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martedì 25 maggio 2010

Un pezzetto di manovrina

Disposizioni in materia di procedure concorsuali:
- per favorire ed agevolare la composizione delle crisi d'impresa, specie in considerazione del momento di particolare congiuntura economica ancora nell'ottica di favorire e promuovere l'erogazione di nuovi finanziamenti da parte sia di intermediari bancari e finanziari sia di soci: prededuzione per i finanziamenti erogati in attuazione degli accordi (concordatari ovvero di ristrutturazione dei debiti), e per i finanziamenti-ponte concessi ed erogati dagli intermediari nella fase precedente il deposito delle domande di ammissione alla procedura di concordato preventivo;
- accordi di ristrutturazione: sospensione delle azioni esecutive e cautelari in corso anche durante le trattative decisa dal tribunale nel corso di un'udienza alla quale sono chiamati a partecipare tutti i creditori (per preservare il diritto di difesa dei creditori estranei) ;
- esonero dalla responsabilità per bancarotta per istituti introdotti dalla riforma fallimentare e nei quali opera il controllo giudiziario: concordato preventivo, accordi di ristrutturazione dei debiti e piani stragiudiziali attestati.
Nessuno, a quanto ho visto, ne ha parlato, et pour cause, in quanto si tratta di una materia molto tecnica e soprattutto che non produce alcun effetto di gettito o di risparmio di spesa.
Sta di fatto che nel documento stilato dal Tesoro riguardante la cosiddetta "manovrina" economica, all'ultimo punto si trova questo capitoletto che riguarda le procedure concorsuali. Non si capisce bene cosa ci azzecchi con il resto, ma chi per mestiere fa fallire le aziende capisce benissimo cosa significa.
Il primo punto è un via libera alle banche a rischiare di più nel tentativo di salvare aziende decotte. In pratica si dice che se un'azienda ormai bollita presenta o sta per presentare una domanda di concordato preventivo o un accordo di ristrutturazione con i debitori, e nel frattempo ha bisogno di soldi per pagare stipendi e fornitori, la banca che erogherà quei soldi avrà diritto a vederseli restituire prima degli altri.
questo potrebbe anche avere un senso logico, ma l'esperienza dimostra che fin troppo spesso è proprio in questa fase che l'imprenditore fa tutto il possibile per raschiare il fondo del barile e nascondere, in Isvizzera o sotto il materasso, soldi o preziosi. Dando alla banca che agisce per "salvare" l'impresa uno strumento mediante il quale essere pagata prima di chiunque altro (dipendenti compresi), nel 25% dei casi probabilmente si darà all'imprenditore uno strumento in più per uscire dalla crisi, ma nel 75% dei casi gli si darà in mano un'arma per farsi un gruzzoletto in nero alle spese di lavoratori (cioè dell'INPS, che si surroga a loro) e dei piccoli fornitori, destinati a rimanere a bocca vuota.
Il terzo punto poi elimina anche l'unico rischio, pur se spesso teorico, che l'imprenditore e le banche potrebbero correre. Eliminando il reato di bancarotta per gli accordi di ristrutturazione dei debiti e, soprattutto, per i piani stragiudiziali attestati, si consente all'imprenditore disonesto di salvarsi preventivamente da un reato semplicemente raccogliendo la firma di un commercialista.
Immaginiamo un'applicazione concreta di questa nuova normativa: i soggetti sono un imprenditore in crisi, una banca compiacente e un commercialista (pagato dall'imprenditore). La banca mette del denaro per creare una nuova società, l'imprenditore prende i pezzi buoni dell'azienda decotta e li trasferisce nella nuova società, mentre i pezzi cattivi (e i relativi lavoratori) restano nella vecchia società, che viene data in affitto a un pensionato il quale dopo aver versato un acconto (con soldi passatigli sottobanco dall'imprenditore) smette di pagare. Il tutto con la firma di un commercialista che attesta che il piano ha un senso.
Ecco: tutto ciò oggi fa prendere diritta la strada di San Vittore, senza passare dal via. Se quello che c'è scritto nel documento del Tesoro fosse tradotto in legge, domani sarebbe del tutto lecito.

P.S.: il documento del Tesoro, linkato sopra, lo pubblica il sito del Corriere. Repubblica non lo pubblica, ma loro sono troppo impegnati a migliorare il fatturato della 3M, quella che fabbrica i Post-it.

martedì 9 giugno 2009

Cosa succede all'accordo Fiat-Chrysler?

In questi giorni i titoli dei giornali parlano dell'accordo Fiat-Chrysler in toni drammatici o surreali, secondo i punti di vista.
In particolare la notizia della sospensione della vendita della parte buona di Chrysler a Fiat ha fatto scrivere a molti che ora Chrysler rischia il fallimento; il che è bizzarro, dato che gli stessi avevano già scritto che Chrysler era andata in "bancarotta", sia pur controllata.
Non è una delle mie specialità spiegare le cose in breve, ma forse merita scrivere due righe "spot" in attesa di completare la disamina del funzionamento della procedura fallimentare negli USA.
Anticipando quindi temi che poi saranno sviluppati in dettaglio, e richiamando tutto quanto scritto a proposito della procedura fallimentare italiana, che trovate a partire da questo post, possiamo dire che negli USA (come del resto in Italia) esistono svariati tipi di procedure fallimentari, ciascuna con un proprio nome, per quanto siano più comunemente conosciute con il numero del chapter, vale a dire il capitolo (o più propriamente, in italiano, il capo, che li tratta nel Titolo 11 dello US Code.
E così abbiamo tre procedure principali:
  • Liquidation (Chapter 7)
  • Reorganization (Chapter 11)
  • Adjustment of Debts of an Individual with Regular Income (Chapter 13)
Vi sono poi altre procedure di minore importanza pratica, che non starò a descrivere.
La Reorganization, o Chapter 11, è la procedura tipica delle grandi aziende di cui abbiamo sentito parlare in questi mesi: Lehman Brothers, Chrysler, General Motors; e corrisponde abbastanza da vicino al nostro Concordato preventivo, come strutturato dopo le riforme del 2006-2008.
La Liquidation, o Chapter 7, è invece il corrispondente del nostro Fallimento.

Come ricorderete da quanto abbiamo visto per l'Italia, il Concordato preventivo postula l'esistenza di un piano di salvataggio dell'azienda o perlomeno il pagamento dei creditori tramite un piano concordato, mentre il Fallimento significa che non c'è più nulla da fare e tutto viene venduto al miglior offerente, ripartendo i soldi fra i vari creditori; e la stessa cosa vale, più o meno, per Chapter 11 e Chapter 7.
Per Chrysler, in particolare, il piano si basa sulla vendita della parte buona dell'azienda a Fiat, anche tramite i fondi TARP stanziati dal Governo federale (Bush prima e Obama poi) per il salvataggio delle istituzioni finanziarie in difficoltà. Senza tale vendita, detta 363 sale dal numero dell'articolo a valere sul quale è stata autorizzata dalle corti federali di I e II grado, tutto il castello crollerebbe e non vi sarebbe altra soluzione che la Liquidation: almeno secondo Chrysler.

A tale soluzione si sono però opposti tre categorie di creditori, e precisamente:
  1. un'associazione di fondi pensione domiciliati nello Stato dell'Indiana, che lamentano una serie di eccezioni, tra cui: il fatto che il Tesoro non può usare i fondi TARP per salvare un'industria automobilistica piuttosto che finanziaria; la ristrettezza dei tempi imposti alla procedura, che impedisce i diritti di difesa e la ricerca di altri acquirenti; la lesione dei diritti di prelazione dei fondi rispetto ad altri creditori meno privilegiati (quali i lavoratori, secondo la legge USA); l'inadeguatezza economica della somma offerta per l'acquisto
  2. le associazioni dei consumatori, che adducono il fatto che l'operazione impedirebbe a soggetti feriti o uccisi da autoveicoli Chrysler di chiedere alla "vecchia" Chrysler i danni derivanti da difetti di costruzione
  3. un'associazione di vedove di operai deceduti per mesotelioma, che pure adducono il fatto che venendo meno la "vecchia" Chrysler non vi sarebbe alcuno per rifondere i danni
Naturalmente Chrysler e gli altri creditori hanno ribattuto a tali questioni, ma non credo sia il caso di elencare qui i motivi per i quali essi ritengono che invece l'operazione sia conveniente e legittima.

Sia la corte di I grado del Southern District of New York sia la Court of Appeal for the 2nd Circuit hanno dato ragione a Chrysler (e al Tesoro degli Stati Uniti), e pertanto i tre soggetti sopra indicati si sono rivolti alla U.S. Supreme Court, la Corte Suprema federale.
Il ricorso è stato assegnato al giudice Ruth Bader Ginsburg, competente per il 2nd Circuit, che qualche minuto prima dello scadere del termine entro il quale sarebbe divenuta esecutiva la sentenza d'appello (e pertanto avrebbe potuto essere perfezionata l'operazione di vendita) ha emesso un ordine di sospensione, al fine di poter decidere con più calma il merito delle cause.
Questo non vuol dire che il giudice si sia schierato pro o contro la Fiat, ma semplicemente che si è presa tempo per decidere, tutto qui.

I motivi di questo fermo tecnico infatti possono essere i più vari: il giudice Ginsburg può aver ritenuto di non assumersi la responsabilità unica della decisione, bensì di volerla condividere con gli altri otto colleghi; oppure può già aver consultato i colleghi, e in presenza di opinioni dissenzienti aver deciso il "congelamento" per preparare un parere di maggioranza; o può anche aver deciso di attendere le motivazioni della sentenza della Court of Appeal.
Possiamo comunque affermare che la decisione assunta dal giudice è stata l'unica seriamente prospettabile, dal momento che qualora non avessa fatto così ella si sarebbe assunta la responsabilità di un atto dal quale non sarebbe stato possibile tornare indietro, senza neppur aver potuto leggere gli atti di causa (pensiamo infatti che i cancellieri della Corte Suprema hanno potuto completare il fascicolo -enorme- solo verso mezzogiorno di lunedì, e il termine scadeva alle quattro del pomeriggio).
Aspettiamo ora di vedere cosa succederà.

sabato 23 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /11

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui
Negli articoli che parlano delle procedure statunitensi mi sono riproposto di utilizzare sempre i termini originali inglesi, in corsivo, per tutti i sostantivi tecnici. Mi riservo di utilizzare l'aggettivo fallimentare e consimili, di quando in quando, per fluidità di discorso.
Mi capiterà anche di scrivere "America" e "americano" nel senso di "Stati Uniti" e "statunitense": la professoressa Collotti Pischel rimandava a casa senza appello e senza esitare il candidato che avesse detto "Russia" o "russo" per riferirsi alla nazione e al popolo sovietici: so che voi non siete così drastici, e l'uso di termini colloquiali serve ad alleggerire il discorso.


Se siete riusciti ad arrivare sino a questo punto dovreste esservi fatti un quadro abbastanza verio, seppur molto semplicistico, della storia delle procedure fallimentari italiane, e avrete colto -almeno lo spero- alcune caratteristiche fondamentali.
Anzitutto, avrebbe dovuto emergere con chiarezza la preminenza la natura squisitamente liquidatoria del Fallimento e, a ruota, delle altre procedure minori, seppur con qualche temperamento. Da tale natura liquidatoria discende direttamente la seconda caratteristica, vale a dire l'incardinamento di tutte le procedure sul creditore, che viene tutelato sia dai maneggi del debitore che da quelli degli altri creditori che concorrono con lui nello spartirsi il patrimonio del fallito.
Abbiamo anche visto che dal 2006-2008 questi pilastri sono un po' venuti meno (e se vogliamo esser pignoli, già erano stati superati per le grandi aziende in crisi con la legge Prodi-bis/Marzano), e limitatamente al Concordato preventivo si può dire vi sia stata una mezza rivoluzione copernicana; ma per il resto rimangono i cardini che ho esposto poco fa.
Se andiamo dall'altra parte dell'Oceano, negli Stati Uniti, le cose stanno in modo completamente diverso: quello che mi propongo è di illustrarvi come funziona la Bankruptcy americana e, ora che siete provetti nel diritto italiano, farvi apprezzare le differenze rispetto alla disciplina che abbiamo noi.

Consentitemi una divagazione: quando ho pensato di fare degli articoli comparatistici, quello che mi proponevo era di spiegare agli italiani come funzionano le leggi del loro paese, sula base della triste constatazione che, grazie all'egemonia culturale americana che pervade il mercato cinematografico, librario e televisivo, gli italiani gli italiani conoscono meglio le procedure e le leggi di laggiù.
Una delle poche materie in cui ciò non è vero è proprio quella fallimentare: e ciò perché, per quanto uno sceneggiatore possa aver vinto decine di Oscar, rendere appetibile al pubblico un First Day Motion Hearing sarebbe veramente impensabile.
Questo ciclo di lezioni è nato in coincidenza con il Chapter 11 filing di Chrysler, e pian pianino si è espanso ben al di là degli intenti originari, tanto che a pochi giorni dalla celebrazione dell'asta che, sulla base del 363 sale plan, dovrebbe assegnare gli asset di Chrysler a Fiat, non abbiamo ancora visto proprio nulla della procedura americana.
Nel frattempo tante cose sono accadute: probabilmente settimana prossima anche General Motors cercherà riparo in un Chapter 11: spero di esser riuscito a spiegare qualcosa prima che anche GM venga venduta!

Veniamo al sodo, dunque: e cominciamo con il principio che sta alla base di tutto il diritto fallimentare statunitense:

Fresh Start


Nel 1915 la Corte Suprema federale rimarcava:
It is the purpose of the Bankruptcy Act to [...] relieve the honest debtor from the weight of oppressive indebtedness and permit him to start afresh free from obligations and responsibilities consequent upon business misfortunes (Williams v. United States Fid. & Guar. Co., 236 U.S. 549)

Nel successivo 1934 la stessa Corte Suprema, nel caso Local Loan co. v. Hunt (292 U. S. 234), affermava:
This purpose of the act has been again and again emphasized by the courts as being of public, as well as private, interest, in that it gives to the honest but unfortunate debtor who surrenders for distribution the property which he owns at the time of bankruptcy a new opportunity in life and a clear field for future effort, unhampered by the pressure and discouragement of preexisting debt
Sembra un'impostazione un po' paternalistica, ma in queste poche parole c'è tutto il diritto fallimentare americano: ricordate che lo scopo del diritto continentale è quello di garantire i creditori l'uno dall'altro, e di impedire che il debitore possa fregarli? Ecco, per il diritto degli Stati uniti lo scopo è quello di regolare le cose una volta per tutte, per consentire all'onesto ma sfortunato debitore una nuova opportunità nella vita.
E, come sempra accade quando si parla di Stati Uniti, non è semplice capire le motivazioni profonde di certi comportamenti. Avevo detto che sembra un po' paternalistica questa tutela dell'"onesto ma sfortunato" debitore: in fondo, basta pensare a due film quali La ricerca della felicità o The wrestler per avere due esempi di come l'America sia quel posto dove se non hai i venti dollari per il padrone del motel, quello ti cambia la serratura, fregandosene del fatto che tu abbia un bambino stanco e affamato o centotre gradi di febbre.
E in effetti il concetto di Fresh Start ha un po' a che fare con i diritti della persona, ma molto di più con la tensione tutta statunitense all'efficienza.
La stessa sentenza Local Loan co. v. Hunt spiega molto bene che il principio dell'esdebitazione (così è stata chiamata in Italia la cancellazione dei debiti introdotta dalla nuova legge fallimentare nel 2006) è anzitutto di interesse pubblico: perché per chi si trova a dover versare i propri guadagni ai creditori, pochi o tanti che questi siano, guadagnare o non guadagnare avvetto è la stessa cosa: e quindi pure lavorare o non lavorare affatto (in Itala vi sarebbe l'alternativa del lavoro in nero, che la Corte Suprema federale ovviamente non prendeva neppure in considerazione):
The power of the individual to earn a living for himself and those dependent upon him is in the nature of a personal liberty quite as much, if not more, than it is a property right. To preserve its free exercise is of the utmost importance not only because it is a fundamental private necessity, but because it is a matter of great public concern. From the viewpoint of the wage earner, there is little difference between not earning at all and earning wholly for a creditor. Pauperism may be the necessary result of either. The amount of the indebtedness, or the proportion of wages assigned, may here be small, but the principle, once established, will equally apply where both are very great. The new opportunity in life and the clear field for future effort which it is the purpose of the Bankruptcy Act to afford the emancipated debtor would be of little value to the wage earner if he were obliged to face the necessity of devoting the whole or a considerable portion of his earnings for an indefinite time in the future to the payment of indebtedness incurred prior to his bankruptcy.


(continua)

domenica 17 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /10

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

Siamo finalmnte arrivati a parlare della nuova procedura di Concordato preventivo (avevamo parlato qui di come funzionasse fino al 2006: lo rammento giusto per un ripasso, forse necessario).
Come vi avevo detto, con le riforme del 2006-2008 è cambiato tutto, e la nuova procedura è molto simile al Chapter 11 USA, tanto che si inserisce un po' a fatica nell'insieme del sistema italiano. Ricorderete anche che con la riforma era cambiato il Fallimento, nel senso che era stato tolto un po' di potere ai magistrati in favore dei creditori, ed era stata data una maggiore attenzione alla salvaguardia dei complessi aziendali; ma in fondo sono inezie rispetto a quello che vedremo ora.
Si può dire che della vecchia disciplina il Concordato preentivo mantenga solo il nome; e forse sarebbe valsa la pena di modificare anche quello adottando il termine Ristrutturazione, che del resto è la miglior traduzione dell'inglese Reorganization: parola che altro non è se non il titolo del famigerato Chapter 11. Certo il legislatore non ha proprio copiato paro paro la disciplina americana: ci sono ad esempio forti echi della riforma tedesca e vi sono istituti -primo fra tutti il DIP Financing- che non sono stati importati; ma insomma l'influenza è molto forte.

Il presupposto per l'ammissione al Concordato preventivo è lo "Stato di crisi": che è una cosa ben diversa dallo "Stato di insolvenza" richiesto per la dichiarazione di Fallimento e anche per il "vecchio" concordato preventivo. Stato di crisi può voler dire ad esempio che un'impresa ha ancora un patrimonio netto positivo (cioè più beni che debiti) ma non ce la fa a pagare i creditori: ad esempio perché i creditori devono essere pagati subito, mentre i beni (o una loro parte significativa) non sono smobilizzabili senza interrompere l'attività o senza perderci troppo. Oppure l'impresa ha bisogno di trasformarsi completamente, dato che fa un prodotto non più vendibile (pensate, ad esempio, ai laboratori di sviluppo di pellicola fotografica, che in pochi anni sono letteralmente spariti o si sono dovuti convertire alla stampa digitale): ma per farlo ci vogliono soldi che può essere impossibile trovare se i debiti sono già elevati.
Dunque, l'imprenditore in "Stato di Crisi" può presentare una domanda che può prevedere:
    a) la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l'attribuzione ai creditori, nonche' a societa' da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
    b) l'attribuzione delle attivita' delle imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore; possono costituirsi come assuntori anche i creditori o societa' da questi partecipate o da costituire nel corso della procedura, le azioni delle quali siano destinate ad essere attribuite ai creditori per effetto del concordato;
    c) la suddivisione dei creditori in classi secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei;
    d) trattamenti differenziati tra creditori appartenenti a classi diverse.

Che significa in pratica tutto ciò? In parole semplici, la proposta può prevedere qualunque tipo di soluzione per la soddisfazione dei creditori: questi possono essere pagati in percentuale mediante denaro, o mediante la cessione dei beni o anche mediante azioni o obbligazioni loro offerte. La lettera b) ci dice che l'imprenditore può proporre di vendere tutto a un terzo soggetto, detto Assuntore, il quale poi pagherà i creditori, sempre in percentuale. La lettera c) diche che possono essere formate (sempre dell'imprenditore che redige la domanda!) classi di creditori omogenei per posizione giuridica o interessi (es.: una classe può essere quella dei dipendenti, un'altra quella dei fornitori...); e alle diverse classi possono essere offerti diversi trattamenti (lett. d).
Notate che è del tutto sparito il requisito della meritevolezza, e non vi sono più percentuali minime da offrire, neppur ai creditori privilegiati. Si può ben dire, insomma, che l'offerta può essere fatta come meglio si crede.
Il Tribunale, dal canto suo, esegue un controllo che possiamo dire meramente formale e, se tutto è in regola, dichiara aperta la procedura, nomina il commissario giudiziale e convoca l'Adunanza dei creditori.
Il Commissario giudiziale fa tutti i controlli per redigere la sua relazione (e se rileva che l'imprenditore ha nascosto qualcosa o imbrogliato le carte può segnalarlo al Tribunale che, d'ufficio, può dichiarare il fallimento), che presenterà all'Adunanza.
Qui i creditori votano, e la proposta si intende approvata se raccoglie l'assenso della maggioranza dei crediti (non più delle teste, quindi) e, se vi sono più classi, l'assenso (a maggioranza) della maggioranza delle classi.
Viene poi convocata l'udienza per l'omologazione del concordato, nella quale i creditori possono esporre eventuali reclami. In particolare può presentarsi un creditore che appartenga a una classe dissenziente, il quale contesti la convenienza della proposta: in tal caso "il Tribunale puo' omologare il concordato qualora ritenga che il credito possa risultare soddisfatto dal concordato in misura non inferiore rispetto alle alternative concretamente praticabili".
Se il concordato viene omologato, esso è obbligatorio per tutti i creditori, consenzienti o dissenzienti; se non viene omologato, tuttavia, non vi è più l'automatismo del Fallimento.

Queste le linee generali. Possiamo dire che con la nuova disciplina l'imprenditore può quindi proporre qualunque cosa, purché ragionevole e onesta (infatti se il commissario giudiziale "accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o piu' crediti, esposto passivita' insussistenti o commesso altri atti di frode" deve riferire al tribunale che può dichiarare il fallimento).
Sta ai creditori, e solo a loro, stabilire le la proposta sia anche conveniente, e se del caso dare la loro approvazione. Il Tribunale, se non c'è la frode, non ha più alcun potere in tal senso. E se la maggioranza dei creditori (o meglio, i creditori che rappresentino la maggioranza dei crediti) dicono di sì, anche se la proposta non fosse conveniente il tribunale deve omologare la procedura: può entrare nel merito solo nel caso dell'opposizione di un creditore che appartenga a una classe dissenziente.
In effetti i Tribunali non sono stati felicissimi di perdere tutto il controllo; e per quanto si vede in questi primi tempi di applicazione, ne hanno recuperato un po' estendendo il concetto di "frode": ma sono rimedi che si possono applicare in non molti casi.
In tutti gli altri, il controllo sulla procedura ce l'hanno solo i creditori: i quali sono lasciati, si può dire, da soli a prendere le proprie decisioni. Certo, i grandi creditori (che spesso sono poi le banche) avranno degli uffici legali o dei professionisti in grado di assisterli; ma questi non possono che basarsi sui dati del Commissario giudiziale, dato che non hanno accesso ai documenti dell'impresa e quindi non sanno se vi siano degli atti suscettibili di revocatoria.
E comunque i creditori hanno un'istintiva repulsione per il fallimento del loro debitore, vedendo in esso -forse non a torto- un'ottimo mezzo per perdere ogni possibilità di recuperare qualcosa in un lasso di tempo ragionevole: e pertanto, salvo casi sporadici, tendono sempre a votare a favore del Concordato.

Vedete inoltre che l'altra fondamentale differenza rispetto al passato è che mentre prima il Concordato preventivo, pur non comportando il fallimento, aveva comunque una natura liquidatoria, e quindi al suo termine l'impresa non esisteva più, qui invece le cose sono ben diverse. La proposta può prevedere, ad esempio, il pagamento da parte di un terzo che acquista l'azienda, oppure offrire azioni o obbligazioni ai creditori; il che significa che alla fine della procedura l'azienda è ancora lì, in grado di lavorare.

(continua)

martedì 12 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /9

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

Come vi ho detto in sin troppe occasioni, nel 2006, in attuazione di una legge-delega del 2005 e nell'ambito di una riforma complessiva del diritto societario, la Legge Fallimentare è stata completamente riformata.
La prima cosa che si può dire della riforma è che è stata fatta con i piedi. E non si tratta di un giudizio di merito: non è che mi metta a fare il comunista che vuole a tutti i costi criticare il governo Berlusconi allora in carica, no. E' proprio che sembra scritta da un branco di scimmie del Burundi; e ciò non sarebbe bello per i cittadini del Burundi e per i suoi giuristi, ma certamente è ancor peggio per un paese che crede ancora di avere qualcosa da insegnare nel mondo quanto a Diritto.
Basti un esempio: se all'art.180 si dice che "Il Tribunale [...] approva il concordato con decreto motivato", non si può poi dire all'art. 183 che "Contro la sentenza che omologa o respinge il concordato possono appellare gli opponenti e il debitore entro quindici giorni dall'affissione"; perché o (aut) è un decreto, o (aut) è una sentenza; e le due cose sono diverse, seguono procedure diverse e necessitano di rimedi diversi. Sarebbe come, per un matematico, mettere in un'equazione un e, e nel passaggio successivo un π, con la scusa che tanto sono tutt'e due numeri trascendenti.
E se all'art.163 si scrive "[...] il commissario giudiziale provvede a norma dell'articolo 173, quarto comma", non si può poi, santo cielo!, lasciare un art.173 di due soli commi; e lo stesso vale per l'art.186 "Nel caso di concordato mediante cessione dei beni a norma dell'art. 160, comma secondo, n.2", che si riferisce ad un art.160 che contiene un solo comma e quattro lettere delle quali solo la "a" parla di cessione dei beni: queste cose, credo, le capisce anche il profano senza bisogno di alate metafore; ma pensate chi si trova a sfogliare il codice e dirsi "e mo' che faccio?", avendo in ballo magari qualche milione che si rischia di perdere se si fa la mossa sbagliata.

Insomma: con l'entrata in vigore della riforma è successo un gran bailamme; e fra l'altro il numero dei fallimenti è crollato vertiginosamente, in quanto non si capiva nemmeno chi fosse fallibile e chi no, e a chi spettasse dimostrare i requisiti: se cioè fosse il fallendo a dover dimostrare di essere non fallibile, o l'istante (il richiedente) a dover provare che lo fosse. Sta di fatto che nessuno ci si raccapezzava, tanto che si è dovuta mettere in piedi in fretta e furia una nuova riforma, entrata in vigore il 31.12.2007.
L'insieme di queste due riforme ha dato luogo a una sistemazione che non è del tutto scevra da dubbi interpretativi: ma questo è abbastanza comprensibile in quanto è una caratteristica di tutte le normative nuove, che hanno bisogno di tempo per sedimentarsi nei particolari. Però adesso le linee generali si riescono a comprendere bene!

La prima cosa da dire è che con la riforma i giudici hanno molto meno spazio di prima, e correlativamente ne hanno molto di più il curatore da un lato e i creditori dall'altro.
Mentre precedentemente qualunque imprenditore non minuscolo poteva fallire (o essere sottoposto a una delle altre procedure concorsuali), ora vi sono dei requisiti che fanno sì che siano soggetti al fallimento (e alle altre procedure) solo gli imprenditori di una certa dimensione: non grossi, ma neppur minuscoli o anche semplicemente piccoli; viene poi sottratto al Tribunale il potere di dichiarare d'ufficio il fallimento (è necessario che qualcuno lo chieda espressamente).
Per quanto riguarda specificamente il Fallimento, vi sono tutta una serie di profondissime riforme procedurali che vi risparmio (del resto di procedura non avevamo parlato neppure in precedenza), mentre dal punto di vista sostanziale vi sono due cose molto importanti.
La prima, una drastica riduzione dei casi di revocatoria, sia mediante la diminuzione del cosiddetto "periodo sospetto" (dove in precedenza si richiedevano due anni, ora se ne richiede uno; e dove prima si richiedeva un anno, ora si richiedono sei mesi), e l'introduzione di una serie di esenzioni.
La seconda, una nuova procedura per la liquidazione dei beni, che tende a preservare, per i complessi aziendali, la loro continuità nel tempo (e quindi a consentirne la vendita in blocco, anche funzionanti, evitando lo "spezzatino" dei beni e la perdita dei posti di lavoro).
Per quanto riguarda la riforma delle revocatorie, si può dire che sia stata una reazione a certi eccessi che si sono sviluppati nel tempo: vero è che con la vecchia legge venivano sovente revocati atti che erano stati posti in essere in perfetta buona fede e in momenti in cui nessuno, imprenditore compreso, poteva sospettare l'avvicinarsi di una crisi: e quindi quello che era un rimedio contro le frodi era divenuto una vera e propria ingiustizia che rendeva difficili gli affari; vero è anche che con la nuova normativa praticamente le revocatorie sono divenute quasi impossibili: e quindi si è passati da un eccesso all'altro.
Per quanto riguarda la vendita in blocco di complessi aziendali, il legislatore non ha fatto altro che rendersi conto che la salvaguardia dei complessi aziendali conviene sia ai lavoratori che agli stessi creditori; per quanto a volte ciò si presti a sperequazioni che tendono a favorire taluni (lavoratori; obbligazionisti) a scapito di altri. Ma sarebbe troppo complicato spiegarne i meccanismi.

Le maggiori novità sono però state introdotte nella disciplina del Concordato Preventivo, per il quale è stato preso a modello proprio il Chapter 11 statunitense.

(continua)

lunedì 11 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /8

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

L'altro giorno avevo rimarcato come, in assenza di commenti, non mi fosse possibile capire se queste lezioni fossero di un qualche interesse e, soprattutto, se quanto raccontavo fosse abbastanza chiaro.
Un commento di Fang, che ringrazio di cuore, mi fa capire che il tema della revocatoria è tutt'altro che chiaro; e dato che è fondamentale per capire come funziona un fallimento, ci torno un poco sopra.
La revocatoria, abbiamo detto qui, è un'azione posta in essere dal fallimento per "smontare" un atto compiuto al fine di "metterlo in quel posto" ai creditori" (i termini tra virgolette sono ovviamente tecnicismi giuridici che mi perdonerete).
Poniamo il caso di un imprenditore che, qualche giorno prima di fallire, decide -tra tutti i debiti che ha- di pagare 1.000 euro a uno dei suoi creditori, il quale conosce benissimo la sua situazione; o addirittura che decide di pagare tale somma anticipatamente, anche se la fattura scadrebbe solo dopo un mese.
In questo caso, una volta dichiarato il fallimento, il curatore chiederà indietro i 1.000 euro al creditore; e questi -che pertanto risulta non pagato- avrà diritto di chiedere 1.000 euro al fallimento. Solo che il fallimento riceve 1.000 euro interi, mentre il creditore riceverà, alla chiusura del fallimento, 1.000 euro in moneta fallimentare: cioè nella misura in cui la riceveranno tutti gli altri creditori. Se ipotizziamo che il fallimento paghi il 15% ai creditori chirografari, il nostro creditore dovrà restituire 1.000 e alla fine ricevere 150: ne consegue che per gli altri creditori ci saranno 850 euro in più da spartire.
Un altro caso di revocatoria è quello relativo a una concessione di garanzia. Mettiamo il caso che l'imprenditore di prima anziché pagare 1.000 euro conceda un'ipoteca per quella somma al creditore. Questi, dopo la dichiarazione di fallimento, avrà diritto di farsi pagare per intero il proprio credito, vale a dire ricevere 1.000 euro. Ma se il fallimento revoca l'ipoteca, cioé la fa dichiarare inefficace, dovrà pagare solo 150 euro: vedete che l'effetto è il medesimo.

Come si accorda tutto ciò con la disciplina del Concordato preventivo? Facciamo qualche altro numero.
Ammettiamo che un imprenditore abbia beni per 700.000 euro e debiti per 1.000.000, di cui 400.000 privilegiati. Egli può (poteva: siamo sempre nella normativa anteriore al 2006) presentare una domanda di Concordato preventivo che preveda:
- il pagamento delle spese (50.000 euro: notate che le spese hanno sempre precedenza su tutto);
- il pagamento per intero dei creditori privilegiati (400.000 euro);
- restano 250.000, con cui pagare 600.000 di crediti chirografari: vale a dire il (250/600=)41,6%: la domanda è ammissibile in quanto la percentuale supera il 40%.
E' però possibile che quei 400.000 euro di crediti privilegiati in realtà siano costituiti da 150.000 di privilegi veri (ad esempio un'ipoteca risalente nel tempo, come pure stipendi arretrati), e per 250.000 di privilegi concessi in frode agli altri creditori. In caso di fallimento pertanto come sarebbero distribuiti i soldi?
- 100.000 euro per le spese (che sono superiori: è una procedura più costosa);
- 150.000 euro per i crediti privilegiati;
- 450.000 euro a pagamento di 850.000 euro di crediti chirografari, per una percentuale del (450/850=)53%.
Ne risulta che il fallimento è più conveniente del concordato, anche se costa di più!

Ecco: questi sono i ragionamenti che, vigente la normativa anteriore al 2006, il Tribunale doveva fare prima di dichiarare l'omologazione del Concordato. Notate che si tratta di ragionamenti che possono fare anche i singoli creditori che vanno a votare sull'ammissione; ma non si tratta di ragionamenti semplicissimi, soprattutto perché la revocatoria non è un qualcosa di scritto sul marmo. Se ben ricordate, infatti, in certi casi il Curatore deve fornire la prova che il creditore sapeva che l'imprenditore stava per fallire; in altri è il creditore stesso che deve provare che non lo sapeva: rimane insomma un certo margine di dubbio, che fa sì che l'esito della causa sia tutt'altro che scontato; ed è per questo che la decisione del Tribunale fallimentare doveva assicurare un approccio più tecnico e consapevole, a tutela di tutti i creditori.

(continua)

venerdì 8 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /7

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

Dopo aver parlato delle tre procedure concorsuali liquidatorie e di una serie di aspetti tecnici quali le revocatorie e la bancarotta, affrontiamo oggi l'ultima procedura prevista dalla Legge Fallimentare, che è anche la più bella e interessante, almeno a mio parere e nei limiti in cui queste cose possono essere considerate interessanti.
Si tratta anche della procedura che ha subito maggiori cambiamenti dal 2006, avvicinandosi molto al modello del Chapter 11 americano: ed è per questo che l'ho lasciata per ultima e le dedicherò un certo spazio.

il Concordato Preventivo
Ricorderete che un imprenditore che ha più debiti che patrimonio è insolvente e quindi soggetto alla dichiarazione di fallimento: e anzi il fatto di non richiedere tempestivamente il proprio fallimento può essere un comportamento penalmente rilevante, se da ciò ne derivi un aggravamento del proprio stato di dissesto patrimoniale (è infatti questa una delle ipotesi di bancarotta semplice).
Esiste tuttavia una scappatoia al fallimento: il Concordato Preventivo. Vediamo anzitutto come funzionava fino al 2006, poi passeremo all'esame della riforma.

L'imprenditore che si trovasse in stato di insolvenza poteva chiedere al Tribunale l'ammissione al Concordato preventivo, purché meritevole (e quindi avesse tenuto regolarmente i libri contabili, non fosse già fallito in precedenza etc.), con una domanda con la quale doveva offrire di pagare integralmente i creditori privilegiati e almeno al 40% i creditori chirografari (cioé, come ricorderete, i creditori privi di cause legittime di prelazione). I soldi per far ciò dovevano venire da una fonte affidabile e garantita, oppure dalla messa a disposizione dei creditori di tutti i propri beni, purché il loro di valore fosse tale da far ritenere possibile raggiungere la percentuale del 40% per i chirografari.

In pratica, il debitore formulava una domanda che conteneva:
- l'elenco dei propri debiti, con l'indicazione se garantiti o chirografari;
- l'indicazione della somma messa a disposizione e garantita, oppure l'elenco dei propri beni con le perizie che ne stabilissero il valore;
- la dimostrazione matematica che i soldi disponibili (tecnicamente il Fabbisogno concordatario) potevano consentire il pagamento integrale dei creditori privilegiati, e che il rapporto tra quanto restava e i crediti chirografari fosse maggiore del 40%.
Il Tribunale verificava che la proposta non fosse palesemente campata per aria e nominava un Commissario giudiziale, il quale doveva fare le pulci a tutta l'impresa, verificando i crediti, i beni, la gestione degli anni precedenti  e insomma un po' tutto, dopodiché produceva una relazione, nella quale se del caso venivano corretti o aggiornati i numeri presentati dal proponente.
La relazione veniva discussa in un'assemblea detta Adunanza dei creditori, all'esito della quale i creditori chirografari potevano votare a favore o contro la proposta di Concordato (i privilegiati non potevano votare, dato che per loro era previsto il pagamento integrale); le maggioranze necessarie erano di 1/2 dei creditori (per testa) e 2/3 dei crediti (per importo).
Se le due maggioranze venivano entrambe raggiunte, veniva convocata l'udienza per l'omologazione del Concordato, nella quale il Tribunale doveva verificare non solo che le maggioranze fossero effettivamente raggiunte, ma anche:
- che la proposta di Concordato fosse conveniente per i creditori;
- che le garanzie offerte o il valore dei beni messi a disposizione fossero congrui e realistici;
- che l'imprenditore fosse veramente meritevole.
In caso positivo il Tribunale dichiarava l'Omologazione del Concordato: cioé dichiarava che l'accordo era stato raggiunto ed era vincolante per tutti i creditori, che avessero votato o meno a favore.
Si trattava, come vedete, di una procedura abbastanza complessa; e per l'imprenditore era un percorso ricco di insidie, dal momento che se qualcosa andava storto in tutti questi passaggi, automaticamente il Tribunale dichiarava il fallimento.
Tuttavia era una procedura molto importante, in quanto se andava a buon fine evitava il fallimento, e questo vuol dire, fra l'altro, non essere soggetto alle imputazioni per bancarotta semplice o fraudolenta, non subire le incapacità previste per legge e così via.
Il Concordato aveva anche altre importantissime differenze rispetto al Fallimento: anzitutto nel caso ci fossero beni da vendere, questi potevano essere realizzati a trattativa privata, e quindi per solito meglio rispetto all'asta pubblica.
Ma la cosa più importante era che non potevano essere avviate le revocatorie fallimentari; e difatti in ultima analisi l'adunanza dei creditori esprimeva sempre parere favorevole, salvo nel caso in cui l'imprenditore avesse fatto tali e tante porcherie che ci si poteva attendere che un Fallimento, azionando le revocatorie, avrebbe portato a casa un bel po' di soldini in più; e quindi in ultima analisi ripartire di più ai creditori.
Era poi una procedura comunque sempre soggetta al controllo del Tribunale, che doveva anche valutare la convenienza per i creditori, e poteva decidere di bocciare la proposta anche se i creditori avessero votato a favore: e ciò nel presupposto che i creditori erano relativamente manipolabili; o comunque, non essendo dei tecnici, potevano non cogliere gli elementi che avrebbero dovuto farli propendere per il Fallimento. Era, insomma, un'impostazione un po' paternalistica, legata comunque ad un'economia molto più arcaica, nella quale il singolo aveva bisogno di essere guidato, nel presupposto che non fosse del tutto in grado di badare ai propri interessi. Non prendete questa considerazione come un giudizio di valore, bensì solo come una constatazione; vedremo infatti nella successiva puntata come le cose siano cambiate, e potremo cercare insieme di capire se lo siano in meglio o in peggio.

(continua)

lunedì 4 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /6

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

Dopo aver visto le tre procedure fallimentari liquidatorie (Fallimento; Liquidazione Coatta Amministrativa e Amministrazione Straordinaria) arriviamo (finalmente! direte voi;-) a parlare di quello che ha dato lo stimolo a questa serie di articoli.

La Bancarotta
Quando abbiamo parlato del Fallimento vero e proprio abbiamo accennato al fatto che esistono nel nostro ordinamento degli strumenti con i quali gli organi della procedura possono far rientrare nel patrimonio del fallito i beni che se ne siano allontanati: le azioni revocatorie.
Ma il fatto che ci siano le revocatorie, non vuol dire che l'imprenditore possa fare tutto quello che vuole: una cosa è vendere un immobile, che può sempre essere fatto tornare indietro; mentre tutt'altro è occultare denaro e mandarli in Isvizzera. E comunque la tutela dei creditori non può essere rimessa solo alla caparbietà e capacità del curatore.

La Legge fallimentare prevede pertanto che il fallito possa essere punito anche dal punto di vista penale.
Badate che il fatto di fallire, in sé, non è un fatto punibile: la prigione per debiti è stata abolita da secoli ed è ormai scontato che fare impresa comporti il rischio di perdere i propri denari, senza che ciò debba comportare la perdita della libertà. Ma vi sono comportamenti gravi, equivalenti per certi versi alla truffa o al furto, e questi meritano una punizione.

E' appena il caso di accennare che nel diritto italiano la responsabilità penale personale: quindi se il fallito è una persona fisica, sarà lui ad essere sottoposto al procedimento; mentre se è una società saranno i suoi amministratori, come specificato dalla Legge Fallimentare.
Per chi non abbia dimestichezza con il diritto penale, è inoltre il caso di dire che l'apertura di una procedura fallimentare è elemento costitutivo del reato di Bancarotta: ciò significa che ci sono dei comportamenti che non sono vietati in assoluto, ma diventano reato se chi li pone in essere fallisce.

Bancarotta Semplice
La Bancarotta Semplice (art. 217 L.F.) è un reato tutto sommato minore, in quanto punito con la reclusione da sei mesi a due anni: ciò significa che in pratica non si andrà in galera e quasi sicuramente il reato si prescriverà prima della condanna definitiva. Vengono puniti per Bancarotta Semplice una serie di comportamenti che potremmo quasi dire "comprensibili". E' infatti responsabile di bancarotta semplice l'imprenditore che:
    1) ha fatto spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alla sua condizione economica (spese pazze);
    2) ha consumato una notevole parte del suo patrimonio in operazioni di pura sorte o manifestamente imprudenti (ha giocato in borsa o dilapidato soldi al casinò; o anche rischiato inutilmente in derivati);
    3) ha compiuto operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento (le sciocchezze fatte spinto dalla forza della disperazione);
    4) ha aggravato il proprio dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave colpa (nascondere la cenere sotto il tappeto);
    5) non ha soddisfatto le obbligazioni assunte in un precedente concordato preventivo o fallimentare.
Siamo, insomma, di fronte a un incosciente, un irresponsabile o un bambinone, ma non lo definirei un criminale.

Bancarotta Fraudolenta
Ben diverso è il caso della Bancarotta Fraudolenta (art. 216 L.F.), con cui viene punito l'imprenditore che:
    1) ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti;
    2) ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
    La stessa pena si applica all'imprenditore, dichiarato fallito, che, durante la procedura fallimentare, commette alcuno dei fatti preveduti dal n. 1 del comma precedente ovvero sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili.
Si tratta di fatti ben più gravi: qui non c'è semplicioneria, ma vera e propria intenzione di delinquere: e difatti la pena va da 3 a 10 anni!
Vi è poi, sempre classificata come Bancarotta Fraudolenta, ma considerata meno grave (è punita infatti con la reclusione da 1 a 5 anni), la cosiddetta Bancarotta preferenziale: vale a dire il reato commesso da chi, prima di fallire, distorce la par condicio tra i creditori, pagando taluno di essi preferendolo ad altri che avrebbero avuto gli stessi diritti o simulando cause di prelazione.

In conclusione: la Bancarotta, in Italia, è una cosa grave. Può essere semplicemente seria, come nel caso della Bancarotta semplice, o proprio grave come nel caso della fraudolenta; sta di fatto che si tratta comunque di un reato, anzi per la precisione di un delitto. e' per questo che parlare di "bancarotta pilotata", come fanno i giornali di questi tempi, è fuorviante.
Perché che non sa che cosa sia la bancarotta in Italia può credere, sulla scorta di tali letture, che coloro che ne sono imputati qui (i Tanzi, I Geronzi, i Ricucci...) siano accusati di qualcosa in fondo secondario; e chi lo sa, magari per esserci passato vicino in proprio o per il tramite di qualche parente, non riesce a capire come sia possibile che di là dell'Oceano sia buono ciò che di qua è cattivo, senza sapere che in realtà si tratta solo di omonimia.

La volta prossima, sempre che siate ancora interessati, parleremo dell'ultima procedura italiana, che ho lasciato per ultima perché ci servirà da ponte verso il Chapter 11 americano. Non vi nascondo che mi farebbe piacere qualche commento per capire se ho azzeccato il taglio e se sto diventando troppo prolisso o noioso o semplicemente inutile: il contatore dei caratteri segna ora 6369 solo per questo post, e mi sento un po' come un professore di liceo che stia spiegando il proprio poeta preferito e veda che in classe nessuno fa una mezza domanda: è possibile che lui in quel momento sia così chiaro che nessuno sente il bisogno di approfondire un passaggio difficile; ma è anche possibile (e vorrei dir probabile) che stiano tutti dormendo.
Anche se, come ci insegna un affezionato lettore, talvolta questi studenti silenziosi riservano piacvoli sorprese.

(continua)

Lezioni italo-americane - la bancarotta /5

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

Puntatina facile facile, oggi, che si limita a raccontarvi di altre due procedure concorsuali: la Liquidazione Coatta Amministrativa e l'Amministrazione Straordinaria.

Liquidazione Coatta Amministrativa
La Liquidazione Coatta Amministrativa è praticamente la stessa cosa del Fallimento, solo che si applica a imprese che per svariati motivi sono di interesse pubblico: si va dalle Banche alle Assicurazioni fino alle semplici cooperative.
Praticamente funziona tutto come il Fallimento, solo che alla procedura sovrintende un organo amministrativo (tipo il Ministero dell'Industria) anziché il Tribunale e il Giudice Delegato.

Amministrazione Straordinaria
L'Amministrazione Straordinaria delle grandi imprese in crisi è invece una cosa complicata assai, disciplinata prima dalla Legge Prodi, ora dalla Prodi-bis e dalla Legge Marzano e da ultimo rivista con il Decreto Alitalia.
La cosa principale da comprendere è che mentre il Fallimento è una procedura essenzialmente liquidatoria, l'Amministrazione Straordinaria può prevedere sia la vendita dei complessi aziendali, in blocco o a spezzatino, sia la definizione di un piano di ristrutturazione al cui esito l'impresa (o il gruppo di imprese) dovrebbe tornare in grado di sopravvivere da sola.
Il concetto qui è che, trattandosi di realtà di rilevante importanza (infatti debbono avere almeno 200 dipendenti per la Prodi-bis e 500 dipendenti per la Marzano), l'interesse dei creditori passa in secondo piano rispetto all'interesse pubblico alla sopravvivenza dell'impresa. In parole semplici: mentre nel Fallimento il Curatore deve fare tutto il possibile per vendere presto e bene e pagare i creditori, qui deve cercare anzitutto di salvare l'azienda e i posti di lavoro, e poi, in seconda istanza, pagare i creditori.
Come potrete ben immaginare, su questa procedura si sono scritti libroni compendiosi, ma sarebbe inutile anche solo accennare qui ai mille e più temi affrontabili. Un tema però è importante sottolineare: vale a dire che già dalla prima Legge Prodi, risalente al 1979, era passato il concetto che in certi casi l'interesse alla sopravvivenza dell'impresa, per quanto insolvente, deve essere preferito a quelli dei creditori. Del resto il Diritto altro non è se non il contemperamento di interessi contrapposti, e ciascun ordinamento, in un dato momento storico, sceglie quali siano gli interessi più meritevoli di essere tutelati. Si tratta di una scelta eminentemente politica e non tecnica: questo va sempre tenuto presente da parte di coloro che credono che i Ministri più qualificati siano i cosiddetti "tecnici": e quindi medici alla Sanità, avvocati alla Giustizia, ferrovieri ai Trasporti e cineasti allo Spettacolo.

Amministrazione Controllata
Giusto una riga per dire che fino al 2006 esisteva anche l'Amministrazione Controllata: una procedura con la quale l'impresa si metteva sotto il controllo giudiziale per un periodo fino a due anni, sperando nel frattempo di risolvere i propri problemi.
Non è che ciò accedesse molto spesso: diciamo che il tasso di successo era paragonabile al numero di occasioni nelle quali il PPEDSAAQCPHVLE* ha assunto una posizione chiara, decisa e comprensibile su un tema di interesse pubblico.

*Precedente Principale Esponente Dello Schieramento Avverso A Quello Che Poi Ha Vinto Le Elezioni

(continua)

domenica 3 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /4

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

Con quello che abbiamo visto nella scorsa puntata avete imparato tutto quello che c'è da imparare per capire che cos'è un Fallimento, dal punto di vista sostanziale. Non crediate tuttavia di essere diventati dei fallimentaristi e di potermi rubare il mestiere: il diritto fallimentare infatti è complicatissino, dal punto di vista procedurale; e la cosa è ben comprensibile se consideriamo che, per definizione, un fallimento è una coperta corta, che ciascuno dei (tantissimi) soggetti a vario titolo coinvolti cerca di tirare almeno un po' dalla sua parte. Creditori privilegiati contro creditori chirografari; creditori chirografari contro altri creditori chirografari; quelli che rivendicano un bene contro il Curatore che afferma che il bene è del fallimento; e poi periti, consulenti, aste, verifiche; e su tutto una pletora di avvocati, una parte (fortunatamente minoritaria) dei quali non si fa scrupoli a complicare le cose per assicurarsi parcelle più grasse.
E' chiaro, anche al profano, che questa mole di conflitti può essere affrontata solo con un corpo organico e complesso di regole procedurali, anche defatiganti, che per vostra e mia fortuna qui ci possiamo risparmiare.

Ci mancano solo due approfondimenti, prima di passare oltre: vi sembreranno ora minuzie, ma vedrete che saranno molto importanti quando andremo a vedere come funziona la Bankruptcy negli USA.
L'imprenditore
Il primo è relativo alla figura dell'imprenditore. Abbiamo spesso detto imprenditore anziché debitore, e il motivo è semplice: secondo la Legge fallimentare italiana solo gli imprenditori possono essere dichiarati falliti.
Prima del 2006 il fallimento poteva essere dichiarato nei confronti di qualunque imprenditore (persona fisica, o meglio ditta individuale, e società), eccezion fatta per quelli così minuscoli da essere praticamente inesistenti. Oggi invece è necessario avere anche un certo volume d'affari e di capitali, per cui si è ridotto il numero di soggetti fallibili.
Il motivo della limitazione ai soli imprenditori è abbastanza semplice: da un punto di vista storico, il nostro diritto fallimentare del 1942 discende dal Codice di Commercio del 1882, a sua volta derivato dal Code du Commerce napoleonico del 1807, cui erano soggetti solo i commercianti. Ma vi è anche un motivo sostanziale che giustifica il permanere di questa limitazione: tutta la struttura del procedimento fallimentare è tesa alla salvaguardia dei diritti dei creditori, sia nei confronti del fallito sia, soprattutto, nei confronti degli altri creditori, al fine di assicurare la parità di trattamento di ciascuno. Ed è solo di recente che i privati cittadini sono in condizione di contrarre una pluralità di debiti: fino a non molti anni fa l'unico debito che l'uomo della strada poteva contrarre nella propria vita era un mutuo fondiario per l'acquisto della casa, e più recentemente magari le cambiali per l'acquisto della Seicento. Non esistendo forme di finanziamento quali le carte di credito, il credito al consumo, i prestiti a interessi zero, veri o mascherati, alla fin fine il fallimento di un privato si sarebbe risolto nel concorso dell'Istituto di credito fondiario e del pizzicagnolo all'angolo: ben poca cosa per i tempi e i costi di una procedura così complessa.

La chiusura del fallimento
Ci resta da vedere cosa succede quando il fallimento si chiude. Per quanto riguarda le società, non c'è granché da dire: una volta terminata la procedura la società viene cancellata dal registro delle imprese e muore a tutti gli effetti.
Per quanto riguarda le persone, invece, non è che le si possa ammazzare, né tenere in stato di fallimento fino alla loro morte naturale; e così fino al 2006 la legge prevedeva che con la chiusura del Fallimento "I creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi": in parole povere ciascuno è libero di rimettersi a cercare beni da pignorare, vuoi quelli che fossero sfuggiti alle grinfie del curatore, vuoi quelli che il povero ex imprenditore dovesse tornare ad accumulare nel tempo (la sottolineatura di povero è dovuta al fatto che delle centinaia di falliti che io ho conosciuto nel tempo, solo due o tre in tutto alla fine stavano messi veramente male: gli altri erano tutti rimasti belli e pasciuti).
In effetti non è che poi si andasse veramente ad inseguire l'ex fallito per il resto dei suoi giorni, ma la possibilità, in teoria e talvolta anche in pratica, di fronte a falliti che conducevano la bella vita, c'era.
Con la riforma del 2006 è stata introdotta la esdebitazione: vale a dire che il fallito che si sia "comportato bene" durante la procedura può ottenere la liberazione dai debiti residui: la loro cancellazione, in parole povere: ciò consente al fallito, o dovrebe consentirgli, di ripartire daccapo.

(continua)

sabato 2 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /3

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

Abbiamo detto che le Procedure concorsuali servono, nel diritto italiano e specialmente nel diritto vigente fino al 2006, a far sì che i creditori non siano costretti a fare l'"assalto alla diligenza" sui beni del debitore; in altre parole, ad evitare che chi primo arriva meglio alloggi.
La principale procedura concorsuale del diritto italiano è il Fallimento; lo è perché il modello sul quale poi si incardinano le altre, e fino a poco tempo fa lo era anche in termini numerici; ma con le recenti riforme la sua frequenza sta scendendo. Vediamo un po' di cosa si tratta.
Rammentiamo sempre che stiamo parlando delle regole vigenti fino al 2006; vedremo successivamente i cambiamenti apportati di recente.

Il Fallimento
Ridotto all'essenziale, il Fallimento non è particolarmente difficile da spiegare. In buona sostanza si tratta di prendere tutti i beni di un debitore, metterli in mano a un soggetto che ne curerà la vendita (il Curatore fallimentare), e che ripartirà i soldi così ottenuti tra i creditori. Il Curatore agisce sempre sotto il controllo del Giudice delegato, che decide su tutte le questioni della procedura tranne nei casi più importanti, ove interviene il Tribunale fallimentare.
I concetti fondamentali da comprendere non sono poi moltissimi, vale a dire:
  1. dal momento in cui si apre il fallimento, nessun creditore può agire individualmente contro il fallito;
  2. se qualcuno avesse già iniziato ad agire (ad esempio pignorando un immobile, o un conto corrente), tale azione si interrompe e se del caso viene ripresa in mano dal Curatore, che rappresenta tutti i creditori;
  3. il curatore ha il compito di amministrare e realizzare tutti i beni del fallito, e di ripartire il ricavato tra tutti i creditori.
Ovviamente quando si ripartiranno i danari, dovranno essere rispettate le cause di prelazione, e quindi i dipendenti dovranno essere pagati per primi, e così via. La cosa è più semplice a dirsi che a farsi, anche se la questione esula da queste note.
Giusto per curiosità vi basti sapere che ogni creditore deve chiedere di essere ammesso al passivo; deve cioè presentare al Giudice delegato una domandina con l'ammontare del proprio credito e le proprie cause di prelazione, e chiedere che questi vengano iscritti in un registro chiamato Stato passivo. Mille e uno sono i motivi per cui le opinioni del creditore e del Giudice delegato differiscono; e come potete immaginare ciò dà luogo a un bel numero di complicazioni: vale a dire di cause dette Opposizioni allo Stato passivo.

Fin qui la cosa è abbastanza semplice, ma se ci avete fatto caso manca qualcosa, no? Abbiamo infatti detto che il fallimento serve ad evitare l'assalto alla diligenza, ma che dire se l'assalto è già avvenuto?
Facciamo alcuni casi. Uno banale è che il debitore, quando le cose cominciano ad andare veramente male e non c'è speranza di salvarsi, cominci a pagare qualche creditore preferendolo ad altri: e ciò per due ordini di possibili motivi. Immaginate di avere una fabbrica di mobili e di dover pagare il fornitore di legname e l'impresa che vi ha rimesso a posto le grondaie: chi sceglierete? Evidentemente il fornitore di legname: perché le grondaie tanto ormai sono a posto, mentre se non pagate quello il legname, sarà ben difficile che ve ne arrivi ancora e che quindi possiate produrre qualche altro mobile.
Un altro ordine di motivi, molto meno nobile, è che prendiate un accordo con uno dei fornitori per pagarlo (magari per forniture inesistenti) spartendovi la torta, in modo da mettere in Isvizzera un gruzzoletto, in salvo dalle rapaci mani del curatore.
Esiste poi il caso in cui uno dei creditori, minacciando magari di farvi fallire, si faccia rilasciare una garanzia per il proprio credito (ad esempio un'ipoteca); in tal modo anche se non si è fatto materialmente pagare, comunque passa ingiustamente avanti rispetto agli altri.
Ecco quindi la necessità di un rimedio per prevenire tutti questi casi; e il rimedio si chiama Azione revocatoria

Il concetto dell'azione revocatoria è quello di smontare certe operazioni che vanno contro la par condicio creditorum. Chi ha di fronte un imprenditore che non sa dove sbattere la testa ha delle formidabili armi di ricatto: proprio come uno strozzino; lo scopo delle azioni revocatorie è quello di impedire che una parte possa approfittarsi di questo stato di bisogno.

Esistono quindi tre categorie di atti che possono essere revocati, vale a dire:
  1. Atti così irregolari da essere sempre revocabili ("a prescindere", direbbe Totò);
  2. Atti talmente sospetti che vengono revocati salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore;
  3. Atti che in sé e per sé non destano sospetti, ma per i quali il Curatore può provare che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore.
Dato che siete persone intelligenti (del resto leggete questo blog!) capirete bene che i concetti di "provare che non conosceva" e "provare che conosceva" si prestano a duemila e una contestazione: e difatti le cause revocatorie sono le più lunghe, complesse e di incerto esito del diritto fallimentare.

Non stiamo preparando un esame e quindi non ci sarebbe bisogno di fare l'elenco dei singoli casi; ma per i più curiosi vediamo lo stesso quali sono i vari tipi di atti revocabili (sempre secondo la legge previgente, in vigore fino al 2006). Chi non si curasse di sentirli, e avesse però voglia d'andare avanti nella storia, salti addirittura al capitolo seguente.

Atti sempre revocabili

  • tutti gli atti a titolo gratuito compiuti fino a due anni prima del fallimento (diciamolo, che regalare un appartamento a una signorina non è proprio una pratica commerciale di tutto rispetto!);
  • tutti i pagamenti anticipati di crediti che sarebbero scaduti a partire dal giorno del fallimento, se compiuti entro due anni prima (in poche parole: avevi un debito da pagare del 2010, l'hai pagato nel 2008 e sei fallito nel 2009; bene, quei soldini devono tornare indietro).
Atti "sospetti", che vengono revocati salvo che l'altra parte provi che non conosceva lo stato d'insolvenza del debitore
  • atti (compiuti nei due anni prima del fallimento) in cui il fallito ha pagato troppo ciò che ha ricevuto o è stato pagato troppo poco per ciò che ha dato (si presume che l'altra parte l'abbia preso per la gola);
  • pagamenti (compiuti nei due anni prima del fallimento) eseguiti con mezzi anomali (se un imprenditore paga con gioielli o con le chiavi della Porsche anziché con assegni o bonifici, è ben difficile che l'altra parte possa dire di non sapere quanto stava messo male);
  • garanzie costituite nei due anni prima del fallimento per crediti non scaduti (se avevi un credito senza garanzie, e non era ancora scaduto, perché mai ti fai dare d'improvviso una garanzia? Vuol dire che sai che le cose vanno male!)
  • garanzie costituite nell'anno prima del fallimento per crediti scaduti (ci può anche stare che se il debitore non riesce a pagare il creditore si faccia rilasciare una garanzia, ma la cosa è comunque molto sospetta)
Atti che di per sé non destano sospetti, ma per i quali il Curatore può provare che l'altra parte conosceva lo stato d'insolvenza del debitore
  • i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili, gli atti a titolo oneroso e quelli costitutivi di un diritto di prelazione per debiti contestualmente creati, se compiuti entro l'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento

(continua)

venerdì 1 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /2

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

Vediamo anzitutto alcuni principi generali. L'art. 2740 del codice civile dice che "Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri": chi contrae un debito insomma deve pagarlo, e se non lo paga gli verranno tolti i beni finché non l'avrà pagato.
Dato che tutti sono uguali davanti alla legge, anche tutti i creditori devono essere trattati allo stesso modo; pertanto, ipotizzando che un tizio abbia 30.000 euro di debiti e possieda beni solo per 10.000 euro, ciascuno dei creditori dovrebbe ricevere circa il 33% di quanto gli è dovuto. Tuttavia tale elementare principio di uguaglianza ha delle eccezioni e pone dei problemi.

Le eccezioni
L'art. 2741 c.c. infatti ci dice che "I creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore, salve le cause legittime di prelazione. Sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche". I creditori, insomma, non sono tutti uguali tra loro. Sappiamo bene che se vogliamo comperare una casa, la banca ci concederà un mutuo e iscriverà un'ipoteca sull'immobile: quell'ipoteca ha l'effetto di far sì che il credito della banca, qualora non dovessimo pagare, avrà un diritto di prelazione sul valore della casa: la banca verrà insomma preferita agli altri creditori, limitatamente al valore della casa. Così pure se andiamo a portare le lenzuola (o il brillocco) al Monte dei pegni, sul valore di quelle lenzuola (o di quel brillocco) il Monte sarà preferito rispetto agli altri creditori.
Esistono poi una serie di creditori che sono preferiti per definizione: primi fra tutti i lavoratori dipendenti, i professonisti, gli artigiani e via discorrendo. E' universalmente noto, infatti, che in caso di fallimento i dipendenti sono i primi ad essere pagati.

I problemi
Facciamo ora un altro esempio: abbiamo il nostro imprenditore che ha un patrimonio di €10.000 e debiti per €30.000 (quindi un patrimonio netto negativo per €20.000). Ipotizziamo che dei debiti, €5.000 siano verso dipendenti e gli altri verso creditori senza nessuna causa legittima di prelazione (tecnicamente si chiamano creditori chirografari). In teoria dovrebbero andare €5.000 ai dipendenti, e i rimanenti €5.000 a pagamento degli altri €25.000 di debiti, che verrebbero pagati al 20%, quindi, anziché al 33%.
Se voi foste un creditore chirografario, diciamo per €10.000, non preferireste fare un accordo con il debitore per portare a casa il 25% o il 30%? Naturalmente! Ma se tutti facessero così, alla fine i dipendenti si troverebbero con molto meno dei 5.000 euro a cui avrebbero diritto, il che è evidentemente ingiusto.
Se ci pensiamo bene, poi, non c'è neppur bisogno di mettere in mezzo i dipendenti: in fondo è vero che i soldi non bastano; ma è anche vero che ciascuno dei creditori ha il pieno diritto di essere pagato per intero: e quindi al primo segno di crisi si scatenerebbe una lotta spietata tra i creditori per arrivare prima degli altri ad arraffare tutto quel che c'è da arraffare.
Ciò sarebbe ingiusto per due ordini di motivi: dal punto di vista dei creditori, in tale maniera sarebbero premiati i più rapidi, i più decisi, i più spregiudicati; e la spregiudicatezza non è una di quelle qualità che l'ordinamento giuridico dovrebbe premiare. Ma anche dal punto di vista del debitore, dobbiamo considerare che al primo indizio di difficoltà vi sarebbe una corsa all'accaparramento che in pochissimo tempo metterebbe l'impresa in condizioni di non poter più lavorare: e quindi anche un momentaneo e superabilissimo momento di difficoltà porterebbe alla distruzione dell'impresa e della ricchezza, con conseguenze negative non solo per l'imprenditore, ma anche per lo stesso sistema economico.

E' per questo motivo che un po' tutti gli ordinamenti conoscono le Procedure concorsuali: vale a dire un sistema di regole sostanziali e procedurali che fanno sì che sia rispettata la parità di trattamento tra tutti i creditori (che tecnicamente si definisce con la locuzione latina Par Condicio creditorum) e il rispetto dei diritti legittimi di prelazione.

(continua)

Lezioni italo-americane - la bancarotta /1

Bancarotta: in questi giorni se n'è parlato assai, e nei prossimi giorni se ne parlerà ancora molto; per questo ho pensato di fare una cosa utile spiegandovi un po' di diritto fallimentare comparato: locuzione impegnativa per dire che racconterò come funzionano i fallimenti in Italia e come funzionano negli USA. All'esito di questa analisi capirete perché dovete rabbrividire ogni volta che sentirete dire "bancarotta" (anche nelle versioni "bancarotta assistita" o "bancarotta pilotata") per riferirsi alla procedura di Chapter 11 (o Chapter 7, o chapter 13, pur se di queste difficilmente sentirete o leggerete qualcosa).
Vi avverto fin d'ora che non sarà una cosa brevissima. Quello che mi propongo è anzitutto spiegare come funzionava il diritto fallimentare italiano prima delle recenti riforme del 2005-2007; successivamente passare al diritto fallimentare italiano oggi vigente, e infine analizzare gli istituti della disciplina di Bankruptcy USA.
Perché parlare del diritto fallimentare previgente, se non è più in vigore neppure da noi? Per due motivi: il primo, seppur meno importante, è che gli istituti basilari del Fallimento vero e proprio, a differenza del concordato Preventivo sono stati toccati solo relativamente dalla riforma (chiarisco il pensiero: sono stati toccati molto gli aspetti più tecnici, che non è certo il caso di affrontare qui); in secondo luogo perché il "vecchio" diritto fallimentare è quello che ancor oggi l'uomo della strada (colui che non si occupa ogni giorno di queste cose) ha in testa come modello. Modello confuso, dato che sono cose delle quali si sa abbastanza poco, ma vagamente conosciuto: parlare degli istituti nuovi senza aver prima esaminato quelli vecchi potrebbe ingenerare, credo, una notevole confusione.
Alcune note di stile: i termini tecnici, intesi come nomi propri, saranno indicati con la lettera maiuscola, e gli istituti di diritto USA rigorosamente in inglese.
Per il diritto italiano, potete trovare la Legge Fallimentare, nelle varie versioni succedutesi nel tempo, qui.
Per il diritto USA, va tenuto anzitutto presente che in base all'articolo 1 sezione 8 della Costituzione, la Bankruptcy è materia di competenza esclusiva federale, e quindi la normativa è emanata dal Congress of the United States (quelli che stanno a Washington D.C., insomma: non ad Albany o Sacramento), e la giurisdizione è pure esclusiva in capo alle U.S. Courts (vale a dire le corti federali e non quelle statali).
Nello specifico, per quanto riguarda la documentazione, un'ottima fonte didattica (salvo vogliate aspettare il bigino del sottoscritto, la cui pigrizia è tristemente nota) è il sito delle United States Bankruptcy Courts, molto chiaro e dettagliato: lo trovate a questo link. Per chi desiderasse accedere direttamente alle leggi, la normativa di riferimento è quella contenuta nel Title 11 dello U.S. Code (vale a dire la raccolta delle leggi federali). Se proprio ci tenete, lo trovate a questo link: tenete tuttavia presente che il modo di legiferare negli USA è profondamente diverso dal nostro: le leggi americane (che tecnicamente si chiamano Statutes) rispetto alle nostre sono incredibilmente più lunghe, analitiche, ripetitive e per certi versi barocche, tanto che un solo articolo può essere lungo pagine e pagine di una minuziosa e ai nostri occhi in fondo inutile elencazione delle più sottili casistiche (prendiamo ad esempio l'art. 524 o il -peraltro fondamentale- art. 362).
Se poi vi interessasse vedere come nello specifico si forma il procedimento di Bankruptcy davanti al giudice federale e leggere i documenti prodotti in un Chapter 11, trovate tutto (ma proprio tutto) pubblicato da Epiq Systems, che gestisce praticamente in via esclusiva questo servizio per i procedimenti più grandi: trovate ad esempio Chrysler, dove potrete via via veder arrivare tutti i singoli atti processuali; e se vi incuriosisce qualche procedura in stadio più avanzato, potete trovare Lehman Brothers o svagarvi tra gli 8610 documenti a tutt'oggi archiviati per Northwest Airlines Corporation: quella di Intrigo Internazionale.

 

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