E così sono ancora a piede libero, ma vale la pena di raccontare come sono andate le cose.
Nichita ha portato a scuola la macchina fotografica. Come ovvio, l'ha subito tirata fuori, facendosi vedere dalla maestra la quale si è subito terrorizzata e gli ha ordinato di rimetterla immediatamente nello zaino, spiegandogli che è V-I-E-T-A-T-I-S-S-I-M-O portare a scuola macchine fotografiche.
C'è della poesia nella perversione di una legge -ma più che della legge, è della società, che stiamo parlando- che trova in sé gli anticorpi per riparare i propri eccessi. Tanto è il timore che la nostra società ha dell'abuso dell'immagine del bambino che l'introduzione di un apparato atto a catturarne è considerato alla stregua di un pericoloso crimine, quasi si trattasse di un coltello o una pistola.
Cose che per quelli della mia generazione erano naturali, quali il fare ai compagni una foto meno ingessata di quella ufficiale di classe (soldatini piantati sull'attenti sotto lo sguardo fintamente amichevole della maestra), diventano esecrabili violazioni di un diritto alla privacy del quale nessuno di noi sa stabilire bene i confini, e che viene stiracchiato qua e là come una coperta un po' troppo corta.
Ipazia mi ha chiesto su FF (luogo ove ella si ostina a commentare, e la colpa è mia, ché le ho raccontato di che si trattava) perché mai non avessi spiegato a Nichita che in questo paese ci sono delle leggi che potrebbero mettere in guai seri il suo papà, per i suoi giochini innocenti e stupidini.
Le avevo risposto"il motivo è che se dovessi spiegare che ci sono leggi che, scritte sull'onda dell'allarme montato dalla stampa per vender più copie e della fama di notorietà di squallidi personaggi che strumentalizzano problemi gravissimi per il proprio profitto personale, puniscono giochini innocenti alla stregua di crimini orrendi, dovrei giungere con lui alla conclusione che le leggi - o alcune di esse - sono sbagliate; ed appesantire così la sua immaturità dell'onere di saper discernere tra la norma giusta e quella ingiusta: il che, ancora, non si merita".
Oggi posso confermare quelle parole: non avendogli ancora insegnato a distinguere tra norma giusta e ingiusta, Nichita non si è posto il problema del perché fosse vietato fotografare i compagni a scuola: lo ha preso come un dovere; ma se avessi dovuto spiegarglielo, quel perché, mi sarei trovato in serie difficoltà: dato che quel divieto, per me, è una cazzata.
Mi fa piacere che tu sia a piede libero... O che a San Vittore ci sia il Wifi, non so... Ricordo che alle elementari le maestre facevano molto presto a far passare come leggi inviolabili quelle che non erano che regolucce cucite al momento per evitare che i bambini si mettessero a fare gli stupidini con la macchina fotografica a lezione, distraendo sé e i compagni... Poi non so, forse il contesto non era questo, magari la scuola elementare ha davvero regole ferree come una base NATO (non mi stupirei), oppure tu porti tuo figlio a scuola in una base NATO...
RispondiEliminaInsomma, lo vedi, io non son capace di far commenti seri, e sto su FF... Poi tu insisti, e io vengo qui a scrivere scempiaggini... Il web è una cosa troppo complicata.
Caro mfisk,
RispondiEliminati capisco quando cerchi di proteggere Nichita dalla follia della nostra società. Cerchiamo di farlo anche noi, come genitori. Però ci accorgiamo che a volte non è possibile: bisogna svelare al figlio che i comportamenti umani non sono sempre improntati alla coerenza e conformi ai valori dei genitori.
A 4 anni ha imparato (?) che a scuola le sculacciate si prendono e a casa no e che ci sono modi diversi per attirare l'attenzione dei bambini.
A 10 anni *penso* si possa capire il perché di una legge e perché il papà la pensa ingiusta.
Anche le insegnanti, se hanno introdotto il tabù della macchina fotografica a scuola, penso condividano il tuo punto di vista. Per evitare di rovinarsi la vita (la propria e altrui) per una goliardata o una ragazzata, che in altri tempi non avrebbe avuto nessuna conseguenza, evitano ogni apparecchio di ripresa.
ciao
nicola.