Il signore qui e fianco è Angelo Panebianco: grande esperto di scienze politiche, editorialista del Corriere e una delle persone più prevedibili che ci siano nel panorama politologico odierno.
A differenza del collega Sartori, che spesso riserva sorprese, un editoriale di Panebianco segue sempre la stessa struttura, sia dal punto di vista formale che del merito dei contenuti, talché una persona di media esperienza può fare la sinossi dell'articolo semplicemente leggendo il titolo attribuitogli dal titolista.
Quando stamane ho aperto la mia copia del Corriere (lo confesso: il giornale di Ezio Mauro oramai mi vergogno ad acquistarlo) e ho letto «La paura e la ragione» mi sono fatto una raffigurazione mentale di quel che avrei trovato stampato. Poi ho scorso l'articolo, che non mi ha lasciato deluso. Quello che non ero riuscito a prevedere era solo il finale lirico, quando Whitebread parte per la tangente affermando che il rischio è vita, e quindi chi ha dubbi sul nucleare è un morto che cammina. Un colpo di genio degno del Celentano ospitato in altra pagina e che altri hanno già perculato, sia pur in modo non del tutto convincente.
Nello scorso post avevo affrontato il tema della sicurezza del nucleare, sottolineando come, per quanto le tecnologie avanzino, l'esempio giapponese ci dimostra che c'è pur sempre qualche cosa che sfugge al controllo. La tragedia ora in corso ci ha insegnato: (a) che il combustibile esaurito (la cui modalità conservazione è del tutto slegata dalla tecnologia ennepuntozero di costruzione della centrale) è persino più pericoloso del nocciolo; (b) che l'anello debole della catena di sicurezza si è dimostrato essere un motore diesel identico a uno delle migliaia di motori installati un un piccolo peschereccio; (c) che per quanto si possa ridondare i sistemi di sicurezza esiste pur sempre un problema di materialità: le cose occupano uno spazio fisico, i motori diesel possono essere spazzati via dalle ondate e quand'anche si volessero ridondare a distanza il problema si sposterebbe dal motore ai cavi di adduzione dell'energia.
Un bel casino, che ci fa capire come sia impossibile eliminare la totalità dei rischi connessi ad un'attività pericolosa. Del resto anche questa non è una gran novità: lo si sapeva già nel 1942, quando è stato redatto il Codice Civile, che difatti non a caso contiene l'art. 2050.
Il Panebianco entra nel dibattito e (sorvoliamo sulla prosa alata, frutto forse di una rincuorante bottiglia di Sangiovese) ci dice che comunque rischi ci sono ovunque, ma ci sono mezzi per mitigarli e comunque anche la dipendenza dal petrolio è rischiosa.
Dividerei la questione in due sottoargomenti: quello di cui parla il Panebianco, vale a dire il rischio di approvvigionamento, e quello di cui il Panebianco si dimentica, vale a dire il rischio ambientale.
Per quanto riguarda l'approvvigionamento, la questione può essere liquidata in due parole: l'Italia non ha né petrolio né gas naturale né uranio. Sostituire il petrolio con l'uranio, dal punto di vista della dipendenza energetica dall'estero, è del tutto ininfluente. Tenta l'affondo, il Panebianco, facendo notare che il petrolio viene da paesi politicamente a rischio, ma -purtroppo per lui- non si rende conto che la geografia dei paesi produttori di uranio è in buona parte sovrapponibile a quella dei produttori di petrolio, con la sola eccezione di Australia e Canada, che occupano rispettivamente la seconda e terza posizione in classifica (notate che per quanto riguarda la produzione di petrolio, dopo la Russia la seconda e terza posizione sono occupate da Arabia Saudita e USA, e non vedrei probabile che su questi paesi abbia luogo lo scoppio di armi termonucleari che il Panebianco paventa ad usum del lettore poco in grado di documentarsi).
Parte del rischio di approvvigionamento è costituito anche dal previsto esaurimento delle risorse fossili, ma anche qui, per quanto i dati siano frammentati e contradditori, le previsioni sulla disonibilità di uranio non propongono limiti temporali molto differenti da quelli previsti per il petrolio. Con la non marginale differenza che per costruire una centrale nucleare ci vuole una decina d'anni, e quindi quando entrerà in esercizio (diciamo -siamo in Italia- nel 2025) saremo assai più vicini di oggi al picco dell'uranio, o magari l'avremo già superato.
Passiamo ai rischi ambientali. Tutti sappiamo che bruciare combustibili fossili incrementa l'effetto serra, e che l'aria delle nostre città (Milano anzitutto, per la particolare conformazine geografica della pianura dove sorge) è schifosamente inquinata a causa del traffico automobilistico e dei riscaldamenti. La disponibilità di abbondante energia a buon mercato ci consentirebbe di confertire i sistemi di riscaldamento e, in futuro, perfino di far marciare ad idrogeno le autovetture (rammentiamo sempre che l'idrogeno non è una fonte di energia, bensì un vettore). Tutte cose bellissime, peccato che perfino in Francia, il Paese che marcia quasi esclusivamente a nucleare, le auto viaggino a benzina o gasolio, e i caloriferi vadano a gasolio o metano.
E la quantità di energia nucleare che si vorrebbe produrre in Italia sarebbe sostitutiva dell'energia di centrale, non aggiuntiva: e quindi non destinata ad usi quali teleriscaldamento o produzione di idrogeno. Ci troveremmo quindi in uno scenario nel quale la schifezza che entra nei nostri polmoni sarebbe destinata a rimaniere sostanzialmente invariata.
Certo, verrebbe sostituita la gran parte del carbone e dell'olio pesante che fa marciare le grandi centrali elettriche, che producono una indicibile quantità di ceneri. Qui a fianco vedete un deposito di ceneri combuste di una delle più grandi centrali ad olio combustibile italiane. Ciascuna delle due montagne ha una dimensione di 200x300 metri (corrispondenti a 8 campi da calcio), e dunque capite bene quanta schifezza venga prodotta nei bruciatori. Ma si tratta di una schifezza che viene catturata dai filtri meccanici ed elettrostatici, tanto che può assere accumulata in montagnole che forse non saranno belle da vedere né saluberrimi, ma che consentono alla polvere di non girare liberamente per l'aria e di non entrare nei polmoni.
I residui di una centrale nucleare, invece, non possono essere conservati in brutte montagnole: questo credo che lo sappia perfino Panebianco. I residui di una centrale nucleare (e gli stessi suoi muri, alla fine della vita utile) sono schifezze che vanno trattati con attenzione e scrupolo per un tempo più o meno equivalente a quello intercorso dalla comparsa dell'Homo Habilis (ne vedete qui a fianco un ritratto, che per caso fortuito ha una straordinaria rassimiglianza con un noto editorialista del principale quotidiano italiano) ad oggi.
A me, vi assicuro, la montagnola di cenere inquieta. Ma il barile di scorie atomiche vetrificate inquieta un filo di più.
Riassumendo: quanto all'approvvigionamento, i rischi, sia di instabilità geopolitica che di disponibilità della risorsa, sono equivalenti. Quanto all'inquinamento, le moderne centrali a combustibile fossile rilasciano nel corso dell'esercizio inquinanti in misura ridotta, ma comunque superiore rispetto all'emissione zero del nucleare; ma considerando il ciclo di vita completo del combustibile l'equilibrio si sposta radicalmente a favore del fossile rispetto al fissile, le cui scorie sono infinitamente più pericolose per un tempo infinitamente più lungo.
Restano da considerare due fattori, che potrebbero essere le variabili in grado di spostare l'ago della bilancia dall'una all'altra parte.
Il primo è l'effetto serra. Potrebbe valer la pena di costruire centrali nucleari, con tutte le diseconomie ed esternalità che abbiamo esaminato, al fine di impedire il surriscaldamento globale della Terra?
Il secondo è la disponibilità di energie alternative. Quanta energia si potrebbe produrre da fonti alternative investendo la stessa quantità di denaro che si intenderebbe investire nelle centrali nucleari?
Sono entrambe domande alle quali non ho risposta, ma che si riferiscono a quantità per le quali uno studio serio potrebbe fornire almeno qualche ordine di grandezza.
"Il primo è l'effetto serra. Potrebbe valer la pena di costruire centrali nucleari, con tutte le diseconomie ed esternalità che abbiamo esaminato, al fine di impedire il surriscaldamento globale della Terra?"
RispondiEliminaQuesto studio calcola che le emissioni di gas serra per l'estrazione di uranio destinate ad una centrale-tipo sono equivalenti a quelle di una centrale a ciclo combinato equivalente.
L'adozione del nucleare *non* riduce in modo significativo i gas serra, quindi.
Personalmente, ritengo che sia ragionevole rischiare solo se il rischio che si corre è accettabile, non tanto per la probabilità che si verifichi l'evento nefasto, quanto per l'evento in sé, nella sua forma peggiore.
RispondiEliminaL'Italia avrebbe la forza, nel malaugurato caso che tutto andasse storto, di evacuare e rendere completamente inabitabile per centinaia di anni un territorio di 50 km quadrati?
Io dico di no e non capisco come si possa sfuggire a questa semplice condizione. Quale dialogo sui pro e sui contro si può instaurare se manca la premessa fondamentale.
(per inciso, fossero soldi miei, li metterei su ITER, DEMO e compagnia bella. Non è un caso che i giapponesi da soli ci abbiano investito quanto tutta l'UE messa assieme. In quel caso il problema delle scorie interesserebbe unicamente il decomissioning della centrale)
RispondiEliminascusate ma il mio senso del ridicolo non è abbastanza forte e dunque intervengo in un argomento talmente impegnativo. La questione che mi fa riflettere è questa: ma come è possibile anche lontanamente pensare di investire soldi, tempo e intelligenze nella costruzione di qualcosa che entrerà in funzione se tutto va bene tra trent'anni, quando nel resto nel mondo, dove il nucleare sia in funzione da decenni, si ragiona sulle energie alternative e il problema più grave è piuttosto "che ce ne facciamo delle centrali?" Ma forse manco da talmente tanto tempo dall'Italia che nel frattempo è stata spostata al Polo e per sei mesi all'anno non c'è abbastanza luce o cose cosi...
RispondiEliminaPer quanto riguarda l' approvigionamento 20 secondi su wiki dicono che non è vero che " la geografia dei paesi produttori di uranio è in buona parte sovrapponibile a quella dei produttori di petrolio "
RispondiEliminaNessuno credo propone di sostituire carbone e petrolio con il nucleare , casomai di integrare
Perchè dici che le montagnole di cui posti foto non sono saluberrimi se " la polvere non gira liberamente per l'aria e non entra nei polmoni." ??
Ormazad
forse la polvere non gira liberamente per l'aria e non entra nei polmoni, fa solo un giro più lungo. ma è chiaro: di qualche morte si deve pure morire
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