La stampa italiana, quella vera che inchiostra la carta, oggi alza il gran pavese perché è caduto il bavaglio: secondo l'ultimo emendamento governativo i giornalisti potranno pubblicare il contenuto di intercettazioni e verbali d'interrogatorio.
Sono contenti, i giornalisti e per essi i loro editori, perché hanno ottenuto di poter continuare a svolgere quel mestiere fatto di compitini ricopiati, di sbirciamento nei quaderni altrui e, in casi fortunati, di sinossi e versioni in prosa o parafrasi, che caratterizza oggi il panorama della nostra stampa professionale.
Quanto è più facile sbattere in prima pagina un dialogo vernacolare e spesso fiorito tra due persone in vista, piuttosto che fare giornalismo d'inchiesta e raccogliere prove e informazioni di prima mano? Non si pretende che Repubblica faccia Top Secret America come il Washington Post, ma -salvo qualche rara eccezione- la più parte del "lavoro giornalistico" oggi consiste in pedisseque ricopiature di atti bollati.
Ma non è tanto questo, il punto. Il punto principale è che questa legge continua a fare schifo. Perché il tema che conta non è sul fatto che i cittadini abbiano diritto di venire o meno informati sulle indagini in corso: è una cosa assai importante, ma ben più importante è il suo presupposto, vale a dire il fatto che le indagini si possano fare. E su questo tema non è cambiato quasi nulla: permane il limite temporale, permangono le proroghe brevi e specificamente motivate, permane soprattutto la competenza a giudicare in tema di proroga delle intercettazioni in capo all'organo collegiale distrettuale il che, come sa chiunque abbia un po' a che fare con le cose di magistratura, in certe zone d'Italia vuol dire in pratica impedire il rinnovo delle misure.
Questa del giudice collegiale è una delle peggiori porcate del DDL: in Italia un giudice monocratico può tranquillamente mandarti all'ergastolo (avviene, ad esempio, per tutti i crimini che sarebbero di competenza della Corte d'Assise e per i quali è stato richiesto il rito abbreviato), ma non può, secondo il DDL, disporre l'intercettazione del tuo telefono per 15 giorni.
Ma 70 giorni bastano!, si dice. Il fatto è che non ci sono solo gli omicidi e gli stupri di gruppo, per i quali è vero che le prove si raccolgono nei giorni o nelle settimane immediatamente successivi all'evento, quando qualcuno degli autori a un certo punto sbraca. Senza andare al classico esempio dei reati di mafia, ci sono molti reati, in ispecie quelli finanziari, che possono venire dipanati solo attraverso ascolti e riscontri assai prolungati nel tempo, anche per anni.
Quindi quella di oggi è sì una vittoria, ma solo per la classe dei giornalisti e degli editori. Per il cittadino comune, che vorrebbe essere informato ma che soprattutto vorrebbe avere una ragionevole certezza che i criminali vengano puniti, questa è una vittoria di Pirro.
(vedi anche qui un altro parere conforme)
Io ho guardato Repubblica.it, e mi pare che eventuali esultanze siano però affiancate da osservazioni, anche piuttosto amare, sul problema, che è il problema centrale, della fattibilità delle intercettazioni, e quindi delle indagini (vedi, ad esempio, il commento di Giannini).
RispondiEliminaI giornali (prima fra tutti Repubblica) hanno sempre puntato sul BAVAGLIO. Ora il bavaglio è caduto e si accorgono che c'è altro oltre che il bavaglio, ma oramai è tardi.
RispondiEliminaChe farà Repubblica, l'Espresso, il noto blogger: si rimetteranno a fare can can sul resto, o incasseranno il risultato, pur coprendo i sorrisi di gioia con la coperta di un editoriale fuori tempo massimo e fintamente sdegnato?
Hai ragione. Anche, se, ti dirò, io che son sognatrice, mi auguro che il can can continui. E' un augurio, però, nemmeno una speranza.
RispondiEliminasottoscrivo. e a differenza di ipazia sono meno accondiscendente con Repubblica. Hanno vinto la battaglia che hanno combattuto (la meno significativa) e su di loro grava la responsabilità del fatto che l'opinione pubblica sarà convinta di avere una buona legge.
RispondiEliminaSono degli irresponsabili corresponsabili del disastro in cui annaspa l'italia