sabato 30 agosto 2008

Tutta una vita davanti

Avendone letto -perlatro con mia perplessità- molto bene; considerato che seguo con interesse una quantità di blog di precari più o meno disperati o soddisfatti; approfittando della mancanza di alternative del deserto agostano, sono andato a vedere Tutta una vita davanti.

Virzì riesce pienamente nel difficilissimo concept che si è imposto: non rappresentare nemmeno un personaggio vero; solo macchiette.  Macchiettistici i protagonisti, i comprimari, i personaggi di sfondo.  tutti sono congelati in una e una sola attitudine; tutti riescono a suonare inappellabilmente falsi.

Riuscire a rendere non verosimile persino l'anziano signore che va a puttane, quello che si vede solo per 25 fotogrammi con i pantaloni calati, richiede una capacità narrativa fuori dal comune, roba da Fellini o Ferreri.

Il punto è che una simile operazione dovrebbe essere inquadrata in una sceneggiatura adatta: in quello che sui tamburini dei giornali, non sapendo bene come descrivere, chiamano genere grottesco.  Virzì invece prende un soggetto che di grottesco non ha nulla, costruisce attorno una sceneggiatura più o meno seria e la popola di maschere vuote.

Farebbe bene, chi ha parlato di ritorno della tradizione della commedia all'italiana, a rivedersi qualche minutaggio di Sordi o di Gassmann, per capire la differenza tra una caricatura e una mera macchietta.

venerdì 29 agosto 2008

Callcenter girl

(post lunghetto che parla a suo modo di etica)

Qualche settimana fa ricevo il famigerato SMS di TIM che mi informa che la mia tariffa sarà aumentata. Faccio due calcoli, e soprattutto vedo che TIM non ha più in catalogo nessun tipo dell'unica tariffa che interessa a me, vale a dire quella che mi fa pagare esattamente quanto parlo: niente scatti alla risposta, niente scatti anticipati. Niente di niente, voglio: solo una banale formula matematica: $quello_che_paghi = $secondi * $prezzo_secondo.

Pochi giorni dopo ricevo un altro SMS che in informa che TIM mi ha attivato una fantastica e convenientissima promozione. Io odio le promozioni: parto sempre dal concetto che l'operatore vuole i miei soldi, e qualunque cosa faccia, la fa a tal fine; mentre io del mio denaro voglio fargliene avere il meno possibile. Chiamalo conflitto di interessi, se vuoi; sta di fatto che voglio essere artefice perlomeno della mia tariffa, non potendo esserlo del mio destino.

Fortunatamente, so già come vanno 'ste cose: TIM ti attiva la tariffa aggratis, e se tu non fai nulla te la disattiva, e amici come prima. Non perdi niente, ma mi girano lo stesso gli zebedei dato che l'SMS mi fa lo stesso effetto del testimone di Geova che mi citofona la domenica mattina.

Decido che dopo dieci anni TIM non è più il mio operatore; mi informo su come fare il passaggio a Wind e mi ricordo, in quella circostanza, che la mia SIM è ancora intestata a mia madre, che me l'aveva regalata: pertanto prima di fare il passaggio devo intestarmi la SIM. Vado quindi in un centro TIM, scoprendo che rubare il numero telefonico altrui è la cosa più semplice del mondo, dato che nessuno ti controlla niente; dopodiché il mio numero di telefono è veramente mio.

La sera, telefono al 119 per verificare che la modifica di intestazione sia stata inserita a sistema; la signorina cordiale (chiamiamola Alessandra) mi conferma la cosa e mi chiede un minuto per descrivermi la fantastica promozione, e convenientissima. Io, che non solo ho visto Tutta la vita davanti, ma addirittura ho anche fatto eoni fa l'intervistatore, mi faccio gentilmente descrivere la tariffa, senza nemmeno ascoltare, e poi saluto caramente.

Qualche giorno dopo mi arriva l'ennesimo SMS che mi dice: "occhio, tra due giorni ti si rinnova la promozione: se vuoi disattivarla fai questo e quello". La cosa mi fa incazzare come una belva: io non ho alcuna intenzione di passare anche un solo secondo della mia vita a pararmi il culo per evitare che la TIM mi freghi anche un solo euro. Avrei potuto essere all'estero, avrei potuto essere in ospedale; potrebbero avermi amputato le mani impedendomi di mandare SMS di disattivazione a destra e a manca. E poi mi viene fuori l'anima da giurista, che sa che nessun soggetto può stipulare un contratto con il silenzio-assenso.

Telefono quindi al 119, veramente incazzato, e scopro che avrei dato il mio consenso. Faccio uno più uno e capisco che la simpatica signorina della volta precedente, Alessandra, non solo mi ha descritto la tariffa, ma me l'ha anche venduta.

La nuova signorina mi chiede se voglio aprire un reclamo. Ha una sfumatura di voce dalla quale colgo un invito a fare tarallucci e vino e non pensarci più, per non mettere nei casini l'operatrice che aveva fatto l'attivazione; io sto un po' sospeso e poi le chiedo di aprire il reclamo

Non sarebbe cambiato niente se io quel reclamo non l'avessi aperto: non avevo ancora pagato nulla e la cosa sarebbe finita lì. Ora invece Alessandra, nell'ordine: andrà nei casini, verrà cazziata, perderà il premio, verrà licenziata, perderà la casa, le toglieranno la figlia e si suiciderà col gas, facendo esplodere l'intera palazzina (tragico bilancio di 25 morti e 87 feriti).

Però, Alessandra si è approfittata di me; e tramite suo (e di centinaia di ragazze nelle sua condizioni) la TIM si approfitta del fatto che per uno che si incazza ce ne sono 500 che si fanno succhiare i tre euri senza accorgersene; e 50 che se ne accorgono ma stanno zitti, per non far andare nei casini una povera signorina.

So bene che la colpa non è di Alessandra, ma del modello produttivo che TIM ha potuto mettere in piedi (grazie a Biagi e Ichino, to'); e so altrettanto bene che la mia reazione non colpirà TIM: ne farà le spese solo Alessandra, che è l'ultima ruota del carro che nessuno tutela.

Forse ho fatto la cosa giusta: nessuno in fondo obbligava Alessandra ad essere connivente con quel modello; ma è anche vero che quando si versa nel bisogno non si può andar tanto per il sottile, ed è per questo che non la sento colpevole. Allo stesso modo avverto fortissimamente la colpevolezza di TIM, e mi sento inadeguato per il fatto di potermi rivalere solo su Alessandra.

Mal comune mezzo gaudio

Una volta tanto un articolo di Repubblica scalda il cuore: non siamo soli!

La pubblicazione di una fotografia nell'edizione brasiliana della rivista
Playboy, in cui una celebre attrice appare seminuda e con un rosario in mano,
sta provocando forti polemiche in Brasile. La Chiesa locale ha ottenuto dal
tribunale uno stop alle vendite del numero di agosto.

Il velo e il museo

La recente vicenda del guardiano di museo che ha impedito l'ingresso a una donna coperta dal velo islamico offre l'occasione per una riflessione sui diritti di libertà nella nostra società.
Credo sia necessario premettere che dal punto di vista intimamente personale a me infastidisce profondamente vedere per strada donne coperte da capo piedi; ma non desidero qui illustrare le mie pulsioni personali, bensì analizzare metodicamente qual è l'atteggiamento che sarebbe corretto tenere secondo ragione.
Ulteriore necessaria premessa è che nella nostra società nel valutare la liceità dei comportamenti individuali si parte dal principio per cui è consentito tutto ciò che non è proibito; e quindi non è la donna velata che deve rintracciare una norma etica o giuridica che la legittimi a velarsi, bensì il custode del museo che deve adeguatamente motivare il proprio comportamento.
Ciò posto, credo che, anche alla luce del dibattito che si è sviluppato, vi siano due sole possibili ragioni in base alle quali si potrebbe o dovrebbe vietare l'accesso al museo, vale a dire:
- l'indebita ostentazione di simboli religiosi (vieto il velo e la Kippah);
- i motivi di ordine pubblico (vieto il velo e il passamontagna).

Vediamo ora se le regole della nostra società sono coerenti rispetto all'una e/o all'altra motivazione.

Per quanto riguarda l'indebita ostentazione in luogo pubblico di simboli religiosi, si noti anzitutto che si tratta di un problema etico e non giuridico, dal momento che non esiste una norma penale o amministrativa che vieti di andare in giro con velo o Kippah. A tal proposito si è –a mio parere a sproposito- tirato in ballo il dibattito francese sul velo a scuola, che tuttavia nasce in un contesto ben diverso.
Diciamo subito che secondo me un insegnante che si presentasse in classe con il velo o la Kippah dovrebbe essere immediatamente allontanato dalle lezioni: e ciò perché l'insegnante è un pubblico ufficiale che deve porsi equanimamente nei confronti di tutti, e non dichiarare la propria vicinanza ideologica a un gruppo di studenti. Va da sé che, nella misura in cui la religione cattolica non è religione di Stato, lo stesso medesimo identico ragionamento vale per le croci; e se la croce ci dà meno fastidio non è perché sia ontologicamente meno connotata religiosamente: è solo che alla croce siamo più abituati.
Diverso è il discorso per quanto riguarda gli studenti: ciascuno di essi non rappresenta che sé stesso, e quindi dovrebbe essere libero di fare come gli pare; tuttavia credo che l'ostentazione di un'appartenenza rischi seriamente di turbare la particolare alchimia di una classe, vanificando o comunque ostacolando il progetto educativo; e quindi, nel nome dell'interesse generale, credo che per lo studente valga quanto detto per l'insegnante.
Tutte queste sono belle parole, ma si scontrano con la banale constatazione che nelle nostre classi sono appesi i crocefissi; e allora se si vuol essere coerenti secondo me i casi sono due: o riusciamo a rimuovere i crocefissi, o consentiamo agli insegnanti di presentarsi velati.
Ancora diverso, comunque, è il caso dell'utente occasionale di un servizio pubblico quale un museo, che sicuramente non rappresenta altro che sé stesso e che quindi può ostentare tutto ciò che gli pare, sempre purché il simbolo religioso non sia contrario alla decenza o costituisca apologia di un crimine, come potrebbe essere il caso di una setta pedofila o paranazista.

Veniamo ora al problema, completamente diverso, dei motivi di ordine pubblico. Esistono delle norme (emanate in tempi non proprio gloriosi del nostro lontano e recente passato) che vietano di presentarsi in pubblico a volto coperto: pertanto come non posso entrare nel museo con il passamontagna, così non posso entrarci con il velo.
E' un ragionamento che ha molto di condivisibile, ma anche qui ci scontriamo con la constatazione che il museo non è diverso dalla strada: pertanto se vieto l'accesso al museo devo anche vietare e sanzionare tutte coloro che circolano in strada così acconciate; e non de jure condendo, ma proprio in base alla normativa vigente.
Qui il problema è l'applicabilità della norma: i poteri pubblici sono in grado di assicurare questo controllo sul territorio? Perché io gente con il passamontagna in giro non ne vedo, ma donne coperta da capo a piedi sì, e tante.
E se la maggioranza di costoro viene lasciata in pace, e gli episodi sanzionati sono talmente rari da finire sul giornale, vuol dire che la norma nella nostra società è da considerare di fatto superata (un po' come quegli statute americani che in alcune città vietano di praticare vietano il sesso orale); e quindi il singolo che per avventura viene colpito ha tutto il diritto di considerarsi ingiustamente discriminato.

Ora, siamo sicuri che nella nostra società sia possibile sanzionare un comportamento che è sentito come dovuto da una parte di popolazione certo minoritaria, ma comunque numericamente non minuscola e in crescita (e non mi riferisco tanto al fatto che sia giusto, bensì praticabile)?
E' un problema che non mi devo porre tanto io o il guardiano, e che non può essere demandato alla sola legge Reale, promulgata più di trent'anni fa per rispondere a esigente totalmente diverse (il passamontagna, per l'appunto): richiede un ripensamento del nostro modo di vivere il tessuto urbano e sociale, che non può prescindere da un intervento squisitamente politico dei poteri pubblici.

Goldrake

Video di Alessio Caraturo da vedere e piantarci anche una lacrimuccia


giovedì 28 agosto 2008

Fare cose di sinistra - Ichino

Certo, le parole sinistra e Ichino l'una a fianco all'altra fanno un po' ridere; ma l'intervista oggi su Repubblica vale almeno 60 centesimi (i rimanenti 40 centesimi possono essere recuperati usando il mezzo chilo di carta del giornale per accendere il barbecue).

In buona sostanza il nostro dice: è vero, quei lavoratori in esubero di Alitalia non hanno speranze, perché in un paese civile avrebbero a disposizione gli strumenti per trovare un lavoro alternativo, ma qui quelli strumenti non ci sono.

Una persona di media intelligenza arguirebbe che, allora, o si creano gli strumenti, o si cerca di venire incontro a quei poveretti: perché 5.000 persone che cercano lavoro tutte insieme (e perlopiù tutte a Roma) sono un bel problema sociale.

Cosa dice invece il nostro? Che "questo modo di procedere può generare soltanto occupazione improduttiva e oneri sostanzialmente assistenziali a carico di queste aziende".

Del destino di 5.000 famiglie se ne strabatte: quello che importa è l'efficienza produttiva. Non è Reagan, che parla; non è la Thatcher: è un eletto del Piddì.

Fare cose di sinistra - Alitalia

Non è del tutto chiaro, dalle anticipazioni di stampa, come sarà definita oggi la vicenda Alitalia: questo post nasce quindi già vecchio ma può sempre servire per futura memoria.

Se ben ricordo, al tempo del governo Prodi la soluzione prospettata aveva come priorità quella di rispettare i vincoli di mercato ed europei, e prevedeva la vendita (o svendita, secondo l'estro del commentatore) ad Air France, con piena libertà per quest'ultima di far quel che voleva della compagnia, delle rotte e degli esuberi (salvo il rispetto della legge italiana, ovviamente; che però ormai non tutela più il lavoratore esuberante).

La soluzione proposta oggi prevede di spezzare la parte buona e quella cattiva; regalare cedere la parte buona a una cordata di capitani coraggiosi (non molto coraggiosi, stavolta, visto che rischiano poco del loro) e commissariare la parte cattiva, i cui debiti finiranno per essere accollati dallo Stato.

Questo, detto in altre parole, significa socializzare le perdite e privatizzare i profitti. E non è punto bello. Ma ecco che il Governo ci mette la ciliegina sopra, e offre di riassumersi i 5.000 e rotti esuberi, alla faccia del blocco delle assunzioni e dei risparmi alla Brunetta.

E' evidente che i due aspetti non sono collegati fra loro: la riassunzione degli esuberi (i.e. la socializzazione del problema dei lavoratori) avrebbe potuto essere proposta anche da Prodi, se avesse avuto non tanto il coraggio, quanto la forma mentis necessaria a fare una cosa di sinistra; ma quand'anche gli fosse passato per la mente, il suo Papa nero (il mitico TPS) non glielo avrebbe permesso.

Il Governo Berlusconi questo problema non se lo pone, come non si pone il problema di dimostrare un minimo di coerenza; agisce, invece, e agendo dimostra di saper contemperare gli interessi contrapposti, sparigliando un qualsiasi tentativo di analisi.

Al commentatore trinariciuto che rileva che gli unici a guadagnare sono Colaninno e soci, si potrà sempre rispondere che quelli che guadagnano di più sono i lavoratori che rischiavano di finire per istrada; e a quello iperliberista che lamenta l'aiuto pubblico sulla bad company si obietterà che la compagnia è ora totalmente affidata al mercato e alla crema dell'imprenditoria italiana.

Sarebbe bello analizzare cosa ne pensa l'opposizione, ma è un compito troppo arduo per la mia limitata intelligenza. Quello che ho capito è che Bersani la pensa come Francesco Giavazzi il quala a sua volta, sul Corriere, non si perita di affermare che la sua principale preoccupazione sono i rischi che correrebbero gli imprenditori rampanti!

martedì 26 agosto 2008

Ti venisse un cancro

Tu, che sei passato davanti al Mujio e hai visto una bici lì, di qualcuno che stava bevendosi il suo aperitivo, in pace con il mondo.

Tu, che hai guardato meglio e hai visto che la bici era slegata, dato che stava proprio fuori dal bar a fianco agli sgabelli.

Tu, che non sei certo uno che ruba bici per campare (sarebbe stato troppo pericoloso), bensì un ragazzino viziato che magari aveva appena finito di trangugiare una schifezza tipo daiquiri alla fragola.

Tu, che hai pensato "tanto che cazzo me ne frega", hai preso quella bici e te ne sei andato a fare un giro.  E chissà dove l'hai lasciata.  Con il mio seggiolino del pupo, la mia catena nuova, il mio cestone della spesa.

Tu, che hai pensato, e giustamente, che il proprietario di quella bici era proprio un cretino, a lasciarla lì così.

Ti venisse un cancro.  Anzi, rassicurati: ti verrà di certo.

Le belle notizie della rentrée a Milano /2

Era da tempo che non andavo al Colosseo, per cui non è detto che questa sia proprio una notizia della rentrée; sta di fatto che in prima fila ho trovato delle meravigliose dormeuses iperspaziate tra loro: sedervicisi fa un po' lo stesso effetto che viaggiare in prima classe anziché in classe economica.

Le belle notizie della rentrée a Milano /1

Ora i durum di Mekan sono fatti con la piadina impastata a mano e cotta al momento. Il loro durum già era praticamente perfetto; così fa un ulteriore passo avanti.

Meglio evitare i momenti di grande affluenza (in quanto in tal caso usano anche un po' di piadine precedentemente preparate e riscaldate, per evitare code chilometriche).

venerdì 8 agosto 2008

Il bello del social networking

Ti iscrivi su Facebook (l'ennesimo servizio che promette meraviglie e che poi non userai mai se non vuoi che ti caccino a pedate dal posto di lavoro).

Ti chiede se vuoi che lui trovi amici per te (una bella evoluzione: quando ero piccolo, mia madre offriva le caramelle ai bambini, perché diventassero miei amici).

Ti chiede la tua password di gmail (da ex-sysadmin paranoico, cambi la password, inserisci la nuova, lo fai collegare, ricambi la password.  E poi ripeti tutto due-tre volte finché non funziona).

Ti trova gli amici. Clicchi una volta di troppo.

E così, spedisci una raffica di "vuoi diventare mio amico?": a persone che hai conosciuto in un passato remotissimo; a persone che non hai mai conosciuto e chissà perché gmail invece le conosce per te; a persone che sai chi sono perché hai scritto loro una volta nella tua vita, magari per insultarle.

A persone che ti avevano dimenticato; che speravano di averti dimenticato; che speravi ti avessero dimenticato.

Rivoglio il mio fogliettino con i numeri stampati fitti fitti, nel portafoglio.

giovedì 7 agosto 2008

Salva l'Italia

Tempo addietro, ai tempi degli scazzi tra Uòlter e Tonino su manifestazioni e girotondi, appresi che il PD avrebbe fatto ben più di una manifestazione di piazza: avrebbe nientepopodimeno che "presentato una petizione". con cinque milioni di firme, per di più!

- "Finalmente: fatti, non parole!" fu il mio entusiastico commento; e passai a cose più interessanti disinteressandomi del tutto della vicenda.

In questi giorni il clamoroso successo dell'iniziativa, testimoniato dall'adesione senza riserve offerta dai maggiorenti del partito, mi ha spinto a cercare in rete il testo di questa benedetta petizione, e leggermelo.

Orbene: già il PD aveva nel mio immaginario lo stesso odore della mamma di Norman Bates; ma dopo aver letto quel foglietto non so veramente più trovare parole.

I temi sui quali Veltroni vorrebbe convincermi a firmare sono vecchi e puzzano di stantio già ora; figuriamoci a ottobre quando 'sto po' po' di firme dovrebbe essere presentato (a chi, poi: a Napolitano? a Berlusconi? alla neonata TV Youdem?) e nessuno ricorderà più nemmeno alla lontana a che cosa ci si riferiva.

Nel frattempo metà dei punti sono diventati inattuali. Le impronte digitali per i bimbi rumeni non verranno più prese, dato che grazie al PD verranno prese a tutti indistintamente (forse che la schedatura è tale solo se viene applicata alle minoranze, e non lo è più se sono tutti schedati?); e il blocco dei processi per un anno è stato superato dal lodo Alfano.

Continuiamo così, facciamoci del male...

Giocare con i numeri

Una delle (poche) cose che so fare veramente bene è di giocare con i numeri per far dir loro tutto e il contrario di tutto.

Datemi una base di dati, una tesi da dimostrare, e io faccio dire a quei dati che la tesi è vera; e poi gli faccio dire anche l'esatto contrario.

E' per questo che quando il ministro Brunetta si vanda di aver ottenuto una la riduzione del 37% dell'assenteismo mi fa sorridere, e pagherei qualche centesimo per avere i dati grezzi su cui si basa quell'indicatore.

Il Commissario Santamaria


Rileggendo Fruttero e Lucentini mi sono imbattuto in questa pagina.
Com'è, come non è, mi è sembrata perfetta per Makkox, che spero ne tragga una vignetta o una striscia da par suo.


venerdì 1 agosto 2008

Farsi i fatti propri /2

Forse che il PD abbia letto il post poco qui sotto intitolato "Farsi i fatti propri" e ne abbia tenuto conto quando si è trattato di decidere se votare alla Camera sul conflitto di attribuzione relativo al caso di Eluana Englaro?

No, perché se così fosse, guarda Walter che non è che dovessi prendermi proprio alla lettera

Vacanze in Sardegna

Sono appena tornato dalle vacanze in Sardegna, dove sono stato in visita parenti essendo (fortunatamente) per un quarto sardo.

Non ci andavo da 15 anni, e ho ritrovato posti meravigliosi e gente fantastica.

Praticamente non ho speso nulla, essendo ospite. Ma mettendomi nei panni del turista normale, e guardandomi un po' attorno, ho constatato che se non si va in Costa Smeralda e dintorni, i costi sono ridicolmente bassi, e vi sono dei luoghi che non hanno granché ad invidare alle località più blasonate.