Oggi qui è iniziato l'autunno: settembre, tempo di esami di riparazione.
Ne ha scritto in più riprese Scorfano, e oggi ne scrive anche Ipazia Sognatrice, commentando una castroneria uscita dalla bocca di una sua discente, che peraltro non aveva neppur preso l'esame di riparazione (che non si può chiamare esame di riparazione!) bensì solo la letterina.
In terza liceo anch'io presi l'esame a settembre (che al tempo si chiamava di riparazione; ed eri tu a doverlo dire ai tuoi, non la scuola; e i tuoi si incazzavano con te, e non con i professori).
Mi diedero tedesco: e non è che lo sapessi molto peggio degli altri. La nostra insegnante di tedesco, molto impegnata e molto di sinistra, aveva tutta una sua idea sulla didattica: riteneva che il biennio dovesse servire a portare in pari tutti gli allievi, recuperando dall'abissale ignoranza coloro che, per demerito dei professori delle medie o per dickensiana condizione delle famiglie di provenienza, partivano svantaggiati. E, pertanto, per tutti i primi due anni di liceo non si è mai sognata di rifilare un'insufficienza: forse talora, nei casi più eclatanti, un cinquemmezzo.
Prendete trenta quattordicenni (tosto ridottisi a venti l'anno successivo, e non per merito di lei); dichiarate loro che non darete insufficienze, e quale risultato otterrete?
Il fatto è che, giunti in terza, la sedicente docente, ritenendo tutti ormai pronti ad affrontare le gioie e le difficoltà del tedesco, iniziò a fare lezione in tedesco, spiegandoci la letteratura, la storia e la civiltà di quel grande paese.
Metà della classe, coscienziosa o secchiona, durante il biennio aveva lavorato comunque, ed era in grado di seguire l'insana. L'altra metà sentiva questo brusìo di fondo, afferrendo talora qualche articolo determinativo (di cui non era in grado di riconoscere il caso) ed alcuni semplici aggettivi: gut, schön, viel. Non è il caso di esplicitare di quale metà della classe facessi parte io.
Alla fine dell'anno la stordita avrebbe dovuto rimandare a settembre dieci allievi; il che non era proprio presentabile al consiglio di classe: e pertanto prese fior da fiore: il peggiore di tutti, e i due dell'ultimo banco che avevano quell'odiosa aria da genietti e ostentavano la loro ignoranza della materia senza cercare di mascherarla sotto un velo d'ipocrisia. Non è il caso di esplicitare di quale categoria facessi parte io.
Passai quindi molte ore delle vacanze a studiare i casi, il congiuntivo (se aveste potuto mai credere che il congiuntivo italiano sia complicato, sarebbe il caso che vi ricredeste, datemi retta) e certe particelle proclitiche da- e wo- che in mia fede non sono mai riuscito a capire a cosa diavolo potessero servire. Imparai qualcosa, tanto che feci bene lo scritto, uscendone con un sette (al tempo il sette era un bel voto): come dimostra il fatto che oggi, quando disbrigo la corrispondenza e trovo una lettera in tedesco, riesco a cogliere il senso generale di ciò che mi si comunica.
Ci fu poi l'orale. Non ricordo cosa mi fu chiesto, e non rammento neppure se fu lungo o breve. Quello che ricordo perfettamente, come su una lastra fotografica, fu quando la sventurata mi chiese lumi intorno all'unificazione della Germania, che io avevo una vaga sensazione essere avvenuta attorno al diciannovesimo secolo; secolo più secolo meno. Vistomi impaniato, pretese di conoscere almeno il nome del Cancelliere che l'aveva condotta a termine.
Io sparai: -«Metternich!». Lei scosse il capo, triste, e mi lasciò andare.
Ecco, io credo che la mia 'discente' posto che abbia intenzione di 'discere' qualcosa, non sia nemmeno troppo convinta di aver detto una castroneria... Però è anche vero che non so se tenga un blog...
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