domenica 22 agosto 2010

Rimangio la parola data

Avevo detto che non sarei tornato più sull'argomento Mondadori, ma sono costretto a rimangiarmi la parola data.
Oggi Repubblica pubblica l'ennesimo paginone su quella che il giornale di De Benedetti continua a chiamare legge ad aziendam. Il nuovo articolo non contiene niente di nuovo, e in particolare nulla ci dice né sulla natura del contenzioso tra l'editrice e il fisco, né sui motivi per i quali le sentenze di primo e secondo grado, favorevoli a Mondadori, sarebbero viziate e pertanto suscettibili di esser cassate né, infine, su eventuali indebite pressioni in forza delle quali si possa presupporre o anche solo sospettare che dette sentenze siano state pronunciate da collegi non imparziali.
Viene anche pubblicata, ed è questa la novità, una lettera di Mondadori che dice, in buona sostanza, esattamente ciò che io avevo ripetutamente affermato nei giorni scorsi: vale a dire che, avendo la società vinto in due gradi di giudizio, essa oggi nulla deve al fisco.
Risponde alla lettera Massimo Giannini, con poche righe che nuovamente brillano per ipocrisia.
Afferma, il Giannini, che la lettera doi Mondadori "non smentisce una sola riga della ricopstruzione fatta da Repubblica": e ciò è falso. E' falso perché il giornale ha sempre usato l'indicativo presente (Mondadori deve al fisco 350 milioni), mentre Mondadori afferma, e giustamente, di non dovere al fisco alcunché.
Si chiede poi, il Giannini, perché mai Mondadori, se è così certa del suo buon diritto, non abbia ritenuto preferibile affrontare il giudizio di Cassazione anziché pagare la bellezza di 8 milioni e rotti a fronte di un debito da lei affermato inesistente. La domanda è suggestiva, e capace di far presa sul lettore, ma anche qui Giannini, che è persona intelligente e preparata, bara sapendo di barare.
Io faccio da quasi vent'anni questo mestiere, e innumerevoli volte mi sono trovato a gestire cause passive: cause cioè intentate da terzi nei confronti della Banca per cui lavoro alla quale i terzi stessi hanno chiesto a vario titolo dei soldi. Ci sono stati alcuni casi in cui la Banca aveva torto, molti nei quali aveva ottime ragioni e svariati in cui ero assolutamente certo che la parte che rappresentavo avesse ragione al 100%. Ciononostante, anche in questi ultimi casi spesso io stesso ho proposto di transigere, pagando qualcosa. E' un comportamento del tutto normale per chi fa questo mestiere, e ci sono ottime ragioni per farlo.
L'alea del giudizio, anzitutto: un processo non è una corsa di cavalli, ma purtuttavia non è neppure un'espressione matematica della quale possa affermarsi con obiettiva certezza che il risultato è uno e uno solo, e che gli altri risultati sono sbagliati. Possono esserci revirements giurisprudenzali, come amiamo chiamarli, che cambiano le carte in tavola (è il caso, ad esempio, dell'anatocismo, che fino al 1999 è stato applicato nella più limpida buona fede e nella consapevolezza che fosse perfettamente legittimo, sulla scorta di una costante e cinquantennale giurisprudenza, e che a un tratto la Cassazione ha deciso non essere lecito).
C'è poi l'alea connaturata a qualunque evento futuro: nessuno avrebbe potuto pensare che l'Italia non vincesse contro la Nuova Zelanda, ma così è accaduto. Il futuro è incerto, per definizione: e anche se un evento ha una probabilità del 99% o del 95% di accadere, non si può non tener conto del residuo 1% o 5%.
Tenere aperta una causa, inoltre, è antieconomico. Per un privato ci sono le spese per gli avvocati, che non sono poca cosa; ma per una società quotata ci sono tutta una serie di adempimenti onerosi. I revisori dei conti pretendono di verificare trimestralmente lo stato della causa, chiedono spiegazioni e documenti. Nella nota integrativa di bilancio deve esser dato conto della pendenza della lite; e per importi di questo tipo gli analisti finanziari che studiano dall'estero gli andamenti del titolo devono valutare l'incidenza del rischio e apportare le correzioni da loro ritenute opportune al fine di riclassificare i dati patrimoniali per tenerne conto. Dato che questi analisti sono stranieri, essi non fanno -né si può pretendere che facciano, non avendo accesso alle carte- una valutazione analitica del rischio, e quindi applicano dei coefficienti forfettari di valutazione.
Né questi analisti possono prendera alla base della loro valutazione di rischio la congruità dell'accantonamento a bilancio: essendo società quotata, Mondadori è tenuta alla redazione del bilancio secondo gli standard IAS, il che significa che non può effettuare accantonamenti analitici in dipendenza di una causa passiva il cui esito sia ritenuto favorevole con probabilità superiore al 50%: e certo l'aver vinto in doppio grado di giudizio fa sì che la probabilità di vittoria nel giudizio di legittimità sia da ritenersi sicuramente superiore a detta percentuale.
Mondadori, insomma, ha fatto ciò che il Gruppo Editoriale L'Espresso, così come qualsiasi altro imprenditore avveduto, avrebbe fatto se si fosse trovato nella medesima situazione. Giannini fa notare che Mondadori ci si è trovata perché il Presidente del Consiglio ha voluto far approvare quella legge, il che è indubbiamente vero; ma altrettanto vero è che quella stessa legge è un'opportunità per la generalità delle aziende che si trovano a dover affrontare contenziosi portati avanti dal fisco al di là di qualunque ragionevolezza.
Vale la pena di rammentare che l'imprenditore che intraprende una causa campata in aria paga di tasca propria le spese, e quindi raramente dopo aver perso in due gradi di giudizio pensa a ricorrere in Cassazione (ciò succede solo in presenza di questioni di diritto veramente controverse, o in presenza di seri problemi caratteriali dell'attore): la probabilità di perdere ancora è enorme, e i costi pure.
Anche il fisco paga i costi dei ricorsi persi, ma non la fa di tasca propria il Direttore dell'Agenzia delle Entrate: i costi di quei ricorsi sno pagati dall'Erario, vale a dire da tutti noi, ed è per questo che l'Agenzia può permettersi di coltivare cause perse in partenza: perché i relativi costi gravano su tutti e quindi, in fondo, su nessuno in particolare che ne debba rispondere di persona.

2 commenti:

  1. Quello che scrivi è perfettamente chiaro per qualsiasi addetto ai lavori. Ma quante persone "comuni" sono in grado di capirlo? Come diceva Lenin (o forse Stalin, non ricordo), vale sempre il detto: "Getta del fango sul tuo nemico: qualcosa gli rimarrà addosso per sempre".
    Come stanno del resto facendo anche le testate di Berlusconi nei confronti di Fini.
    Purtroppo, quello italiano, non è giornalismo, ma solo killeraggio prezzolato in favore di chi paga meglio, siano i Montecchi o i Capuleti, i Medici o i Pazzi, gli Orsini o i Colonna.

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  2. è brutto-brutto-brutto quando scopri che quelli in cui credevi, in realtà, ti stavano pigliando per il culo.
    è capitato un paio di volte anche a me. poi dici il punk.

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Potete scrivere tutto quel che vi pare, e io son libero di cancellare gli insulti e le cose scritte per pura provocazione gratuita.
So che è una rottura la procedura di verifica, ma quando provo a rimuoverla, entro un paio d'ore comincia lo spam, scusate.