martedì 12 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /9

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

Come vi ho detto in sin troppe occasioni, nel 2006, in attuazione di una legge-delega del 2005 e nell'ambito di una riforma complessiva del diritto societario, la Legge Fallimentare è stata completamente riformata.
La prima cosa che si può dire della riforma è che è stata fatta con i piedi. E non si tratta di un giudizio di merito: non è che mi metta a fare il comunista che vuole a tutti i costi criticare il governo Berlusconi allora in carica, no. E' proprio che sembra scritta da un branco di scimmie del Burundi; e ciò non sarebbe bello per i cittadini del Burundi e per i suoi giuristi, ma certamente è ancor peggio per un paese che crede ancora di avere qualcosa da insegnare nel mondo quanto a Diritto.
Basti un esempio: se all'art.180 si dice che "Il Tribunale [...] approva il concordato con decreto motivato", non si può poi dire all'art. 183 che "Contro la sentenza che omologa o respinge il concordato possono appellare gli opponenti e il debitore entro quindici giorni dall'affissione"; perché o (aut) è un decreto, o (aut) è una sentenza; e le due cose sono diverse, seguono procedure diverse e necessitano di rimedi diversi. Sarebbe come, per un matematico, mettere in un'equazione un e, e nel passaggio successivo un π, con la scusa che tanto sono tutt'e due numeri trascendenti.
E se all'art.163 si scrive "[...] il commissario giudiziale provvede a norma dell'articolo 173, quarto comma", non si può poi, santo cielo!, lasciare un art.173 di due soli commi; e lo stesso vale per l'art.186 "Nel caso di concordato mediante cessione dei beni a norma dell'art. 160, comma secondo, n.2", che si riferisce ad un art.160 che contiene un solo comma e quattro lettere delle quali solo la "a" parla di cessione dei beni: queste cose, credo, le capisce anche il profano senza bisogno di alate metafore; ma pensate chi si trova a sfogliare il codice e dirsi "e mo' che faccio?", avendo in ballo magari qualche milione che si rischia di perdere se si fa la mossa sbagliata.

Insomma: con l'entrata in vigore della riforma è successo un gran bailamme; e fra l'altro il numero dei fallimenti è crollato vertiginosamente, in quanto non si capiva nemmeno chi fosse fallibile e chi no, e a chi spettasse dimostrare i requisiti: se cioè fosse il fallendo a dover dimostrare di essere non fallibile, o l'istante (il richiedente) a dover provare che lo fosse. Sta di fatto che nessuno ci si raccapezzava, tanto che si è dovuta mettere in piedi in fretta e furia una nuova riforma, entrata in vigore il 31.12.2007.
L'insieme di queste due riforme ha dato luogo a una sistemazione che non è del tutto scevra da dubbi interpretativi: ma questo è abbastanza comprensibile in quanto è una caratteristica di tutte le normative nuove, che hanno bisogno di tempo per sedimentarsi nei particolari. Però adesso le linee generali si riescono a comprendere bene!

La prima cosa da dire è che con la riforma i giudici hanno molto meno spazio di prima, e correlativamente ne hanno molto di più il curatore da un lato e i creditori dall'altro.
Mentre precedentemente qualunque imprenditore non minuscolo poteva fallire (o essere sottoposto a una delle altre procedure concorsuali), ora vi sono dei requisiti che fanno sì che siano soggetti al fallimento (e alle altre procedure) solo gli imprenditori di una certa dimensione: non grossi, ma neppur minuscoli o anche semplicemente piccoli; viene poi sottratto al Tribunale il potere di dichiarare d'ufficio il fallimento (è necessario che qualcuno lo chieda espressamente).
Per quanto riguarda specificamente il Fallimento, vi sono tutta una serie di profondissime riforme procedurali che vi risparmio (del resto di procedura non avevamo parlato neppure in precedenza), mentre dal punto di vista sostanziale vi sono due cose molto importanti.
La prima, una drastica riduzione dei casi di revocatoria, sia mediante la diminuzione del cosiddetto "periodo sospetto" (dove in precedenza si richiedevano due anni, ora se ne richiede uno; e dove prima si richiedeva un anno, ora si richiedono sei mesi), e l'introduzione di una serie di esenzioni.
La seconda, una nuova procedura per la liquidazione dei beni, che tende a preservare, per i complessi aziendali, la loro continuità nel tempo (e quindi a consentirne la vendita in blocco, anche funzionanti, evitando lo "spezzatino" dei beni e la perdita dei posti di lavoro).
Per quanto riguarda la riforma delle revocatorie, si può dire che sia stata una reazione a certi eccessi che si sono sviluppati nel tempo: vero è che con la vecchia legge venivano sovente revocati atti che erano stati posti in essere in perfetta buona fede e in momenti in cui nessuno, imprenditore compreso, poteva sospettare l'avvicinarsi di una crisi: e quindi quello che era un rimedio contro le frodi era divenuto una vera e propria ingiustizia che rendeva difficili gli affari; vero è anche che con la nuova normativa praticamente le revocatorie sono divenute quasi impossibili: e quindi si è passati da un eccesso all'altro.
Per quanto riguarda la vendita in blocco di complessi aziendali, il legislatore non ha fatto altro che rendersi conto che la salvaguardia dei complessi aziendali conviene sia ai lavoratori che agli stessi creditori; per quanto a volte ciò si presti a sperequazioni che tendono a favorire taluni (lavoratori; obbligazionisti) a scapito di altri. Ma sarebbe troppo complicato spiegarne i meccanismi.

Le maggiori novità sono però state introdotte nella disciplina del Concordato Preventivo, per il quale è stato preso a modello proprio il Chapter 11 statunitense.

(continua)

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