giovedì 25 settembre 2008

Mutui e rinegoziazioni

Ho pensato che se proprio voglio rendermi utile, tanto vale scrivere qualcosa su un argomento che ne valga la pena, rivolto a una generalità di persone.
Oggi quindi vi racconto come funziona la rinegoziazione dei mutui: non quella di Bersani, bensì quella più recente di Tremonti.

Naturalmente prima di tutto vi annoio con un pippone di inquadramento storico e di richiami normativi.

Partiamo dall'inizio: con l'ingresso dell'Italia nell'area Euro i tassi di interesse hanno preso a scendere vertiginosamente, e hanno raggiunto livelli minimi tra la fine del 2003 e l'inizio del 2005 (se proprio volete verificare, qui trovate i dettagli). Questo mutamento del mercato ha avuto in Italia un effetto sconvolgente.

In effetti gli italiani hanno storicamente avuto una fortissima propensione all'acquisto della casa di abitazione, in percentuale molto maggiore che nel resto d'Europa. Il problema era che con i tassi di interesse in vigore negli anni '80 il mutuo poteva supplire a una piccola parte delle necessità finanziarie connesse all'acquisto di una casa: in pratica serviva per comperare la cucina e la cameretta, il resto bisognava mettercelo di tasca propria. In tale quadro esisteva un fiorente mercato degli affitti, cui accedevano tutte le classi sociali.
Con la diminuzione dei tassi il mutuo è diventato sempre più abbordabile, fino al punto in cui è diventato di fatto più conveniente dell'affitto stesso. Vi risparmio i motivi per cui ad un certo punto l'affitto è diventato più costoso: roba di matematica finanziaria. Sta di fatto che a un certo punto, in Italia, chi aveva pochi soldi ha iniziato a dover comprare casa: tanto che il mercato degli affitti si è concentrato su immobili del tutto marginali -le cosiddette case popolari e simili- o su abitazioni di pregio destinate a locatari di classe sociale assai elevata, che avevano interesse a far transitare l'operazione da società costituite allo scopo per sfruttare i vantaggi fiscali o che semplicemente non volevano impegnarsi in un investimento di breve durata.
Quindi una marea di italiani dal 1997 in poi ha comprato casa, prendendo a prestito i fondi necessari dalle banche tramite un mutuo. I mutui potevano essere contratti a tasso fisso oppure a tasso variabile; quest'ultimo è di regola più conveniente, e lo era sicuramente in quegli anni: scopriamo perché e vedremo che questo ci consentirà subito di sfatare un mito.
La banca prende i soldi in varie maniere, ma il maggior volume di denaro viene movimentato su base giornaliera o comunque di brevissimo termine (in verità questa è una semplificazione: ci torneremo sopra, ma per ora pigliatela così). La banca, quindi, il denaro lo paga a tasso variabile (perché anche la banca paga il denaro, mica lo trova sugli alberi). Dato che il tasso variabile può variare, come dice il nome stesso, anticiparne la misura nel tempo è rischioso, e il rischio va remunerato.
Detto in altre parole: oggi pago il denaro al 4%, domani potrei pagarlo al 4%, al 3% o al 5%, ma non so quale sarà la misura futura. Se sono un banchiere ho due scelte: o dico al cliente di starmi dietro, e quindi di pagare il denaro quanto lo pago io, più un pezzettino (lo spread); oppure accetto di rischiare e gli vendo il denaro a un tasso che rimarrà sempre fisso.
Se il cliente mi paga a tasso variabile, il rischio che corro è solo il rischio di credito, vale a dire il rischio che il cliente non mi paghi. Se mi paga a tasso fisso, corro il rischio di credito ma anche il rischio di tasso, vale a dire che a un certo punto io, banchiere, stia pagando il denaro più di quanto me lo sta pagando il cliente.
Un rischio contro due rischi: è per questo che il tasso variabie costa di meno del tasso fisso. Vedete che l'ottica del banchiere è molto diversa da quella del mutuatario: per il banchiere il tasso fisso è rischioso, dato che per lui conta quanto giorno per giorno paga il denaro; mentre per il mutuatario la logica è opposta.
Il mutuatario ha di regola una o più entrate fisse, con cui deve pagare l'abitazione, le spese condominiali, il cibo e quant'altro. Per lui il rischio vero è quello di non farcela a fine mese: gli importa abbastanza poco se il banchiere ci guadagna più o meno abbondantemente: l'importante è arrivare al 27!
Come che sia, negli anni che ci interessano i tassi variabili sono diventati ridicolmente bassi. Orbene, i tassi non possono scendere sotto lo zero, ma possono ben salire molto sopra: quindi più la misura del tasso corrente (variabile) scende, più si allarga la forbice rispetto al tasso fisso che un banchiere è disposto a fare. Quando il tasso è al 2%, può scendere al massimo all'1%, ma può anche salire al 3%, al 5%, o addirittura al 9%! Perciò le possibilità di salita sono molto superiori rispetto alle possibilità di discesa.
Le banche proponevano due tipologie di mutuo: a tasso fisso e a tasso variabile; ma il tasso variabile era molto meno costoso del tasso fisso, dato che quest'ultimo era più rischioso.
Ne consegue che quasi tutti coloro che si sono indebitati in quegli anni lo hanno fatto a tasso variabile: la differenza era tale che ben pochi hanno preferito scommettere che la pacchia non sarebbe durata: quasi tutti hanno scelto di pagare subito quanto meno possibile. In effetti non era proprio una scelta: il fatto era che se si fossero indebitati a tasso fisso non sarebbero riusciti a pagare la rata; l'affitto non riuscivano a pagarlo... che rimaneva?
Attenzione, però: la banca non aveva alcun interesse a preferire una forma di mutuo rispetto all'altra: poniamo ad esempio che la banca avesse stabilito che sul variabile voleva far pagare il tasso base più uno spread dell'1,5%, mentre sul fisso voleva il 7%. Bene: le due soluzioni sono per la banca perfettamente equivalenti: la banca non ha alcun interesse a spingere l'una o l'altra: e questo perché è la banca stessa che, con strumenti complicati (i derivati) trasforma internamente i tassi fissi in variabili e viceversa.
In sintesi, per chiudere il capitolo:
- la discesa dei tassi ha reso conveniente e necessario indebitarsi con le banche, in quanto ha distrutto il mercato degli affitti;
- indebitarsi a tasso variabile era molto meno costoso per l'utente finale, anche se più rischioso i termini di flussi ("arrivare a fine mese");
- le banche non avevano particolare interesse a spingere ad indebitarsi nell'una o nell'altra forma.

Nella prossima puntata approfondiremo l'ultimo punto e vedremo poi cos'è successo quando i tassi hanno cominciato a risalire.

(continua)

2 commenti:

  1. Ho dei dubbi sul tuo terzo punto. È vero che tecnicamente le banche si riassicurano per coprire la differenza tra i mutui a tasso fisso e quelli a tasso variabile, ma mi sa che negli ultimi anni il mercato dei derivati se ne sia andato in giro per conto suo senza più nessuna correlazione all'economia reale... un po' come le teorie matematiche astratte. Solo che in quest'ultimo caso non ci sono grandi problemi per la gente comune.

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  2. Questo è in parte un pregiudizio: bisogna distinguere il mercato dei derivati dai derivati. E' proprio per questo che nella prossima puntata dapprima parlerò un po' di questi strumenti, che sono indispensabili per il funzionamento del sistema.

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