martedì 14 luglio 2009

La journée a été rude

A conclusione di questa giornata di silenzio e di passione, credo che una cosa possa essere affermata senza troppi dubbi: e lo dico senza spirito di partigianeria, dato che, come ho detto, apprezzo le buone intenzioni di chi ha scioperato, anche se non ne condivido il metodo.
La cosa è questa: che se un giorno, in futuro, dovesse esserci qualche altra buona causa che catalizzi l'attenzione dei blogger, sarà il caso di trovare una forma di protesta diversa dallo zittimento: perché raramente si è vista protesta più inosservata e ininfluente di questa.
Certo, domani ci saranno le statistice trionfali sulla partecipazione oceanica: l'elenco dei blogger aderenti e delle stelle del cono che hanno crumirato; scoppieranno polemiche, vi saranno scambi di insulti e i server di friendfeed passeranno qualche brutto quarto d'ora a gestire lunghissimi thread di contumelie. Ciononostante, bisogna ammetterlo, in Italia dei blog si interessano solo ed esclusivamente i blogger: al resto del mondo non gliene frega proprio niente.

La prossima volta, quindi, anziché silenzio si faccia casino: magari mettendo un bel banchetto in piazza: che è l'unica notizia apparsa sulla stampa mainstream dal mondo dei blog, oggi, se facciamo eccezione per l'articolo di Zambardino, da considerare obiettivamente fuori concorso.
Stare zitti fa solo il gioco di chi vuole zittirci (oltre che a gratificare l'ego di chi ha avuto l'idea, come suggerisce Francesco Costa).

Manifesto dei Valori

Questo articolo del Corriere ci racconta che sul TG3 è andato in onda un servizio che diceva, riferendosi al caldo torrido di Piazza San Pietro: «Domani il Papa va in vacanza e ci saranno anche due gatti... che gli strapperanno un sorriso, almeno quanto i proverbiali quattro gatti, forse un po' di più, che hanno ancora il coraggio e la pazienza di ascoltare ancora le sue parole»
Ci dice anche del vicepresidente della commissione di vigilanza Rai, Giorgio Merlo, il quale ha accusato la testata, parlando di «deriva anticlericale, singolare e volgare». «Stupiscono - ha scritto Merlo in una nota - le parole contenute nel servizio andato in onda ieri sera alla edizione delle 19 del Tg3».

Questo Giorgio Merlo è un deputato del Partito Democratico. Non penso di fare una deduzione azzardata se credo che, in quanto tale, egli sarà anche iscritto al medesimo partito. Ma per iscriversi, il buon Merlo dovrebbe aver adempiuto a quanto disposto dall'art.2 c.2 dello Statuto, e quindi dovrebbe aver sottoscritto il Manifesto dei Valori: quel documento nel quale, tra uno sbadiglio e l'altro, si può leggere
Il principio costituzionale della laicità dello Stato rappresenta un valore essenziale dell’impegno del Partito Democratico. La laicità dello Stato garantisce il rispetto di ogni persona nelle sue convinzioni più profonde e assicura a ciascuno gli stessi diritti e gli stessi doveri. Allo stesso modo, tanto più in un’epoca contrassegnata da nuove conquiste di civiltà, ma anche da antichi e recenti fondamentalismi, la laicità dello Stato garantisce che le istituzioni appartengano a tutti e che le decisioni democratiche siano assunte in modo libero e autonomo.

A questo punto, mi vien da chiedermi come si possa negare la tessera a BeppeGrillo(tm)

Sciopero!

Questo è un post bello lungo: tanto oggi c'è poco da leggere

Come tutti voi ben sapete, oggi c'è questo sciopero dei blog, proclamato da Alessandro Gilioliper protesta contro il disegno di legge "ammazzainternet" che verrà esaminato in Senato.
Io oggi me ne sarei stato zitto zitto, a causa di un lancinante mal di testa derivante dalla smodata quantità di alcoolici introdotti nel mio organismo a partire dalle 19 di ieri sera: ma in tal modo avrei implicitamente aderito a qualcosa che mi sembra sbagliato, e pertanto vi racconto quel che penso.

Ho già detto in precedenza che la ragione stessa del manifestare è sbagliata, in quanto il DDL Alfano non impone un obbligo di rettifica ai blog. Notate che uso il modo indicativo al posto del condizionale: Guido Scorza mi ha bonariamente rimproverato per questo motivo, dato che il diritto, a differenza della matematica, non consente dimostrazioni: e pertanto la mia interpretazione non può assurgere a verità assoluta. Uso tuttavia scientemente l'indicativo, dato che i promotori di questo sciopero non mi sembra si siano fatti in quattro per instillare una parvenza di dubbio in tutti coloro che frequentano la rete e, sulla base di un'interpretazione errata, hanno aderito alla protesta. Non vedo quindi perché io dovrei utilizzare il condizionale, dato che il mio pensiero è certo meno seguito rispetto a quello espresso da Gilioli, ma ritengo abbia pari dignità.

Ciò detto, vi sono altre ragioni per dissentire dalla protesta.
La prima, credo anche la più importante, è che polarizzando l'attenzione sulla parte del disegno di legge che obbligherebbe i blogger alla rettifica, si perde di vista tutto il resto del contenuto del DDL, che è veramente inquietante, come vedremo più in là.
La dimostrazione è semplice: se fosse stato approvato un emendamento tramite il quale si fosse esplicitamente chiarito che l'obbligo di rettifica si applica solo alle testate giornalistiche, questo sciopero non avrebbe più avuto alcuna ragion d'essere. E del resto, se andiamo a vedere il sito che raccoglie e coordina la protesta, i contenuti sono ben chiari e molto limitati: «Contro ogni bavaglio legislativo all'Internet italiana».
E' una connotazione che non condivido nel modo più assoluto: quand'anche avesse ragione Guido Scorza, e il DDL così com'è uscito dalla Camera si applicasse anche ai blog, questo sarebbe comunque un aspetto francamente marginale e risibile rispetto a tutto il resto della nuova normativa. E se poi consideriamo che Guido Scorza non ha ragione (di nuovo l'indicativo, per i suddetti motivi), la protesta risulta priva di senso.

Molti, e tra questi molti amici, hanno quindi creduto bene di aderire trasversalmente, dichiarando la propria protesta in quanto cittadini piuttosto che in quanto blogger, e estendendo la manifestazione del proprio dissenso a tutto l'impianto del DDL.
E' una posizione questa che pure mi trova in disaccordo.
Il disegno di legge si propone di conseguire due effetti: da un lato, rendere oltremodo difficile l'utilizzo a fini investigativi delle intercettazioni; dall'altro, inasprire le sanzioni di natura penale nei confronti di coloro che pubblichino notizie riguardanti procedimenti penali in corso: è evidente che il principale bersagio di tale inasprimento è la stampa: sia i giornalisti, che rispondono personalmente, sia gli editori, tramite il meccanismo della sanzione pecuniaria disciplinato dalla L. 231/2001.
Si tratta di una normativa vergognosa e indegna di un paese civile: una norma che impedisca alle forze investigative di investigare può essere introdotta solo in un Paese governato da criminali, altrimenti non ha alcuna spiegazione.
Impedire alla stampa di informare, invece, è fatto normale negli ordinamenti totalitari; ma impedire di rendere noti fatti riguardanti procedimenti penali si spiega solo se l'autore o il mandante della norma ha qualche conto aperto con la giustizia; e pertanto rientriamo nel caso che precede.
Ciononostante, non sono d'accordo con la protesta, per vari ordini di motivi.
Anzitutto, vi è un fattore di confusione tra coloro che protestano in quanto blogger contro la cosiddetta "norma ammazzainternet" e coloro che protestano in quanto cittadini contro il DDL nel suo complesso. Vero è che chi ha scelto questa seconda strada ha avuto cura di motivare la propria scelta, ma nondimeno i due aspetti si possono facilmente confondere, con il risultato di caricare i secondi sul carro dei primi e/o viceversa.
Vi è poi una considerazione di natura più strutturale: abbiamo visto che i principali bersagli del DDL sono la Giustizia e la stampa; la prima non ha modi per protestare, mentre la seconda sì, eccome.
La stampa però, dopo aver indetto uno sciopero per oggi, a seguito del quale è nata l'iniziativa di protesta in rete, ha deciso di sospendere l'iniziativa, dato che dopo l'intervento del Presidente della Repubblica è probabile che vi saranno modifiche anche sostanziali del DDL, e si è ritenuto opportuno attendere di vedere quali saranno, queste modifiche.
Io credo che una protesta dei blogger, anche se connotati come cittadini, abbia un senso solo se coordinata con gli altri soggetti che sono toccati dalla riforma: in primis, per l'appunto, la stampa. Privata di questa necessaria sinergia, la protesta mi sembra svuotarsi di significato, un po' come quegli scioperi che si facevano al liceo quelle mattine di novembre, senza contenuti che andassero granché al di là della mera voglia di scioperare. E, svuotandosi dei significati civili, l'unico
significato che resta è l'adesione, seppur obliqua, all'iniziativa maggiore, che dichiaratamente è cosa ben diversa rispetto alla protesta della stampa, e con un diverso obiettivo: come puntualizza qui Gilioli.

Vi è, infine, un aspetto che trovo un po' ridicolo: vale a dire il protestare con il silenzio. Per la carta stampata questo ha un senso, in quanto l'oggetto "sciopero" prevede come unica modalità attuativa l'astensione dal lavoro; e se i giornalisti non lavorano, i giornali non escono; perdipiù la mancata uscita in edicola dei giornali è un evento certo non rarissimo, ma che ha ancora una qual certa risonanza.
Il mondo dei blog, intendendo con tale locuzione nello specifico quella parte di rete che spende parte del tempo a scrivere i propri pensieri in veste amatoriale e quindi senza lucrare su tale attività (salvo per i più fortunati un mezzo caffé al giorno tramite AdSense) non ha motivo di scioperare in senso tecnico, dato che il proprio non è certo un lavoro; e se c'è qualcosa che connota ed unisce i blogger è proprio l'esercizio della parola e la circolazione delle idee, più che la mera informazione di servizio.
Autoimbavagliarsi, sia pur per protesta, mi sembra il modo peggiore per affermare la propria identità e le proprie convinzioni: perché i blog vivono solo in quanto usati e costantemente aggiornati; e il loro non uso va, anche simbolicamente, proprio nella direzione di chi auspica una diminuzione della circolazione di idee e pensieri.

lunedì 13 luglio 2009

Tutti i nodi vengono al pettine

La boutade di Beppe Grillo, che pretenderebbe di concorrere alla carica di segretario del PD, sembra già morta prima ancora di nascere, grazie al fatto che il noto comico avrebbe dovuto essere iscritto al partito già da qualche tempo, ai sensi dell'art. 9 c.3 dello Statuto.
Ma ammettiamo per un attimo che tale norma non vi fosse, e che quindi Grillo potesse chiedere l'iscrizione e partecipare alla corsa.
Secondo lo Statuto (art. 2 c.2),
Per «iscritti/iscritte» si intendono le persone che, cittadine e cittadini italiani nonché cittadine e cittadini dell’Unione europea residenti ovvero cittadine e cittadini di altri Paesi in possesso di permesso di soggiorno, si iscrivono al partito sottoscrivendo il Manifesto dei valori, il presente Statuto, il Codice etico, e accettando di essere registrate nell’Anagrafe degli iscritti e delle iscritte oltre che nell’Albo pubblico delle elettrici e degli elettori.

Per quanto riguarda lo Statuto, è un documento assolutamente neutrale, in quanto disciplina le forme di organizzazione e i meccanismi di funzionamento del PD: sottoscrivibile tanto da Veltroni che Gianfranco Fini che da Pino Rauti.

Riguardo al Codice Etico, si tratta di uno di quei bei documenti molto americani, che dicono che gli iscritti devono essere onesti, pluralisti, responsabili, onesti, sobri; rispettare la partecipazione delle donne e la laicità dello Stato, e lavorare un po' per il partito.
Anche qui, si tratta di cose che possono sottoscrivere Veltroni e Fini; magari Rauti e Bossi meno, dato che si parla di rispetto delle minoranze; ma in fondo sono parole nelle quali può star dentro tutto. Del resto c'è anche il richiamo alla laicità dello Stato, e salvo errori al PD sono iscritti Dorina Bianchi e la Binetti, no?

Veniamo al Manifesto dei Valori. Io vi ho messo il link: ma se putacaso siete sul posto di lavoro, e non siete soli nella vostra stanza, state attenti, prima di aprirlo. Perché se doveste cominciare a leggerlo, in ben poco tempo il vostro vicino di scrivania comincerebbe a sentire un sordo rumore proveniente dall'impianto di condizionamento; e dopo aver provato più volte a spegnerlo e riaccenderlo, si volterebbe verso di voi e capirebbe che il disturbo altro non era che il profondo ron ron del vostro sonno.
Insomma: questo manifesto dei valori, che dovrebbe dare la linea politica è per metà un'accozzaglia di frasi inutili e roboanti dichiarazioni di principi talmente universali da apparirne inutile la declamazione ("Ridare voce ai giovani"; "le energie del  Paese  sono grandi"; "riduzione dei privilegi"; "libertà delle donne"; "sviluppo sostenibile"; "diritti umani"; "etica pubblica condivisa"; "laicità dello Stato"), e per un'altra metà talmente generali da non costituire in alcun modo un discrimine politico verso alcuno ("sviluppo del Mezzogiorno"; "far ripartire lo sviluppo"; "offrire uguali opportunità"; "equità sociale"). Restano giusto un paio di cose "di sinistra", come direbbe Moretti, a proposito di dignità del lavoro, di integrazione degli immigrati e di "sistema scolastico pubblico integrato".

Insomma: in questi tre documenti vi si può riconoscere chiunque, con l'eccezione forse di Ratzinger e Kamenei; ma anche Mussolini, se solo espungessimo il riferimento al sistema bipolare, ci avrebbe potuto apporre la firma sopra; e così pure il padrone delle ferriere, che magari lascia morire di asbestosi il propri operai, ma nella propria carta dei valori aziendali state pur certi che avrà infilato dentro la tutela della dignità dei lavoratori.
E allora? Allora, al PD ci si può iscrivere chi vuole: questo è il punto.
C'era un tempo in cui i partiti erano partiti: organizzazioni dichiaratamente di parte, portatori di ideologie ben precise e connotate, a cui aderiva chi si riconosceva in quella ideologia. Tutti insieme gli iscritti, attraverso i vari meccanismi interni che culminavano dei congressi, dettavano la linea politica, sempre però nel rispetto, sostanziale e non meramente formale, dell'ideologia.
Ora i partiti, quelli che sono rimasti, sono associazioni di persone che si connotano solo per essersi associate insieme, senza il collante di un'ideologia (o anche solamente di qualche idea) che indirizzi e in una certa misura giustifichi il loro stare insieme.
E così nascono iniziative, quali quella di Luca Sofri, che si propone come punto di aggregazione dei desiderata di chi si riconosce nel PD, e che sarebbe meritoria, come iniziativa "dal basso", se non fosse che proprio il suo venire dal basso, e l'invilupparsi del dibattito in polemiche e polemicucce, evidenziano in pieno quanto l'unica cosa che accumuni tra loro gli iscritti e i simpatizzanti del PD sia, per l'appunto, l'essere iscritti o l'essere simpatizzanti del PD.
Cosa questa, mi sia concesso di dirlo a posteriori, anche se sembra un facile e sterile esercizio, era evidente a chiunque al tempo del sorgere di tale soggetto politico si chiedeva cosa ci potessero azzeccare tra loro gli ex democristiani e gli ex comunisti.

Il fatto, lettori miei, è che questo Partito Democratico tutto è tranne che un partito: perché un'organizzazione non può porsi come "di parte" e poi aprire le porte a tutti: è una banale questione di logica socratica. Tra le due istanze, l'essere di parte e l'essere aperto, il PD ha scelto l'essere aperto: ma così aperto che lo si potrebbe definire spalancato, nel puerile tentativo di attrarre i più possibili al fine di alimentare il proprio SuperIo maggioritario.
Tentativo miserrimo e destinato a fallire: perché, Giovanna correggimi se sbaglio, nella zuppa di pesce ci vanno tanti pesci diversi, e più sono tanti e diversi più e buona; ma se cominci a metterci dentro un petto di pollo, una coscia di gallina, una costina di maiale e una lombatina di agnello, la zuppa di pesce comincia a venir rifiutata dagli avventori; e se poi ci aggiungi melanzane, carote, latte, limone e scamorza a cubetti (per quanto di eccellente qualità), hai fatto solo una zozzeria buona per il pastone dei maiali.

Questo PD sconta questo peccato originale: di essere un pastone nel quale chiunque può entrare e pretendere di avere il proprio spazio di parola. Riflettiamoci sopra per un secondo, e rendiamoci conto di quanto sia assurda la situazione: un partito che per statuto accetta chiunque, e in compenso propugna l'esclusione dalle istituzioni dei portatori degli interessi di minoranza, tramite leggi elettorali, sbarramenti e quant'altro.
La logica, l'essenza stessa della democrazia, vorrebbe che nei partiti (che sono soggetti privati e di parte) vi fossero solo coloro che la pensano in maniera simile, mentre nelle istituzioni (che sono pubbliche e di tutti) vi fosse possibilità per tutti di partecipare, in proprio o tramite i propri rappresentanti.
Il PD, fin dalla nascita, ha confuso sé stesso con un'istituzione (del resto è un po' il modello del Democratic Party americano): ed è forse per questo che lo statuto ha la stessa adamantina semplicità di un regolamento di sottocommissione ministeriale.

Certo, adesso i nodi vengono al pettine: e se uno come Grillo si presenta alla porta della sezione, e si dichiara pronto a sottoscrivere quei tre documenti, come si fa a negargli la tessera? Secondo lo Statuto non si può: e non si potrebbe neppure se alla porta si presentasse Gasparri.
Fortuna che c'è la scappatoia, e Grillo quand'anche si iscrivesse non potrà concorrere alla segreteria: perché sarebbe stato l'ultimo atto di una farsa durata fin troppo a lungo.

venerdì 10 luglio 2009

Sacrificare il giavazzismo

Malgrado i miei eroici propositi, e nonostante il fatto che abbia tante cose da scrivere, anche oggi sono costretto a lavorare.
Ciononostante, invito alla lettura di questa intervista a Salvatore Biasco, che mi sembra di grande interesse.
(hat tip: Francesco Cundari)

giovedì 9 luglio 2009

Forza di volontà

Ieri mi sono preso un giorno di vacanza e ho passato una splendida giornata: clima, luogo, compagnia e mangiatoria sono stati semplicemente perfetti. Anche il ritorno in treno, con il mio biglietto ticketless "flessibile" è andato a buon fine: e ciò malgrado sia salito sul convoglio dopo aver infruttuosamente tentato di farmi rilasciare il titolo di viaggio in biglietteria*, e quindi temessi di dover discutere con il controllore e mi fossi già preparato una lettera di reclamo per l'Antitrust e Mi Manda Raitre.
Sta di fatto che oggi, sentendomi immotivatamente in colpa per aver usufruito di un diritto costituzionalmente garantito quale l'utilizzo di un giorno di ferie, ho deciso che anziché cazzeggiare per la più parte del tempo avrei lavorato sodo: e difatti mi sono preso in carico un compito importante ma mortalmente noioso.
Mi sono concesso pertanto di scrivere solo due cose velocissime qui sul blog, e ogni tanto mi sono anche concesso di vedere il flusso di Friendfeed scorrere, come a suggellare l'inutilità della giornata; che inutile peraltro non è stata, dato che mi ha fatto rendere pienamente conto della vacuità del flusso medesimo.
Insomma: sono le cinque; ho quasi finito il lavoro; sono in pace con la mia coscienza e a questo punto ho anche un credito da spendere verso me stesso per essere stato così bravo.
Domani, per recuperare, non muoverò un solo foglio di carta.


* potreste chiedervi perché farsi rilasciare il biglietto in biglietteria. Date retta: piuttosto che comperare un biglietto del treno, sottoscrivete uno di quegli abbonamenti al club del libro: le clausole sono molto più trasparenti in quest'ultimo caso.

Lo sentite un rombo sommesso, come di un temporale in arrivo?

Nell'immaginario degli italiani, la figa è sempre la figa; e come insegna Tiberio Murgia ne La Grande Guerra, «peccato di pantalone, pronta assoluzione».
Con la droga, grazie anche a vent'anni di proibizionismo becero e occhiuto, le cose stanno un po' diversamente.
Fusse che fusse?

Facci parlare

Un commento di Filippo Facci su un blog: non è importante sapere quale sia.
Mi fa girare le palle a elica, quello che ha scritto: perché vorrei essere stato capace di scriverlo io.

Ah, va be’. Ma allora ditelo. Subito, però: che non sto neanche a sprecare mezzo polpastrello. Arriva Di Pietro, il primo dei secondi, specialista di ogni posizione (nessuna) e ci mette il cappellone politico: tanto che gli costa. Come se un fosse un capopartito come un altro. Poi arriva Grillo e quindi arriverà anche Travaglio. Come minimo hanno già trovato il modo di farci soldi, un dvd, un istant book.
Io mi chiamo Filippo Facci, ho un nome e cognome e nient’altro, non sono dipendente del Giornale, propongo i miei articoli a chi li vuole - anche ad altri giornali - e in quel momento sono io che scrivo di qualcosa, non è per forza il Giornale che si occupa di qualcosa tramite me. M’interesso, mi guardo attorno e scrivo: non c’è molto altro. E ho la precisa percezione di quando una questione è finita definitivamente in vacca: quando arriva Grillo e soprattutto Di Pietro. Soldi e voti.

Mr Spock, Homer Simpson e il gelato bigusto

Per chi voglia spendere due minuti a leggere un articolo che parla di economisti e di mutui, segnalo questo pezzo di Richard H. Thaler.
La questione di cui si parla, la strutturazione di mutui semplici (tecnicamente detti "vanilla plan"), da offrire con preferenza rispetto agli altri al consumatore americano, è trattata a pag. 66 del piano di riforma del sistema di vigilanza.
E' forse opportuno precisare che in Italia la situazione è molto meno difficile: infatti, sia per la regolamentazione di vigilanza, sia per la scarsa propensione dei consumatori, da noi i mutui strani e bizzarri indicizzati a parametri lunari sono un'infima percentuale.

mercoledì 8 luglio 2009

Piccole differenze che hanno il loro peso

Ci sono quelli che fanno il giornalista da una vita intera.
Ci sono quelli che in una vita intera non impareranno a fare il giornalista.
(hat tip: Francesco Costa)

martedì 7 luglio 2009

The Italian preparations for the summit have been chaotic from start to finish


C'è un articolo del Guardian che merita di essere letto, oggi.
Giusto per sapere che cosa pensare quando il TG1 ci farà vedere Frattini che stringe la mano alla Clinton, come nel sito ufficiale.

lunedì 6 luglio 2009

Sì, viaggiare

Dopodomani devo andare nel bresciano, e visto che a) non so dove parcheggiare la macchina; b) prevedo di bere più di due bicchieri di vino; c) non ho voglia di guidare; d) prevedo la necessità di una pennichella aggiuntiva ed e) il treno è più sano, ecologico, sicuro e culturalmente valido, andrò in treno.

Vado sul sito di Trenitalia e comincio la farraginosa procedura di acquisto. In effetti io debbo recarmi in un paese fuori Brescia, e il sito -docile- mi fornisce il tragitto con i due treni che dovrò prendere, da Milano a Brescia e da Brescia a Iseo, e i relativi orari.
Fiducioso, clicco sul pulsante "acquista" e mi si apre una finestra che dice "non puoi acquistare questo biglietto". E sto lì, a chiedermi se non lo posso fare perché Trenitalia sa già che il mio conto corrente è profondamente rosso, o non gli piacciono i miei precedenti penali, o magari perché il treno in questione non esiste (ma allora perché farmelo vedere?), e mille altre congetture.
Approfondisco, chiedo ulteriori informazioni, clicco, e alla fine scopro che il secondo treno che devo prendere è di un'altra compagnia, e nei treni non è come con le autostrade, che uno può entrare a Torino e uscire a Trieste, percorrendo tre autostrade diverse e pagando un solo pedaggio, poi saranno le compagnie che gestiscono le tratte a mettersi d'accordo, no: con i treni ciascuno vende il suo pezzo, al suo prezzo.
Mi limito pertanto a fare il biglietto per Brescia: prenoto, clicco, ed ecco che debbo scegliere la tariffa. Una volta andavi alla stazione, chiedevi il biglietto e ti davano un rettangolino di cartone spesso, uguale per tutti. Mio nonno, che era pensionato dello Stato essendo stato Maresciallo Maggiore dell'Arma, aveva diritto ad una tariffa preferenziale, e con fierezza esibiva la sua tessera di riduzione: ma era un'eccezione.
Anche recentemente, dopo che hanno aperto la biglietteria sul web, c'era la tariffa intera e le altre; e se uno voleva andare sul liscio sceglieva quella intera.
Ora le prime due opzioni che mi si presentano sono: "BASE" e "FLESSIBILE".
Istintivamente sarei per il concetto di "BASE", ma come sempre, quando qualcosa non è immediatamente chiaro, sento puzza di fregatura: e vado a leggermi le istruzioni.
Queste sono quelle per la "BASE" e queste per la "FLESSIBILE"; sono letture interessanti, specie dopo un'abbondante libagione.
Ditemi un po' voi se riuscite a leggerle entrambe senza farvi venire mal di testa e il desiderio di mandare a cagare le ferrovie, i controllori e persino gli amici che non abitano in località raggiungibili in bicicletta!
Alla fine capisco che con la BASE se voglio prendere un treno diverso pago, proporzionalmente, uno sproposito in più, mentre con la FLESSIBILE mi sentirò un satrapo che potrà andare in stazione quando vuole.  La cosa dev'essere molto più complicata di così, e immagino che fiorirà una "trasmissione di servizio" settimanale della Rai dedicata solo a coloro che si sono fatti truffare dalle clausole rococò di Trenitalia: ma quando ha iniziato ad andarmi insieme la vista mi sono detto soddisfatto, dato che amo il rischio.
Lascio un suggerimento a Duchesne, l'autore di "Studio Illegale": la prossima volta, al posto della black ball clause, potresti citare le tariffe ferroviarie e il romanzo ne guadagnerà in surrealismo.

Mi rimane ora da comperare la tratta da Brescia a Iseo: che è gestita dalle Ferrovie Nord. Ovviamente non c'è una biglietteria online, ma dato che davanti alla stazione delle Nord transito ogni giorno in bici, sembra ovvio che possa fermarmi qualche secondo ed acquistare l'agognato titolo di viaggio, in modo da non doverlo fare a Brescia nel breve tempo della coincidenza.
Dal sito, tuttavia, sembrerebbe che a Milano vendano solo i biglietti della tratta di Milano, e a Brescia quelli della tratta di Brescia: e ciò malgrado il sistema informativo che li gestisce è ragionevole supporre sia unico. Io comunque stasera ci proverò, a passare, e sarò guardato come un marziano.

domenica 5 luglio 2009

Libertà di blogging /3

I miei due post sull'iniziativa di Alessandro Gilioli e Guido Scorza di indire uno "sciopero dei blog" per il prossimo 14 luglio hanno dato luogo a una serie di commenti, tra cui alcuni dei promotori stessi, che potete leggere direttamente: i toni sono accesi e talora hanno trasceso i limiti che dovrebbe avere una discussione urbana.
Dopo aver inviato a Guido scorza una copia del mio ultimo commento, in mail privata e firmata con il mio nome e cognome, ho ricevuto una sua mail molto civile (e uso volutamente questo termine, nella sua accezione più nobile) nella quale egli dà atto che c'è stato un fraintendimento che ha portato ad esasperare i toni: e io parimenti do atto a lui che il registro stilistico da me utilizzato si prestava a tale fraintendimento, essendo in taluni punti un po' (forse troppo) provocatorio.
Non è il caso di riportare qui gli ulteriori argomenti sviluppati nella mail, che fa parte di una conversazione privata: credo però a questo punto sia opportuno riassumere e sviluppare i termini della questione per coloro che, non avendo il bagaglio tecnico necessario a comprendere le reciproche differenze, si chiedessero chi diavolo abbia ragione.

Parto dalla coda, e dico subito che non ha ragione nessuno, o l'abbiamo entrambi: e spiego perché.
Io, che per guadagnarmi da vivere non faccio l'avvocato, ho sviluppato le mie argomentazioni da un punto di vista dottrinale: vale a dire che ho analizzato una serie di argomenti logici che mi hanno portato a ritenere che, da un punto di vista astratto e sistematico, la migliore interpretazione possibile dell'assetto normativo che uscirebbe dalla riforma in esame al Senato (ammesso che resti immutata rispetto al testo approvato alla Camera) è quella che l'obbligo di rettifica non si applichi ai blog (si veda anche qui un'altra analisi, molto più approfondita). Si tratta, è bene precisarlo, di una conclusione non semplice, dato che la lettera della nuova formulazione dell'art. 8 della legge sulla stampa risulta tutt'altro che univoca: e difatti alla mia posizione arrivo attraverso un'analisi sistematica, vale a dire del significato della norma in un contesto più ampio e generale.
Guido Scorza ritiene che tale tesi sia ragionevole e sostenibile ma lui, che di mestiere fa l'avvocato, sa bene che altro è il diritto nell'astrazione dottrinaria e altro è la pratica dei tribunali; e che anzi spesso capita che la dottrina affermi una cosa come verità rivelata e la giurisprudenza l'esatto contrario: riassumendo il suo pensiero, e sperando di non travisarlo (comunque lo spazio dei commenti è qui a sua disposizione), egli teme che l'approvazione del DDL comunque dia luogo a un'incertezza, molto pericolosa, in quanto chiunque potrebbe intimare ai gestori di blog la rettifica dei propri scritti nell'arco di 48 ore, sotto minaccia di sanzioni molto onerose. A quel punto il blogger, che scrive per passione e per hobby, se la sentirebbe di affrontare le spese e l'alea di un giudizio, con il concreto rischio di soccombere in primo grado? O preferirebbe piuttosto rinunciare ad esternare il proprio pensiero, per vivere tranquillo?
Sono, come vedete, due aspetti di una posizione comune, affrontata da due punti di vista molto differenti: io resto convinto della bontà della mia interpretazione, ma mi rendo ben conto che per il comune cittadino sarebbe estremamente difficile affrontare le enormi spese di un procedimento giudiziario necessario a veder riconoscere la propria ragione, magari solo all'esito di tre gradi di giudizio: pertanto è vero che il DDL potrebbe assumere una funzione intimidatoria anche se, ritengo, è altrettanto vero che al blogger che volesse e potesse intignarsi, alla fine non potrebbe che esser riconosciuta la ragione.
Io stesso sono consapevole che, pur certo della bontà del mio ragionamento, non avrei esitazione a mandare questo blog a donne di facili costumi, non volendo e non potendo affrontare gli oneri di cui parlavo prima.

Nella sua mail Guido mi rimprovera, sia pur amichevolmente, anche di aver utilizzato un indicativo che dà l'impressione che quanto espongo sia verità assoluta, contrapposta al marchiano errore nel quale sono incorsi lui e Alessandro.
A tal proposito ammetto che si tratta di una critica fondata, anche se a ben vedere l'indicativo è lo stesso tempo che egli medesimo ha utilizzato nella propria analisi, e quindi il torto starebbe da entrambe le parti. Il fatto è che non si tratta di desiderio di sopraffazione, bensì di semplice deformazione professionale. Tra avvocati, e più in generale tra operatori del diritto, si tende sempre ad affermare le proprie argomentazioni, consapevoli che la controparte affermerà l'opposto con altrettanta forza: fa parte del gioco; e del resto cosa pensereste di un avvocato che alla fine di un arringa chiedesse alla corte d'Assise di assolvere il proprio assistito «perché credo che potrebbe essere innocente»?

Questo lo stato del dibattito, e sono feliche che il flame si sia spento subito: io ho poi ulteriori considerazioni sul merito del DDL, ma credo sia meglio svilupparle in un post separato.

sabato 4 luglio 2009

C'è posta per te

I più sfaccendati dei miei lettori rammenteranno che qualche tempo fa sono stato turbato nel sonno da un sms indesiderato; il che mi ha fatto scrivere una letteraccia a Cartasì. Quando dopo pochi giorni l'episodio si è ripetuto ho scritto un'altra letteraccia, mandandola in copia al Garante per la protezione dei dati personali.
Infine, per non farmi mancare nulla, ho scritto un ulteriore post riguardante il perché di tale ultima lettera e gli effetti che mi aspettavo ne sortissero, che in buona sostanza si possono riassumere in "strizza di cxlo per quelli di Cartasì che si guarderanno bene dal rompermi ancora".

Il Garante, malgrado la seconda lettera fosse a lui diretta solo per conoscenza, deve aver preso la cosa sul serio: e difatti stamattina mi sono trovato nella casella una lettera indirizzata a Cartasì, e a me per conoscenza, nella quale il Garante chiede a Cartasì un fottìo di informazioni:
- modalità di raccolta dei miei dati;
- luogo ove gli stessi siano detenuti;
- come mi sia stata fornita la prescritta informativa, con copia della relativa documentazione;
- se Cartasì abbia raccolto il mio consenso al trattamento e in particolare alla ricezione di messaggi promozionali; consenso da documentare per iscritto;
- quali provvedimenti siano stati adottati per consentirmi di esercitare i miei diritti sui dati;
- quali ulteriori trattamenti siano previsti sui miei dati.

Si tratta di una procedura standard, che non volevo neppure attivare (infatti avevo inviato la mia per conoscenza), ma tant'è: adesso dovranno rispondere, e per quanto si tratti anche qui di procedure standard sono cose che comunque comportano un certo onere di lavoro.
Diciamo pure che il messaggino mandatomi è costato caro!

venerdì 3 luglio 2009

Libertà di blogging /2

Alessandro (mi piace credere che sia Alessandro Gilioli, dato anche il tono professionale e la ricchezza di argomentazioni) ha commentato il mio precedente post.
Dato che si tratta di argomentazioni che meritano una risposta articolata, riporto qui per motivi di spazio sia il commento sia le mie considerazioni.
L'obiezione da lei è riportata è già stata oggetto di un dibattito tra giuristi. Le riporto in merito il parere di Scorza:

Mi piacerebbe credere che tale interpretazione sia corretta e mi auguro che, in futuro, essa si affermi come tale ma, allo stato l'interpretazione sistematica (si applica solo ai siti registrati perché è stata inserita nella legge sulla stampa) non è sufficiente a superare le conclusioni cui si perviene attraverso un'interpretazione letterale e seguendo la ratio legis.
Qui di seguito alcune ragioni:
(a) Repubblica.it, corriere.it e le altre testate telematiche registrate sono già oggi tenute all'obbligo di registrazione. Le disposizioni appena introdotte, quindi, per loro risulterebbero inutili.
(b) non c'è nessuna disposizione di carattere generale nella legge sulla stampa che circoscriva l'ambito di applicazione di tutte le disposizioni in essa contenute alle sole testate registrate ergo, benché collocata nell'ambito di tale legge, la nuova disposizione vive di vita autonoma e può essere applicata autonomamente per esigere la rettifica dal responsabile di qualsiasi sito informatico
(c) tutti gli emendamenti all'art. 15 del ddl intercettazioni erano finalizzati proprio a contenere il novero dei soggetti destinatari dell'obbligo di rettifica con la conseguenza che, evidentemente, lo stesso legislatore ritiene la formulazione di cui al maxi emendamento suscettibile di applicazione verso tutti i responsabili di siti informatici
(d) allo stato, non è affatto sancito che un blog non sia soggetto a registrazione (cfr. vicenda ruta condannato per stampa clandestina) ed il pasticciaccio realizzato con la legge di riforma dell'editoria 62/01 e, quindi, anche a seguire l'interpretazione da lei proposta sussiste il forte rischio che il blogger che si rifiuti di rettificare si veda contestare la mancata rettifica in uno con la stampa clandestina...
Non mi sembra facilissimo sostenere che il responsabile delle trasmissioni informatiche o telematiche - ovvero il soggetto dal quale può essere pretesa l'esecuzione dell'obbligo di rettifica - sia solo il direttore responsabile di una testata on-line.

All'indomani dell'entrata in vigore della norma la rettifica quindi può essere richiesta a blogger e gestori di piattaforme...

egregio signor Gilioli,
apprezzo la sua precisazione e l'attenzione concessami ma, nel merito, non posso concordare sulle conclusioni assunte.
Per chiarezza espositiva parto dal rilievo di cui alla lettera B), riguardo al quale debbo osservare che l'avv. Scorza parte dalla coda anziché dalla testa. Egli infatti esprime il concetto che non vi sia alcuna norma della legge sulla stampa che circoscriva l'ambito di applicazione alle testate registrate; ma l'art. 1 della legge sulla stampa, espressamente circoscrive l'applicabilità della legge ad un ambito ancor più ristretto di questo: vale a dire alle sole "riproduzioni tipografiche o comunque ottenute con mezzi meccanici o fisico-chimici in qualsiasi modo destinate alla pubblicazione", concetto nel quale i "siti internet" non rientrano in alcun modo. E' la L. 62/2001 che ha esteso l'ambito di applicazione della Legge sulla stampa al "prodotto editoriale"; e tale estensione, come chiarisce la Suprema Corte, non è suscettibile di interpretazione analogica.
L'avv. Scorza tenta pertanto (è il punto A) un approccio sistematico, affermando che la modifica non avrebbe senso per siti quali Repubblica.it, dacché i medesimi sono già soggetti agli obblighi di registrazione; e ciò è vero, certo: ma ciò non toglie che la L. 62/2001 nulla abbia affermato in tema di rettifica; e dato che le norme sulla rettifica sono rette dalla L. 47/1948, che espressamente limita l'ambito di applicazione alla "stampa", ne consegue che, sempre da un punto di vista sistematico, legittimamente si sarebbe potuto affermare che la rettifica oggi non sia applicabile a "prodotti editoriali" pubblicati su internet.
La modifica introducenda tramite il DDL colmerebbe tale lacuna (e quindi avrebbe un suo autonomo valore dal punto di vista sistematico, tale da affermare che si tratterebbe di una norma valida ed efficace anche se limitata al mondo delle testate registrate), e in più offre un quadro normativo certo per i tempi di pubblicazione della rettifica, che altrimenti resterebbero arbitrari (ritengo infatti assai dubbio che un "sito internet" possa essere assimilato a un "quotidiano" per il solo fatto di essere in rete tutti i giorni; e pertanto il tema dei tempi di pubblicazione resta, oggi, vago).
Quanto alla lettera C), il fatto che in sede di discussione legislativa vengano respinti degli emendamenti fa parte del normale gioco politico, e Lei sa benissimo che in queste vicende spesso l'approvazione dell'emendamento ha un valore puramente mediatico, potendo essere sfruttato per affermare l'esistnza di un dissapore nella maggioranza. In ogni caso, l'utilizzo a fini ermeneutici dei lavori preparatori è evento assai raro, e utilizzato solo su temi nei quali la lettera della legge non offre sufficienti elementi per decidere la controversia.
Mi lasci inoltre osservare che qualora il legislatore avesse effettivamente voluto imporre l'obbligo di rettifica a qualunque utente della rete avrebbe dovuto modificare il primo capoverso dell'art. 8, che impone l'obbligo di rettifica a "Il direttore o, comunque, il responsabile" (laddove l'espressione "responsabile" deve essere coordinata con il disposto dell'art. 3 u.c.): in assenza di tale modifica, nulla legittima ad estendere l'ambito di applicazione dell'art. 8. 
Quanto al punto D, è lo stesso avv. Scorza ad aver affermato che la sentenza del Tribunale di Modica è profondamente sbagliata; e la Sentenza di Cassazione richiamata nel mio post (posteriore alla sentenza modicana) offre un eccellente conferma dell'interpretazione a suo tempo fornita dall'avv. Scorza.

Con tutto ciò, lo ripeto esplicitandolo, non voglio assolutamente dire che la legge sulle intercettazioni sia buona o anche solo esprimere un giudizio di neutralità sulla medesima: e anzi esprimo la più piena contrarietà rispetto ai contenuti del DDL, sia sulla parte prettamente procedurale, che limita l'utilizzo delle intercettazioni per l'individuazione di reati e dei relativi colpevoli, sia su quella che limita fortemente il diritto di cronaca.
Ciò non toglie che, a mio giudizio, il ventilare in capo al mondo dei blogger un pericolo di bavaglio che a mio parere non ha ragione di essere individuato, sia controproducente: credo sarebbe stato infinitamente meglio che da parte del mondo della stampa (mondo nei confronti del quale i blogger in media sono molto critici, ma del quale ciononostante rinconoscono l'indispensabilità) si fosse cercata l'adesione alla propria protesta da parte del mondo della rete, amplificando e diffondendo le giuste rivendicazioni contro una legge iniqua.

aggiornamento continua qui

Libertà di blogging

Prescindendo dal merito del disegno di legge sulle intercettazioni*, desidero soffermarmi solo sull'art. 15, sul quale sta nascendo un enorme can-can paragonabile a quello che si era originato al tempo dei famigerati 400 milioni di lavociana memoria.
Ve lo dico così, secco secco e senza commenti.
L'art. 15 del Disegno di Legge modifica l'art. 8 della L.47/1948 (Disposizioni sulla stampa), imponendo degli obblighi e dei tempi stringenti in tema di rettifica.

La legge 47/1948 non si applica a forum di discussione e altri mezzi di manifestazione del pensiero non strutturati come testate giornalistiche.
Lo dice la sentenza Cass. Pen. n. 10535 del 11/12/2008, di cui riporto uno stralcio grassettato dove occorre:
Gli interventi dei partecipanti al forum in questione, invero, non possono essere fatti rientrare nell'ambito della nozione di stampa, neppure nel significato più esteso ricavabile dalla L. 7 marzo 2001, n. 62, art. 1, che ha esteso l'applicabilità delle disposizioni di cui alla L. 8 febbraio 1948, n. 47, art. 2 (legge sulla stampa) al "prodotto editoriale", stabilendo che per tale, ai fini della legge stessa, deve intendersi anche il "prodotto realizzato... su supporto informatico, destinato alla pubblicazione o, comunque, alla diffusione di informazioni presso il pubblico con ogni mezzo, anche elettronico".
Il semplice fatto che i messaggi e gli interventi siano visionabili da chiunque, o almeno da coloro che si siano registrati nel forum, non fa sì che il forum stesso, che è assimilabile ad un gruppo di discussione, possa essere qualificato come un prodotto editoriale, o come un giornale online, o come una testata giornalistica informatica. Si tratta quindi di una semplice area di discussione, dove qualsiasi utente o gli utenti registrati sono liberi di esprimere il proprio pensiero, rendendolo visionabile a tutti gli altri soggetti autorizzati ad accedere al forum, ma non per questo il forum resta sottoposto alle regole ed agli obblighi cui è soggetta la stampa (quale quello di indicazione di un direttore responsabile o di registrazione) o può giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che l'art. 21 Cost., comma 3, riserva soltanto alla stampa, sia pure latamente intesa, ma non genericamente a qualsiasi mezzo e strumento con cui è possibile manifestare il proprio pensiero. D'altra parte, nel caso in esame, neppure si tratta di un forum strutturalmente inserito in una testata giornalistica diffusa per via telematica, di cui costituisca un elemento e su cui il direttore responsabile abbia la possibilità di esercitare il controllo (così come su ogni altra rubrica della testata).
Acutamente il difensore del ricorrente sostiene che la norma costituzionale dovrebbe essere interpretata in senso evolutivo per adeguarla alle nuove tecnologie sopravvenute ed ai nuovi mezzi di espressione del libero pensiero. Ma da questo assunto, non può farsi derivare che i nuovi mezzi di comunicazione del proprio pensiero (newsletter, blog, forum, newsgroup, mailing list, chat, messaggi istantanei, e così via) possano, tutti in blocco, solo perché tali, essere inclusi nel concetto di stampa ai sensi dell'art. 21 Cost., comma 3, prescindendo dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi.
In realtà i messaggi lasciati su un forum di discussione (che, a seconda dei casi, può essere aperto a tutti indistintamente, o a chiunque si registri con qualsiasi pseudonimo, o a chi si registri previa identificazione) sono equiparabili ai messaggi che potevano e possono essere lasciati in una bacheca (sita in un luogo pubblico, o aperto al pubblico, o privato) e, così come quest'ultimi, anche i primi sono mezzi di comunicazione del proprio pensiero o anche mezzi di comunicazione di informazioni, ma non entrano (solo in quanto tali) nel concetto di stampa, sia pure in senso ampio, e quindi ad essi non si applicano le limitazioni in tema di sequestro previste dalla norma costituzionale.
Ne consegue che l'obbligo di rettifica entro 48 ore non si applica ai blog.
E questo un giornalista dovrebbe capirlo, prima di partire lancia in resta. E anche un docente di informatica giuridica.
(quest'ultimo capoverso è un commento, lo ammetto)

* che è una zozzeria, su ciò non ci piove.

aggiornamento: continua qui

La gramigna

Avete presente quella simpatica pianta infestante, quella che una volta che arriva in un campo per toglierla dovete buttarci sopra un'autocisterna di Napalm?
Ecco, Walter Veltroni ieri ha preso la parola, con alcuni suoi amici. Io l'ho seguito sulla TV di D'Alema, e intanto su Nutramico si è sviluppata una spettacolosa discussione, che meglio di qualunque commento serioso io possa postare qui dà il senso di cosa sia successo. Vi assicuro che è stata un'esperienza memorabile.
La trascrizione inizia dall'arrivo di Uoltèr: ho tolto i nomi dei singoli contributori ed alcuni messaggi relativi a problemi tecnici nella trasmissione, che non c'entravano granché.
ho anche aggiunto alcuni grassetti, per i pigri che vogliono andare subito al sodo.
- Veltroni
- comincia con saviano
- il paese sta male ...
- ha perso un'occasione d'oro " il paese sta male..." io m'aspettavo e anche io non sto benessimo
- oddio, ha cominciato dal novecento
- "è la sfortuna"
- che dice uolter?
- Sento che sta per dire: "la sua struggente bellezza"
- struggente no dai.
- e peccché questo paese è immobile.
- lo sento anche io borgo, lo sento.
- ricordare alla nostra memoria. as opposed to ricordare alla nostra cistifellea.
- non ci sarebbe neanche bisogno di starne a discutere.
- Vocazione maggioritaria non era l'idea di andare da soli.
- ...era un'altra cosa...
- a me quando dice "un grande partito riformista" con quella voce teatrale vengono gli istinti omicidi. lo dice sempre uguale.
- FACEBOOOOOOK!!!!!
- ha detto facebook :|
- oDDIOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO
- facebook??? sta porcoXXXX parlando di facebook?!
- facebook!!!
- si scrivono lettere
- la lettera noooooooooooooooo
- porcalaputtanatroia SI!!!!!
- LA LETTERA SIIIIIIIIIII SIIIIIIIIIIIS IIIIIIIIII
- le lettereeeeeee!!!!1
- noo la lettera da Facebook nooo
- però non è morta...
- la gente si scrive. parla dialoga si incontra si conosce. rimorchia. manca una nticchia alla membrana.
- aaaaaaaaah le lettere!!!
- sei sempre tu walter sei sempre tu
- Guia, per favore, lo tiri giù tu un bestemmione serio al posto mio?
- chi è che diceva "però porello"? ndò sta? ndò sta??
- non è morta, però gli scrive matricola alienata. (magari la lettera chiude con: valter, porca madonna, pensaci tu)
- porello 'ncazzo
- ma cazzo ma come si fa, ma davvero la lettera, non voglio davvero crederci
- anche lo striscione "bentornato walter" :D
- anto', guarda che ha ragione lui. il fatto stesso che noi siam qui a dire la lettera vuol dire che è il suo trademark, e quindi funziona. la lettera sta a valtere come i comunisti a berl.
- ha citato due volte Berlusconi..è la svolta tanto attesa :)
- io ho sentito il gelo in sala, e credo tutti i prossimi si siano girati verso diego - se è ancora lì
- però poteva parlare anche prima eh, che ora c'è il palio da vedere, altro che valter
- a iniziatico, guarda che ieri non c'era niente di iniziatico, oggi invece non sto a capì un cazzo.
- può essere, ma non si fa il leader politico parlando al pubblico della dandini.
- non ci credo che state ascoltando uolter. io.non.ci.credo. con lui abbiamo perso. perso.
- malumore in sala
- c'è una pelata molesta...
- c'e' telese steso in terra
- rianimatelo :))
- Credo che stasera o domani Veltroni sia per queste bande a presenziare al dibbattito sulla presentazione di un film di regista mozambiquense... vedete un po'voi, eh.
- non posso venire. mi dispiace tantotanto. sono in india.
- quell'orrore che sono le segreterie dei partiti. mestieraccio, indeed.
- prima parlava di "coalizione riformista necessaria" e adesso dice che le coalizioni sono inutili e dannose.. in meno di 10 minuti ha già cambiato idea
- barack obama è un'idea. l'idea platonica di negro?
- obama ha spostato 9 milioni di voti. chi ha detto che abbiamo perso? siamo dei grandi.
- veramente: però porello dice tutto, ancora non riesce a convincersi che non è lui segretario
- te lo ridico io: abbiamo perso. punto.
- con la citazione di c'eravamo tanto amati mi ha guadagnato un sacco di punti
- Ma se M. Jackson si è fatto bianco, cosa aspetta lui a farsi nero, per avvicinarsi al suo idolo?
- Warte non basta dire una cosa per assodarla, cioè servirebbe anche una qualche attinenza rispetto alla realtà, ecco...
- ti faccio presente che ha citato il più sfigato e insopportabile e loser personaggio della storia del cinema, roba che ashley wilkes in confronto è un modello vincente.
- su c'eravamo tanto amati non sento ragioni, sono fan cieco tipo quelli che guardano the rocky horror picture show e recitano tutte le battute in costume
- Non fischiare Berlusconi perché non fischiavano Bush...
- antò, ci andiamo insieme, una sera nicola lo fai tu un'altra io
- cmq mi pare di capire: tutto a posto no? abbiamo vinto? abbiamo vinto. lui si è dimesso per un tragico errore e insomma tutto come prima no?
- (vorrei far notare che lui fa il vago, ma ho appena sentito fischi pure a lui...sogno o son desta?)
- lo stanno fischiando? stanno fischiando uolter? giura.
- sisisiì, fischi. ma all'americana.
- ha aggiornato il reportorio delle citazioni in questi mesi, cmq.
- anto', uno dei miei tre film italiani preferiti, ma pure via col vento (non tra gli italiani, ci fosse bisogno di specificare), epperò dimmi che personaggio scegli e ti dirò eccetera.
- O_O ma praticamente incita alle banlieues?
- ha avuto più tempo per leggere.
- ma il condominio di Sassuolo diventerà la nuova casalinga di voghera?
- ed ecco arriva il bipartitismo. tombola!
- di fatto ha sostituito il "ma anche" con "coniugare" per il resto stesso schema.
- frangetta braccia grosse, eh.
- il conflitto di interessi? lui che era il vicepresidente del consiglio di un governo che non ha fatto nulla?
- lo stupore del giovane walter
- vabbé: mi spiegate che minchia c'entra la rivoluzione verde e l'Iran, che non ci arrivo proprio (o confonde il colore delle foglie e quello delle bandiere?
- un noi collettivo, as opposed to un noi majestatis.
- "per fortuna che c'è la rete", se leggesse qual che gli stiamo cucendo addosso, se lo rimangerebbe.
- che umile "non ho mai detto io"
- ho riaperto che s'era bloccato e ho sentito "io sono fuori ma da un certo punto di vista non sono mai andato via"
- vabbè ma mo la causa dell'iran??? la gente che non scende in piazza? non scende no e il fatto che tu sia lì ne è la prova.
- oddio ringrazia i suoi fans per lo striscione
- "non è più il tempo dei ritorni"
- i fanz sono commozzi.
- evvai!
- Paro paro Clinton, che diceva di non aver mai fatto sesso con monica, perché i pompini non sono sesso
- "non m'hanno fatto lavorare"
- adesso piange...
- il nuovo ch'avanza
- la melandri è commossa.
- Sul Santoddio la Binetti è morta.
- la difesa di frangetta. non ci sto credendo.
- difesa deboluccia mi pare: "ha detto una cosa che non si doveva dire, ma santoddio quanta gente ha detto cose che non si dovevano dire?"
- con un tono paternalista, eh eh eh, ha sbagliato però....
- ha bevuto, non c'è dubbio.
- "si organizzano modularmente", il partito dell'ikea.
- l'ha detto, sono fuori da queste elezioni (e vado in africa)
- adesso se è il mio walter cita pure la summer school, il circo massimo e la summer school
- e la vittoria in trentino
- un'altra letteraaaaaaaaaaaaaaa
- altra lettera. chiedo l'eutanasia.
- deve morire
- è forte però, comincio ad alimentare una sorta di rispetto dovuto a chi intigna
- so d'accordo antò, ci vuole coraggio
- trademark. valter senza lettera sarebbe come la niù coke.
- vabbé, ma ormai siamo all'autocaricatura
- e sempre storie tristissime: come una volta che c'era il premio per il bimbo più buono d'Italia
- buoni propositi per l'anno in corso: spezzare le dita a chi scrive le letterine a varte.
- io. non. ci credo. che. ha. tirato. fuori. la. lettera. mi state prendendo per il culo. lo sento.
- applauso fiacco: anche il pubblico non ne può più
- SOGNO NO. SOGNO NO!!!!!
- vedi stare in india?
- il sogno di un'Italia migliore .... son commosso :(( , ma mi ricorda un altro signore...
- beh ragazzi qui la cosa è lampante: dobbiamo scegliere tra chi vuole il sogno e chi vuole la realtà. fate un po' voi.

giovedì 2 luglio 2009

Una città un po' più europea

BikeMi, il servizio di noleggio di biciclette milanese, da sabato prossimo sarà attivo fino alle due di notte. Tutti i giorni, fino al 31 ottobre.
Dopodiché si valuterà se rendere l'estensione di orario permanente, anche sulla base degli utilizzi.
Questa è un'ottima cosa, non c'è bisogno di spiegare il perché; mi disturba un po' il fatto che l'estensione notturna oltre il 31 ottobre sarà determinata "sulla base degli utilizzi": confido comunque che gli utilizzi medesimi saranno tanti e che in questa città si possa finalmente andare al cinema (se ne resterà qualcuno in centro) anche con questo mezzo.
Saranno un paio di mesi ormai che non faccio un noleggio, dato che sono sempre in giro con la mia fida: ma sapere che al bisogno c'è l'opportunità di usare BikeMi dà una certa tranquillità; e consente, quando arrivano amici da fuori, di non dover per forza prendere la macchina.

In difesa di Debora Serracchiani

Alzino la mano chi nelle ultime 24 ore non hanno pensato o scritto male di Debora Serracchiani

Ieri per la giovane promessa dei piombini è stata una giornataccia, obiettivamente. Essere scaricata (con molto stile, ma scaricata) persino da Luca Sofri, che tra i mille difetti che possiede non si può certo dire sia una banderuola, e che era stato uno dei suoi più attivi sostenitori, non dev'essere stata certo una sensazione piacevole.
Dopo gli altari, ieri quindi è stato il giorno della polvere: declinata in mille modi diversi: su queste pagine ad esempio si è scritto un post polveroso e cattivello, ma neppur tanto (e comunque, datemene atto, di altari non ne erano mai venuti fuori in precedenza); su altre pagine sono state scritte cose lucide che allargano la visuale oltre il personaggio in sé, rappresentando la sua sconfitta come la nostra sconfitta. In generale invece c'è stato un allontanamento dal cadavere che puzza, comportamento in odore di 25 luglio e molto molto italiano: e pertanto trovo assai più apprezzabile quanto scritto da Francesco Costa, il quale acriticamente ma con il cuore difende la persona in cui aveva creduto (per inciso: provate ad aprire in due finestre affiancate il post di Sofri e quello di Costa, e giocate a scoprire le differenze, che mi fanno dare i giudizi che ho dato: è un bell'esercizio di analisi del testo).
Poi la Debora ha avuto anche una sfiga non indifferente, quale quella di essere difesa da Marco Travaglio. Sono cose da cui una persona con un minimo di morale e senso etico dovrebbe potersi riprendere solo con mille difficoltà, ma sono certo che i suoi elettori avranno apprezzato.

Tutto questo popo' di premessa per cercare di trarre qualche considerazione generale su quanto abbiamo visto. Scorfano, sopra citato, dice «soprattutto la colpa è nostra, che abbiamo bisogno di un leader, a tutti i costi [...] Ce la prendiamo con lei, perché sappiamo che è una sconfitta nostra.». E' una chiave di lettura valida, ma credo che, purtroppo, ci sia di più.
La Serracchiani non ha mai detto cose nuove o originali (noi possiamo permetterci di affermarlo, avendolo scritto in tempi non sospetti): epperò è divenuta una figura di riferimento del partito, un'eurodeputata ultravotata e una candidata in pectore alla guida del PD, che ieri riceveva cinquecento telefonate da altrettanti lingottini e oggi -grazie anche al passo indietro fatto- tratta da pari a pari con il segretario e decide linee e strategie.
Com'è possibile che un discorso solo, peraltro neppur tanto originale, abbia potuto provocare tutto ciò? Dacché, come giustamente osserva Davide, già l'intervento all'Era Glaciale dimostrava che non vi fosse un serbatoio di ulteriori idee a cui attingere.

Io credo che il fulcro della questione non sia solo la voglia di leader.
Certo, c'è anche questa. Da quando lo sventato progetto di trasformazione maggioritaria del nostro Stato avviato da Mariotto Segni con il referendum elettorale (quello di quindic'anni fa, non quello recente) ci ha portato in un sistema via via sempre più bipolare, l'attenzione dei cittadini si è spostata dal "chi votare per fare cosa" al "chi votare". E il nostro sistema politico si è incredibilmente involuto.
Pensateci un po': sembra che qualunque argomento dell'agenda politica debba poter essere affrontato solo in due possibili modi, consustanziali a solo due possibili schieramenti. Questo può avere un senso in temi quali la politica estera o il governo dell'economia, che sono organici all'azione di indirizzo politico della maggioranza di governo.
Ma se andiamo su temi operativi, quali l'assegnazione di fondi per la ricostruzione e la definizione delle relative modalità, o etici, quali il testamento biologico, non ha alcun senso che le posizioni espresse in Parlamento debbano essere perfettamente sovrapponibili alla mappa dell'aula per schieramento elettorale (fatta eccezione per Casini, che pur galleggiando in un limbo centrista ha almeno il pregio di decidere volta per volta quale sia la soluzione giusta per il Paese: decisioni che in massima parte non condivido, ma decisioni anziché preconcetti).
Rammentate il divorzio e l'aborto? Rammentate che sono istituti inseriti nel nostro ordinamento non grazie ai referendum, bensì dal Parlamento (è bene ricordarlo, questo particolare, che si tende troppo spesso a dimenticare)? E chi aveva la maggioranza relativa, chi era al governo? La Democrazia Cristiana.
C'è stato, in questo paese, un tempo in cui i partiti che avevano il 40% avevano il 40%, e si alleavano con altri partiti per raggiungere il 50% e governare; e ogni tanto saltavano fuori dei temi sui quali anche tra partiti di governo non era possibile trovare un'intesa; e il Parlamento, sovrano, decideva formando delle maggioranze ad hoc su singoli temi: quali il divorzio, ad esempio. E ciononostante i governi non cadevano, né ponevano la questione di fiducia.
Certo, in quel tempo felice i partiti dovevano avere delle idee: dovevano dire agli elettori cosa avrebbero fatto in questo, in quello e in codesto caso; e la linea così decisa, nei congressi, apparteneva al partito, che vi rimaneva legato a prescindere dal fatto che il segretario si chiamasse Nicolazzi o Longo.
Poi è arrivato Meriotto Segni, e subito dopo Berlusconi. La politica è diventata la spasmodica ricerca di un nome, una guida, un messia: un qualcuno a cui dare fiducia incondizionata e delega in bianco.
Che importano le piattaforme programmatiche? Sono espressioni da matusa: parole che non si possono più sentire. Cosa importa veramente? La capacità di raccogliere consenso, e quindi: la simpatia, la telegenia, la facondia.

No, dico: vi ricordate che rischiavamo di avere Rutelli come Presidente del Consiglio?. Ecco, appunto, ci siamo capiti.
Quali sono le qualità che i piombini hanno detto che deve avere il leader del PD? Essere nuovo, non essere d'apparato, essere giovane. Come Obama, insomma.
Chissenefrega quale sarà la sua posizione sull'articolo 18 o sulla politica edilizia: l'importante è che sia giovane e nuovo. Come Obama.

Ed è una cosa che mi fa imbestialire, ogni volta che sento di Obama: perché quello sta dall'altra parte dell'Oceano, non qui. E se Veltroni era patetico quando enumerava tra i grandi successi del Partito Democratico la vittoria di Obama, preso nel suo americanismo al punto di non riuscire a cogliere la differenza intercorrente tra il PD e il Democratic Party, i piombini sono avvilenti.
Perché almeno Veltroni lo faceva nella disperata necessità di trovare qualche stellina da appuntare alla propria bandiera, mentre i piombini e i loro seguaci si rispecchiano nella caratteristiche obamiane per pura e semplice miopia.
Mi sembra che sia il Sofri giovane, quello che ama parlare di saggi, di dita e di lune: bene, forse dovrebbe fare un po' di autocritica ed accettare il fatto che il Presidente degli Stati Uniti è Barack Obama, il quale è nuovo e giovane; non che il Presidente sia un signore nuovo e giovane il quale si chiami Barack Obama. Non foss'altro perché se andiamo a prendere l'insieme dei nuovi e giovani e non d'apparato, dentro ci troviamo anche Sarah Palin.

Ma se facciamo un passo ulteriore, signori miei, il fatto grave è che a meglio vedere i piombini hanno ragione. Perché l'imbarbarimento della politica che noi quarantaepassaenni riusciamo a vedere, un trentenne non lo può cogliere dacché la politica, per lui, è sempre stata scontro di personalismi e non già contrapposizione di idee: e quindi loro in quell'ottica ragionano.
Non sbagliano quindi i piombini a cercare spasmodicamente un leader, e investire fiducia nel primo o nella prima che passa, a condizione che abbia un bel sorriso e una certa dose di simpatia: sbagliamo noi, io per primo, a non aver capito che la politica italiana questo è diventato.
E così capisco, e financo apprezzo, a questo punto, Francesco Costa, che di anni non ne ha ancora trenta, che si scaglia contro il cosiddetto revival berlingueriano: perché questo è l'ambiente nel quale è cresciuto e si è formato, e la responsabilità di questo ambiente è almeno in parte mia, che ai tempi dei referendum di Mariotto Segni votai No, ma non mossi un dito per convincere almeno uno dei miei conoscenti a votare No anch'egli. Enon solo capisco il Costa, ma sono pure costretto a chiedermi se lo Zambardino, che non ha l'attenuante dell'età, e del PCI è stato iscritto, come Sandro Bondi, forse forse non sia lui ad aver ragione, nella critica a Berlinguer, e non sia io quello rimasto irrimediabilmente fuori dal tempo: come quei vecchietti che si incontravano nelle osterie di paese, che continuavano a ripetere incessantemente «Ai miei tempi...».

mercoledì 1 luglio 2009

La cambiale

Da domani lo Stato della California (vale a dire una delle prime dieci economie del pianeta) inizierà a smettere di pagare i fornitori, rilasciando loro degli I.O.U.
In pratica delle cambiali, ma senza scadenza.

Articolo 18 e dintorni

Siamo d'accordo oppure no, sull'Articolo 18? Continuiamo a pensare che sia la soluzione o dobbiamo intervenire anche su quello?
C'è tutto un lungo post di Leonardo che commenta, diciamo così criticamente, le opinioni della nuova ninfa del PD espresse al Lingotto e ribadite con forza dalla precedente ninfa, la signora Melandri. Nel merito quanto scrive Leonardo è pure il mio pensiero: anche io ero a Roma, nel 2002; e del resto parlavo dello stesso tema già ieri.
C'è però un punto ulteriore da approfondire: Leonardo ha semplificato il pezzo del discorso della Serracchiani che riporto in apertura di questo post  (e se volete verificare, giusto per non rompervi la testa a cercarlo e dovervi sorbire tutto l'intervento, trovate qui al minuto 5:55).
Il doroteismo dell'oratrice si spinge fino al punto di non prendere neppure una posizione in termini affermativi, bensì dubitativi.
La loro futura speranza non ha neppure le palle (si può dire palle, o fa troppo macho?) di affermare «Noi non siamo d'accordo a mantenere l'articolo 18», no: ella se lo chiede senza rispondersi.
Questo, a casa mia, si chiama "cercare di tenere il piede in due scarpe".

Ma non è tanto di ciò che vogliamo parlare oggi, quanto dell'intervista che la giovane tutto pepe ha rilasciato su Repubblica. Sarà che oggi ci hanno sbattuto giù dal letto alle sei del mattino, e abbiamo letto la mezza paginetta in una panchina, sonnacchiosi, aspettando che aprisse l'ufficio; ma la lettura ci è risultata oltremodo indigesta.

Si parte con quella che vorrebbe essere una boutade, la quale però evidenzia come nella Serracchiani alberghi quello spirito del PD che condanniamo dal giorno in cui abbiamo iniziato a scrivere su questo blog: lo spirito di un'organizzazione che non è pensata per fare qualcosa, bensì per rafforzarsi e autoperpetuarsi.  Fare per vincere, non vincere per fare.
E così, alla domanda sul perché la virgulta si sia schierata con Francescini, la risposta, che vorrebbe essere spiritosa ed invece è desolantemente triste, è: «Perché è il più simpatico». Ma, mi chiedo io, dopo aver detto una cazzata così, con che coraggio poi un giorno una può andare a dire che Berlusconi viene eletto solo perché ha le televisioni e il potere mediatico?

Ma passi, come spiritosaggine (un leader di partito non è che abbia il dovere di essere spiritoso, come insegnava Berlinguer; lui però le barzellette non cercava neppure di raccontarle). Scendiamo di qualche riga e troviamo questa chicca:
«Che cosa non le piace di Bersani?»
«Rappresenta l'apparato. In tutto, linguaggio compreso. Parlano ancora di piattaforma programmatica, un'espressione che proprio non si può più sentire. Non mi sono piaciuti i modi della sua candidatura. Da un anno è un candidato a prescindere, come direbbe Totò. A prescindere dall'avversario, dal segretario in carica, dal risultato elettorale, da tutto»
Già, quelli della parte di Bersani parlano di programmi, roba vecchia che appare ancor più tale se la si chiama con un termine burocratese per darle una spolverata di ragnatele. Mica come i giovani serracchianisti, a cui dei programmi non impipa un fico secco, e ciò che conta è l'avversario, il leader, il risultato elettorale.
Ma risultato elettorale per far che, buon Dio? Ma per qual diavolo di motivo dovresti conseguire un buon "risultato elettorale" se non sai nemmeno da che parte vuoi andare, santa donna?  Per il risultato elettorale ci vogliono voti, e per ricevere voti, a parte quelli degli altri apparatchnik del PD, ci vogliono elettori che sappiano che cosa vuoi farci, con loro voto, e che siano d'accordo con te.

Andiamo avanti:
«Se invece vincerà Franceschini sarà la rivoluzione?»
«Lo spero. Franceschini dovrà aprire il partito al rinnovamento, chiamare gente nuova, come ha fatto con me, pescare fra le straordinarie risorse di questo pezzo d'Italia
Va bene, Debora: sei riuscita a darti della risorsa straordinaria. Per chi ci ha creduto: ma secondo voi, una così ingenua da pronunciare questa frase, quanto dura nei palazzi del potere, quello vero? Avete presente Andreotti? Forlani? De Michelis? O anche Fini e persino Cicchitto? ecco: quante bistecche da mangiare, ancora, cara Debora!!! (il che, se ben ci pensate, potrebbe originare anche qualche riflessione sul fatto che "giovane" non è automaticamente una qualità; e che "esperienza" non è un insulto).

Tiremm innanz
«Di che cosa avete parlato con Franceschini, invece che di poltrone?»
«Dei grandi temi sui quali il Pd deve ancora dare risposte chiare all'elettorato»
Ciumbia! Veniamo al centro del discorso: ora si parla di programmi!!! Certo, i programmi sono una cosa vecchia, quando ne parla Bersani; ma lui dice "piattaforma programmatica" mentre qui si usa il più moderno "temi"... ma perché non ne avete parlato al Lingotto, di 'sta roba?
«Non abbiamo così tanto spazio. Mi elenca soltanto i principali?»
«La laicità, la questione morale, il conflitto d'interessi, la riforma del welfare. Non generiche aspirazioni, ma proposte concrete da portare al congresso e sulle quali confrontarsi»
Ditemelo chiaro, amici: voi ci vedete proposte? Io nulla più che parole vuote: ma se fallo, correggetemi, che l'avrò caro. La laicità in che senso? la questione moralein che senso? il conflitto d'interessiin che senso? la riforma del welfare in che senso?

Vorrei andare avanti a commentare, ma ad essere sincero mi sono un po' rotto i marroni. Comunque l'intervista merita di essere letta, per capire com'è il nuovo e sperare che il vecchio resista agli acciacchi del tempo.