mercoledì 23 settembre 2009

Quindici fermate

Visto che nei giorni scorsi ho parlato di West Wing, tanto vale che racconti come ho conosciuto la fortunata serie.
Diciamo anzitutto che tra tutti i mille problemi che i traduttori italiani le hanno creato, la scelta del titolo riveste un'importanza non secondaria. West Wing - tutti gli uomini del Presidente fa schifo, puramente e semplicemente; ma non è questo il punto: è proprio che per le serie non ci faccio, come dire, una malattia. Certo, è un argomento che ho visto tornare a più riprese nelle chiacchiere in rete, e quasi sempre in toni elogiativi, ma ciò non è bastato a farmene interessare.

Io abito a un paio di centinaia di passi dalla Baggina, storica e benemerita istituzione milanese fondata nei tempi in cui Giorgio Washington era ancora un suddito di Sua Maestà Britannica Re Giorgio III, e il secondo articolo della Costituzione degli Stati Uniti ancora nella penna di Madison. Un ulteriore paio di centinaia di passi più in là abitava una storica e benemerita esponente della blogosfera italiana la quale, a seguito dell'impacchettamento della casa e di tutta una serie di motivi ampiamente descritti sui suoi blog, ha recentemente deciso di cambiare aria, rendendo tutti i lettori partecipi delle sue vicissitudini (dico questo solo per chiarire che non sto certo rivelando chissà quale segreto!)
Alla fine Aurelia (useremo un nome di fantasia, per rendere del tutto impossibile al lettore il capire a chi ci riferiamo) ha trovato casa: come ovvio non ne conosco l'indirizzo, ma ho capito che la nuova abitazione si trova a una quindicina di fermate circa del metrò rispetto alla precedente.
Ora, quindici fermate possono sembrare un'inezia per chi ogni giorno si fa trenta chilometri di macchina o magari un'ora di treno per andare al lavoro; e così trasferirsi in un altro quartiere appare persino banale, per chi vive in questo grande mondo globalizzato di manager che si svegliano a Mosca, pranzano a Londra e vanno a teatro la sera a New York.
Sta di fatto che i milanesi, che pur si vantano d'essere i più metropolitani tra gli italiani, hanno in realtà un fondo di provincialismo duro a togliersi come la crosta di un arrosto attaccato alla casseruola.
Io, per dire, piuttosto che spostarmi dal mio quartiere per l'Isola, Città Studi o Niguarda, preferirei abitare a Lione, a Saragozza o a Düsseldorf (e notate che non ho detto Parigi, Madrid o Berlino, ché: -"bella forza", mi avreste risposto!)
Mia sorella, per dire ancor più, ha vissuto in Oregon, a San Diego e a Lecce: ma quando si è trattato di tornare a Milano ha preso casa in via Forze Armate, pur lavorando ad Agrate: e se andate su Google Maps capirete che non sembra un'idea furbissima, a prima vista. Il mio più caro amico ha abitato in Mongolia per un paio d'annetti, ma non riusciva a sopportare quei tre-quattro anni che ha dovuto trascorrere dalle parti di piazzale Loreto.
Non so se Aurelia condivida questo modo di sentire: magari le liquiderebbe come sciocchezze, dato che forse il modo di pensare mio e dei miei amici è vecchio e sorpassato. Tuttavia, non foss'altro per il gran parlare che ella aveva fatto del suo trasloco, e per la vicinanza che si crea d'istinto con persone di cui si sa vita morte e miracoli pur non avendole mai viste di persona, non potevo non soffermarmi a pensare a quel trasferimento con un velato senso di compassione, nel senso squisitamente etimologico del termine, quel paio di volte che nelle mie passeggiate serali d'agosto passavo sotto quella casa tutta imbacuccata e ormai vuota.
E' così che un giorno su FF vedo comparire questa riga: "casa è dove risuona, enfin, la sigla di West Wing"; e mi dico: accipicchia, se la sigla di questa trasmissione è capace di far sentire a casa chi è andato ad abitare dall'altra parte del mondo conosciuto, a quindici fermate di metrò, tra i leoni, insomma; allora dev'esserci proprio qualcosa di buono.
E quindi sono arrivato a casa, ho preso il Mulo e ho iniziato a farlo lavorare un po'; e così adesso ho finito la seconda serie, e mi accingo alla terza.

8 commenti:

  1. Mia sorella, per dire ancor più, ha vissuto in Oregon, a San Diego e a Lecce: ma quando si è trattato di tornare a Milano ha preso casa in via Forze Armate, pur lavorando ad Agrate: e se andate su Google Maps capirete che non sembra un'idea furbissima, a prima vista.

    No, non lo è. (Quando sono arrivato a Milano ho abitato per un anno e mezzo in Forze Armate, lavorando a Rozzano, e già bastava. È anche vero che una volta sposato sono andato ad abitare leggermente più lontano dall'ufficio, anche se adesso è una pacchia almeno da quel punto di vista)

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  2. Dopo "sofri", ho trovato un'altra parola insopportabile in questo blog: "ché".
    Tutto il resto, come sempre, mi piace.
    Solidarietà a chi si spara circa 150min/giorno di automobile abitando a Milano per andare a lavorare a Milano... e cerca di uscirne.

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  3. mia mamma dice "da quando sei fuori milano".

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  4. Lo ammetto, talvolta esagero: ma sto facendo sforzi per falcidiare gli avverbi in -mente e quindi sono concentrato su quello.
    In questo particolare caso, tuttavia, la critica mi sembra ingenerosa (:-P), dato che la forma accentata serviva a dare un po' di brio: la medesima congiunzione, infatti, l'avevo appena utilizzata.
    Comunque vedo che hai apprezzato che non abbia tirato in ballo LS: lui non è mica milanese, pur abitando in zona mia.

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  5. @Aurelia: ecco, appunto. Ne ero certo.

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  6. Succede anche a Roma, ma un po' meno. Pragmaticamente non pochi preferiscono abitare più vicino a dove lavorano o, meno pragmaticamente, in posti più divertenti.
    Io di recente mi sono spostata di 14 chilometri (tutto ampiamente nel perimetro cittadino) rispetto a dove vivevo prima, ma ci avevo vissuto da piccola. Però non è una cosa che ho cercato, è capitata. La forza delle radici? Chissà.
    Mog

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  7. Ecco, appunto, Mog. Non a caso dici "è capitata": mentre qui la si cerca, e con forza, anche.
    Poi anche qui, intendiamoci, c'è chi pensa che sia più comodo abitare vicino anziché lontano dal lavoro, ma è una sparuta minoranza (forse perché il lavoro lo si cambia più spesso? Mah!)

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  8. appunto: devo ricordarmi di espungere anche "ecco, appunto", oltre che gli avverbi in -mente

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