di aver utilizzato un indicativo che dà l'impressione che quanto espongo sia verità assoluta, contrapposta al marchiano errore nel quale sono incorsi lui e Alessandro.
A tal proposito ammetto che si tratta di una critica fondata, anche se a ben vedere l'indicativo è lo stesso tempo che egli medesimo ha utilizzato nella propria analisi, e quindi il torto starebbe da entrambe le parti. Il fatto è che non si tratta di desiderio di sopraffazione, bensì di semplice deformazione professionale. Tra avvocati, e più in generale tra operatori del diritto, si tende sempre ad affermare le proprie argomentazioni, consapevoli che la controparte affermerà l'opposto con altrettanta forza: fa parte del gioco; e del resto cosa pensereste di un avvocato che alla fine di un arringa chiedesse alla corte d'Assise di assolvere il proprio assistito «perché credo che potrebbe essere innocente»?
Questo lo stato del dibattito, e sono feliche che il flame si sia spento subito: io ho poi ulteriori considerazioni sul merito del DDL, ma credo sia meglio svilupparle in un post separato.
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