Proprio in questi giorni sono trent'anni giusti che mi innamoro. Mi era capitato anche alle medie e persino alle elementari di avere una qualche attrazione per una compagna di classe, e magari di desiderare di sposarla: ma l'innamoramento, quello fisico che comporta tutte quelle implicazioni che oggi do per scontate, lo sperimentai per la prima volta trent'anni fa.
Sono certo della data perché era il 1979: facevo la prima; sono anche certo del mese, vale a dire a metà tra novembre e dicembre, dato che quello è il periodo in cui si fanno le occupazioni: a gennaio infatti si avvicinava la fine del quadrimestre, e c'erano altre priorità che salvare il mondo.
Io ero un ragazzino un po' timido e di nessuna esperienza, e partecipavo a una cosa più grande di me (credo, ricostruendo a posteriori, che c'entrasse il ministro Valitutti quale causa efficiente: di certo non avevo idea del perché fosse giusto o sbagliato ciò che propugnava, e non mi interessava).
Lei si chiamava Caterina: era bionda, aveva i capelli corti, molto magra e dalla pelle molto chiara, un naso un po' aquilino e degli occhi azzurro-verdi, penetranti. Portava una giacca di renna, con le frange, un saffi (o come diavolo si chiamava, quella roba che portavano tutte, al tempo). Col senno di poi potrei dire che era emaciata e che non aveva scelto un buon deodorante: ma quando lei durante un collettivo si sdraiò sulle mie ginocchia, e cominciò ad accarezzarmi, non ci feci caso.
Mi innamorai, perdutamente come ci si innamora a quattordici anni: e la cosa durò settimane, benché lei già dopo un paio di giorni avesse smesso di sdraiarmisi in grembo e di accarezzarmi.
Con il tempo mi innamorai in un'infinità di modi: m'innamorai di un paio di occhi bistrati e di un nasino lentigginoso; di due labbra rosse e carnose sotto due zigomi pieni; della posizione un po' reclinata di una testa e di un sorriso imbronciato; di una posizione yoga su di una spiaggia greca; di due occhi troppo espressivi che parlavano un accento del sud; di una caricatura di Marilyn Monroe; di un profumo maschile sotto una cascata di ricci neri e di un'infinità di altre cose prive di senso, come privo di senso è in fondo l'innamorarsi.
Alcuni, di questi innamoramenti, sono stati ricambiati, per un giorno o per anni; altri si sono esauriti per consunzione, non ricevendo sufficiente alimento. Col tempo ho imparato a riconoscere i sintomi, a prevenire le situazioni più assurdamente strampalate limitandomi a cascare in quelle semplicemente strampalate.
E ho imparato anche ad essere duro fuori, sapendo che non avrei mai potuto esserlo dentro: a fingere, a dissimulare, a fare agli altri quel che non avrei voluto avessero fatto a me.
Sono passati trent'anni. La differenza rispetto ad allora è che oggi so scegliere quando ne valga la pena e quando no: ma quando ne vale la pena, abbasso tutti gli scudi e torno quel ragazzino nell'aula magna, con il piumino rosso e il cuore che batteva forte.
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