venerdì 30 gennaio 2009

Passaggio all'Euro


Sembra che il titolista del Corriere della Sera abbia ancora dei problemi a ragionare in Euro anziché in Lire.

Lezioni italoamericane - la cauzione /1

Appassionati di cinema e semplici spettatori occasionali ricorderanno sicuramente la scena di North by Nortwest (Intrigo internazionale) in cui Cary Grant, completamente ubriaco per essere stato costretto a scolarsi una bottiglia di Bourbon, viene arrestato dalla polizia e telefona alla madre mettendo in scena una spassosa conversazione. Verso la fine (al minuto 1:25 del video linkato) Grant pronuncia la fatidica frase: You get my lawyer right away and come and bail me out.
E' questo solo uno delle migliaia di esempi con i quali in Italia ci siamo avvicinati all'istituto del rilascio su cauzione, talmente tipico del diritto anglo-americano che non solo qualunque cittadino di laggiù lo conosce, ma (e ciò emerge chiaramente anche dallo stralcio di conversazione sopra riportata) lo esercita come un vero e proprio diritto.
Credo sia noto anche al cittadino medio che, se si viene arrestati in Italia, ci si rivolge all'avvocato sperando che riesca ad inventarsi qualcosa per essere tirati fuori; ma non c'è proprio verso di metter mano al portafoglio e uscire. Negli USA, e in generale nei paesi di Common law, le cose funzionano al contrario. A prima vista potrebbe sembrare un'indegna sperequazione tra persone abbienti e disagiate, ma sarebbe un'interpretazione semplicistica: vediamo perché.

L'istituto della cauzione nel diritto inglese è antichissimo, e per comprenderne la nascita dobbiamo risalire fino alle origini del sistema di Common law.
La conquista dell'Inghilterra da parte dei Normanni, che ebbe luogo nel 1066, non comportò il rovesciamento del sofisticato sistema amministrativo anglo-sassone, basato su di un sistema di signorie locali che avevano il proprio fulcro nelle contee (termine generico italiano che traduce, sia pure approssivamente, i concetti, peraltrro tra loro non del tutto coincidenti, di shire, county e earldom, e che può corrispondere a una nostra provincia).
Le contee (che di regola coincidevano con gli shires ma potevano talora comprenderne più d'uno) erano rette da un signorotto (Count o Earl) e ciascuno shire amministrato da un ufficiale detto shire reeve o sheriff, che aveva anche il compito di amministrare la giustizia in nome del signore locale, secondo le usanze locali.
Ciascun suddito era pertanto sottoposto al potere del signore e dei suoi ufficiali, primo tra tutti lo sceriffo, che poteva eseritare il proprio potere di fatto nella maniera più arbitraria.
Ne conseguiva che un suddito poteva essere sottoposto a qualunque vessazione, stante il potere dei signori e dei loro emissari di imprigionare chichessia (per crimini o per debiti) e con tale strumento impadronirsi di beni e utilità (in pratica arrivando al sequestro di persona); e ciò del tutto legittimamente, dato che tale potere perteneva, almeno formalmente, ai signori in questione.

Senza arrivare a tali distorsioni, in ogni caso anche la pur semplice disparità di comportamenti tra una signoria e l'altra era in sé inaccettabile, dal punto di vista della Corona. Ciò in quanto tali atti comportavano una "grave turbativa della pace del regno", della quale il Re era custode supremo (The king is the fountain of justice, and the supreme conservator of the peace of the realm. Egli pertanto, poteva avocare a sé (o più propriamente alla propria Court of King's Bench qualunque giudizio. Il mezzo tecnico per fare ciò era l'emissione di un ordine scritto (detto brevis in latino e writ in inglese), con il quale si ordinava al signore locale di condurre davanti al King's Bench il prigioniero perché fosse giudicato.

Con il tempo i writ, originariamente in forma libera, furono standardizzati, assumendo una forma per ciascun possibile rimedio dell'ordinamento finché, con le Provisions of Oxford del 1258, vennero "congelati" i possibili tipi di writ (che divennero quindi degli "stamponi") e conseguentemente le possibili azioni esperibili.
Nel XIII secolo quindi si stabilizzò la formula con la quale il Re, chiamando avanti a sé i priglionieri, li sottraeva al giudizio delle signorie locali:
Præcipimus tibi quod corpus Walteri Earl militis in prisona nostra sub custodia tua detentum, ut dicitur, una cum causa detentionis suæ, quocumque nomine praedictus Walterus censeatur in eadem, Habeas corpus ad subjiciendum et recipiendum ea quae curia nostra de eo ad tunc et ibidem ordinare constingant in hac parte, et haec nullatenus omittas periculo incumbendo: et habeas ibi hoc breve
E' questo il writ of Habeas corpus [ad subjiciendum]; la forma più comune del writ, che poteva anche avere sfumature diverse quali: habeas corpus ad respondenum, ad testicficandum, ad satisfaciendum, ad prosquendum, and ad faciendum et recipiendum, ad deliberandum at recipiendum.

(continua)

giovedì 29 gennaio 2009

Un cordiale vaffanculo a... /3

...alla piattaforma di editing di Blogger, che mi ha tirato fuori uno strano codice di errore e si è mangiata un post che mi era costato due giorni di lavoro.
E adesso, quando mi torna, la voglia?

Bastardate

Tanto perché resti scritto:
l'accordo per la soglia di sbarramento alle elezioni europee è una vera bastardata. Veltroni, sapendo che il risultato sarà disastroso, cerca di recuperare parte dei voti di sinistra eliminando tutto ciò che c'è più a sinistra del centro.
E valga il vero: si può essere d'accordo o meno sul fatto che alle elezioni politiche serva una legge elettorale che eviti la frammentazione, perché i piccoli partiti sono fonte di instabilità governativa (io personalmente considero anche questa una mera petizione di principio indimostrata: ma riconosco che è un'opinione con delle argomentazioni).
Per le istituzioni europee invece il ragionamento non vale una cicca in quanto:
  1. la Commissione europea non è sottoposta al vincolo fiduciario verso il Parlamento se non all'atto del suo insediamento;
  2. il Parlamento non ha il potere né di iniziativa legislativa né di discussione dei progetti di legge, limitandosi a ratificarne il testo approvato in sede di Consiglio

Quindi, quando Franceschini viene a dire che gli Italiani non vogliono la frammentazione, anzitutto dice una cosa non provata; e in secondo luogo sfrutta capziosamente l'ignoranza del cittadino comune sui meccanismi di funzionamento delle istituzioni che è chiamato a votare.

Ma la cosa più grave ancora è un'altra: appare chiarissimo che quello che ha da guadagnare è in primo luogo Veltroni (che un nuovo fiasco spazzerebbe via), e in secondo luogo il PD.
A Berlusconi, in fondo, lo sbarramento interessa poco: i suoi concorrenti sono Lega, UDC e ex-AN: vale a dire soggetti tranquillamente sopra la soglia di sbarramento o addirittura imbarcati sulla propria carrozza: non sarà certo il mazzetto di voti di Santanché, Storace e Rauti a cambiare gli equilibri di potere.
Ben diversa la galassia dei partitini di sinistra che, tralasciato ogni apprezzamento sulla litigiosità da capponi, costituiscono comunque un significativo serbatoio di voti intercettabili dal PD (infatti, partendo dal presupposto che ormai IDV abbia raggiunto in Abruzzo il suo livello di massimo splendore raccogliendo tutti gli incazzati, resta ancora il mare magnum degli elettori di sinistra più moderati di Di Pietro).
Berlusconi, quindi, sta facendo un grosso favore a Veltroni: un vero regalo. Ma i regali prima o poi si ricambiano: e quale sarà la contropartita? Può essere che Berlusconi si accontenti di consolidare l'assetto attuale per assicurarsi il Quirinale tra qualche anno; ma il 2013 è lontano, e nel frattempo sicuramente andrà a bussare a danari.
La (mia!) conclusione è questa: Walter Veltroni sta scientemente consegnando per l'ennesima volta a Berlusconi le chiavi della propria permanenza al potere, assicurandogli il passaggio da Palazzo Chigi al Quirinale nella primavera del 2013 o anche prima, considerato che Napolitano non è più proprio un giovinotto. E tutto questo per salvarsi il culo.

mercoledì 28 gennaio 2009

Ditate

Punto Informatico riporta la notizia dell'avvenuta concessione ad Apple del brevetto per l'interfaccia multitouch. Citando l'articolo, il brevetto coprirebbe "un metodo da utilizzare con un device informatico che abbia un display touch screen, in grado di riconoscere ed associare a particolari azioni il tocco di uno o più dita".
Avrebbe subito fatto seguito la dichiarazione di uno dei massimi dirigenti in questi termini: "Non tollereremo il fatto di vedere violata la nostra proprietà intellettuale e assicuro che utilizzeremo tutte le armi a nostra disposizione per evitare che ciò accada". E' chiaro che i bersagli immediati di questi attacchi sono Google/Android, Palm (ammesso che possa un giorno ridiventare bersaglio di qualcosa, e qui lo si spera vivamente) e più in generale tutto il mercato degli "oggetti informatici".
Tralasciando per un attimo la questione sui criteri seguiti dal Patent Office nel convalidare le richieste di brevetto, spostiamo l'attenzione sul contenuto di questa "invenzione".
Più che una replica dell'annosa querelle SCO/IBM-Novell-Linux, che fortunatamente ha portato all'apertura di un Chapter 11 in capo a SCO, a me questo brevetto sembra un tipico caso di Patent trolling il cui puro scopo è quello di assicurare una posizione dominante e/o assicurare un (ingiusto) vantaggio competitivo verso la concorrenza, come nel caso British Telecom vs. Prodigy, laddove BT pretendeva di avere il brevetto sul concetto di hyperlink (e quindi di fatto sull'intero web), per non parlare della famigerata Law Firm Niro & Scavone.

Già, ma questo brevetto l'ha ottenuto Apple, e Apple è buona, innovativa, tecnologica, bianca, e tutti tifano per lei e per il suo comandante supremo, accendendo se necessario ceri per assicurarne lunghi anni di permanenza con noi.
Io credo da anni il contrario: penso a Redmond si siano fatti degli sforzi per andare verso un diverso modello di business (sforzi che tuttavia appaiono minuscoli, appesantiti come sono da quel 90% di quota di mercato che fa sì che qualunque azione appaia comunque monopolista), viceversa a Cupertino non solo non si sia fatto alcun tentativo, ma si siano indirizzate tutte le energie verso una maggiore blindatura e controllo del proprio contenuto tecnologico innovativo, cedendo solo in casi (quali il recente abbandono del DRM sulla piattaforma iTunes, peraltro sostituito dal watermarking in cui non era proprio possibile andare avanti su quella strada).
Spero che converremo tutti sul fatto che AppStore non serve a garantire la qualità del prodotto bensì il controllo sugli sviluppatori, e che il modello di commercializzazione dell'iPhone SIMlockato grida vendetta per chiunque abbia a cuore il concetto "se compro un oggetto gli faccio fare quello che voglio io, e non quello che vuole chi me lo ha venduto".
Quand'è che cominceremo a dedicare un centesimo delle energie che spendiamo contro Gates e Ballmer per parlare con senso critico anche di Steve Jobs?

martedì 27 gennaio 2009

Perseverare è diabolico


Ricorderete che alcuni esponenti del Governo avevano avuto la brillante idea di suggerire agli atleti italiani di non partecipare alla cerimonia di apertura dei giochi olimpici.
Fortunatamente si trattava di una tale cretinata da non essere presa sul serio da nessuno, fatta eccezione per i proponenti.
Sembrava che la cosa potesse servire da lezione, ma evidentemente la realtà supera sempre la fantasia: e così Alfredo Mantica, il nostro sottosegretario agli Esteri, si inventa che la Nazionale potrebbe saltare la partita con il Brasile, il prossimo 10 febbraio, per ripicca contro la decisione di non estradare Cesare Battisti.
Con quella faccia può dire ciò che vuole.

Lezioni italoamericane

Titolo pretenziosissimo, in questo post, per inaugurare una serie di articoli, che scriverò compatibilmente con il mio tempo e la mia voglia (il che vuol dire che questo potrebbe anche essere l'ultimo, oltre che il primo) e dedicati all'illustrazione comparatistica di alcuni istituti giuridici italiani e anglo-americani.
In soldoni ciò vuol dire: prendiamo una "cosa", vediamo come viene trattata in Italia e come la stessa "cosa" (o quanto vi sia di simile) viene trattata nei paesi di Common law, e in particolare negli USA.

Si tratta di un'idea che avevo "in canna" già da qualche tempo, che era stata stimolata da un insieme di fattori: prima di tutto il fastidio nel vedere che i media nostrani spesso fanno fatica a spiegare -se non ignorano del tutto- i fondamenti del nostro sistema di regole civili.
Ne è un esempio l'utilizzo del termine "bancarotta" al posto di "fallimento" (sul tema vi ho già intrattenuto) e, proprio in questi giorni, le polemiche sull'utilizzo delle misure cautelari e più in genere sul ruolo dei giudici. Su tali ultime questioni poi, è gravissimo notare che l'ignoranza, vera o simulata che sia, non si limita al mondo del cattivo giornalismo, bensì investe appieno la classe politica che le leggi è chiamata a farle, e proprio per questo dovrebbe anzitutto conoscerle.
Perché il taglio comparatistico, e perché la focalizzazione sugli USA? Perché, se ci pensate un attimo, l'italiano medio, anche significativamente istruito ma che non abbia una specifica preparazione giuridica, conosce molto meglio il diritto vigente negli USA che quello italiano.
Tutti sanno che negli USA c'è la sedia elettrica e l'iniezione letale, mentre in Italia no. Tutti sanno anche che negli USA se si viene arrestati il poliziotto deve leggere i tuoi diritti; che se cerchi di fuggire ti spara; che si va davanti al giudice che decide la cauzione che talvolta è ridicolmente alta; che al processo c'è la giuria di dodici persone che deve decidere se sei colpevole o innocente e che gli avvocati dicono "obiezione!" e il giudice approva o respinge. Quanti sanno se queste cose ci sono in Italia o ce ne sono di diverse?
Se doveste venire arrestati a Milano o a Napoli anziché a Detroit o Chicago, avete diritto di fare una telefonata? Quando sarà deciso se potrete uscire su cauzione? Sono domande a cui molti sono in grado di rispondere, ma molti altri no.
Se prendiamo questo post di Esiliogiapponese potete vedere chiaramente come l'autore del pezzo originale (un canadese) ritenesse che la procedura giapponese fosse identica a quella americana; e tale opinione gli è rimasta in buona parte anche al termine della disavventura subita, dimostrando di aver capito ben poco del paese in cui vive.

Dopo questa lunga premessa avrei voluto affrontare il tema delle misure cautelari, ma mi manca il tempo e il post risulterebbe veramente troppo lungo. Tornerò quindi in argomento, e per ora mi limito a richiamare questo lucidissimo articolo del Corrierone che spiega cos'è la carcerazione preventiva e quando debba essere disposta. Prossimamente ne parleremo più in dettaglio e vedremo come funziona il sistema della "cauzione" negli USA.

lunedì 26 gennaio 2009

Dei testi delle canzoni

Io ho un grave difetto congenito che mi impedisce di capire i testi delle canzoni. Non sto scherzando: è proprio che non riesco a sentire la musica e capire cosa dice chi ci parla sotto: mi distraggo. Mi sento molto simile a Gerald Ford, che secondo Lyndon B. Johnson non era in grado di mangiare chewing-gum e camminare allo stesso tempo.
Dico di più: io non riesco nemmeno a leggere i versi. Quando vedo un testo con degli a capo lo salto a pié pari. Ci sono dei gialli dove a un certo punto compare una filastrocca che magari dà la chiave per capire tutto. Io la salto: non riesco a leggerla.
Insomma: io e i versi siamo su pianeti diversi. Tanto leggo la prosa quanto rifiuto quelle frasette corte corte e pretenziose. Certo, questo non agevola moltissimo il rapporto con la signora con la quale mi accompagno, che fa la poetessa; ma in fondo non è che si basi sull'intellettualità, quindi...

Tutta questa premessa per dire che a me delle canzoni di Povia e di Gino Paoli, quand'anche le dovessi sentire, tutto quello che resterà in testa sarà il ritornello più o meno orecchiabile, che potrei canticchiare sotto la doccia facendo "zum zum tarattatattà" inventando le note (non so neppure distinguere un Sol da un Diesis).
Non vi sarebbe quindi alcun motivo per parlare di questi due distillati della cultura Made in Italy, se non fosse che il Blogocono(tm) -almeno quello che io seguo- in questi giorni ha espresso con veemenza le proprie idee sui due artisti.
Per quanto ho letto io (ammetto che potrebbe essere una fotografia parziale del fenomeno) le considerazioni che vanno per la maggiore sono:
  • Povia è un poco di buono perché pensa che i gay siano malati da guarire: è gravissimo che la sua canzone venga cantata / bisogna impedirlo a qualunque costo / bisogna fare le barricate e bruciare il teatro Ariston
  • Paoli viene indegnamente / ingiustamente attaccato dalla triade Mussolini-Carlucci-Moige: è inammissimile una tale limitazione alla libertà di parola / dell'artista / della poesia.

  • Mi sembra che tutti i miei 25 lettori possano concordare sul fatto che un essere, umano o animale che sia, che viene attaccato dalla sullodata triade non possa che meritare, aprioristicamente, tutta la nostra stima. E quindi Gino Paoli è il nostro eroe, per quanto antipatico possa starci.
    Ma, francamente, non mi sembra che la posizione del povero Povia sia granché differente. La sua colpa è, mi sembra, quella di essere attaccato dall'Arcigay anziché dal Moige; ma credo che se vogliamo difendere il diritto di parola, questo debba valere per tutti e non solo per coloro che sono attaccati dai nostri nemici o difesi dai nostri amici o da coloro che sentiamo più ideologicamente vicini: in questo modo si arriva a difendere (o viceversa a condannare) una causa solo perché viene sposata da Santoro; si giudica il giudizio o il giudice, e non il merito delle cose.
    Oltretutto questa cosa di Povia mi è ancora più oscura, dal momento che, a quanto ho visto spendendo 30 secondi su internet (ché tanti ne meritava, non uno di più), sembrerebbe che il testo di questa benedetta canzone non sia stato ancora reso pubblico: per cui coloro che lo criticano criticherebbero qualcosa che non conoscono.

    giovedì 22 gennaio 2009

    Questioni di principio

    Ci sono due ambiti nei quali si fa la politica che conta, quella che fa la storia: gli affari esteri e la garanzia delle libertà individuali.
    Il partito democratico ha dimostrato per l'ennesima volta di non riuscire a trovare una linea comune su una questione fondamentale, quale quella del diritto a vivere e morire come meglio si crede.
    Certo, ci sono stati temi affrontati con piglio decisionista e sui quali si sono raggiunti risultati di valore: la commissione di vigilanza RAI, ad esempio, laddove la ferma opposizione del PD è riuscita ad allontanare Villari. O il federalismo fiscale, dove il PD ha nientepopodimeno che ottenuto un grande successo accordandosi con la maggioranza per l'astensione.

    Su altri temi le cose non vanno così bene. Io ormai non ho più tanta voglia di scrivere: mi sembra un esercizio inutilmente sterile criticare un morto che cammina. Mi limito a linkare un articolo del Corriere che racconta lo stato della discussione nell'ex maggior-partito-riformista (sotto il 23% questa definizione non calza più).
    Linko anche un articolo de L'Occidentale: è vero che si tratta di una testata sostanzialmente inqualificabile, ma potrei sottoscrivere riga per riga quanto scrive l'autrice.

    I morti potrebbero essere non più di 500 o 600.

    Lorenzo Cremonesi ci dà una bella notizia.
    In verità il loro numero appare molto più basso dei quasi 1.300 morti [...] I morti potrebbero essere non più di 500 o 600
    Dormirò sereno, dandomi del pirla per essermi indignato un pochino, quando i morti avevano superato il migliaio; ora per fortuna tutto torna nel rassicurante alveo della normalità.
    Mezzo migliaio di morti meritano al più un'alzata di sopracciglia, e per quel centinaio che balla mi sono ispirato al mio salumaio di fiducia "c'è un mezz'etto in più, che faccio, lascio?"

    Comunicazione di servizio

    Dato che, come taluni dei miei più affezionati lettori sanno, nell'impossibilità di bruciare la mia persona è stato dato alle fiamme il mio giubbotto di pelle primaverile, oggi ne ho comprato un altro da Conbipel.
    Chi lo doveva sapere, lo sappia.

    Un cordiale vaffanculo a... /2


    ...ai 46 stronzissimi residenti del quartiere di San Siro (nel quale fra l'altro abito io medesimo).

    Un paese normale /5

    Il Cardinale di Torino Poletto, lo stesso che dice che non bisogna rovinare la skyline della città con minareti.
    La sottosegretaria al Welfare Eugenia Roccella, secondo la quale la Regione Piemonte «incontrerà gravi difficoltà, e soprattutto problemi procedurali, nel provare ad applicare le procedure indicate dal decreto della Corte d’Appello» sulla sospensione dell’alimentazione a Eluana Englaro.
    Il Ministro del Welfare Sacconi, che con un atto di indirizzo amministrativo ha statuito che "Interrompere nutrizione e idratazione delle persone in stato vegetativo persistente non è legale per le strutture pubbliche e private del servizio sanitario nazionale".

    Tutte queste persone, in un paese normale come gli USA, ad esempio (non voglio dire "civile", dato che laggiù friggono anche i minorenni), sarebbero incriminate per oltraggio alla corte e rinchiuse in cella finché non la piantassero di agire al fine di impedire l'esecuzione di una sentenza passata in giudicato.

    mercoledì 21 gennaio 2009

    Commissione di Vigilanza

    L'avvenuto scioglimento della Commissione Parlamentare di Vigilanza non significa che il problema sia stato risolto.
    Non tanto per il fatto che Villari, ineffabile, abbia convocato comunque la Commissione ormai inesistente per venerdì prossimo (il che apparirebbe un preoccupante sintomo di autismo, ma non lo si può dire in quanto il segretario del partito che fu di Villari si comporta esattissimamente allo stesso modo), quanto per il fatto che adesso bisognerà costituire una nuova commissione.
    Buon senso e carità vorrebbero che la lezione sia servita e che non si debba ripetere la medesima trafila: nomina di nuovi commissari, battaglia su quale sia il partito di minoranza al quale debba andare la presidenza, individuazione del candidato, ostruzionismo della maggioranza e così via.
    Sarebbe del tutto illogico che un ceto politico così screditato -da ambo le parti- rimettesse in piazza le stesse baruffe chiozzotte.
    Talmente illogico e lunare che potrebba anche riaccadere.

    Trilioni di negri

    Gilioli ha scritto una cosa sulla quale non sono d'accordo.
    Niente di male, per carità, ma vediamo il punto.
    Nigger in inglese americano è un insulto. Non è questione di political correctness: è proprio che si tratta della parola con la quale erano designati gli schiavi negri, sottolineandone lo status di inferiorità sociale e giuridica per motivi razziali. Proprio per tale motivo, fin dal XIX secolo a tale lemma sono stati affiancati i termini "colored" e "black". che indicano persone di pelle permanentemente pigmentata da un punto di vista di mera constatazione biologica, senza connotazione dispregiativa (sul punto si veda il lungo e interessante articolo su en-wiki).
    In italiano esiste il termine negro, la cui unica colpa è quello di essere un falso amico del termine inglese. Certo, qualcuno potrebbe obiettare che durante il ventennio l'Italia, in quanto potenza coloniale (sic!) aveva territori d'oltremare popolati da negri che nelle veline di regime erano trattati come persone di rango inferiore; ma chi afferma che per tal motivo si dovrebbe dismettere il termine negro e utilizzare solo nero mette una toppa peggiore del buco, in quanto oblitera due noti utilizzi di questo lemma: faccetta nera (razzista e sessista) e l'uomo nero utilizzato per spaventare i bambini.
    Non se ne esce più, salvo utilizzare l'equivalente di colored, che per Grazia di Dio è stato reso in italiano con la locuzione "di colore" e non con l'aggettivo "colorato": dato che una persona colorata, che magari utilizza espressioni colorite, è tutto sommato un buffone.

    Ciò non toglie che, da un punto di vista generale, va bene la sudditanza economica e politica, ma il fatto che chi scrive in italiano debba usare espressioni che potrebbero non urtare un americano che le leggesse attraverso un cattivo traduttore, bé questo mi fa girare i marroni. Se io scrivo che "Barack Obama è un negro", è compito di un buon traduttore assicurarsi di rendere in inglese l'espressione con "B. O. is a colored person" e non con "B. O. is a nigger", che sarebbe la traduzione corretta per "Obama è uno sporco negro"

    Pur se ciò ha valenze emotive infinitamente inferiori, sarebbe ottima cosa se alle lezioni di giornalismo (e in genere anche alle scuole medie, dato che ormai si vedono anche nelle aziende presentazioni PowerPoint fuorvianti) si insegnasse che "billion" e "bilione" non sono la stessa cosa, così come non la sono "trillion" e "trilione". E' vero che si tratta di quantità poco utilizzate, specie dopo l'avvento dell'Euro; ma ogni tanto saltano fuori, ad esempio quando si parla di conti pubblici: e si leggono solenni puttanate.
    Un "billion" (10^9) è un "miliardo". Un "bilione" (10^12) sono un milione di milioni, vale a dire mille miliardi che in inglese americano si dice "trillion". Ma "trillion" (10^12) non è l'equivalente di "trilione" (10^18), che sono un milione di bilioni.

    martedì 20 gennaio 2009

    Cinico blog


    Lo so, che fa tanto cinico o "mi si nota di più".
    E, giuro, non volevo scriverlo; ma alla fine non ci sono riuscito: le dita si muovono da sole sulla tastiera.

    Oggi per gli statunitensi è un giorno eccezionale, di quelli capitano una manciata di volte nel corso di un secolo; e dato che gli USA sono la prima potenza mondiale, è un giorno eccezionale anche per il resto del mondo.
    E' però opportuno tener fin d'ora presente che di giorni eccezionali ne sono capitati in passato e ne capiteranno in futuro. Del futuro possono parlare solo gli astrologi, mentre per il passato sento il bisogno di sommessamente evidenziare che, passata l'eccezionalità di quei giorni, il mondo è andato sempre allo stesso modo, magari un po' peggio o un po' meglio di prima, ma mica poi tanto.

    Certo, qualche uomo che ha cambiato il corso della storia c'è stato, almeno nell'orizzonte temporale della sua generazione; ma di regola, se ci pensate bene, costoro l'hanno cambiata in peggio. Io non so quali siano le motivazioni: può essere qualcosa collegato al concetto di entropia: il fatto che sia molto più facile distruggere che costruire; può essere che l'uomo sia intrinsecamente malvagio; può essere che il bene necessiti di una coralità e il male di un prim'attore.
    Sta di fatto che un singolo uomo non può far molto di più che dare il La, e sperare che tutti a catena facciano il loro massimo verso il meglio.

    Tanto per rendermi definitivamente odioso ai più, lasciatemi infine ricordare che Barack Obama è un signore che parla molto bene e ha delle gran belle idee. Tra fare grandi discorsi e fare grandi cose, tuttavia, c'è un abisso. Speriamo che le cose, di là dell'Atlantico, vadano meglio che di qua.

    lunedì 19 gennaio 2009

    BikeMi - aggiornamento /2

    (per i precedenti articoli vedi qui e qui)
    L'altra sera dovevo uscire per un aperitivo un po' complicato, nel senso che non sapevo bene come e quando sarei tornato a casa. Non sapevo neppure se avrei bevuto o meno, e considerato il numero di pattuglioni che presidiano la nostra città io ormai la macchina non mi sogno più di prenderla.
    Né volevo usare la mia bici, in quanto forse ci saremmo mossi con altre persone in auto, e tutto si sarebbe reso più complicato se avessi dovuto lasciare il mezzo a due ruote in giro per la città.
    Insomma: decido di usare le mitiche bici di BikeMi, e così ho fatto.

    Risparmio i particolari: sta di fatto che alle 2:30 di sabato mattina mi trovo in Piazza Oberdan pronto per tornare a casa, e scopro che la colonnina non funziona. Vado in Palestro, e scopro che le colonnine non funzionano. Ne deduco che l'intero sistema non funziona, e mi turbo.
    A quel punto mi reco in Piazza San Babila e prima di prendere un tassì verifico che anche quella stazione è disattivata.

    Oggi scrivo a BikeMi una mail di richiesta di chiarimenti e dopo poche decine di minuti mi viene inviata, con molta efficienza e cortesia questa mail:
    Gentile Marco,
    il servizio BikeMi è aperto dalle 07.00 alle 23.00, in questa fascia oraria è possibile prelevare e restituire una bicicletta in qualsiasi stazione.
    Oltre l'orario di chiusura invece, sarà comunque possibile la restituzione della bicicletta ma non sarà possibile prelevarne un altra.
    Ti confermiamo quindi che al momento ATM e il Comune di Milano non hanno previsto l‘apertura notturna del servizio, questa possibilità potrebbe essere da loro valutata nei prossimi mesi in considerazione del gradimento che riceverà il servizio BikeMi.
    Prossimamente provvederemo a modificare la schermata che compare sul display delle stazioni dalle 23:00 alle 7:00, in effetti il messaggio non è corretto.
    Ci scusiamo per quanto accaduto e cogliamo l'occasione per porgerti i nostri più cordiali saluti.

    Ho tirato un saraccone e ho risposto con questa mail:
    Gentili signori,
    facendo seguito alla vostra risposta, vi confesso che non sapevo di
    questa limitazione d'orario.
    Fermo restando l'apprezzamento nei confronti di voi che mi avete
    risposto con chiarezza e cortesia, lasciatemi dire, che mi sembra la
    cosa più cretina che si possa immaginare. Qual è il motivo per cui un
    genio ha pensato bene di far sì che un servizio che può egregiamente
    sostituire il servizio di trasporto pubblico si fermi proprio nelle
    ore in cui il servizio di trasporto pubblico non funziona?
    Si trattasse di un qualcosa che richiede la presenza di personale
    nelle ore notturne, capirei bene che il gioco non valesse la candela.
    Ma esendo tutto automatizzato, come lo è, che diavolo di senso ha,
    codesta limitazione? Oltretutto l'orario scelto, con il limite delle
    ore 23, mi ricorda di quando in gioventù viaggiavo per ostelli della
    gioventù in Germania, ed ero sottoposto a rigidissime angherie e
    vivevo con il patema d'animo del tornare un minuto troppo tardi, e
    conseguentemente dormire all'addiaccio.
    Vi sarei molto grato se faceste presente al responsabile di questa
    strana e bizzarra politica che c'è, ad esempio, gente che va al cinema
    al secondo spettacolo e che potrebbe avere grande piacere a lasciare
    l'automobile fuori della cerchia dei bastioni. Gente, più in
    generale, che semplicemente cerca di usare la città, e di usarla non
    solo nelle ore dedicate al lavoro bensì anche in quelle da dedicare a
    sé stessi e al proprio otium.
    Mi rendo conto che tutto ciò sia ben poco milanese, ma tant'è. Del
    resto il nostro sindaco non ci ripete sempre che questa è una città
    destinata a divenire europea?
    Prendiamo allora esempio da Barcellona, che -come ho verificato ora-
    avendo lo stesso medesimo sistema di Milano tiene aperto, almeno il
    venerdì e il sabato, 24 ore su 24, e negli altri giorni della
    settimana sospende solo dalle 24 alle 5.

    Update
    Ricevo -dopo un po', il che mi fa pensare che si siano rimpallati la cosa- questa mail un po' democristiana:
    Marco comprendiamo le tue considerazioni.
    Le tue contestazioni, come quelle di tutti i nostri interlocutori, saranno inoltrate alla nostra direzione.
    Nella speranza di poterti fornire futuri aggiornamenti a riguardo ti porgiamo i nostri cordiali saluti.

    Vi terrò aggiornati sugli sviluppi.

    domenica 18 gennaio 2009

    Lingue morte

    Non so più ormai se sono io che invecchio male o il mondo circostante che sta prendendo una deriva verso un universo parallelo. sta di fatto che ho strabuzzato gli occhi quando ho letto che Gianfranco Fini sostiene che i musulmani in Italia dovrebbero pregare in italiano affinché "non ci sia alcun tipo di predicazione e istigazione all'odio durante un momento che deve essere soltanto religioso".
    Fini è bene o male uno dei meno impresentabili tra gli esponenti della maggioranza di governo (lo so, è difficile ammetterlo; ma consideriamo in che tempi viviamo: riflettiamo ad esempio sul fatto che poco prima che morisse, Montanelli era diventato -suo malgrado- un campione della sinistra). Perciò mi stupisce questa affermazione, considerate le implicazioni che una simile posizione si porta dietro.
    Come la mettiamo con il Papa, che ha autorizzato la celebrazione delle messe in latino tornando all'epoca pre-conciliare?
    E con le chiese anglicane e presbiteriane dove si recitano le funzioni in inglese? Nella chiesa russa di via Giulini la funzione è in russo, e così via. Ma queste sono banalità.

    Meno banale è forse la cronaca del battesimo di Nichita. Sua mamma è romena, e per quanto né io né lei abbiamo mai messo in piedi in una chiesa, per un ortodosso è semplicemente inconcepibile che un figlio non sia battezzato, indipendentemente dal fatto che pratichi o meno. Così, vista la convinzione sua e la mia totale assenza di pregiudiziali verso il rito (che comunque, se non altro da un punto di vista pascaliano, può anche essere utile), ecco che abbiamo fatto battezzare il pupo presso la chiesa romena.
    Per inciso, insieme al Battesimo vengono impartiti anche la Comunione, la Cresima e, ai maschi, un ulteriore sacramento o parasacramento ortodosso, una sorta di anticipazione dell'Ordine: così ora in ogni caso siamo a posto, a differenza dei compagni di classe che sono tutti dietro a fare catechismo. Vero è che tutto il rito dura uno sproposito, ma a conti fatti è un bel vantaggio.
    Sta di fatto che, come ovvio, nella chiesa romena il rito è in romeno, e quindi mi preparavo a sorbirmi un due-tre ore relativamente difficili per me e del tutto incomprensibili per i padrini del pupo.
    Invece, e con somma mia sorpresa, il pope all'inizio del rito ha detto che, essendovi presenti delle persone che non parlavano la lingua, avrebbe officiato il rito in italiano: e così ha fatto, malgrado ci fossero una ventina di bambini con parenti, padrini e quant'altro, e gli unici non in grado di seguire il rito in lingua fossimo io e la mia famiglia.
    Io mi sono vergognato come un ladro, e l'ho considerata alla stregua di una violenza fatta agli altri partecipanti; ma riflettendoci un po' ho considerato di non averlo minimamente richiesto, e che in fondo nessun altro si è sentito leso: quindi alla fine non mi sono poi preoccupato più di tanto.

    Ho ripensato a quell'episodio leggendo le dichiarazioni di Fini, e mi sono sentito addosso la vergogna per l'arroganza della terza carica dello Stato. Se ci pensate il percorso logico è aberrante: si parte dalla considerazione che gli "arabi" o i "mussulmani" (qualunque cosa poi ciò concretamente significhi) sono potenziali terroristi da controllare; si prevede, evidentemente, che in ciascun luogo di riunione di costoro si debba infiltrare una spia; ci si rende conto che non ci sono sufficienti spie che sappiano l'arabo; si obbliga quindi la comunità a parlare una lingua che le spie nostrane possano comprendere.
    Sembra una barzelletta, vero?

    Sbattezziamoci

    Solo i cretini e le persone in malafede non cambiano mai idea e continano a ripetere come un disco rotto gli stessi pensieri.
    Riguardo all'UAAR, ho già espresso nei post precedenti dapprima le mie idee su quanto io reputi illogico, da un punto di vista filosofico, propagandare l'inesistenza di un Dio, e successivamente la mia stima e riconoscimento verso l'organizzazione, che ha con il suo comportamento dimostrato con i fatti una volta di più quanto questo Stato sia tuttora sottomesso alla Chiesa.

    Quanto alla campagna per lo sbattezzamento, altro suo punto di forza, l'ho sempre considerata una solenne sciocchezza. A qual fine muovere un solo dito per far sì che un'organizzazione che non si riconosce non ci riconosca?
    Io sono stato battezzato, per conformismo, e da decine d'anni non ho più alcuna relazione con la Chiesa cattolica. Non chiedo niente a lei e pretendo che lei non chieda nulla a me; questo però non significa che senta il bisogno di fare qualcosa per farmi sentire come estraneo. E' un po' come la tessera di Blockbuster: non ci vado da lustri, ma non mi sono mai sognato di andare a restituirla e a farmi cancellare: semplicemente mi sono dimenticato di loro. Ecco, la stessa cosa io la considero riguardo al mio status di battezzato.

    Fino ad oggi.
    Perché oggi su Repubblica, quella di carta (e anche sulla Busiarda: grazie Ipazia), c'è un servizio sul Cardinale di Torino, tale sig. Severino Poletto, il quale ha ammonito gli amministratori della sua città e dei comuni circonvicini affinché badino a che "a fianco dei campanili non sorgano i minareti delle moschee". Il presule, bontà sua, aggiunge che chiunque ha diritto di avere luoghi in cui pregare, ma "un conto è trovare dei saloni, altro è renderli visibili nel panorama delle nostre città facendo sorgere i minareti di fianco ai campanili".
    L'articolista, stranamente lucido considerato il giornale su cui scrive, si chiede come mai, se campanili e minareti convivono in molte città del mondo, a Torino ciò non dovrebbe accadere; ed ecco la risposta del prelato: "a Torino l'85% della popolazione è battezzata".
    Ecco: se io abitassi a Torino, quel signore avrebbe parlato in mia vece, esprimendo per il solo fatto del mio battesimo una convinzione che non mi sfiora minimamente. In un paese normale, dovrebbero essere le istituzioni che udivano il discorso, e la stampa che ne riferisce, a spiegare al canuto chierico che egli non ha alcun diritto di esprimere il presunto pensiero di altri che non gli hanno dato alcun mandato in tal senso, né gli hanno minimamente comunicato le proprie idee.
    Ma questo non è un paese normale; e anzi i segni di questi tempi dimostrano che anche quel poco di normalità conquistata nel corso degli scorsi decenni sta rapidamente scemando.
    E quindi ormai anche lo sbattezzamento acquista, purtroppo, un senso di civiltà che speravamo non dovesse avere.

    sabato 17 gennaio 2009

    Ateismo reloaded /2

    Giusto un cenno per dire che, al di là dei motivi logico-filosofici che mi spingevano a non apprezzare l'iniziativa dell'UAAR (o, meglio, il suo lettering), e preso atto che, come giustamente osservato, non si è mai vista una campagna di queste dimensioni a costo 0 o addirittura inferiore, l'UAAR meriterebbe un monumento per aver inconfutabilmente dimostrato che, all'alba del 2009, viviamo in uno stato talmente laico da impedire di esprimere le proprie opinioni in tema di religione.
    Non è del tutto secondario rilevare che è ancora in vigore un articolo della Costituzione (il 21) che garantisce ad ognuno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. Carta straccia, ormai.

    giovedì 15 gennaio 2009

    L'angolo del cabaret

    Istruttivo e divertente, questo articolo di Punto Informatico (che peraltro non sembrerebbe avere alcuna responsabilità).
    Riguarda il fatto che Barak Obama dovrebbe lasciare il fido Blackberry in quanto incompatibile con il Title 44 Chapter 22 del codice federale USA, il quale in buona sostanza statuisce che tutte le conversazioni del Presidente sono di proprietà pubblica anziché personale.
    Ne discende che gli strumenti di comunicazione devono essere certificati da un'agenzia governativa, anche dal punto di vista della sicurezza, e qui sta il bello:

    "Il fido Blackberry costituisce un rischio, poiché attaccabile secondo i servizi segreti da parte di cracker e malintenzionati vari. La soluzione? Rinunciare o, più semplicemente, cambiare smartphone, scegliendone uno più sicuro, con tanto di certificazione da parte della NSA [...] I due modelli in questione sono (XXXX) e il (YYYYY), classificati come idonei per garantire una comunicazione vocale top secret, nonché navigazione web ed email a prova di qualsiasi attacco [...] i due PDA phone sono dotati di tutto quello che ci si può aspettare, compreso il WiFi, e sono equipaggiati con Windows Mobile.

    mercoledì 14 gennaio 2009

    Ateismo reloaded

    Il giovane Sofri insiste nel cercare di convincerci che la propaganda dell'ateismo è cosa legittima: ciò, con un carpiato salto logico, mi fa sentire autorizzato a spendere ancora due parole sul tema.
    Mai ho pensato che fare proselitismo in favore dell'ateismo sia illegittimo: se così fosse sarebbero evidentemente (evidentemente secondo me, ma anche secondo il buon senso) illegittimi anche il proselitismo a favore del cattolicesimo, del vegetarianesimo e persino del comunismo.

    Diverso è il tema della sostenibilità logica di tale tipo di proselitismo. Un credente può dire ciò che vuole, in quanto secondo la sua visione del mondo (potremmo forse dire il suo sistema assiomatico) tutte le seguenti proposizioni sono vere: Dio esiste; Dio si è incarnato nel Figlio; il Figlio ha dato disposizioni affinché i suoi seguaci annuncino la buona novella (i.e.: facciano proselitismo).
    Un ateo/agnostico non può costruire razionalmente una dimostrazione della non esistenza di Dio. Egli potrà ben affermare che non vi è alcuna prova del fatto che egli possa esistere, in quanto tutti i fenomeni naturali osservati sono spiegabili senza l'intervento di Dio; ma non può dimostrare la non esistenza di Dio se non in un sistema assiomatico in cui tale non esistenza sia costituita come assioma.
    E' lo stesso principio per cui si può anche provare tentativo per tentativo che il Teorema di Fermat vale per tutti i numeri da 3 a 20.000.000; ma così facendo non lo si è ancora dimostrato, dato che la dimostrazione deve consentire di affermare che esso è vero per qualunque numero.
    Fra l'altro, in questo caso la prova è ancor più diabolica: quand'anche tutti i fenomeni osservabili fossero dimostrabili senza un Dio, ciononostante ciò non proverebbe la non esistenza del medesimo, ma al più la sua indole estremamente riservata.

    Per carità, nulla impedisce che uno creda nella non-esistenza di Dio: è una posizione accettabilissima esattamente come quella del più bigotto frate laico; e nulla impedisce che tale ateo si senta investito della missione di annunciare al bondo tale buona (per lui) novella.
    Ma un'organizzazione che si definisce "Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti" a parer mio non se lo può permettere.

    Per inciso: per scrivere questo post ero partito da un assunto sbagliato: vale a dire che l'UAAR fosse un'organizzazione che si proponeva proprio la propaganda dell'ateismo: una cosa da mettere allo stesso livello del neopaganesimo, con il quale ho una vecchia ruggine dai tempi in cui contribuivo a it-wiki.
    Dato che sono solito verificare prima di scrivere, a differenza del giornalista medio, sono andato a documentarmi sul sito e ho visto che in effetti l'UAAR è un'organizzazione meritoria, che si propone di
    tutelare i diritti civili dei milioni di cittadini (in aumento) che non appartengono a una religione: la loro è senza dubbio la visione del mondo più diffusa dopo quella cattolica, ma godono di pochissima visibilità e subiscono concrete discriminazioni;
    difendere e affermare la laicità dello Stato: un principio costituzionale messo seriamente a rischio dall’ingerenza ecclesiastica, che non trova più alcuna opposizione da parte del mondo politico;

    Un'organizzazione che, per sua stessa ammissione, afferma: In un Paese migliore, l’UAAR non dovrebbe nemmeno esistere..
    E che definisce il proprio essere razionalista così:
    L’aggettivo “razionalisti”, riferito sia agli atei sia agli agnostici, intende esprimere la scelta dell’approccio razionale e dell’esercizio del ragionamento a-fideistico quali principî fondanti la ricerca e l’elaborazione.

    Questa organizzazione, quella pubblicità non avrebbe dovuto pensarla.

    Vecchio saggio

    Quando ero molto più giovane e molto più pirla ho pensato e fatto una quantità di cose che, viste con l'esperienza della persona più o meno ormai matura, mi fanno sorridere.
    Rammento di ragazze delle quali mi sono innamorato e che non mi ricambiavano, e io non riuscivo a crederci perché sapevo che saremmo stati una coppia perfetta.
    Altre che a un certo punto mi hanno lasciato, e io non riuscivo a credere che non ritornassero sui propri passi, perché sapevo che quella era la cosa giusta da fare.
    Sul lavoro io sapevo di comportarmi nella maniera giusta in tutte le occasioni, e quando una trattativa falliva la colpa era sempre di qualche evento esterno e imprevedibile. Come pure, quando altri venivano promossi ed io restavo al palo, io sapevo di essere nel giusto e che i miei capi non lo capivano.
    Ci ho messo circa quarant'anni a capire di non essere il centro del mondo, e che ciò che sapevo molte volte era, semplicemente, sbagliato. Da quando ho capito questa semplice lezione vivo molto meglio, e detto per inciso ho molto più successo di prima, in tutti i campi.

    Ieri sera, a Ballarò, Veltroni ripeteva come un disco rotto sempre gli stessi slogan, incurante di tutto ciò che lo circonda.
    Egli sa che il partito democratico è ciò che ci vuole per l'Italia. Egli, incurante della contraddizione, sa che ha fatto bene ad allearsi con Di Pietro prima delle elezioni e sa che ha fatto bene a sciogliere l'alleanza dopo le elezioni.
    Egli sa che quando il partito democratico vince (il Trentino, e grazie a Dio questa volta non ha attribuito al PD italiano la vittoria di Obama!) è perché il PD è come vuole Veltroni, mentre quando il partito democratico perde (risparmiamoci l'elenco) è perché il PD non è come vorrebbe Veltroni.
    Egli sa che il PD è un partito da 34%, e anche se gli dicono che adesso è al 25% non c'è alcun problema, perché egli sa che risalirà.

    martedì 13 gennaio 2009

    Notizie incomplete

    La Stampa ci informa sul fatto che Carmen Electra, nell'intimità, "ama usare la gruccia per i vestiti".
    La notizia è di fondamentale importanza; il problema è che io, che notoriamente non ho grande esperienza in materia, non riesco proprio ad immaginare come tale accessorio possa venire utilizzato. In attesa che il reporter integri l'articolo, qualcuno ha suggerimenti?

    Notizie false e tendenziose /2

    Tralasciamo per un secondo il normale consumatore, che ha tutti i diritti di non capire una mazza di economia e finanza, e proprio per questo spende giornalmente il proprio euro per comperare un quotidiano e/o paga il canone alla RAI per vedere uno dei TG (RAI o privati, non importa).
    Concentriamoci su coloro che, tramite quegli euri, ricevono un più o meno lauto stipendio: i giornalisti. Bene: solo un cretino, o uno sprovveduto, poteva pensare che la norma di cui all'art. 2 c.4 del DL 185/2008, che prevede che le Banche dall'1/1/2009 debbano offrire alla clientela mutui indicizzati anche al tasso BCE oltre che al classico Euribor, potesse tradursi in un vantaggio economico per la clientela.
    Si tratta di una di quelle norme puramente demagogiche, fatte solo per passare in qualche telegiornale e far passare le feste tranquilli.

    Anzitutto, la semplice lettura della norma dovrebbe chiarire le cose, in quanto recita:
    A partire dal 1° gennaio 2009, le banche che offrono alla clientela mutui garantiti da ipoteca per l'acquisto dell'abitazione principale devono assicurare ai medesimi clienti la possibilità di stipulare tali contratti a tasso variabile indicizzato al tasso sulle operazioni di rifinanziamento principale della Banca centrale europea. Il tasso complessivo applicato in tali contratti e' in linea con quello praticato per le altre forme di indicizzazione offerte.
    Il che è già ben comprensibile, ma può essere banalizzato ancor di più dicendo: se il tasso BCE è più basso dell'Euribor, lo spread applicato è necessariamente più alto.
    Poi va considerato che, come avevo a suo tempo raccontato in un vecchio post, le banche comprano il denaro all'Euribor e non al tasso BCE. Vendere denaro ancorandosi al tasso BCE introduce quindi un rischio di tasso non indifferente, in quanto l'Euribor è estremamente volatile (non importa la direzione), mentre il tasso BCE è intrinsecamente molto più stabile.
    Chiunque ne capisse qualcosa poteva quindi spiegare ai lettori che quella dei mutui ancorati al tasso BCE era solo una sòla.

    Intendiamoci: non mi sono stupito che quotidiani vicini alle posizioni governative (chessò: posseduti da congiunti del PresConsMin, oppure organi di partiti nella compagine governativa) avessero contribuito ad amplificare la sòla.
    Ma che adesso Repubblica scopra il trucco con stupore, bé questo mi fa cadere i gioielli di famiglia sotto il tavolo.

    Frattali


    Mi scuserà .mau. se scrivo cose matematicamente inesatte; ma per quanto ne so la caratteristica dei frattali è che, per quanto tu possa guardarli da lontano o da vicino, la forma di quello quello che vedi e le sue proprietà rimangono sempre uguali.
    Come il tasso di litigiosità dei partiti della sinistra italiana, che pur avendo raggiunto la mitica soglia del prefisso telefonico riescono sempre a concentrare i loro sforzi su qualche nemico interno. Dev'esserci anche qualche analogia con i buchi neri e l'orizzonte degli eventi, ma questa ennesima scissione non merita ulteriori righe per sviluppare il concetto.

    Autobus ateo

    Pieno e incondizionato apprezzamento per questo post di LaQuartaBozza riguardante la campagna pro-ateistica dell'UAAR sugli autobus genovesi.
    Lo slogan è ben diverso da quello inglese, che recita: “There’s probably no God. Now stop worrying and enjoy your life”. In italiano manca il “probabilmente”, che fa un mondo di differenza in termini teorici, pratici e metodologici.
    Messa così sembra proselitismo, in uno stile indistinguibile da quello di certe réclame cattoliche o dei testimoni di geova. E sembra spocchioso e saccente; mentre io non ci tengo a convincere nessuno che dio non esiste, perché non è questo il punto.
    Messa così è una contrapposizione sterile tra “dio non esiste” e “dio esiste”, dogmatismo puro da ambo le parti che non sposta di una virgola le convinzioni personali di nessuno. Come io non sono toccata minimamente dai proclami papali per cui dio c’è e ci ama e amiamolo o andremo all’inferno (ed è così perché è così e basta), analogamente non riesco a immaginarmi un credente che legge questa roba sul bus e risponde qualcosa di diverso da: “E invece secondo me esiste”.

    (via Manteblog)

    C'è crisi, c'è grande crisi /2

    In effetti questa non è una notizia di crisi, bensì una curiosità.
    Il District Attorney di New Orleans (corrispondente al nostro Procuratore della Repubblica) ha annunciato che molto probabilmente si troverà costretto a chiedere il fallimento dell'Ufficio ai sensi del Chapter 9 della legge fallimentare federale.
    Il Chapter 9 è una delle varie forme di fallimento conosciute dal diritto federale statunitense, e certo una delle più rare, in quanto riguarda esclusivamente le "municipality", definite come "political subdivision or public agency or instrumentality of a State". Probabilmente quindi l'ufficio del D.A. rientra nella definizione, anche se la cosa non è del tutto scontata.
    Ma quello che è interessante è il motivo per cui il D.A. prevede di dover chiedere il fallimento del proprio ufficio: in quanto non è in grado di pagare un risarcimento di circa 15 milioni di dollari, riconosciuto in primo grado a un certo John Thompson, che ha passato 18 comodi anni nel braccio della morte prima di essere riconosciuto innocente. Il procuratore ha anche dichiarato che prima di chiedere il fallimento esaurirà la serie degli appelli; il che in soldoni significa che il nostro amico John, dopo aver trascorso quel lungo periodo di vacanza, dovrà attendere qualche anno per la celebrazione dei processi di grado successivo, e successivamente vedrà solo una parte di quanto la giuria gli ha riconosciuto.
    (via CreditSlips)

    lunedì 12 gennaio 2009

    Notizie false e tendenziose

    E' noto che Giuseppe d'Avanzo non è proprio un giornalista di modello anglosassone, uno di quelli che sanno separare i fatti dalle opinioni. In buona compagnia, peraltro, nell'odierno panorama dell'informazione italiana.

    Ma questo articolo da lui firmato costituisce un salto di qualità: in primo luogo perché fa accaponare la pelle a chi abbia una pur minima conoscenza delle problematiche di sucurezza informatica, mischiando ovvietà ("Nessun sistema è sicuro") a petizioni di principio indimostrate ("Innanzi tutto è pericoloso avere un solo server in un solo luogo. Se scoppia un incendio e tutto va in fumo, che succede? Si liquefa la giustizia italiana? Sono sicuro che abbiano tenuto conto di quest'eventualità e previsto due server e in due luoghi diversi, con il botto di danaro che costa").
    E in secondo luogo perché l'articolo ha una veste talmente tecnica che chi è digiuno di tali tematiche (vale a dire il 99% della popolazione) non è in grado di capire che si tratta di sciocchezze, e non può che dare fiducia al venditore di fumogiornalista, che apoditticamente trae, alla fine del comizioarticolo le sue conclusioni, utilizzando il modo indicativo:
    Dunque, lo stato dell'arte è questo. Tutti i documenti d'indagine della giustizia italiana finiranno presto in un unico canestro. I procuratori, responsabili delle indagini, non saranno in grado di garantire la sicurezza delle informazioni raccolte. L'archivio della "cancelleria virtuale" sarà nella disponibilità delle forze di polizia, e quindi del governo che gestirà il sistema attraverso una società privata (altra minaccia, se si ricordano i traffici spionistici della Telecom di Marco Tronchetti Provera). Quel che è peggio, anche Cosa Nostra potrà ficcarci il naso, pagando il dovuto. Voi dite che stiamo messi bene?

    domenica 11 gennaio 2009

    Dimissioni

    Chi pensasse che la gioiosa macchina da guerra pomposamente denominata Partito Democratico abbia ancora qualche senso, farebbe bene a leggere qualche articolo abbastanza eloquente sulla preparazione dello scisma.
    Ormai il problema sul tavolo per i dirigenti del PD non è più quello di come salvare la baracca, bensì di come salvare le chiappe e rimettersi in gioco sotto un'altra bandiera. Cosa che non dovrebbe essere punto difficile per gente che per molti anni ha militato in un'organizzazione chiamata "Partito Comunista Italiano" e che ciononostante afferma -e non sul palco dello Zelig- di non essere mai stata comunista.
    Io ho qualche considerazione da sviluppare.

    E' noto a tutti che nelle cose del mondo quasi sempre è la misura, che conta. L'arsenico e la digitale possono essere usati come farmaci o come veleni. La tossina botulinica può regalare un aspetto giovanile o mandare al Creatore. Un bicchiere di vino fa bene; una bottiglia di vino non fa tanto bene; cinque bottiglie di vino possono ammazzarti.
    E, per cambiare argomento, avere qualcuno innamorato di te è una cosa che riempie il cuore; essere perseguitato da uno stalker può rovinare la vita tua e quella di chi ti circonda. Cercare di far quadrare i conti del bilancio familiare rinunciando a cose superflue e troppo costose per le proprie possibilità economiche è indice di saggezza; accumulare danaro rinunciando persino a nutrirsi, vestirsi e riscaldarsi è indice di un'avarizia patologica. Come pure: altro è condividere disinteressatamente con il proprio prossimo parte della propria fortuna; altro è dilapidare senza controllo alcuno i propri beni.

    Cambiamo discorso.
    Ci sono delle qualità che un leader deve possedere: carattere, determinazione, sicurezza di sé. Un generale tremacoda sarà al grado al più di mandare i propri uomini a farsi ammazzare, sempreché non venga ammazzato prima lui. E un amministratore delegato deve saper imporre le proprie scelte innovative, contro il parere di coloro che pensano "vecchio".
    Quando però il leader, malgrado i colpi del destino e l'opinione di chi lo consiglia, comincia ad accorgersi di essere l'unico ad avere una certa visione, e che tra coloro che gli danno ragione non vi sono più persone competenti, bensì sono rimasti solo adulatori e clientes, allora il carattere comincia a divenire caparbietà, la determinazione pervicacia e la sicurezza testardaggine.
    Difetti che chi ricopre posizioni di potere spesso porta con sé, ma che possono essere mitigati dall'intelligenza, dalla volontà e dalla disciplina.
    Ma talora intelligenza, volontà e disciplina vengono meno: ed allora ecco che le qualità divengono inguaribili difetti. Appaiono ostinazione, tigna, cocciutaggine. Paranoia. Autismo. Il leader porta alla rovina sé stesso e, cosa assai più grave, tutta la sua organizzazione: sia gli yes-man che coloro che fino all'ultimo hanno tentato di farlo ragionare.
    Ma questa è patologia del comando: non fisiologia. Le cose di solito vanno (o perlomeno dovrebbero andare) diversamente.
    Chi sta al vertice dovrebbe essere abbastanza lucido, presente a se stesso e soprattutto dotato di quel minimo senso di umiltà necessario a fargli comprendere di aver imboccato una strada sbagliata. Può capitare a tutti di sbagliare rotta, lo dice anche il proverbio che è nella nostra natura errare: l'importante è non perseverar nell'errore, imparare dagli sbagli come comportarsi per il futuro.
    Un capitano che grazie a lucidità e umiltà si accorga in tempo di aver imboccato un vicolo cieco è ancora in grado di fermare le macchine e rimettere la prua verso la meta. Ma può essere troppo tardi.
    Anche in questo caso, tuttavia, c'è una soluzione che consente di salvare la nave, o fuor di metafora l'organizzazione; ed è una soluzione semplicissima: si chiama dimissioni
    Le dimissioni hanno uno straordinario effetto catartico per l'organizzazione il cui capo si dimette: salvo casi eccezionali non importa quanto le prime e le seconde linee della struttura (e quindi la struttura stessa, ontologicamente determinata) fossero coinvolte negli errori di valutazione del capo o addirittura nelle sue furfanterie: con la rimozione del vertice l'organizazione può ripartire a nuovo, o perlomeno sperare di farlo.
    E la cosa più curiosa di tutte è che la catarsi coinvolge anche il capo che, finalmente, si decide a lasciare il posto. Non importa quanti svarioni o quante marachelle abbia commesso: con le dimissioni, magari seguite da un ritiro in campagna o su un'isoletta lontana dalle rotte più battute, il dimissionario riesce a costruirsi una nuova credibilità.
    Non è che che le dimissioni possano rendere la verginità a una vecchia baldracca: ma sono comunque l'equivalente di un intervento di imenoplastica, che ben può ingannare gli utenti meno smaliziati.
    E -questo è sorprendente- funzionano anche quando è perfettamente chiaro che colui che le ha rassegnate lo ha fatto solo perché non aveva alcuna altra scelta, in quanto un minuto dopo sarebbe stato cacciato a pedate.
    Io non so se Veltroni creda nel Partito Democratico: credo che sia troppo arrogante ed egoriferito per credere in qualunque cosa che non sia sé medesimo. Ma se ci crede, l'unica cosa sensata che può fare è dimettersi. Subito.

    venerdì 9 gennaio 2009

    Google dei miracoli


    Tanto per non scagliarsi solo sul Corrierone, proviamo a commentare questa cazzatnotizia di Repubblica.

    Chiunque possieda una sinderesi superiore a quella di una blatta capisce bene che non è possibile pensare di trovare un rapito scandagliando il globo terracqueo con Google. Non tanto perché Street View cancella le facce, quanto perché è proprio da deficienti crederlo possibile.
    E difatti, a leggere il servizio si apprende che la bambina è stata rapita dalla nonna, e che la polizia non ha fatto altro che chiedere alla compagnia telefinica la localizzazione della cella su cui si era registrato il cellulare.

    Si è così scoperto che la bimba era stata portata dal Massachusetts in Virginia. Un poliziotto normale avrebbe poi alzato il telefono, dato le coordinate a un collega del posto, che sicuramente avrebbe subito capito che in quel punto c'è un motel dove probabilmente avrebbe potuto trovare le due donne.
    L'eroe della nostra storia ha pensato bene di vedere il panorama su Street view e, come si dilunga l'articolista, "Così facendo, ha individuato una struttura dal tetto rosso, senza però riuscire a capire esattamente di cosa si trattasse. Un'ipotesi formulata dall'agente era che potesse trattarsi di una struttura ricettiva. Sempre tramite Google, ha effettuato una nuova ricerca in quella località, e ha ottenuto un elenco dei motel: il "Budget Inn-Natural Bridge" si trovava proprio in quell'intersezione."

    Una storia così banale, che al confronto la lettura del menù del ristorante cinese sotto casa risulta avvincente, ma che per Repubblica merita un posto distinto in homepage. Poi ci lamentiamo che gli italiani sono indietro con la tecnologia e credono ancora alle truffe nigeriane.

    giovedì 8 gennaio 2009

    Nevicò

    Almeno con riferimento alla Grande Nevicata Del Nord Italia, il confronto tra carta stampata e blog dimostra inequivocabilmente che Geminello Alvi non ha capito un cazzo.

    Nevicava

    Grazie a .mau., che ha segnalato l'articolo comparso sulla Stampa, scopro che c'è almeno un giornalista che sa ancora scrivere cose sensate (dove il mio egocentrismo fa sì che concetto di sensato va inteso come: cose che ho pensato anch'io tali quali).

    Si chiama Gabriele Ferraris, e fra l'altro scrive:
    Arrivato in redazione - metropolitana più bus, più due passi sotto la neve, venticinque minuti; in auto, nei giorni di sole, col traffico ne impiego trenta - il vostro cronista ha letto i proclami dei partiti d’opposizione, che accusano il governo cittadino di non aver saputo fronteggiare la Grande Tragedia. Ogni opposizione, in consonanza con i cittadini scontenti, attribuisce ad ogni governo maligni poteri sciamanici, tipo far piovere («Piove, governo ladro») o nevicare («Nevica, governo ladro»); e giustamente impallina il sindaco che non ha chiuso le scuole. Quando le chiuse, in occasione di un’altra nevicata che poi risultò una nevicata della mutua, lo impallinarono perché le aveva chiuse. Purtroppo per i sindaci, il tempo fa quello che vuole, e se ne frega delle ragioni della politica; e delle speranze degli studenti.

    E' anche interessante notare che l'opposizione di Torino dice esattamente le stesse cose dell'opposizione di Milano pur essendo, le due opposizioni, tra loro opposte.

    Preghiere in piazza

    Prendo spunto da un lungo articolo di Matteo Bordone, secondo il quale la preghiera musulmana che ha avuto luogo in piazza del Duomo sarebbe una grave provocazione.
    Il succo è, sintetizzando ma non (almeno credo) travisando: con tutti i posti che ci sono per pregare Allah, andare in piazza del Duomo, vale a dire davanti alla Cattedrale della città, è una provocazione, perché porta con sé il messaggio di una dimostrazione di forza dei seguaci del dio dell'Islam diretta ai seguaci del dio della cristianità.
    Può essere, ma io la vedo diversamente (fermo restando che comunque non mi piacciono quelli che vanno a pregare in pubblico, di qualunque colore siano).

    Milano non è una città italiana come le altre. Ha una sola piazza, che è quella dove sorge il Duomo e che è situata esattamente al centro topografico.
    Tutti coloro che passano da Milano e non la conoscono finiscono in Piazza del Duomo, tanto che fino a qualche anno fa, quando ancora non si erano create delle comunità organizzate di immigrati con propri luoghi di aggregazione, questi si ritrovavano tutti in quella piazza.
    Tutte le manifestazioni che si svolgono in città finiscono in Piazza del Duomo, tranne quella del 12 dicembre, per ovvi motivi. Qualunque evento pubblico che voglia attirare l'attenzione senza una adeguata preparazione mediatica deve necessariamente fare centro lì.
    Insomma: Piazza del Duomo può essere scelta per il Duomo o perché piazza; e tra le due possibilità io propendo per la seconda.

    mercoledì 7 gennaio 2009

    Vedi Napoli...

    E' vero, ultimamente tendo a incistarmi su quisquilie tralasciando la ciccia: in parte ciò è dovuto al fatto che già tanti più importanti e seguiti di me la ciccia la raccontano, e il rischio è quello di apparire uno scimmiottatore, in parte al fatto che veramente ci sono particolari che mi colpiscono più dell'opera intera.
    Tutta questa premessa per dire che di tutta la storia della Iervolino (registrazioni, Veltroni, Nicolais, dimissioni etc etc etc), la cosa che mi è rimasta veramente impressa è il nome di chi è stato mandato a commissariare il PD partenopeo.

    Enrico Morando. Il coordinatore del Governo Ombra.

    Ebbi a definirlo così, al tempo del Circo Massimo: "Morando, un essere così inutile che ispira sentimenti amicali, come il panda".
    E non ho cambiato idea, neanche un po'.

    Nevica

    Tranquilli, non ho alcuna intenzione di dire anch'io che fuori nevica (a parte il fatto che ora piove). E non voglio neppure parlare della Moratti e del suo sale.
    Mi piace però citare questo articolo del Corrierone che fra l'altro riporta queste dichiarazioni:
    ...molti genitori si lamentano per la decisione di lasciare aperte le scuole. «Ho appena ricevuto un sms da mio figlio che è riuscito a raggiungere la sua scuola (via Tonale) - scrive Giovanni - sono presenti in 5 su 25! Strade impraticabili, i mezzi di superficie tra poco saranno bloccati. Prsemetto: sono un elettore di centrodestra, ma disapprovo la malsana idea di non chiudere le scuole (viste le previsioni). Scommessa sui titoli a breve dei giornali: caos a Milano!». «Alla elementare di mia figlia rimandavano a casa i bambini anche perché Milano Ristorazione non garantiva il pasto», scrive Paola.
    Ovviamente (ma forse mica tanto, per chi scrive di professione), se le scuole fossero rimaste chiuse ci sarebbero state altrettante lamentele da parte di genitori costretti a restare a casa anziché andare al lavoro in quanto impossibilitati a lasciare i figli a casa da soli.
    Non sto dicendo che la sindaca abbia fatto bene o male a lasciare le scuole aperte (ciascuno può aver la sua idea al riguardo): dico solo che bisognerebbe dare conto dei pro e dei contro, e non lasciare parlare solo quelli che si lamentano (o quelli che sono contenti), come fa Fede.

    PS: Repubblica non è che faccia diversamente.

    Sapere, tacere.

    Ho già detto altrove di avere stima per Sofri giovane, anche se poi non ho spiegato il perché, come avevo invece promesso di fare nei commenti.
    Stima che rimane immutata malgrado (o forse anche in quanto) egli oggi ha scritto un lunghissimo pippone per spiegare ciò che si poteva riassumere in due righe: vale a dire che Wittgenstein ha scritto:
    "su ciò di cui non si può parlare si deve tacere"
    e non:
    "su ciò di cui non si sa parlare si deve tacere"

    martedì 6 gennaio 2009

    Anno nuovo, vita nuova

    Come taluni affezionati lettori ricorderanno, il mio Natale 2008 è stato caratterizzato (oltre che da piacevoli sorprese quali la vicenda del Lego comparso) dall'avere io ricevuto una serie di osservazioni poco edificanti sulla mia persona trasmesse via SMS in luogo dei tradizionali auguri copincollati.
    Non è che l'esperienza mi abbia segnato più di tanto; tuttavia ho cominciato a riflettere un po' di più su me stesso quando oggi, tornato dalle vacanze, ho scoperto che un'altra signora che mi frequentava ha pensato bene di festeggiare il capodanno (forse per mancanza di valide alternative) bruciando una mia effige, costituita da un certo numero di miei capi d'abbigliamento (taluni dei quali a me cari, e dei quali avevo inutilmente tentato un recupero), che aveva gelosamente conservato per circa un anno evidentemente a tale solo scopo.
    Diciamo che l'anno comincia in discesa...