Occorre anzitutto una premessa: due anni fa giusti giusti, il primo gennaio del 2010, mi sono risvegliato a Verona con un gran mal di testa, dopo aver fatto capodanno (come si usa dire) con certi amici che sono andato a trovare anche ieri.
Rimessomi, e ripartito per tornare nella Bergamasca, passai un centinaio di chilometri a domandarmi se fosse o meno il caso di andare a trovare una certa signora con la quale ero in fase di avanzato corteggiamento. Alla fine decisi di tirar diritto per Milano, e fu quel giorno che il corteggiamento si concluse. Il seguito, se passate d'abitudine per questo blog, lo conoscete anche voi. Certo, continuo a divertirmi, frequento signore e ne conosco altre formulando pensieri lubrici, ma ciò non toglie che pensi quotidianamente a quel capodanno e a tutto ciò che lo ha seguito e che ha fatto di me una persona un po' diversa da prima.
Fine della premessa.
Quest'anno mi sono svegliato a Verona, e sono tornato nella bergamasca, in questo paesino dove vengo da quasi quarant'anni. Ora sono seduto nel Bar Seggiovie, che a mio padre piaceva tanto frequentare per giocare a carte e bere un bicchiere con molti suoi amici, assai cari dato che, per quanto si frequentassero solo qua in montagna, si vedevano comunque spesso e da molto tempo.
Quegli stessi amici che, proprio ora mentre sto scrivendo, stanno giocando a carte in un tavolino poco distante dal mio.
Era proprio qui, mio padre, nel luglio del 2006, quando dovette tornare a Milano per una delle visite periodiche cui doveva sottoporsi mia madre, che in un impeto di giovanilismo aveva deciso di accompagnare Nichita a sciare e si era rotta il femore dopo poche decine di metri sulla neve.
Lui aveva fatto un po' di fatica a fare le scale, in quei giorni, e quindi ne approfittò per farsi visitare. Un paio di settimane dopo, con il suo tumore ai polmoni e le metastasi al cervello ai reni e un po' dovunque, aspettava serenamente di morire, il che avvenne puntualmente tre mesi dopo.
In quei tre mesi molte persone gli furono vicino (forse io avrei potuto esserlo di più, e di questo un me ne cruccio), lo vennero a trovare e a tutti costoro (me compreso) la sua serenità di fronte all'inevitabile diede una gran lezione di vita.
Aspettava il momento, leggeva, si preparava e discorreva anche della fede che gli sarebbe piaciuto avere e che non riusciva a incontrare.
Certo, aveva qualche cruccio. La paura non tanto di soffrire (la medicina ha fatto miracoli), quanto di essere di peso per sua moglie e per i familiari; la sistemazione delle cose in sospeso da sistemare, il timore per il futuro di chi sarebbe rimasto.
Tra questi crucci, uno che lo angustiava era l'attesa di una visita da parte degli amici della montagna. O quantomeno di una telefonata.
Non arrivò mai né l'una né l'altra, né un biglietto, né un segno: e non è che non fossero stati informati. Si fece vivo il padrone del bar, non rammento se scese addirittura a Milano o si limitò a telefonare varie volte; ma gli amici no.
Ecco, tra quei poveri vecchietti che vedo lì davanti ce ne sarà probabilmente qualcuno per il quale la profezia dei Maya si avvererà, e che non vedrà il 2013.
Glielo auguro, di cuore.
A noi che la pensiamo così ci chiamano "perfidi", ma io so che siamo solo giusti.
RispondiEliminaBuon anno a te.
C'è chi ha paura di guardare la morte degli altri in faccia (non certo tu m.fisk) e magari non è neanche solo vigliaccheria: io, per esempio, non ho saputo commentare quello che ti è successo, quando lo hai raccontato; così come, ad un altro blogger, non saprò mai dire parole di condoglianze per la morte della sua bella moglie - che ha lasciato un bimbo piccolo - in un incidente per colpa di un principiante strafatto!
RispondiEliminaForse, noi meno coraggiosi che vorremmo egoisticamente serbare un "bel ricordo" delle persone - e non lo dico in cerca di giustificazioni, l'unica mia potrebbe essere di temere l'ipocrisia - abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia quell'opportunità che non sappiamo trovare da soli...