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martedì 14 luglio 2009

La journée a été rude

A conclusione di questa giornata di silenzio e di passione, credo che una cosa possa essere affermata senza troppi dubbi: e lo dico senza spirito di partigianeria, dato che, come ho detto, apprezzo le buone intenzioni di chi ha scioperato, anche se non ne condivido il metodo.
La cosa è questa: che se un giorno, in futuro, dovesse esserci qualche altra buona causa che catalizzi l'attenzione dei blogger, sarà il caso di trovare una forma di protesta diversa dallo zittimento: perché raramente si è vista protesta più inosservata e ininfluente di questa.
Certo, domani ci saranno le statistice trionfali sulla partecipazione oceanica: l'elenco dei blogger aderenti e delle stelle del cono che hanno crumirato; scoppieranno polemiche, vi saranno scambi di insulti e i server di friendfeed passeranno qualche brutto quarto d'ora a gestire lunghissimi thread di contumelie. Ciononostante, bisogna ammetterlo, in Italia dei blog si interessano solo ed esclusivamente i blogger: al resto del mondo non gliene frega proprio niente.

La prossima volta, quindi, anziché silenzio si faccia casino: magari mettendo un bel banchetto in piazza: che è l'unica notizia apparsa sulla stampa mainstream dal mondo dei blog, oggi, se facciamo eccezione per l'articolo di Zambardino, da considerare obiettivamente fuori concorso.
Stare zitti fa solo il gioco di chi vuole zittirci (oltre che a gratificare l'ego di chi ha avuto l'idea, come suggerisce Francesco Costa).

Sciopero!

Questo è un post bello lungo: tanto oggi c'è poco da leggere

Come tutti voi ben sapete, oggi c'è questo sciopero dei blog, proclamato da Alessandro Gilioliper protesta contro il disegno di legge "ammazzainternet" che verrà esaminato in Senato.
Io oggi me ne sarei stato zitto zitto, a causa di un lancinante mal di testa derivante dalla smodata quantità di alcoolici introdotti nel mio organismo a partire dalle 19 di ieri sera: ma in tal modo avrei implicitamente aderito a qualcosa che mi sembra sbagliato, e pertanto vi racconto quel che penso.

Ho già detto in precedenza che la ragione stessa del manifestare è sbagliata, in quanto il DDL Alfano non impone un obbligo di rettifica ai blog. Notate che uso il modo indicativo al posto del condizionale: Guido Scorza mi ha bonariamente rimproverato per questo motivo, dato che il diritto, a differenza della matematica, non consente dimostrazioni: e pertanto la mia interpretazione non può assurgere a verità assoluta. Uso tuttavia scientemente l'indicativo, dato che i promotori di questo sciopero non mi sembra si siano fatti in quattro per instillare una parvenza di dubbio in tutti coloro che frequentano la rete e, sulla base di un'interpretazione errata, hanno aderito alla protesta. Non vedo quindi perché io dovrei utilizzare il condizionale, dato che il mio pensiero è certo meno seguito rispetto a quello espresso da Gilioli, ma ritengo abbia pari dignità.

Ciò detto, vi sono altre ragioni per dissentire dalla protesta.
La prima, credo anche la più importante, è che polarizzando l'attenzione sulla parte del disegno di legge che obbligherebbe i blogger alla rettifica, si perde di vista tutto il resto del contenuto del DDL, che è veramente inquietante, come vedremo più in là.
La dimostrazione è semplice: se fosse stato approvato un emendamento tramite il quale si fosse esplicitamente chiarito che l'obbligo di rettifica si applica solo alle testate giornalistiche, questo sciopero non avrebbe più avuto alcuna ragion d'essere. E del resto, se andiamo a vedere il sito che raccoglie e coordina la protesta, i contenuti sono ben chiari e molto limitati: «Contro ogni bavaglio legislativo all'Internet italiana».
E' una connotazione che non condivido nel modo più assoluto: quand'anche avesse ragione Guido Scorza, e il DDL così com'è uscito dalla Camera si applicasse anche ai blog, questo sarebbe comunque un aspetto francamente marginale e risibile rispetto a tutto il resto della nuova normativa. E se poi consideriamo che Guido Scorza non ha ragione (di nuovo l'indicativo, per i suddetti motivi), la protesta risulta priva di senso.

Molti, e tra questi molti amici, hanno quindi creduto bene di aderire trasversalmente, dichiarando la propria protesta in quanto cittadini piuttosto che in quanto blogger, e estendendo la manifestazione del proprio dissenso a tutto l'impianto del DDL.
E' una posizione questa che pure mi trova in disaccordo.
Il disegno di legge si propone di conseguire due effetti: da un lato, rendere oltremodo difficile l'utilizzo a fini investigativi delle intercettazioni; dall'altro, inasprire le sanzioni di natura penale nei confronti di coloro che pubblichino notizie riguardanti procedimenti penali in corso: è evidente che il principale bersagio di tale inasprimento è la stampa: sia i giornalisti, che rispondono personalmente, sia gli editori, tramite il meccanismo della sanzione pecuniaria disciplinato dalla L. 231/2001.
Si tratta di una normativa vergognosa e indegna di un paese civile: una norma che impedisca alle forze investigative di investigare può essere introdotta solo in un Paese governato da criminali, altrimenti non ha alcuna spiegazione.
Impedire alla stampa di informare, invece, è fatto normale negli ordinamenti totalitari; ma impedire di rendere noti fatti riguardanti procedimenti penali si spiega solo se l'autore o il mandante della norma ha qualche conto aperto con la giustizia; e pertanto rientriamo nel caso che precede.
Ciononostante, non sono d'accordo con la protesta, per vari ordini di motivi.
Anzitutto, vi è un fattore di confusione tra coloro che protestano in quanto blogger contro la cosiddetta "norma ammazzainternet" e coloro che protestano in quanto cittadini contro il DDL nel suo complesso. Vero è che chi ha scelto questa seconda strada ha avuto cura di motivare la propria scelta, ma nondimeno i due aspetti si possono facilmente confondere, con il risultato di caricare i secondi sul carro dei primi e/o viceversa.
Vi è poi una considerazione di natura più strutturale: abbiamo visto che i principali bersagli del DDL sono la Giustizia e la stampa; la prima non ha modi per protestare, mentre la seconda sì, eccome.
La stampa però, dopo aver indetto uno sciopero per oggi, a seguito del quale è nata l'iniziativa di protesta in rete, ha deciso di sospendere l'iniziativa, dato che dopo l'intervento del Presidente della Repubblica è probabile che vi saranno modifiche anche sostanziali del DDL, e si è ritenuto opportuno attendere di vedere quali saranno, queste modifiche.
Io credo che una protesta dei blogger, anche se connotati come cittadini, abbia un senso solo se coordinata con gli altri soggetti che sono toccati dalla riforma: in primis, per l'appunto, la stampa. Privata di questa necessaria sinergia, la protesta mi sembra svuotarsi di significato, un po' come quegli scioperi che si facevano al liceo quelle mattine di novembre, senza contenuti che andassero granché al di là della mera voglia di scioperare. E, svuotandosi dei significati civili, l'unico
significato che resta è l'adesione, seppur obliqua, all'iniziativa maggiore, che dichiaratamente è cosa ben diversa rispetto alla protesta della stampa, e con un diverso obiettivo: come puntualizza qui Gilioli.

Vi è, infine, un aspetto che trovo un po' ridicolo: vale a dire il protestare con il silenzio. Per la carta stampata questo ha un senso, in quanto l'oggetto "sciopero" prevede come unica modalità attuativa l'astensione dal lavoro; e se i giornalisti non lavorano, i giornali non escono; perdipiù la mancata uscita in edicola dei giornali è un evento certo non rarissimo, ma che ha ancora una qual certa risonanza.
Il mondo dei blog, intendendo con tale locuzione nello specifico quella parte di rete che spende parte del tempo a scrivere i propri pensieri in veste amatoriale e quindi senza lucrare su tale attività (salvo per i più fortunati un mezzo caffé al giorno tramite AdSense) non ha motivo di scioperare in senso tecnico, dato che il proprio non è certo un lavoro; e se c'è qualcosa che connota ed unisce i blogger è proprio l'esercizio della parola e la circolazione delle idee, più che la mera informazione di servizio.
Autoimbavagliarsi, sia pur per protesta, mi sembra il modo peggiore per affermare la propria identità e le proprie convinzioni: perché i blog vivono solo in quanto usati e costantemente aggiornati; e il loro non uso va, anche simbolicamente, proprio nella direzione di chi auspica una diminuzione della circolazione di idee e pensieri.

domenica 5 luglio 2009

Libertà di blogging /3

I miei due post sull'iniziativa di Alessandro Gilioli e Guido Scorza di indire uno "sciopero dei blog" per il prossimo 14 luglio hanno dato luogo a una serie di commenti, tra cui alcuni dei promotori stessi, che potete leggere direttamente: i toni sono accesi e talora hanno trasceso i limiti che dovrebbe avere una discussione urbana.
Dopo aver inviato a Guido scorza una copia del mio ultimo commento, in mail privata e firmata con il mio nome e cognome, ho ricevuto una sua mail molto civile (e uso volutamente questo termine, nella sua accezione più nobile) nella quale egli dà atto che c'è stato un fraintendimento che ha portato ad esasperare i toni: e io parimenti do atto a lui che il registro stilistico da me utilizzato si prestava a tale fraintendimento, essendo in taluni punti un po' (forse troppo) provocatorio.
Non è il caso di riportare qui gli ulteriori argomenti sviluppati nella mail, che fa parte di una conversazione privata: credo però a questo punto sia opportuno riassumere e sviluppare i termini della questione per coloro che, non avendo il bagaglio tecnico necessario a comprendere le reciproche differenze, si chiedessero chi diavolo abbia ragione.

Parto dalla coda, e dico subito che non ha ragione nessuno, o l'abbiamo entrambi: e spiego perché.
Io, che per guadagnarmi da vivere non faccio l'avvocato, ho sviluppato le mie argomentazioni da un punto di vista dottrinale: vale a dire che ho analizzato una serie di argomenti logici che mi hanno portato a ritenere che, da un punto di vista astratto e sistematico, la migliore interpretazione possibile dell'assetto normativo che uscirebbe dalla riforma in esame al Senato (ammesso che resti immutata rispetto al testo approvato alla Camera) è quella che l'obbligo di rettifica non si applichi ai blog (si veda anche qui un'altra analisi, molto più approfondita). Si tratta, è bene precisarlo, di una conclusione non semplice, dato che la lettera della nuova formulazione dell'art. 8 della legge sulla stampa risulta tutt'altro che univoca: e difatti alla mia posizione arrivo attraverso un'analisi sistematica, vale a dire del significato della norma in un contesto più ampio e generale.
Guido Scorza ritiene che tale tesi sia ragionevole e sostenibile ma lui, che di mestiere fa l'avvocato, sa bene che altro è il diritto nell'astrazione dottrinaria e altro è la pratica dei tribunali; e che anzi spesso capita che la dottrina affermi una cosa come verità rivelata e la giurisprudenza l'esatto contrario: riassumendo il suo pensiero, e sperando di non travisarlo (comunque lo spazio dei commenti è qui a sua disposizione), egli teme che l'approvazione del DDL comunque dia luogo a un'incertezza, molto pericolosa, in quanto chiunque potrebbe intimare ai gestori di blog la rettifica dei propri scritti nell'arco di 48 ore, sotto minaccia di sanzioni molto onerose. A quel punto il blogger, che scrive per passione e per hobby, se la sentirebbe di affrontare le spese e l'alea di un giudizio, con il concreto rischio di soccombere in primo grado? O preferirebbe piuttosto rinunciare ad esternare il proprio pensiero, per vivere tranquillo?
Sono, come vedete, due aspetti di una posizione comune, affrontata da due punti di vista molto differenti: io resto convinto della bontà della mia interpretazione, ma mi rendo ben conto che per il comune cittadino sarebbe estremamente difficile affrontare le enormi spese di un procedimento giudiziario necessario a veder riconoscere la propria ragione, magari solo all'esito di tre gradi di giudizio: pertanto è vero che il DDL potrebbe assumere una funzione intimidatoria anche se, ritengo, è altrettanto vero che al blogger che volesse e potesse intignarsi, alla fine non potrebbe che esser riconosciuta la ragione.
Io stesso sono consapevole che, pur certo della bontà del mio ragionamento, non avrei esitazione a mandare questo blog a donne di facili costumi, non volendo e non potendo affrontare gli oneri di cui parlavo prima.

Nella sua mail Guido mi rimprovera, sia pur amichevolmente, anche di aver utilizzato un indicativo che dà l'impressione che quanto espongo sia verità assoluta, contrapposta al marchiano errore nel quale sono incorsi lui e Alessandro.
A tal proposito ammetto che si tratta di una critica fondata, anche se a ben vedere l'indicativo è lo stesso tempo che egli medesimo ha utilizzato nella propria analisi, e quindi il torto starebbe da entrambe le parti. Il fatto è che non si tratta di desiderio di sopraffazione, bensì di semplice deformazione professionale. Tra avvocati, e più in generale tra operatori del diritto, si tende sempre ad affermare le proprie argomentazioni, consapevoli che la controparte affermerà l'opposto con altrettanta forza: fa parte del gioco; e del resto cosa pensereste di un avvocato che alla fine di un arringa chiedesse alla corte d'Assise di assolvere il proprio assistito «perché credo che potrebbe essere innocente»?

Questo lo stato del dibattito, e sono feliche che il flame si sia spento subito: io ho poi ulteriori considerazioni sul merito del DDL, ma credo sia meglio svilupparle in un post separato.

venerdì 3 luglio 2009

Libertà di blogging /2

Alessandro (mi piace credere che sia Alessandro Gilioli, dato anche il tono professionale e la ricchezza di argomentazioni) ha commentato il mio precedente post.
Dato che si tratta di argomentazioni che meritano una risposta articolata, riporto qui per motivi di spazio sia il commento sia le mie considerazioni.
L'obiezione da lei è riportata è già stata oggetto di un dibattito tra giuristi. Le riporto in merito il parere di Scorza:

Mi piacerebbe credere che tale interpretazione sia corretta e mi auguro che, in futuro, essa si affermi come tale ma, allo stato l'interpretazione sistematica (si applica solo ai siti registrati perché è stata inserita nella legge sulla stampa) non è sufficiente a superare le conclusioni cui si perviene attraverso un'interpretazione letterale e seguendo la ratio legis.
Qui di seguito alcune ragioni:
(a) Repubblica.it, corriere.it e le altre testate telematiche registrate sono già oggi tenute all'obbligo di registrazione. Le disposizioni appena introdotte, quindi, per loro risulterebbero inutili.
(b) non c'è nessuna disposizione di carattere generale nella legge sulla stampa che circoscriva l'ambito di applicazione di tutte le disposizioni in essa contenute alle sole testate registrate ergo, benché collocata nell'ambito di tale legge, la nuova disposizione vive di vita autonoma e può essere applicata autonomamente per esigere la rettifica dal responsabile di qualsiasi sito informatico
(c) tutti gli emendamenti all'art. 15 del ddl intercettazioni erano finalizzati proprio a contenere il novero dei soggetti destinatari dell'obbligo di rettifica con la conseguenza che, evidentemente, lo stesso legislatore ritiene la formulazione di cui al maxi emendamento suscettibile di applicazione verso tutti i responsabili di siti informatici
(d) allo stato, non è affatto sancito che un blog non sia soggetto a registrazione (cfr. vicenda ruta condannato per stampa clandestina) ed il pasticciaccio realizzato con la legge di riforma dell'editoria 62/01 e, quindi, anche a seguire l'interpretazione da lei proposta sussiste il forte rischio che il blogger che si rifiuti di rettificare si veda contestare la mancata rettifica in uno con la stampa clandestina...
Non mi sembra facilissimo sostenere che il responsabile delle trasmissioni informatiche o telematiche - ovvero il soggetto dal quale può essere pretesa l'esecuzione dell'obbligo di rettifica - sia solo il direttore responsabile di una testata on-line.

All'indomani dell'entrata in vigore della norma la rettifica quindi può essere richiesta a blogger e gestori di piattaforme...

egregio signor Gilioli,
apprezzo la sua precisazione e l'attenzione concessami ma, nel merito, non posso concordare sulle conclusioni assunte.
Per chiarezza espositiva parto dal rilievo di cui alla lettera B), riguardo al quale debbo osservare che l'avv. Scorza parte dalla coda anziché dalla testa. Egli infatti esprime il concetto che non vi sia alcuna norma della legge sulla stampa che circoscriva l'ambito di applicazione alle testate registrate; ma l'art. 1 della legge sulla stampa, espressamente circoscrive l'applicabilità della legge ad un ambito ancor più ristretto di questo: vale a dire alle sole "riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione", concetto nel quale i "siti internet" non rientrano in alcun modo. E' la L. 62/2001 che ha esteso l'ambito di applicazione della Legge sulla stampa al "prodotto editoriale"; e tale estensione, come chiarisce la Suprema Corte, non è suscettibile di interpretazione analogica.
L'avv. Scorza tenta pertanto (è il punto A) un approccio sistematico, affermando che la modifica non avrebbe senso per siti quali Repubblica.it, dacché i medesimi sono già soggetti agli obblighi di registrazione; e ciò è vero, certo: ma ciò non toglie che la L. 62/2001 nulla abbia affermato in tema di rettifica; e dato che le norme sulla rettifica sono rette dalla L. 47/1948, che espressamente limita l'ambito di applicazione alla "stampa", ne consegue che, sempre da un punto di vista sistematico, legittimamente si sarebbe potuto affermare che la rettifica oggi non sia applicabile a "prodotti editoriali" pubblicati su internet.
La modifica introducenda tramite il DDL colmerebbe tale lacuna (e quindi avrebbe un suo autonomo valore dal punto di vista sistematico, tale da affermare che si tratterebbe di una norma valida ed efficace anche se limitata al mondo delle testate registrate), e in più offre un quadro normativo certo per i tempi di pubblicazione della rettifica, che altrimenti resterebbero arbitrari (ritengo infatti assai dubbio che un "sito internet" possa essere assimilato a un "quotidiano" per il solo fatto di essere in rete tutti i giorni; e pertanto il tema dei tempi di pubblicazione resta, oggi, vago).
Quanto alla lettera C), il fatto che in sede di discussione legislativa vengano respinti degli emendamenti fa parte del normale gioco politico, e Lei sa benissimo che in queste vicende spesso l'approvazione dell'emendamento ha un valore puramente mediatico, potendo essere sfruttato per affermare l'esistnza di un dissapore nella maggioranza. In ogni caso, l'utilizzo a fini ermeneutici dei lavori preparatori è evento assai raro, e utilizzato solo su temi nei quali la lettera della legge non offre sufficienti elementi per decidere la controversia.
Mi lasci inoltre osservare che qualora il legislatore avesse effettivamente voluto imporre l'obbligo di rettifica a qualunque utente della rete avrebbe dovuto modificare il primo capoverso dell'art. 8, che impone l'obbligo di rettifica a "Il direttore o, comunque, il responsabile" (laddove l'espressione "responsabile" deve essere coordinata con il disposto dell'art. 3 u.c.): in assenza di tale modifica, nulla legittima ad estendere l'ambito di applicazione dell'art. 8. 
Quanto al punto D, è lo stesso avv. Scorza ad aver affermato che la sentenza del Tribunale di Modica è profondamente sbagliata; e la Sentenza di Cassazione richiamata nel mio post (posteriore alla sentenza modicana) offre un eccellente conferma dell'interpretazione a suo tempo fornita dall'avv. Scorza.

Con tutto ciò, lo ripeto esplicitandolo, non voglio assolutamente dire che la legge sulle intercettazioni sia buona o anche solo esprimere un giudizio di neutralità sulla medesima: e anzi esprimo la più piena contrarietà rispetto ai contenuti del DDL, sia sulla parte prettamente procedurale, che limita l'utilizzo delle intercettazioni per l'individuazione di reati e dei relativi colpevoli, sia su quella che limita fortemente il diritto di cronaca.
Ciò non toglie che, a mio giudizio, il ventilare in capo al mondo dei blogger un pericolo di bavaglio che a mio parere non ha ragione di essere individuato, sia controproducente: credo sarebbe stato infinitamente meglio che da parte del mondo della stampa (mondo nei confronti del quale i blogger in media sono molto critici, ma del quale ciononostante rinconoscono l'indispensabilità) si fosse cercata l'adesione alla propria protesta da parte del mondo della rete, amplificando e diffondendo le giuste rivendicazioni contro una legge iniqua.

aggiornamento continua qui

Libertà di blogging

Prescindendo dal merito del disegno di legge sulle intercettazioni*, desidero soffermarmi solo sull'art. 15, sul quale sta nascendo un enorme can-can paragonabile a quello che si era originato al tempo dei famigerati 400 milioni di lavociana memoria.
Ve lo dico così, secco secco e senza commenti.
L'art. 15 del Disegno di Legge modifica l'art. 8 della L.47/1948 (Disposizioni sulla stampa), imponendo degli obblighi e dei tempi stringenti in tema di rettifica.

La legge 47/1948 non si applica a forum di discussione e altri mezzi di manifestazione del pensiero non strutturati come testate giornalistiche.
Lo dice la sentenza Cass. Pen. n. 10535 del 11/12/2008, di cui riporto uno stralcio grassettato dove occorre:
Gli interventi dei partecipanti al forum in questione, invero, non possono essere fatti rientrare nell'ambito della nozione di stampa, neppure nel significato più esteso ricavabile dalla L. 7 marzo 2001, n. 62, art. 1, che ha esteso l'applicabilità delle disposizioni di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 2 (legge sulla stampa) al "prodotto editoriale", stabilendo che per tale, ai fini della legge stessa, deve intendersi anche il "prodotto realizzato... su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico".
Il semplice fatto che i messaggi e gli interventi siano visionabili da chiunque, o almeno da coloro che si siano registrati nel forum, non fa sì che il forum stesso, che è assimilabile ad un gruppo di discussione, possa essere qualificato come un prodotto editoriale, o come un giornale online, o come una testata giornalistica informatica. Si tratta quindi di una semplice area di discussione, dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole ed agli obblighi cui è soggetta la stampa (quale quello di indicazione di un direttore responsabile o di registrazione) o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che l'art. 21 Cost., comma 3, riserva soltanto alla stampa, sia pure latamente intesa, ma non genericamente a qualsiasi mezzo e strumento con cui è possibile manifestare il proprio pensiero. D'altra parte, nel caso in esame, neppure si tratta di un forum strutturalmente inserito in una testata giornalistica diffusa per via telematica, di cui costituisca un elemento e su cui il direttore responsabile abbia la possibilità di esercitare il controllo (così come su ogni altra rubrica della testata).
Acutamente il difensore del ricorrente sostiene che la norma costituzionale dovrebbe essere interpretata in senso evolutivo per adeguarla alle nuove tecnologie sopravvenute ed ai nuovi mezzi di espressione del libero pensiero. Ma da questo assunto, non può farsi derivare che i nuovi mezzi di comunicazione del proprio pensiero (newsletter, blog, forum, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei, e così via) possano, tutti in blocco, solo perché tali, essere inclusi nel concetto di stampa ai sensi dell'art. 21 Cost., comma 3, prescindendo dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi.
In realtà i messaggi lasciati su un forum di discussione (che, a seconda dei casi, può essere aperto a tutti indistintamente, o a chiunque si registri con qualsiasi pseudonimo, o a chi si registri previa identificazione) sono equiparabili ai messaggi che potevano e possono essere lasciati in una bacheca (sita in un luogo pubblico, o aperto al pubblico, o privato) e, così come quest'ultimi, anche i primi sono mezzi di comunicazione del proprio pensiero o anche mezzi di comunicazione di informazioni, ma non entrano (solo in quanto tali) nel concetto di stampa, sia pure in senso ampio, e quindi ad essi non si applicano le limitazioni in tema di sequestro previste dalla norma costituzionale.
Ne consegue che l'obbligo di rettifica entro 48 ore non si applica ai blog.
E questo un giornalista dovrebbe capirlo, prima di partire lancia in resta. E anche un docente di informatica giuridica.
(quest'ultimo capoverso è un commento, lo ammetto)

* che è una zozzeria, su ciò non ci piove.

aggiornamento: continua qui

 

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