Ben sanno i lettori di questo blog che in passato non ci siamo fatti scrupolo di difendere norme approvate dal Governo Berlusconi e che avevano come non secondario effetto quello di favorire aziende di proprietà del PresConsMin o di suoi familiari: ben rammenteranno costoro gli articoli dello scorso agosto nei quali si dimostrava come la norma relativa alla "doppia conforme" in materia fiscale fosse cosa buona e giusta nonostante Repubblica tentasse di dimostrare il contrario. Il tempo del resto ci ha dato ragione dato che l'Editore di Repubblica, dopo averci sfracassato i marroni con la domanda «ma se Berlusconi è così certo di aver ragione, perché paga anziché attendere il giudizio della Cassazione?», ha pensato bene di risolvere il proprio contenzioso fiscale pagando anziché attendere il giudizio della Cassazione.
E' proprio per tale verginità ideologica, mi si passi il termine, che mi sento abbastanza titolato per spiegare come la nuova norma proposta dal Governo, tesa a sospendere obbligatoriamente l'efficacia esecutiva delle sentenze di primo e secondo grado, sia una schifezza.
Ammettiamo che voi abbiate venduto un carico di carbone a una compagnia di esercizio di battelli a vapore, ottenendo dal compratore l'impegno a pagare il corrispettivo dopo novanta giorni. Al termine dei novanta giorni l'armatore non vi paga e, dopo esservi arrabbiati e magari aver tentato di portare a casa i soldi con le buone, andate dal giudice.
Costui esamina le carte e, appurato che il carbone è stato regolarmente consegnato e il prezzo non è stato pagato, condanna l'armatore a pagarvi una certa somma di danaro, diciamo 1000 ducati. Una volta ottenuta la sentenza, badate bene, non avete in tasca mille ducati, bensì un pezzo di carta; però quel pezzo di carta ha un timbro e una firma che vi consentono di far vendere uno dei battelli a vapore e con esso entrare in possesso dei mille ducati; ma questa è un'ulteriore complicazione, e noi faremo finta che ottenere la sentenza equivalga ad ottenere i soldi sonanti.
Ricapitoliamo: il giudice ha visto le carte, ha visto che avete ragione, e condanna l'armatore a pagarvi mille ducati. La cosa potrebbe fermarsi qui, ma spesso così non succede. Il nostro ordinamento infatti, al pari di quasi tutti gli altri, prevede che chi viene sconfitto in giudizio possa chiedere a un giudice superiore di rivedere la sentenza, in quanto a suo parere il primo giudice non ha capito nulla. L'esercizio dell'appello, che è una facoltà di chi soccombe, è teso a garantire contro la possibilità di errori giudiziari, ma non fa venire meno il principio che sta alla base del giudicare, vale a dire il fatto che un organo dello Stato possa decidere chi ha ragioe e chi ha torto in una controversia. Il presentare appello non fa venir meno la sentenza di primo grado: semplicemente la rimette nelle mani di un altro giudice che deve verificare nuovamente i fatti di causa. Ma è il giudice di secondo grado che, se del caso, con la propria sentenza annullerà la sentenza di primo grado, non è certo la parte che ha il potere di farlo per il solo fatto di essersi appellata.
Lo stesso identico discorso vale per la sentenza di secondo grado che venga ricorsa per Cassazione: anche in tal caso sarà la Cassazione a cassare eventualmente la sentenza d'appello, ma non è che la parte privata abbia il potere di farlo per il solo fatto di aver presentato il ricorso.
Dato che però siamo uomini di mondo, sappiamo bene che nel mondo ci sono tanti malandrini e cattivi pagatori: e non è del tutto improbabile che chi dovesse vincere in un grado di giudizio, e pertanto prendere i soldi, possa poi perdere nel grado successivo dovendoli quindi restituire, il che, ahimè, non è poi così scontato che avvenga. Pertanto il codice prevede che in caso di proposizione dell'appello il giudice d'appello possa valutare la condizione delle parti e in caso di gravi e fondati motivi possa sospendere l'esecutività della sentenza di primo grado. Sarebbe una bella beffa infatti se chi vince in appello non potesse ripigliarsi i suoi soldi perché il vincitore in primo grado è sparito in Venezuela, no? Ma sarebbe altrettanto una beffa se l'appellante perdesse anche in secondo grado ma nel frattempo avesse fatto sparire tutto il patrimonio rimanendo nullatenente e senza uno straccio di bene da pignorare: il vincitore della causa, infatti, risulterebbe cornuto e mazziato.
Ecco quindi che il giudice che decide per la sospensione dell'esecutività della sentenza può imporre una cauzione, per essere sicuri che qualora il secondo giudizio dovesse confermare la sentenza precedente, il vincitore possa avere i suoi soldi. Questa cauzione può essere costituita da una fidejussione bancaria, da un pegno su titoli, da cose così: robe che restano da qualche parte al sicuro e fanno stare tranquilli sul fatto che l'importo oggetto di condanna verrà pagato. Mediaset, per dire, ha ottenuto la sospensione dell'esecutività della sentenza di primo grado ottenuta da CIR, ma ha dovuto mettere lì una bella fidejussione bancaria.
Analogo discorso vale quando una sentenza d'appello viene ricorsa per Cassazione, salvo il fatto che qui sulla sospensiva decide lo stesso giudice di secondo grado che ha pronunciato la sentenza e, soprattutto, che non bastano più gravi e fondati motivi: occorre che l'esecuzione possa produrre un danno grave e irreparabile, quale il fallimento della soccombente: e si capisce che, dato che ci sono già stati due gradi di giudizio, le maglie della rete siano qui un po' più strette.
Certo, c'è sempre la possibilità che la Cassazione ribaliti il giudizio, per carità. Ma rimettetevi nei panni del nostro venditore di carbone: avete atteso il giudizio di primo e quello di secondo grado, e nel frattempo non avete visto un ducato. Certo, sapete che da qualche parte ci sono i soldi o i titoli depositati in una banca, che garantiscono che se vincerete sarete pagati; e magari avrete iscritto anche in bilancio quelle somme, tra gli attivi. Ma nel frattempo, con che li pagate, i vostri dipendenti e i vostri fornitori? Con la fotocopia della sentenza che vi ha dato ragione? No, le fotocopie delle sentenze non si possono scambiare con il cibo e non possono essere versate al padrone di casa per la pigione: dovete necessariamente trovare i soldi, magari indebitandovi in banca. E dovete indebitarvi in banca nonostante uno o due giudici vi abbiano già dato ragione, e abbiano detto che quei soldi sono vostri.
Ecco perché la sospensione dell'esecutività, nel caso del ricorso per Cassazione, viene concessa solo in casi estremi. Credete che sia giusto cambiare questo sistema? e credete che sia giusto cambiarlo proprio quando si ha a che fare con importi molto grandi, che possono mettere in ginocchio un'impresa? Magari la CIR sopravviverà (del resto De Benedetti campa assai bene anche oggi, che di soldi non ne ha ancora visti); ma tante altre imprese che fine farebbero?
ma se tu (ipotesi, perchè non ne conosco dispositivo e motivazioni) fossi un avvocato della CIR e leggendo la sentenza di primo grado ti accorgessi che è scritta male e sta in piedi con lo sputo, lo notificheresti il precetto, col rischio di perdere l'Appello, dover restituire un mare di quattrini e rimetterci anche le spese legali? Perchè io mi chiedo come mai CIR non ha ancora fatto precetto...
RispondiEliminasemplice: perchè non ha un titolo esecutivo
RispondiEliminaok, riformulo: visto che hanno in mano la sentenza, come mai gli avvocati di CIR non hanno fatto apporre la formula esecutiva e notificato la sentenza con formula esecutiva e precetto? L'ultimo decreto ingiuntivo che ho fatto su Milano mi ha richiesto un'eternità per la formula esecutiva, ma ormai è passato qualche mese. Dici che è un problema di tempi tecnici?
RispondiEliminano, non funziona così. Fininvest (o chi per essa) ha ottenuto la sospensione della provvisoria esecutività, contro prestazione della cauzione. Pertanto la sentenza non è esecutiva (sia pur provvisoriamente) fino alla definizione del giudizio di appello, e il cancelliere non può apporre la formula esecutiva.
RispondiEliminaRitirata tra mille dichiarazioni saporose, pare...
RispondiEliminapoi non capisco perché si dovrebbe discriminare sull'importo, che siano 100mila euro o 100 milioni il principio dovrebbe essere lo stesso
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