giovedì 13 settembre 2012
Certezze che affondano
Uno pensa di avere quella minima infarinatura per scrivere una-frase-una in inglese, usando il pronome personale adeguato, e poi scopre che le navi sono di genere femminile.
martedì 4 settembre 2012
A.M.
I lettori che furono abituali potranno bene immaginare che la morte di Alessandro Marzi mi abbia colpito. Lo ha fatto però in un modo particolare, che da ieri cerco di esprimere senza riuscirci, tanto che volevo buttarlo via questo post, dopo una serie di tentativi mentali che non erano arrivati da nessuna parte. Alla fine ho deciso di scrivere di getto senza pensarci troppo, ché pensar troppo è male.
Di Alessandro lessi quando cominciò a stare male davvero, quando cioé aveva perso la speranza di farcela e si preparava a morire. Non entrai mai in relazione con lui: dapprima, perché ciò sarebbe stato di cattivo presagio per M., che a differenza sua era convinta di poter campare a lungo, e dopo perché sarebbe stato di cattivo presagio per lui, che certo non aveva bisogno di esempi di esiti nefasti ulteriori rispetto a quelli che già vedeva negli ospedali che frequentava.
Non conoscendolo, non posso certo dire i suoi pensieri, ma posso raccontare ciò che io mi sono figurato. Da qui in poi, quindi, saranno solo considerazioni personali: probabilmente tutte sbagliate, ma che spero non offenderanno nessuno (se poi ciò dovesse accadere, pronto a cancellare tutto).
Cominciamo a dire che c'erano due Alessandro: uno è quello dell'intervista di Biccio: uno forte, tosto, che parla con la malattia a tu per tu e sembra ignorare la morte, o perlomeno sfidarla a scacchi; l'altro è quello dei post clinici, da cui emerge tutta la disperazione per essere impotente di fronte al cancro. Scriveva di come stava giorno per giorno, di tutti i peggioramenti della sua malattia, tutti i piccoli fallimenti quotidiani che lo portavano passo dopo passo verso la tomba.
Poi c'erano i commenti che lo invitavano a star su, a resistere, a farsi forza. Ecco: quei commenti io non riuscivo proprio a reggerli, perché mi figuravo (ribadisco: sto scrivendo sulla base della mia, di esperienza: non immagino lontanamente di sapere cosa passasse nella sua, di testa) che più che forza non potessero dargli altro che rabbia e sconforto.
Quando si sta per morire, questa è la mia convinzione -che certo sarà sbagliata- non contano le parole del prossimo, bensì le azioni. Tanto contano le piccole cose di ogni giorno, quali il trovare la colazione pronta al risveglio, comperare una nuova pianta, iniziare a vedere una serie TV, trovare un uovo di merlo in un vaso sul balcone; tanto poco di contro contano le parole. Anche perché le parole, alla fin fine, son sempre quelle: possono variare un poco, ma al terzo giro di giostra non si può far altro che ripetersi.
Naturalmente questo vale per le parole spese sulla malattia: per quelle spese sulle passioni (la Vespa, le chitarre...) è tutto un altro discorso, e immagino che quelle, di parole, gli siano state di grande conforto.
La morte è una cosa difficile da affrontare; e la propria morte, quando non si è passata la soglia della vecchiaia (e forse anche dopo) lo è oltre misura. Spero di cuore che il modo trovato da Alessandro per gestirsela lo abbia aiutato, tanto quanto il modo -opposto- che M. aveva trovato per conto suo, e che arrivato al dunque abbia avuto la stessa serenità nel passare di là.
Di Alessandro lessi quando cominciò a stare male davvero, quando cioé aveva perso la speranza di farcela e si preparava a morire. Non entrai mai in relazione con lui: dapprima, perché ciò sarebbe stato di cattivo presagio per M., che a differenza sua era convinta di poter campare a lungo, e dopo perché sarebbe stato di cattivo presagio per lui, che certo non aveva bisogno di esempi di esiti nefasti ulteriori rispetto a quelli che già vedeva negli ospedali che frequentava.
Non conoscendolo, non posso certo dire i suoi pensieri, ma posso raccontare ciò che io mi sono figurato. Da qui in poi, quindi, saranno solo considerazioni personali: probabilmente tutte sbagliate, ma che spero non offenderanno nessuno (se poi ciò dovesse accadere, pronto a cancellare tutto).
Cominciamo a dire che c'erano due Alessandro: uno è quello dell'intervista di Biccio: uno forte, tosto, che parla con la malattia a tu per tu e sembra ignorare la morte, o perlomeno sfidarla a scacchi; l'altro è quello dei post clinici, da cui emerge tutta la disperazione per essere impotente di fronte al cancro. Scriveva di come stava giorno per giorno, di tutti i peggioramenti della sua malattia, tutti i piccoli fallimenti quotidiani che lo portavano passo dopo passo verso la tomba.
Poi c'erano i commenti che lo invitavano a star su, a resistere, a farsi forza. Ecco: quei commenti io non riuscivo proprio a reggerli, perché mi figuravo (ribadisco: sto scrivendo sulla base della mia, di esperienza: non immagino lontanamente di sapere cosa passasse nella sua, di testa) che più che forza non potessero dargli altro che rabbia e sconforto.
Quando si sta per morire, questa è la mia convinzione -che certo sarà sbagliata- non contano le parole del prossimo, bensì le azioni. Tanto contano le piccole cose di ogni giorno, quali il trovare la colazione pronta al risveglio, comperare una nuova pianta, iniziare a vedere una serie TV, trovare un uovo di merlo in un vaso sul balcone; tanto poco di contro contano le parole. Anche perché le parole, alla fin fine, son sempre quelle: possono variare un poco, ma al terzo giro di giostra non si può far altro che ripetersi.
Naturalmente questo vale per le parole spese sulla malattia: per quelle spese sulle passioni (la Vespa, le chitarre...) è tutto un altro discorso, e immagino che quelle, di parole, gli siano state di grande conforto.
La morte è una cosa difficile da affrontare; e la propria morte, quando non si è passata la soglia della vecchiaia (e forse anche dopo) lo è oltre misura. Spero di cuore che il modo trovato da Alessandro per gestirsela lo abbia aiutato, tanto quanto il modo -opposto- che M. aveva trovato per conto suo, e che arrivato al dunque abbia avuto la stessa serenità nel passare di là.
giovedì 30 agosto 2012
Strano carattere /2
Dato che mi costava assai poco, e tenuto conto del fatto che oggi pomeriggio devo far tedesco con il pupo a casa, dove ho una tastiera italiana standard, ho fatto un layoyt con i dead keys anche per quel tipo di modello.
L'assegnazione dei tasti resta la medesima illustrata nel precedente post, salvo che per la tilde (il relativo tasto è già occupato dalla parentesi quadra), che pertanto slitta sul trattino (-).
Il file, per chi lo vuole, sta qui.
L'assegnazione dei tasti resta la medesima illustrata nel precedente post, salvo che per la tilde (il relativo tasto è già occupato dalla parentesi quadra), che pertanto slitta sul trattino (-).
Il file, per chi lo vuole, sta qui.
mercoledì 29 agosto 2012
Strano carattere
Di solito io scrivo in italiano, e talvolta in inglese: tutti compiti che possono essere egregiamente svolti da una tastiera italiana. Certo, il Vero Nerd dovrebbe usare una US-international e farsi tutti gli accenti a mano, ma dato che io non sono un Vero Nerd non me ne preoccupo troppo.
Talvolta però mi capita di dover passare al francese, o anche di compitare qualche frase smozzicata in tedesco o spagnolo: e qui cominciano i dolori, perché scrivere même, Señor o Ürdingerstraße non è mica tanto facile, per uno che ha passato la quarantina e non riesce a ricordare a memoria tutti i codici ASCII.
Ho provato a passare, alla bisogna, al layout US-international, ma le mie esigenze non sono così frequenti da permettermi di memorizzare efficacemente la posizione di tutti i tasti modificatori (che vorrebbe essere una traduzione di dead keys, sperando che Licia non mi faccia un cazziatone), e quindi ogni volta che avvio una corrispondenza con qualcuno di quei paesi devo ricominciare a riapprendere daccapo.
Alla fine quindi mi sono adattato la mia tastiera (che di base è una IT-142, quella con la @ sulla Q) aggiungendo delle funzioni secondo un certo mio buon senso che vado a illustrare:
* accento acuto - AltGr-apostrofo;
* accento grave - AltGr-ù (va a sostituire il carattere ` della IT-142);
* dieresi/Umlaut - AltGr-2 (al maiuscolo corrisponde a ", che ricorda la dieresi)
* accento circonflesso - AltGr-ì (al maiuscolo corrisponde a ^)
* tilde - Shift-AltGr-~
* ¿ - Shift-AltGr-?
* ß - AltGr-s
* caporali - AltGr-maggiore e AltGr-minore;
* ® - AltGr-r
* © - AltGr-c
Dato che oramai la fatica l'ho fatta, e magari la cosa può servire a qualcun altro, ho pensato di condividere il programma di installazione, che potete trovare qui.
Se fossi un avvocato ben pagato qui dovrei mettere una decina di paginate per dire tutta una serie di cose astruse scopiazzate e mal tradotte dall'inglese, ma dato che sono quel che sono mi limito a dire che io questa cosa l'ho fatta per me, ve la offro a gratis senza alcuna garanzia e se doveste avere dei problemi poi non venitemi a rompere i marroni.
Talvolta però mi capita di dover passare al francese, o anche di compitare qualche frase smozzicata in tedesco o spagnolo: e qui cominciano i dolori, perché scrivere même, Señor o Ürdingerstraße non è mica tanto facile, per uno che ha passato la quarantina e non riesce a ricordare a memoria tutti i codici ASCII.
Ho provato a passare, alla bisogna, al layout US-international, ma le mie esigenze non sono così frequenti da permettermi di memorizzare efficacemente la posizione di tutti i tasti modificatori (che vorrebbe essere una traduzione di dead keys, sperando che Licia non mi faccia un cazziatone), e quindi ogni volta che avvio una corrispondenza con qualcuno di quei paesi devo ricominciare a riapprendere daccapo.
Alla fine quindi mi sono adattato la mia tastiera (che di base è una IT-142, quella con la @ sulla Q) aggiungendo delle funzioni secondo un certo mio buon senso che vado a illustrare:
* accento acuto - AltGr-apostrofo;
* accento grave - AltGr-ù (va a sostituire il carattere ` della IT-142);
* dieresi/Umlaut - AltGr-2 (al maiuscolo corrisponde a ", che ricorda la dieresi)
* accento circonflesso - AltGr-ì (al maiuscolo corrisponde a ^)
* tilde - Shift-AltGr-~
* ¿ - Shift-AltGr-?
* ß - AltGr-s
* caporali - AltGr-maggiore e AltGr-minore;
* ® - AltGr-r
* © - AltGr-c
Dato che oramai la fatica l'ho fatta, e magari la cosa può servire a qualcun altro, ho pensato di condividere il programma di installazione, che potete trovare qui.
Se fossi un avvocato ben pagato qui dovrei mettere una decina di paginate per dire tutta una serie di cose astruse scopiazzate e mal tradotte dall'inglese, ma dato che sono quel che sono mi limito a dire che io questa cosa l'ho fatta per me, ve la offro a gratis senza alcuna garanzia e se doveste avere dei problemi poi non venitemi a rompere i marroni.
mercoledì 1 agosto 2012
Didattica
Ognuno ci ha le sue piccole manie, e certo non è che io sia da meno: e quindi mi leggo sempre con attenzione Uriel, ché spesso sono d'accordo e quando non sono d'accordo comunque ho degli spunti per riflettere.
Ma dopo aver letto il post* di oggi ho pensato che magari non lo proporrei al posto di Monti come Presidente del Consiglio, però come rettore di un'università economica ci starebbe bene.
* N.B. meglio non aprire il link da un socialcoso
Ma dopo aver letto il post* di oggi ho pensato che magari non lo proporrei al posto di Monti come Presidente del Consiglio, però come rettore di un'università economica ci starebbe bene.
* N.B. meglio non aprire il link da un socialcoso
mercoledì 25 luglio 2012
La fantasia al potere
Oggi il fatto quotidiano, meglio conosciuto come la bocca della verità, si inventa di sana pianta che nel Parco olimpico «sarà ammesso solo un sandwich a persona perché lo sponsor (MacDonald’s) non vuole».
lunedì 23 luglio 2012
Capitan Fracassa
Chi avesse ancora qualche dubbio sul fatto che la 27esima ora non è il luogo di ricreazione delle più svitate pennivendole milanesi, bensì un esperimento mentale paragonabile al carcere di Stanford, può leggere questo bel pezzo in cui Camilla Baresani si pone, tra altre, una domanda fondamentale:
Come mai a Jean Paul Sartre è dedicato uno spazio tre volte superiore a quello di Simone de Beauvoir?
mercoledì 18 luglio 2012
La moglie pregna e la botte ubriaca

«Il recente impianto normativo - ha detto Grilli - pur determinando rilevanti economie di spesa e dunque una corrispondente riduzione del fabbisogno sanitario, mantiene inalterato il livello, sia qualitativo che quantitativo, dei servizi sanitari erogati ai cittadini»
martedì 17 luglio 2012
Corrività
Marta Serafini (una giornalista che non solo scrive sulla 27esima ora, ma pure si vanta di essere corresponsabile di ciò che si dice alle Invasioni Barbariche) oggi scrive un pezzo lunghetto per stigmatizzare l'abitudine che i giocatori di videogiochi hanno di insultare pesantemente le femminucce in gara.
Chiunque abbia mai provato un videogioco, o anche solo abbia visto un gruppo di adolescenti farlo, sa benissimo che si tratta di un'esperienza del tutto avulsa dalla realtà: si commettono un tale numero di omicidi che avrebbero fatto venire una crisi di coscienza a Mengele; si usano trucchi bastardi e sotterfugi sleali; si tradiscono i compagni e gli amici; ci si tirano dietro insulti che farebbero impallidire un camallo ubriaco al quale una puttana abbia appena rubato il portafoglio.
Il glaucoma psicotico che colpisce la redazione di questo blog, cui siamo oramai affezionati come a un nipotino un po' ritardato, e che proprio per questo ci è caro, di questo fenomeno complesso e variegato riesce solo a vedere l'insulto che i maschi tirano alle femmine, bollandolo come sessista e dimostrando così di non aver neppure bene l'idea del significato del termine. Indignarsi per il genere del soggetto in questa citazione
E' come se queste brave signore che si guadagnano un immeritato pane digitando in via Solferino fossero dei geometri che, chiamati a eseguire i rilievi geodetici per tracciare il percorso di un'autostrada, siano dotati solo di un microscopio a effetto tunnel, e cerchino di arrangiarsi a misurare i chilometri con uno strumento per il quale persino i millimetri sono una grandezza incommensurabile.
Chiunque abbia mai provato un videogioco, o anche solo abbia visto un gruppo di adolescenti farlo, sa benissimo che si tratta di un'esperienza del tutto avulsa dalla realtà: si commettono un tale numero di omicidi che avrebbero fatto venire una crisi di coscienza a Mengele; si usano trucchi bastardi e sotterfugi sleali; si tradiscono i compagni e gli amici; ci si tirano dietro insulti che farebbero impallidire un camallo ubriaco al quale una puttana abbia appena rubato il portafoglio.
Il glaucoma psicotico che colpisce la redazione di questo blog, cui siamo oramai affezionati come a un nipotino un po' ritardato, e che proprio per questo ci è caro, di questo fenomeno complesso e variegato riesce solo a vedere l'insulto che i maschi tirano alle femmine, bollandolo come sessista e dimostrando così di non aver neppure bene l'idea del significato del termine. Indignarsi per il genere del soggetto in questa citazione
“Sei una cicciona, metti le tue grasse chiappe sul divano e inizia a giocare”, è un altro dei complimenti ricevuti da Kate, 17 anni, giocatrice di Call of Duty 3.dimostra ignoranza o malafede, dato che chiunque sa che le medesime frasi vengono pronunciate, assai più spesso, declinate al maschile.
E' come se queste brave signore che si guadagnano un immeritato pane digitando in via Solferino fossero dei geometri che, chiamati a eseguire i rilievi geodetici per tracciare il percorso di un'autostrada, siano dotati solo di un microscopio a effetto tunnel, e cerchino di arrangiarsi a misurare i chilometri con uno strumento per il quale persino i millimetri sono una grandezza incommensurabile.
lunedì 16 luglio 2012
Che non è mica acqua
Se c'è una cosa che proprio ammiro, di Lorella Zanardo, non è certo il documentario da lei prodotto, bensì la capacità di perdere con stile.
giovedì 12 luglio 2012
Genova per noi
Io nel mio lavoro di gente ricca ne incontro tanta. E quando intendo ricca, intendo ricca vera, quelli che il logaritmo dell'estratto conto sta a mezza strada tra l'otto e il nove.
Di genovesi invece ne incontro pochi, perché non è una piazza sulla quale il mio datore di lavoro lavori granché.
Però ultimamente ne sto incontrando un po' di più, e devo ammettere che la classe, la nonchalance, l'indifferenza -ma rispettosa- che hanno i genovesi ricchi nei confronti della propria ricchezza, ancora non l'avevo mai riscontrata da nessun altra parte.
Di genovesi invece ne incontro pochi, perché non è una piazza sulla quale il mio datore di lavoro lavori granché.
Però ultimamente ne sto incontrando un po' di più, e devo ammettere che la classe, la nonchalance, l'indifferenza -ma rispettosa- che hanno i genovesi ricchi nei confronti della propria ricchezza, ancora non l'avevo mai riscontrata da nessun altra parte.
#salvaiciclisti
Prima di chiudere definitivamente* questo blog ormai polveroso e ragnateloso, credo di potermi permettere di togliermi qualche sassolino.
Come qualcuno sa, io la bicicletta la uso abbastanza. Questa nuova, per esempio, da Natale a oggi ha fatto 2800 chilometri, tutti in città: per andare al lavoro, fare la spesa, passare da una delle varie case in cui dormo a un'altra, etc.
Dovrei quindi essere favorevole alle iniziative che tutelano la mia incolumità, e grato al sindaco Pisapia che nei pannelli luminosi sparsi per le vie chiosa i suoi consigli di buon senso con lo slogan salvaiciclisti. E invece no.
Uno dei motivi è che questo movimento, come tanti consimili (a partire da quelle anime belle di Critical Mass, che ogni giovedì mi fanno venir voglia di comperare un autoarticolato da sparar loro contro a 100 all'ora) ha sempre lo stesso fastidioso rumore di fondo: quello di coloro che, ritenendo di essere nel Giusto automaticamente sbattono nella Cayenna dell'Ingiusto tutti coloro che la pensano diversamente da loro.
Siam sempre lì: il Ciclista Militante crede che il suo apporto alla qualità della vita urbana gli conferisca il diritto di fregarsene delle regole; e così la sera occupa le strade in massa bloccando la circolazione, nascondendosi dietro all'anonimato del numero, mentre di giorno (quando rischierebbe la pelle, se facesse le stronzate serali) crede comunque legittimo passare col rosso, andare in velocità sui marciapiedi, girare a luci spente la sera, e via discorrendo.
In questo delirio messianico persino il buon senso va all'ammasso, e il Ciclista Militante ritiene che sia suo pieno diritto mettersi al fianco di un autotreno di 27 tonnellate, in prossimità di una curva, senza riflettere per un secondo sul fatto che dalla cabina di guida non si ha la stessa visuale che ha il ciclista, e che anche il più scrupoloso dei camionisti può avere un momento di stanchezza o di distrazione. Certo, non è che guidare un camion ti dia il permesso di ammazzare la gente, e difatti il camionista risponderà per omicidio colposo; ma se il Ciclista militante avesse il cervello nella scatola cranica anziché nel culo si renderebbe conto che aiutare il camionista a non ammazzarlo è una strategia più razionale che rischiare di crepare per l'affermazione di un principio.
Questa jattanza emerge con palmare evidenza fin dal manifesto della benemerita associazione di cicloamatori, con quel verbo "dovere" declinato all'indicativo che se possibile riesce a rendere ancor più antipatici gli estensori delle proposte.
Che poi non è che i ciclisti abbiano sempre ragione per il fatto che vanno in bici: quando io sono stato tirato sotto da una moto, e sono finito all'ospedale con un polso e una costola rotti, avevo fatto una cazzata. Certo il motociclista, se fosse stato scrupolosamente attento avrebbe potuto evitarmi, ma la cazzata l'ho fatta io, e gli ho pure pagato la riparazione della moto, come era giusto che fosse. Se -anche per un attimo- sei cretino o sbadato, rischi del tuo, e non è che il non inquinare la città ti dia l'immortalità, né la ragione. Il torto ce l'ha chi ha torto, non chi inquina di più.
Ciò detto, quella stringa #salvaiciclisti potrebbe essere semplicemente l'ennesima cialtronata nata su Twitter, e io potrei serenamente continuare a fregarmene; ma no, c'è qualcosa di più.
Il fatto è che lo slogan SALVAICICLISTI è, detto semplice semplice che lo possa capire anche un Ciclista Militante, oltre che inutile, dannoso.
Il perché è presto detto: da quando è nato questo ennesimo allarme, che forse sta per superare in popolarità il femminicidio, coloro che magari avrebbero voluto avvicinarsi all'uso della bicicletta, complice la bella stagione e il rincaro della benzina, non ci pensano neppure.
Il messaggio che veicola lo slogan SALVAICICLISTI -come tutte le campagne connesse- è che usare la bici in città è un rischio mortale. Il Ciclista Militante pensa che questo serva a salvargli la vita, ma la dura realtà è che quel 99% di popolazione che non fa parte della setta ogni volta che vede quel neologismo si convince che il ciclista, militante o generico, sia un pazzo scapestrato che si diverte a giocare con la propria pelle, alla stregua di un trapezista che si esibisce senza rete.
La conclusione è ovvia: col cazzo, che mi metto a girare in bici in città: continuo a usare la macchina, l'autobus o quel che uso di solito.
E quindi: più traffico, inquinamento e rischi. Sia per i Ciclisti Militanti sia per quelli che hanno l'unico desiderio di andare al lavoro, fare la spesa, passare da una casa all'altra, per il semplice fatto che hanno bisogno di lavorare, nutrirsi e dormire, senza che la soddisfazione di queste elementari esigenze debba diventare un fatto politico.
* da prendere in senso figurato, ché di definitivo c'è solo la Signora con la falce
Come qualcuno sa, io la bicicletta la uso abbastanza. Questa nuova, per esempio, da Natale a oggi ha fatto 2800 chilometri, tutti in città: per andare al lavoro, fare la spesa, passare da una delle varie case in cui dormo a un'altra, etc.
Dovrei quindi essere favorevole alle iniziative che tutelano la mia incolumità, e grato al sindaco Pisapia che nei pannelli luminosi sparsi per le vie chiosa i suoi consigli di buon senso con lo slogan salvaiciclisti. E invece no.
Uno dei motivi è che questo movimento, come tanti consimili (a partire da quelle anime belle di Critical Mass, che ogni giovedì mi fanno venir voglia di comperare un autoarticolato da sparar loro contro a 100 all'ora) ha sempre lo stesso fastidioso rumore di fondo: quello di coloro che, ritenendo di essere nel Giusto automaticamente sbattono nella Cayenna dell'Ingiusto tutti coloro che la pensano diversamente da loro.
Siam sempre lì: il Ciclista Militante crede che il suo apporto alla qualità della vita urbana gli conferisca il diritto di fregarsene delle regole; e così la sera occupa le strade in massa bloccando la circolazione, nascondendosi dietro all'anonimato del numero, mentre di giorno (quando rischierebbe la pelle, se facesse le stronzate serali) crede comunque legittimo passare col rosso, andare in velocità sui marciapiedi, girare a luci spente la sera, e via discorrendo.
In questo delirio messianico persino il buon senso va all'ammasso, e il Ciclista Militante ritiene che sia suo pieno diritto mettersi al fianco di un autotreno di 27 tonnellate, in prossimità di una curva, senza riflettere per un secondo sul fatto che dalla cabina di guida non si ha la stessa visuale che ha il ciclista, e che anche il più scrupoloso dei camionisti può avere un momento di stanchezza o di distrazione. Certo, non è che guidare un camion ti dia il permesso di ammazzare la gente, e difatti il camionista risponderà per omicidio colposo; ma se il Ciclista militante avesse il cervello nella scatola cranica anziché nel culo si renderebbe conto che aiutare il camionista a non ammazzarlo è una strategia più razionale che rischiare di crepare per l'affermazione di un principio.
Questa jattanza emerge con palmare evidenza fin dal manifesto della benemerita associazione di cicloamatori, con quel verbo "dovere" declinato all'indicativo che se possibile riesce a rendere ancor più antipatici gli estensori delle proposte.
Che poi non è che i ciclisti abbiano sempre ragione per il fatto che vanno in bici: quando io sono stato tirato sotto da una moto, e sono finito all'ospedale con un polso e una costola rotti, avevo fatto una cazzata. Certo il motociclista, se fosse stato scrupolosamente attento avrebbe potuto evitarmi, ma la cazzata l'ho fatta io, e gli ho pure pagato la riparazione della moto, come era giusto che fosse. Se -anche per un attimo- sei cretino o sbadato, rischi del tuo, e non è che il non inquinare la città ti dia l'immortalità, né la ragione. Il torto ce l'ha chi ha torto, non chi inquina di più.
Ciò detto, quella stringa #salvaiciclisti potrebbe essere semplicemente l'ennesima cialtronata nata su Twitter, e io potrei serenamente continuare a fregarmene; ma no, c'è qualcosa di più.
Il fatto è che lo slogan SALVAICICLISTI è, detto semplice semplice che lo possa capire anche un Ciclista Militante, oltre che inutile, dannoso.
Il perché è presto detto: da quando è nato questo ennesimo allarme, che forse sta per superare in popolarità il femminicidio, coloro che magari avrebbero voluto avvicinarsi all'uso della bicicletta, complice la bella stagione e il rincaro della benzina, non ci pensano neppure.
Il messaggio che veicola lo slogan SALVAICICLISTI -come tutte le campagne connesse- è che usare la bici in città è un rischio mortale. Il Ciclista Militante pensa che questo serva a salvargli la vita, ma la dura realtà è che quel 99% di popolazione che non fa parte della setta ogni volta che vede quel neologismo si convince che il ciclista, militante o generico, sia un pazzo scapestrato che si diverte a giocare con la propria pelle, alla stregua di un trapezista che si esibisce senza rete.
La conclusione è ovvia: col cazzo, che mi metto a girare in bici in città: continuo a usare la macchina, l'autobus o quel che uso di solito.
E quindi: più traffico, inquinamento e rischi. Sia per i Ciclisti Militanti sia per quelli che hanno l'unico desiderio di andare al lavoro, fare la spesa, passare da una casa all'altra, per il semplice fatto che hanno bisogno di lavorare, nutrirsi e dormire, senza che la soddisfazione di queste elementari esigenze debba diventare un fatto politico.
* da prendere in senso figurato, ché di definitivo c'è solo la Signora con la falce
Lennox è vivo e lotta insieme a noi
Enzo di Frenna -l'uomo il cui volto dischiude le porte del Sacrario della frenologia- ha preso a cuore la causa del cane Lennox, che dopo essere stato accalappiato a Belfast è stato soppresso in quanto la sua razza è illegale nell'Irlanda del Nord.
La questione viene ripresa da Repubblica, il foglio che da quando non c'è più Berlusconi si è talmente squalificato da non poterci neppure incartare il pesce*, con un articolo che pure cito, a dimostrazione dell'ubiquitarietà della cialtroneria dei giornalisti, della rete e soprattutto dei giornalisti che frequentano la rete.
Dunque, abbiamo un cane.
Secondo il Di Frenna, il cane somiglia a un Pit Bull. Secondo la Città di Belfast, che lo ha catturato, il cane è un Pit Bull.
"Lennox era innocuo, non aveva mai morso né aggredito nessuno", dice la Rete. "l'esperto del Consiglio ha descritto il cane come uno dei più imprevedibili e pericolosi cani mai incontrato", dice il Comune di Belfast.
"La Municipalità di Belfast si è coperta di vergogna e sarà da questo momento additata al disprezzo internazionale per avere assassinato una creatura innocente e indifesa, e per aver condannato con lui la bambina disabile che tanto lo amava e che con lui aveva instaurato una relazione speciale", dice l'Ente Nazionale per la Protezione Animali italiano, la cui presidenta con quel disabile tocca anche le corde dell'umana pietà**. Purtroppo -anzi per fortuna, a ben pensarci- non abbiamo la voce della mamma della bambina che il Pit Bull avrebbe potuto ammazzare se, come la squinternata animalista aveva chiesto, fosse stato portato in Italia e adottato da una tenera famigliuola.
Ora, di una cosa sono ragionevolmente certo: che né il Di Frenna né la presidenta dell'ENPA hanno visto il cane, mentre il perito della Municipalità di Belfast sì.
E quindi, se Belfast dice che quello è un Pit Bull, mentre Repubblica dice che il Di Frenna dice che l'ENPA dice che non lo è, ho il forte sospetto che risalendo alla fonte si scopra che tale affermazione provenga dalla padroncina disabile, che conoscerà pur bene il proprio cagnolino affettuoso, ma non è certo una veterinaria e comunque è, come dire, un testimone un po' troppo interessato e quindi poco fededegno rispetto all'esperto.
Ammettiamo quindi che quello sia effettivamente un Pit Bull, e chiediamoci cosa avrebbe dovuto pare una pubblica istituzione di uno Stato nel quale i Pit Bull sono, giustamente, *** banditi.
Secondo il Di Frenna e compagnia cantante, probabilmente il Sindaco di Belfast o chi per lui avrebbe dovuto dire qualcosa del tipo: «Sì, è vero, abbiamo una legge, ma vale solo per i padroni di cani che non sono su Facebook, per cui ora prendiamo il povero Lennox, che sta tanto simpatico a quei giustizialisti iperlegalitari (ma solo nell'ambito del diritto italiano) del Fatto Quotidiano e lo liberiamo con tante scuse. Anzi è l'occasione per imparare dagli italiani che le leggi non sono mica uguali per tutti».
Fortuna che a Belfast il Di Frenna e la Presidenta non andranno mai più. Fortuna per Belfast, naturalmente.
* immagino che De Benedetti stia seriamente pensando di vendere a qualche industriale francese: solo così riesco a spiegarmi la penosissima marchetta di ieri.
** a proposito, sono andato a vedere Hunger e mi sono sciolto alla voce della Thatcher: si vede proprio che sto invecchiando male.
*** secondo la tradizione del giornalismo anglosassone, in questo post le opinioni vendono evidenziate in viola per separarle dai fatti.
La questione viene ripresa da Repubblica, il foglio che da quando non c'è più Berlusconi si è talmente squalificato da non poterci neppure incartare il pesce*, con un articolo che pure cito, a dimostrazione dell'ubiquitarietà della cialtroneria dei giornalisti, della rete e soprattutto dei giornalisti che frequentano la rete.
Dunque, abbiamo un cane.
Secondo il Di Frenna, il cane somiglia a un Pit Bull. Secondo la Città di Belfast, che lo ha catturato, il cane è un Pit Bull.
"Lennox era innocuo, non aveva mai morso né aggredito nessuno", dice la Rete. "l'esperto del Consiglio ha descritto il cane come uno dei più imprevedibili e pericolosi cani mai incontrato", dice il Comune di Belfast.
"La Municipalità di Belfast si è coperta di vergogna e sarà da questo momento additata al disprezzo internazionale per avere assassinato una creatura innocente e indifesa, e per aver condannato con lui la bambina disabile che tanto lo amava e che con lui aveva instaurato una relazione speciale", dice l'Ente Nazionale per la Protezione Animali italiano, la cui presidenta con quel disabile tocca anche le corde dell'umana pietà**. Purtroppo -anzi per fortuna, a ben pensarci- non abbiamo la voce della mamma della bambina che il Pit Bull avrebbe potuto ammazzare se, come la squinternata animalista aveva chiesto, fosse stato portato in Italia e adottato da una tenera famigliuola.
Ora, di una cosa sono ragionevolmente certo: che né il Di Frenna né la presidenta dell'ENPA hanno visto il cane, mentre il perito della Municipalità di Belfast sì.
E quindi, se Belfast dice che quello è un Pit Bull, mentre Repubblica dice che il Di Frenna dice che l'ENPA dice che non lo è, ho il forte sospetto che risalendo alla fonte si scopra che tale affermazione provenga dalla padroncina disabile, che conoscerà pur bene il proprio cagnolino affettuoso, ma non è certo una veterinaria e comunque è, come dire, un testimone un po' troppo interessato e quindi poco fededegno rispetto all'esperto.
Ammettiamo quindi che quello sia effettivamente un Pit Bull, e chiediamoci cosa avrebbe dovuto pare una pubblica istituzione di uno Stato nel quale i Pit Bull sono, giustamente, *** banditi.
Secondo il Di Frenna e compagnia cantante, probabilmente il Sindaco di Belfast o chi per lui avrebbe dovuto dire qualcosa del tipo: «Sì, è vero, abbiamo una legge, ma vale solo per i padroni di cani che non sono su Facebook, per cui ora prendiamo il povero Lennox, che sta tanto simpatico a quei giustizialisti iperlegalitari (ma solo nell'ambito del diritto italiano) del Fatto Quotidiano e lo liberiamo con tante scuse. Anzi è l'occasione per imparare dagli italiani che le leggi non sono mica uguali per tutti».
Fortuna che a Belfast il Di Frenna e la Presidenta non andranno mai più. Fortuna per Belfast, naturalmente.
* immagino che De Benedetti stia seriamente pensando di vendere a qualche industriale francese: solo così riesco a spiegarmi la penosissima marchetta di ieri.
** a proposito, sono andato a vedere Hunger e mi sono sciolto alla voce della Thatcher: si vede proprio che sto invecchiando male.
*** secondo la tradizione del giornalismo anglosassone, in questo post le opinioni vendono evidenziate in viola per separarle dai fatti.
martedì 26 giugno 2012
Femmicidio
Se non fossi in vacanza potrei commentare adeguatamente questo post che parla dei deliri della signora di cui ho già parlato in questo post.
Purtroppo sono in vacanza, e quindi mi limito a invitarvi caldamente, con tutto me stesso, a leggerlo.
Per imparare la differenza tra femmicidio e femminicidio, sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita.
Per sottolineare la questione della responsabilità dello Stato nella risposta data al contrasto della violenza.
Perché una donna su tre – in una età compresa tra i 16 e i 70 – è stata vittima di violenza.
Perché L’autorevole voce di Rashida Manjoo chiede che l’Italia si impegni «a eliminare gli atteggiamentistereotipati circa i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia, nella società e nell’ambiente di lavoro».
Perché la situazione economica e politica in Italia non giustifica la mancanza di attenzione e la diminuzione delle risorse per combattere la violenza contro le donne», dice la rappresentante speciale, «particolarmente oggi in un contesto in cui il numero di violenze fondate sul genere sta aumentando.
Perché siamo seriamente preoccupati dalla sottostima del Governo italiano circa gli obblighi internazionali a proteggere le donne sopravvissute alla violenza nelle relazioni di intimità e di prevenire i femminicidi esito di questa violenza.
Perché
Ma sono in vacanza, e sono sereno. Quindi mi limito a segnalare la vergogna di un quotidiano nazionale che dà spazio a una valanga di deliri e a talune marchiane falsità. Sì, falsità belle e buone, come l'ultima citata qui sopra, come ben sa chi abbia mai preso in mano una copia del codice penale.
Buon mare a tutti, e rammentate che per menare la vostra ganza è meglio un asciugamano bagnato.
Purtroppo sono in vacanza, e quindi mi limito a invitarvi caldamente, con tutto me stesso, a leggerlo.
Per imparare la differenza tra femmicidio e femminicidio, sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita.
Per sottolineare la questione della responsabilità dello Stato nella risposta data al contrasto della violenza.
Perché una donna su tre – in una età compresa tra i 16 e i 70 – è stata vittima di violenza.
Perché L’autorevole voce di Rashida Manjoo chiede che l’Italia si impegni «a eliminare gli atteggiamentistereotipati circa i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia, nella società e nell’ambiente di lavoro».
Perché la situazione economica e politica in Italia non giustifica la mancanza di attenzione e la diminuzione delle risorse per combattere la violenza contro le donne», dice la rappresentante speciale, «particolarmente oggi in un contesto in cui il numero di violenze fondate sul genere sta aumentando.
Perché siamo seriamente preoccupati dalla sottostima del Governo italiano circa gli obblighi internazionali a proteggere le donne sopravvissute alla violenza nelle relazioni di intimità e di prevenire i femminicidi esito di questa violenza.
Perché
Trent'anni fa a un marito, un padre era consentito picchiare in quanto mezzo per “correggere” il comportamento delle donne, ricorda Ileana Aesso nel Quinto Stato: Storia di donne, leggi e conquiste. Dalla tutela alla democrazia paritaria. Glielo riconosceva il codice penale e civile a patto che non ne abusasse
Ma sono in vacanza, e sono sereno. Quindi mi limito a segnalare la vergogna di un quotidiano nazionale che dà spazio a una valanga di deliri e a talune marchiane falsità. Sì, falsità belle e buone, come l'ultima citata qui sopra, come ben sa chi abbia mai preso in mano una copia del codice penale.
Buon mare a tutti, e rammentate che per menare la vostra ganza è meglio un asciugamano bagnato.
venerdì 22 giugno 2012
Napoletonidianamente

Ma la Napoleoni fa l'economista, e con i controcoglioni, in quanto economista grillina. Dal momento che al Sacro Verbo fa comodo di sparigliare le carte gridando «FUORI DALL'EURO!» quando tutta la Casta pietisce «dentro l'euro!», anche la Napoleoni si è dovuta adeguare. E quindi ripete per ogni dove che l'Italia fuori dall'Euro starebbe bene, anzi benone, anzi meravigliosamente.
Certo, per affermare questa castronerie servono dei supporti, non basta dire che dato che gianrobertogrillo(tm) dice così allora è giusto così.
E quindi la Napoleoni si inventa il caso dell'Islanda, uscita dall'Euro senza alcun trauma, e di Dubai, che ora prospera dopo la ristrutturazione del debito. Peccato che l'Islanda nell'Euro non ci sia mai entrata (del resto manco sta nella CE), e che il debito di Dubai fosse tutto men che il debito di Dubai, bensì il debito delle privatissime aziende della famiglia reale, e che adesso mezza Dubai sia diventata di proprietà degli emiri viciniori.
Poi c'è l'esempio dell'Argentina, e qui son dolori. Perché non solo ci sono le Gabanelli Girrls, che in recenti trasmissioni ci hanno raccontato di come è strafica l'Argentina di oggi dove ci sono le cooperative sociali che riaprono i teatri e la gente che reimpara a riparare le sedie e a farsi le torte in casa, ma -le disgrazie non vengono mai sole- anche qui la Napoleoni ha qualcosa da raccontarci:
Io quello che posso dire è quello che alcuni avvocati di questo team che stanno lavorando al possibile default mi hanno detto è che succederà un po' com'è successo in Argentina, potrebbero chiudere le banche per una settimana, i depositi potrebbero essere congelati, si potrà prelevare una certa quantità di denaro quotidianamente (in Argentina erano l'equivalente di 250 dollari) e in questa settimana di "congelamento" ci sarà la conversione dall'Euro alla moneta che si vuole scegliere, per esempio l'Italia potrebbe tornare alla lira. Però questo comporterà anche dei cambiamenti a livello pratico. Dopodiché i risparmiatori italiani chiaramente si ritroveranno le lire. Questo significa che se uno vive in Italia e non va all'estero non ha grossi problemi, al contrario la debolezza della moneta sarebbe un danno.Insomma, nella vulgata della nostra economista il massimo dei problemi è che anziché andare a fare le vacanze a Parigi dovremo adattarci alle spiagge del Salento, ma a parte quello la svalutazione sarebbe una passeggiata di salute.
La stampa italiana, tradizionalmente attentissima alle notizie dall'estero e in particolare a quelle dall'America latina, tace, e quindi acconsente. E l'osservatore poco attento potrebbe anche credere che in Argentina oggi ci siano le strade lastricate d'oro, i prosciutti che crescono sugli alberi, e la gente passi la giornata ballando tango e mangiando affettati offerti gratuitamente dalla natura.
Ho una brutta notizia per voi: non è vero.
In Argentina è iniziato l'inverno, e con l'inverno uno sciopero degli autotrasportatori che ha lasciato l'intero Paese senza una goccia di carburante nelle pompe e per il riscaldamento. Il Governo segue la cosa come un'emergenza umanitaria, in quanto già 100.000 persone sarebbero senza combustibili e pure senza gas (dato che sono in sciopero anche i lavoratori della rete distributiva; questo ve lo dico io ché l'articolo non lo dice). Il motivo? semplice: i lavoratori vogliono un aumento del 30% dei salari, e non per avidità bensì solo per recuperare l'inflazione. Ma -è il caso delle compagnie distributive del gas- il Governo non concede i rialzi delle tariffe, e quindi le compagnie lavorano già in perdita (importano gas, il che sarebbe un assurdo, dato che il Paese ne è ricchissimo, ma gli impianti di estrazione non funzionano per carenza di personale e di manutenzione, sempre per carenza di soldi) e finché il Governo non concede le nuove tariffe non possono permettersi di aumentare gli stipendi: e il cane, e il morso, e la coda.
Ma non c'è solo questo sciopero: ce n'è appena stato uno dei produttori agricoli contro l'aumento delle imposte fondiarie, e ora ne stanno iniziando altri: quello dei controllori di volo e quello a macchia di leopardo dei commercianti che protestano contro il blocco delle importazioni deciso dal Governo per salvare un po' il valore della moneta (del resto, se l'industria nazionale non produce, e importare non si può, che diavolo può vendere un commerciante?)
In compenso chi ha da parte qualche peso teme di vederne dimezzato il valore in capo a 18 mesi, e quindi cerca di comprare valuta. Per evitare ciò il Governo aveva introdotto il divieto di comprare dollari per scopi diversi dall'acquisto di viveri, medicine, auto e esigenze di viaggio; ma dopo qualche giorno è stato frettolosamente costretto a revocare il divieto.
Insomma: in Argentina stanno tutti bene, noi li invidiamo tanto e speriamo che Napoletona ci porti presto in una situazione analoga alla loro.
Magnifiche sorti, e progressive
Paola Caruso, oggi, sul Sole 24 ore, scopre la concimazione dei terreni.
giovedì 21 giugno 2012
Ford transit
Come avevo già detto (cfr i commenti a questo post), la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile il provvedimento del giudice spoletino che avave chiesto la dichiarazione di incostituzionalità della L. 194.
Che sia chiara una cosa: non, ripeto, non si tratta di una vittoria delle ilitanti che hanno scritto #save194 su twitter. E non c'è nulla da festeggiare, anzi abbiamo un grosso problema.
Il problema è l'esistenza di un giudice che aderire -e di fatto imporre- alle proprie convinzioni personali, convinzioni che sono in contrasto con l'ordinamento vigente, ha negato giustizia a un cittadino, pronunciando un'ordinanza che era un vero aborto giuridico.
Ma il problema non sono le donne, l'aborto, la libera scelta. Il problema vero sono i concorsi per l'accesso alla magistratura e l'impossibilità di sanzionare efficacemente questi abusi del diritto. Le donne, l'aborto, la libera scelta, non c'entrano una fava.
aggiornamento
E la Consulta, porco cazzo impestato, non è quella che mira a togliere i diritti, puttana troia.



Che sia chiara una cosa: non, ripeto, non si tratta di una vittoria delle ilitanti che hanno scritto #save194 su twitter. E non c'è nulla da festeggiare, anzi abbiamo un grosso problema.
Il problema è l'esistenza di un giudice che aderire -e di fatto imporre- alle proprie convinzioni personali, convinzioni che sono in contrasto con l'ordinamento vigente, ha negato giustizia a un cittadino, pronunciando un'ordinanza che era un vero aborto giuridico.
Ma il problema non sono le donne, l'aborto, la libera scelta. Il problema vero sono i concorsi per l'accesso alla magistratura e l'impossibilità di sanzionare efficacemente questi abusi del diritto. Le donne, l'aborto, la libera scelta, non c'entrano una fava.
aggiornamento
E la Consulta, porco cazzo impestato, non è quella che mira a togliere i diritti, puttana troia.




mercoledì 20 giugno 2012
Coerenza trifasica
Marco Travaglio (l'uomo dalla memoria prodigiosa, colui che nel 2006* rammenta sul blog di beppegrillo(tm) che un tale nei primi anni 90 fu preso con le mani nel sacco di una brutta quanto miserevole vicenda di mazzette, scampò all’arresto solo per un grave incidente stradale, dovette dimettersi facendo cadere la giunta e alla fine patteggiò poi la pena per finanziamento illecito), oggi si chiede a proposito della sua non-intervista a beppegrillo(tm), quali domande avrebbe dovuto fare:
* non è che l'abbia fatto solo una volta; è il primo link che ho trovato.
Più domande sul caso Tavolazzi? Più domande su Casaleggio? L’ennesima ricostruzione di un tragico incidente d’auto di venti e più anni fa? E magari anche di quella volta che Grillo copiò un compito a scuola o fregò la merendina al compagno di banco?
* non è che l'abbia fatto solo una volta; è il primo link che ho trovato.
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