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domenica 21 marzo 2010

Panini suoi

Se Veltroni fosse un uomo politico (il che non sarebbe chiedere troppo, ad uno che nel 2007 è riuscito a far credere a qualche milione di persone di poter essere uno statista) oggi avrebbe potuto trovare l'occasione giusta per parlare della sua cara America, anziché della Juventus (ma anche della Roma).
Perché motivi ce n'erano, per far spendere una parola al più supino e acritico ammiratore del sistema politico e sociale di di costà.
Oggi, come è a tutti noto, la camera dei rappresentanti voterà la riforma sanitaria voluta da Obama. Questo evento, il cui esito ancor adesso, a poche ore dall'inizio delle votazioni, è ancora incerto, ci fornisce uno scorcio della suprema differenza tra i nostri paesi.
Da un lato infatti è per me semplicemente incomprensibile che vi sia uno Stato che -almeno fino ad oggi- non garantisce ai propri cittadini, tutti e indiscriminatamente, il bene supremo della salute fisica. E' un bene che, nel mio modo di vedere, viene ben prima di altri beni effettivamente garantiti, quali la sicurezza personale, la protezione dalle agressioni delle potenze straniere, la qualità del cibo ingerito e perfino la felicità. Senza salute non c'è felicità, e senza vita l'invasione dei rossi è un evento ininfluente, salvo per chi creda nella metempsicosi.
Questo dimostra che gli Stati Uniti non hanno solo da insegnarci, ma anche da imparare. E viceversa: perché quale miglior prova della qualità di una Costituzione vecchia di quasi due secoli e mezzo, il fatto che ancor oggi quel principio di separazione dei poteri, il quale era stato teorizzato solo vent'anni prima, sia ancor oggi pienamente efficiente? Ci sono tanti meccanismi farraginosissimi nella costituzione degli USA, ma il fatto che l'Esecutivo sia sottomesso al Legislativo laggiù è una realtà; come pure è una realtà l'assenza di vincolo di mandato e il rapporto diretto del parlamentare con la propria coscienza e i propri elettori (i maliziosi ci aggiungeranno anche i propri lobbisti).
Il voto di oggi, e le attese della vigilia, dimostrano che West Wing è una fedele riproduzione di ciò che realmente avviene a Washington, D.C.
Walter avrebbe potuto quardare un po' più di TV, anziché proseguire la collezione di figurine: perché il suo silenzio di oggi dimostra che la sua idea dell'America è esattamente come l'idea che avevo io di Parigi, da adolescente, prima di esservi andato la prima volta: un posto di delizie, bellezza e divertimento continuo.
Quella Parigi non esisteva, e l'America di Walter pure esiste solo nella sua testa. bacata.

domenica 29 marzo 2009

Papillon

Il New Yorker di marzo pubblica un interessante articolo di Atul Gawande, significativamente intitolato "Hellhole", nel quale parla delle prigioni supermax e delle unità di rigore delle prigioni ordinarie.
Negli USA vi sarebbero, stando all'articolo, circa 25.000 prigionieri rinchiusi nelle unità supermax, speciali prigioni di massima sicurezza nelle quali la detenzione avviene in completo isolamento; e tra 50 e 80 mila prigionieri in isolamento in unità di segregazione all'interno di prigioni comuni.
Nell'articolo viene anche raccontata la vite, se così si può chiamare, di due ospiti: tale Bobby Delello, che ha trascorso cinque anni e un mese in tali condizioni, e tale Robert Fulton, che vi ha trascorso quattordici anni e mezzo.
La cella di Fulton era tipica: senza finestre né orologio, muri grigi e porta d'acciaio. Inizialmente condannato a un anno di isolamento, che gli era stato comminato per possesso di un coltello artigianale trovatogli in cella, le continue ribellioni di Fulton comportarono continue proroghe del termine, talché praticamente tutta la sua condanna fu passata in totale solitudine.

Quello che veramente stupisce, tuttavia, non è tanto la storia di Fulton, né la descrizione di cosa può diventare un uomo ridotto in quello stato.
Quello che mi ha sconvolto, è l'occhiello dell'articolo: The United States holds tens of thousands of inmates in long-term solitary confinement. Is this torture?.
Is this torture? Il fatto stesso di chiederselo dimostra la perdita di quel minimo senso di umanità che distingue un popolo civile da una tribù barbara. Anzi, peggio: perché io posso comprendere, pur senza condividerla punto, la logica che sta dietro alla pena di morte per l'assassino; e persino dietro alla pena del taglio della mano per il ladro o dell'evirazione per lo stupratore.
Pene di inaudita crudeltà, ma che si esauriscono nello spazio di qualche minuto, pur avendo poi un effetto definitivo o permanente.
Ma tener chiuso uno per quattordici anni in un buco senza finestre, e sapendo che quello e tanti come lui stanno lì, e riuscire lo stesso ad andare a casa per cena, giocare con i figli e fare il barbecue in giardino, questo supera la mia capacità d'immaginazione.
Ma in fondo un carceriere non è detto sia una persona del tutto normale. Ancor peggio è quindi il New Yorker stesso, che -è vero- solleva il velo del silenzio, ma con quel punto interrogativo si trincera dietro un muro di ipocrisia. O, peggio, il punto interrogativo indica una domanda vera e non retorica.

Che dire della società americana di oggi (la stessa che ha inventato il famigerato Camp Delta, non dimentichiamolo)? Può essere interessante fare il confronto con la sentenza riportata dal New Yorker della U.S. Supreme Court, pronunciata dal giudice Samuel Miller quale majority opinion, in un caso riguardante un detenuto tenuto in isolamento per un mese:
A considerable number of the prisoners fell, after even a short confinement, into a semi-fatuous condition, from which it was next to impossible to arouse them, and others became violently insane; others, still, committed suicide; while those who stood the ordeal better were not generally reformed, and in most cases did not recover suffcient mental activity to be of any subsequent service to the community
Era il 1890!
Centocinque anni dopo, nel 1995, una corte federale, con riferimento alla pretesa incostituzionalità di una prigione supermax della California, statuì che le condizioni di detenzione potevano essere considerate hover on the edge of what is humanly tolerable for those with normal resilience, ma ciononostante non crudeli o inusuali (formula dell'ottavo emendamento, che riprende l'analoga formula del Bill of Right inglese 1689, del quale prima o poi torneremo a parlare) in quanto tali condizioni con comportano a sufficiently high risk to all inmates of incurring a serious mental illness. In altre parole: l'isolamento non sarebbe incostituzionale, dato che non fa andare tutti al manicomio.

Andando avanti nella lettura dell'articolo, si scopre che ci sono anche molti direttori di prigione che vorrebbero abolire o ridurre drasticamente i casi di detenzione in isolamento, ma non possono farlo perché le reazioni dell'opinione pubblica sarebbero insostenibili. E qui, dilaniato dal disgusto, chiudo questa noterella consigliando caldamente la lettura dell'articolo.

venerdì 12 dicembre 2008

Lessico e nuvole

Non è che da un giornalista economico si pretenda una raffinata analisi giuridica, ma titoli così fanno proprio cascare le palle..
Bankruptcy, in inglese, è il diritto fallimentare. Bancarotta, in italiano, è un reato. Sono cose completamente diverse.
Persino tradurre "Bankruptcy" con "fallimento" è una forzatura: sarebbe più corretto parlare di "concordato preventivo", ma posso ben capire che quest'ultima locuzione non sia alla portata di chiunque e quindi io stesso, qualche post fa, ho utilizzato il termine "fallimento" con riferimento ai vari Chapters previsti dal codice federale USA: ero consapevole di dare una sfumatura di significato fuorviante, ma ho preferito fare così per utilizzare un termine meno tecnico.

Vediamo di chiarire la cosa un po' più in dettaglio: il termine Bancarotta evoca rumor di sbarre battute e ferri ai polsi: giustamente, dato che si tratta del reato commesso da chi, fallito, abbia tenuto, prima o dopo il fallimento, una serie di comportamenti malandrini. Si va dalla bancarotta semplice, che è un reato tutto sommato poco grave, alla bancarotta fraudolenta, che invece è una cosa seria assai, dal momento che prevede una pena massima di dieci anni, che aggravati diventano facilmente quindici.
Il termine Bankruptcy, nel diritto statunitense, indica qualcosa di completamente diverso. Mentre il nostro procedimento fallimentare è teso a tutelare i creditori garantendo che ciascuno sia pagato nel rispetto della par condicio, il procedimento di Bankruptcy americano è teso a consentire al debitore di ripartire daccapo (fresh start): tant'è che è quasi sempre è il debitore che chiede il proprio fallimento, non il creditore: tanto che la locuzione inglese per la richiesta di fallimento suona: "Seeking relief under the Bankruptcy Code": cercare riparo.
Pensate ai casi di cui abbiam parlato poc'anzi: quelli in cui l'imprenditore italiano si è comportato talmente male da dar luogo al reato di bancarotta. Bene: proprio in quei casi il codice statunitense prevede che la richiesta di fallimento sia, molto semplicemente, respinta; e sono volatili per diabetici, dato che in questo caso i creditori tornano liberi di far polpette del debitore e togliergli le mutande.
Spero di avervi dato un'idea sommarissima -anche per motivi di mia carenza di tempo- di cosa sia un "fallimento" negli USA e una "bancarotta" in Italia: sarebbe bello che anche qualche articolista si documentasse un pochetto, prima di titolare a vanvera.

mercoledì 10 dicembre 2008

Taste of USA

In questi giorni sto lavorando molto, e il futuro si prospetta tutt'altro che roseo; del resto il mio è un lavoro squisitamente anticiclico, per cui io e i miei colleghi ci stiamo preparando a un 2009 di pena e sudore. E non essendo pagati a cottimo, non ce ne viene neppur nulla in tasca.

In particolare nella scorsa settimana mi sono studiato a fondo la pratica relativa a un credito che la banca per cui lavoro vanta nei confronti di Lehman Brothers, o per meglio dire di una delle varie consociate che hanno chiesto il fallimento negli Stati Uniti. Ho dovuto affrontare una serie di problemi giuridici di una certa complessità dei quali non parlerò qui: non tanto per una questione di riservatezza quanto perché al profano apparirebbero astrusamente incomprensibili e mortalmente noiosi.
Sta di fatto che ho dovuto rinfrescare le mie reminescenze di diritto anglo-americano (che peraltro era l'esame che più mi era piaciuto, ai tempi), studiare certi aspetti del diritto fallimentare, che fortunatamente è disciplinato a livello federale per cui è il medesimo in tutti i cinquanta stati, e tentare di farmi un'idea sull'andamento della procedura.
Ne sono originate una serie di considerazioni che vado a esporre, così come mi sono venute alla mente e senza pretesa di trarne una morale.

La prima cosa che mi ha colpito (e certo io non sono un Ferrara accecato di filoamericanesimo) è la straordinaria differenza intercorrente tra una procedura italiana e quella di Lehman Brothers dal punto di vista della trasparenza e disponibilità di documentazione. Non posso generalizzare il caso di Lehman a tutti i fallimenti USA, e neppure a tutti i Chapter 11 (che è uno dei vari tipi di fallimento nel diritto statunitense, e tipicamente quello cui si sottopongono le grandi corporation); sta di fatto che per la procedura Lehman (così come per una quantità di altre procedure analoghe) chiunque può consultare ogni singolo documento prodotto o depositato, leggere ogni singola dichiarazione di credito, accedere al verbale di trascrizione stenografica delle udienze e così via.
In pratica, questo vuol dire che riesco a conoscere infinitamente meglio e in tempo reale quel che accade davanti al giudice Peck, nel suo ufficio al sesto piano di One Bowling Green, rispetto a quello che fa uno qualsiasi dei giudici delegati del Tribunale di Milano, i quali hanno i loro uffici e le loro cancellerie qui, a 200 metri dalla mia stanza.
Ma non solo la procedura Lehman, e molte altre analoghe, mettono a disposizione del pubblico qualunque minuscolo frammento di carta; è lo stesso sistema che fornisce una incredibile messe di informazioni.
Il sito del sistema delle corti federali spiega come si fa a chiedere il proprio fallimento, quali sono i tipi di procedure disponibili, come si presenta la dichiarazione di un credito e così via. E non sono solo regole organizzative o moduli: ci sono vere e proprie lezioni che raccontano al profano, in maniera semplice, quel che dice il codice: volete sapere cos'è un chapter 11? Ecco qui: semplice ed ufficiale, garantito dalla stessa magistratura federale, che si è assunta la responsabilità di semplificare (e quindi necessariamente travisare: per questo parlo di responsabilità) il contenuto della legge.
In Italia per sapere come funziona una procedura fallimentare le uniche risorse disponibili e gratuite sono le sezioni a consultazione libera di siti commerciali, i siti amatoriali, o addirittura wikipedia e il grande cono dei blogger. Tutte realtà degnissime, e tutte accumunate dal non essere minimamente ufficiali. Certo, ci sono materie dove potrete imparare molto più da wikipedia o da un post su un blog autorevole che da un manuale, ma sappiamo bene che vi è una probabilità non infinitesima che in quel particolare momento la pagina di wikipedia sia stata riempita di minchiate o che io abbia scritto sotto gli influssi di qualche sostanza particolarmente buona e ricreativa.
E se la cosa è ancora ancora comprensibile per quanto riguarda la spiegazione della legge, diventa francamente inaccettabile per quanto concerne il testo della legge. Voi certo non lo sapete, ma la Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, che non è certo un ente a fini di lucro, mette a disposizione gratuitamente solo gli ultimi 60 giorni, che come ciascun può capire non servono assolutamente a nulla: per conoscere il testo, chessò, della legge fallimentare, il cittadino deve andare nuovamente su risorse private. E per conoscere il testo aggiornato di norme un po' meno usuali della legge fallimentare, l'unica soluzione sono risorse a pagamento (e non a buon mercato!).
E' proprio il caso di dire che la House of Representatives mette a disposizione tutto lo U.S. Code commentato, o lo avevate già sospettato da soli?

 

legalese
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