La questione dell'interessamento del ministro Cancellieri per la situazione di salute di Giulia Ligresti appassiona un po' tutti: e un po' tutti hanno infatti commentato, spesso con un po' di confusione tra le righe.
Il caso appassiona gli animi: una volta tanto non per partigianeria, dato che non è coinvolto Berlusconi, bensì per il fatto che specie in questo caso emerge come le cose reali siano più complesse dei modelli ideali che ci costruiamo, e come nella vita i bianchi abbacinanti e i neri profondissimi che tanto ama Travaglio non esistano, se non nelle pubblicità dei televisori.
In questo quadro le domande di Sofri sono certo più utili delle risposte di Mantellini: perché queste ultime sono apodittiche e indimostrate, rientrando così nella categoria dei travaglismi manichei; mentre le prime aiutano a trovare una risposta fornendo dubbi su cui riflettere.
Ciò posto, ecco come la vedo io. Il problema non è che il ministro si sia interessato per un singolo detenuto (ha detto di averlo fatto tante altre volte), e neppure che il figlio del ministro abbia lavorato per la famiglia del medesimo (questo implicherebbe che l'essere stato datore di lavoro tolga diritti che altri hanno). Come osserva Sofri, se il ministro si fosse interessato per Cucchi saremmo tutti contenti; e se a posteriori avessimo scoperto che il papà di Cucchi è il benzinaio da cui si serve la figlia del ministro, ciò sarebbe stato una valida ragione per esserlo di meno?
Quindi piantiamola con questa storia, e usciamo dalla retorica. Non si può chiedere le dimissioni dei ministri quando i detenuti muoiono ma anche quando non muoiono. E di conseguenza non è vero che un Ministro della Repubblica non possa “attivarsi” per un parente, amico, conoscente, amico dell’amico: lo può fare (beninteso a patto che non si tratti di un atto contro la legge), a condizione che lo faccia anche per coloro che amici non sono.
L'ha fatto, questo, il ministro? Ha, cioé, fatto sentire la sua voce in tutti quei casi in cui le condizioni di detenzione non risultavano conformi alla lettera della legge? Ahimè, no.
Parliamo del sovraffollamento, ad esempio, che è poi il motore immobile: il problema da cui da cui tutti gli altri problemi si generano. Avete in mente qual è lo spazio teorico disponibile e quanti sono i detenuti? Rammentate numeri come 47.000 posti letto contro 67.000 presenze, vero? Ebbene no: i posti disponibili sono circa 10.000 in meno; il che vuol dire che, di fatto, il sovraffollamento è praticamente pari al 100%: in ciascun letto dormono due detenuti, puramente e semplicemente. La Cancellieri -come del resto la stampa- l'ha scoperto a luglio, quando Antigone ha scoperto che i dati del DAP erano taroccati: ma non mi sembra che la cosa sia stata affrontata con il senso di priorità emergenziale che avrebbe meritato, salvo per il riemergere del tema dell'indulto.
Purtroppo il ministro non è il solo a far male il proprio dovere: se quell'imbrattacarte che scrive sul Fatto Quotidiano non avesse impostato la sua carriera professionale in contrapposizione servile rispetto al nemico Berlusconi, forse perfino lui sarebbe riuscito a capire perché di questi tempi si parli tanto di provvedimenti di clemenza. O magari, visto che si tratta di una persona di media intelligenza e con accesso alle fonti, magari lui l'ha capito, ma non ci tiene a farlo capire ai lettori, i quali debbono rimanere convinti che il mondo si divida tra Giusto e Sbagliato.
La realtà è che la situazione delle carceri nel 2013 è divenuta definitivamente insostenibile: a gennaio c'è stata la sentenza Torregiani, con cui la Corte di Giustizia CE ha condannato l'Italia per le ingiuste condizioni di detenzione cui erano stati sottoposti Mino Torregiani e altri detenuti. La Corte non solo ha condannato l'Italia a risarcire gli attori, ma ha anche dato un anno di tempo per rimettere le cose a posto: anno ormai quasi interamente trascorso. Nel frattempo il DAP ha emanato una serie di norme emergenziali che prevedono, ad esempio, un più ampio orario di apertura delle celle, una maggiore disponibilità di colloqui, servizi igienici, attività ricreative etc. Ma il tutto rimane sulla carta, in quanto per attuare tali disposizioni serve il personale, ma il personale, già tagliato all'osso, è sottoposto a ulteriori tagli perché dobbiamo risparmiare. E così risparmiamo sulla polizia penitenziaria solo per poi spendere in cause e rimborsi, dato che da gennaio 2014 qualsiasi recluso potrà far causa all'Italia con la relativa certezza di un risarcimento.
A luglio, come accennavo sopra, sono arrivati i numeri di Antigone che hanno smentito quelli del DAP; e il ministro ha dovuto riconoscere l'errore.
Dunque, cosa dovrebbe fare la Cancellieri? Non certo dimettersi per l'affare Ligresti, una di quelle solite polemiche di un giorno che dopo una settimana saranno cadute nel dimenticatoio.
Dovrebbe, invece, prendere la parola in Parlamento e spiegare come stanno le cose: basterebbero poche righe. Spiegare che serve un provvedimento di clemenza straordinario, e una riforma della legislazione (in particolare in tema di stupefacenti) che consenta di ridurre i nuovi ingressi; spiegare che questo è l'unico modo per far sì che coloro che rimarranno detenuti possano essere sottoposti al trattamento che è previsto dalla legge; chiarire che in ogni caso servono fondi per assumere il personale di trattamento (psicologi, educatori etc: tutta gente che perlopiù oggi opera con contratti a termine e a tempo determinato); minacciare le dimissioni qualora il Parlamento non conceda almeno questi provvedimenti assolutamente indispensabili.
Questo, e solo questo, è il discorso che dovrebbe essere fatto. Quello inventato da Vittorio Zucconi è un abile esercizio di retorica, e serve a far vedere quanto è bravo l'autore nel tenere in mano la penna: ma non sono quelle le minchiate che risolveranno i problemi del paese e delle sue carceri.
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