Questo post di Francesco Cundari vorrei averlo scritto io; dato che non l'ho fatto mi limito a riportarlo.
Il tema della selezione dei gruppi dirigenti resta però ugualmente attuale e degno di essere discusso, come attuale e di rilevante interesse pubblico è il tema della legge elettorale nazionale (con liste bloccate) e del referendum (che di quella legge aggraverebbe tutti i difetti). E’ la questione centrale della democrazia: chi e come seleziona i gruppi dirigenti. Un filo comune conduce infatti dai partiti personali alle liste bloccate, dalle liste bloccate alle candidature improbabili, a un Parlamento muto, a una democrazia bloccata. Bloccata in uno scontro tra due leader indiscussi e indiscutibili – quando ce ne siano almeno due – a capo di due partiti-coalizione tenuti insieme esclusivamente da loro, e dove pertanto potrebbero fare più o meno quello che preferiscono. Con il comprensibile desiderio di trasferire questo modello alle istituzioni: il governo – o meglio, il capo del governo – a decidere, e il Parlamento, composto a quel punto pressoché interamente di vallette e valletti da lui personalmente nominati, a ratificare senza tante storie (proprio come i loro partiti).
E’ uno spettacolo che in buona parte si è già svolto sotto i nostri occhi. Il problema non è dunque la valletta che passi direttamente dagli studi televisivi alle aule del Parlamento, ma il crescente numero di servizievoli valletti che già circondano il capo, in tutti i partiti e in tutti i gruppi parlamentari. Questo è oggi il vero problema democratico. Non se un deputato o un ministro, prima di essere eletto, facesse la velina. Ma che lo faccia dopo.
Mi piace notare che non si fa cenno a Berlusconi: il cesarismo non è un problema legato alla statura morale della persona che volta a volta incarna il ruolo di Cesare, bensì della forma di Stato e di governo. La statura politica di Bonaparte era indiscutibilmente sueriore a quella di Berlusconi e pure a quella di tutti i politici della seconda e pure della prima repubblica; ma ciò non toglie che il bonapartismo non avesse niente a che spartire con la democrazia.
Se al posto di Berlusconi ci fosse Fini o Maroni, sarebbe la stessa cosa. Se ci fosse Casini, pure. E se ci fosse Franceschini (o Veltroni, per gli amanti dello spanking, o Prodi per i nostalgici, o perfino Enrico Berlinguer), pure.
Una democrazia con un solo uomo al comando, sia pur per cinque anni, altro non è che una dittatura della demagogia e del populismo; e allora, forse forse, è meglio una dittatura vera: di quelle con OVRA e MVSN, ché almeno ciascuno sa che cosa ha di fronte. Del resto a Fouché ci stiamo già arrivando.
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