domenica 13 marzo 2011

Punto per punto

Giuliano Ferrara oggi scrive un lungo pezzo sul quotidiano del fratello del Presidente del Consiglio, spiegando i motivi per i quali bisognerebbe fare la riforma della giustizia proposta dal Governo presieduto dal fratello del proprietario del quotidiano che ospita il pezzo.
Ferrara non è il primo cretino imbrattacarte, e difatti il suo articolo è assai suggestivo: per smontarlo è necessario analizzare i passi salienti punto per punto.
il magistrato inquirente deve essere messo sullo stesso piano del difensore, mentre chi giudica deve stare al di sopra delle parti. Questo è la «separazione delle carriere». Senza, non c’è vera giustizia, c’è una grottesca caricatura della giustizia. Se l’avvocato difensore è un mendicante di diritti appena tollerato mentre il pubblico ministero che indaga e promuove l’accusa è un collega di chi emetterà la sentenza, lavora con lui, fa la stessa carriera, si appoggia agli stessi uffici, ha con il giudice una quotidiana freq­uentazione e una comunanza di interessi corporativi e professionali, la giustizia è negata in radice. Se chi oggi persegue domani può giudicare, e viceversa, alla negazione si aggiunge la beffa
Come abbiamo già detto nei giorni precedenti, il problema della comunanza di carriera è assai diverso dal problema della equiparazione processuale di accusa e difesa. Nella maggior parte dei piccoli tribunali italiani vi è una comunanza di interessi, frequentazioni e svaghi assai maggiore tra giudicante e avvocati difensori rispetto a quella che vi sia tra giudicanti e PM. Questo perché il giudicante spesso è lì da molto tempo, se non vi è addirittura nato, frequenta i circoli della buona società, va al golf, al tennis e così via; mentre il PM nei piccoli centri è spesso ad inizio carriera, ed aspetta di fare il salto andando in un centro di maggiori dimensioni. Il fatto di far parte della stessa società è un legame molto più forte del dipendere dallo stesso Ministero o dell'aver la carriera decisa dallo stesso CSM: questo sono certo che Ferrara non lo ignori, ma non ne fa cenno.
L'argine al potenziale conflitto di interessi o di personalizzazione del legame tra una delle parti processuali e il giudice risiede proprio nella professionalità del giudice, nell'obbligo che egli ha di motivare i propri provvedimenti e nel vaglio che dette motivazioni hanno di fronte alle magistrature d'appello e alla Cassazione. La separazione delle carriere per sé non significa nulla; o non significa più di quanto non significhi la separazione dei circoli del golf. Una legge organica che volesse portare all'estremo il concetto di separazione tra requirente e giudicante dovrebbe statuire che i giudici possano praticare solo il golf, i PM solo il tennis e gli avvocati difensori solo l'equitazione, facendo venir meno la possibilità che i tre attori del processo possano incontrarsi in uno spogliatoio.
Quanto al fatto che chi oggi persegue domani possa giudicare, e viceversa, abbiamo già chiarito che questa è la regola nei sistemi di diritto anglosassone, ai quali il Ferrara è così attaccato. Strano che uno che ha come soprannome "l'Elefantino" abbia una memoria così corta.
Il secondo elemento è la responsabilità verso i cittadini nell’esercizio della professione di magistrato. Se un funzionario qualsiasi sbaglia, e magari con dolo o comunque travolgendo i diritti del cittadino, quel funzionario paga ragionevolmente le conseguenze dell’errore, è responsabile civilmente del proprio comportamento. Senza questa regola, l’ufficiale dell’anagrafe assonnato e distratto può prenderci a pernacchie quando gli chiediamo un certificato all’ora del caffè. E l’irresponsabilità dei magistrati ha conseguenze più gravi di un dileggio o di un ritardo nel rilascio di una carta d’identità: pesa sulla vita delle persone, sul loro onore, sugli affetti, sulla salute, sulla libertà di noi tutti
Il Ferrara mette sullo stesso piano un compito meramente esecutivo, quale il rilascio della carta d'identità, con uno che richiede intelligenza e perizia e che è strutturalmente soggetto ad errore. L'ufficiale di anagrafe assonnato non deve prendere decisioni sulla base di dati quasi sempre insufficienti. Nessuno ha fotografato la Franzoni che uccideva il figlio, ma compito del giudice è stabilire, anche in assenza di una prova oggettiva, se lei l'abbia o meno fatto. Il magistrato è naturalmente soggetto ad errore, perché se così non fosse potrebbero esere condannati solo i rei confessi e quelli catturati in flagranza, il che, io credo, nessuno al mondo desidererebbe. L'attuale normativa in tema di responsabilità civile del magistrato (qui un sunto) stabilisce che il magistrato risponde per dolo o colpa grave, al pari del medico e dell'architetto (e ciò nonostante Alfano continui a sostenere che la riforma da lui proposta equiparerebbe il magistrato al medico!). Sono oggi esclusi dall'ambito della responsabilità professionale l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove, e ciò per la semplice ragione che le attività in questione sono inevitabilmente fallaci, e soggette a ricorso proprio per tale motivo. Immaginate di essere nei panni del giudice chiamato a decidere sull'omicidio della povera Scazzi, e che qualunque decisione prendiate o il padre o la figlia potrebbero poi venire a chiedervi conto della vostra decisione per il solo fatto di aver sbagliato, non per negligenza bensì in buona fede e utilizzando al pieno le vostre capacità professionali. Credete che in tale situazione sareste in grado di decidere? E, seguitemi bene, se davvero la magistratura è quella infame casta arroccata in autodifesa di ciascun componente; se davvero ciascun giudice ha come unico interesse quello di difendere i propri colleghi, credete davvero che la Corte d'Appello rovescerebbe un provvedimento del Tribunale, con la consapevolezza che ciò manderebbe in rovina il giudice che ha pronunciato la sentenza? No: se la magistratura è davvero composta solo da infami, i successivi gradi di giudizio diverrebbero delle mere burlette.
La terza semplice verità è che non si può essere processati una seconda volta dopo essere stati assolti. Perché? È facile da dire. Il diritto anglosassone stabilisce che si possa essere condannati solo se considerati colpevoli «al di là di ogni ragionevole dubbio»(l’avvocato Perry Mason nei vecchi telefilm contava su questa garanzia per trovare il vero colpevole e scagionare l’innocente). L’esclusione di ogni possibile ombra è un ancoraggio oggettivo del giudizio, una garanzia decisiva per le libertà civili. Da noi il principio è che si può emettere sentenza in base al «libero convincimento del giudice», un criterio meramente soggettivo. Bisogna invece che la libertà del giudice sia an­corata all’oggettività di una certezza come base per un giudizio nel giusto processo. Ed è ovvio che una sentenza di assoluzione lascia e lascerà sempre un ragionevole dubbio nell’aria, anche se nel giudizio di appello arrivasse una condanna. Dunque: niente doppio processo una volta che l’imputato sia assolto perché manca una assoluta certezza processuale
Qui il Ferrara, che prima si era dimenticato di ricordare come funzionano le cose in America, volta la frittata. Stavolta si dimentica che anche in Italia l'art. 533 c.p.p. dispone che la sentenza di condanna sia pronunciata se il fatto appare provato "al di là di ogni ragionevole dubbio", e non già in base al libero convincimento del Giudice.
Ma non è questo il punto: il punto è che nel sistema anglosassone c'è una giuria che decide sul fatto, e che non motiva la propria decisione. E' per questo che la decisione (di assoluzione o di condanna) non è soggetta ad appello: perché la decisione sul fatto essendo immotivata non può essere soggetta a gravame.
In Italia la decisione, sia sul fatto che sul diritto, deve essere motivata. E sulla base della motivazione (o carenza di motivazione) il giudice del gravame decide se il magistrato che ha pronunciato la sentenza abbia valutato correttamente o meno le prove e la qualificazione giuridica dei fatti. Notiamo, per inciso, che perlopiù in Italia il magistrato è monocratico, e per questo soggetto molto più di una giuria di dodici civili a prendere in considerazione, nei casi veramente dubbi, solo una parte delle prove, o a valutarne erroneamente il peso.
Nel sistema francese, fino al 2000, le decisioni della Corte d'Assise (strutturata come quella italiana, e quindi con giudici popolari che decidono su fatto e diritto) erano inappellabili, sia da parte dell'accusa che della difesa. Poi è stata introdotta la possibilità dell'appello anche lì. In ogni caso, quel che deve essere ben chiaro è che non si vede da nessuna parte un sistema in cui l'appello sia consentito solo alla difesa e non all'accusa

5 commenti:

  1. grazie! io rigetterei questa riforma solo perché la propone lui, ma vedo che le motivazioni sono più profonde...

    RispondiElimina
  2. Quindi va tutto bene, non c'è necessità di cambiare alcunché.

    RispondiElimina
  3. No, non va tutto bene. Quello che non si sente bisogno di cambiare l'impianto delle garanzie costituzionali, perché quelle funzionano.
    Non funziona, ad esempio, il fatto che i giudici lavorino con strumenti vecchi e non abbiano un efficiente sistema di verbalizzazione. Non funziona il carico di lavoro che costringe a fissere le udienze di appello a distanza di mesi e talvolta di anni. E non perché il giudice vada a prendere il caffè con il PM, bensì perché non si può pensare che un giudice con un carico di 5.000 cause e 220 giorni lavorativi all'anno smaltisca l'arretrato in sei mesi, salvo fare le sentenze tirando i dadi.
    Non funziona il fatto che vi sia la necessità di attivare un'azione penale per chi ha in tasca due canne, per chi imbratti i muri o per chi non paghi gli alimenti alla moglie. Che sono tutte azioni disdicevoli, ma che non meritano, a mio modo di vedere, tutela in sede penale bastando, sempre a parer mio, il procedimento amministrativo.

    RispondiElimina
  4. insomma, praticamente in tutti i sistemi giuridici più avanzati le carriere di giudici e pm sono separate, da noi no. ma siamo più furbi noi

    RispondiElimina
  5. Tutti i giudici lavorano con il pc, lo hanno in ufficio e ne hanno uno portatile che possono portare a casa forniti dal ministero (ed hanno sempre l'ultimo modello prima delle cancellerie), se poi li sappiano usare è un altro discorso.
    Pressochè tutte le udienze penali sono fonoregistrate e trascritte a discrezione del giudice.
    Per quelle civili la verbalizzazione si pone in termini diversi come ben sai.
    Il carico di lavoro non si è formato da solo e poiché ogni giudice è assolutamente autonomo nella gestione del suo ruolo, qualche responsabilità deve pure esserci.
    Se davvero tutti i magistrati lavorassero 220 giorni l'anno non ci sarebbe arretrato.
    Depenalizzare va bene, abolire il codice penale andrebbe ancora meglio se per questo.
    Le sanzioni amministrative solo teoricamente risolverebbero il problema del contrasto ai comportamenti illeciti perché colpirebbero solo quelli che hanno un reddito che può essere sottoposto ad esecuzione, chi invece è nullatenente o tale risulta (per non parlare degli stranieri) se ne frega. E comunque anche i procedimenti amministrativi sono opponibili davanti al giudice e quindi....
    Secondo me sulla giustizia non si può continuare a sostenere che è una questione di risorse da aggiungere, è una questione di teste che vanno cambiate.

    RispondiElimina

Potete scrivere tutto quel che vi pare, e io son libero di cancellare gli insulti e le cose scritte per pura provocazione gratuita.
So che è una rottura la procedura di verifica, ma quando provo a rimuoverla, entro un paio d'ore comincia lo spam, scusate.