venerdì 30 ottobre 2009

Piccole lezioni di diritto ad uso di chi non ha una laurea in Giurisprudenza

Giuseppe D'Avanzo in un articolo su Repubblica impapocchia, come spesso fa, un po' di carte.
Non alla Travaglio, che dice "bianco" quando dovrebbe dire "nero", ma comunque in maniera suggestiva, facendo ipotizzare che Berlusconi ritenesse che un "video del Presidente" fosse un video a lui riconducibile.
Per l'effetto (per l'effetto per D'Avanzo, dato che c'è un buco logico non piccolo da colmare) l'articolo chiude ponendo all'attenzione dei lettori la possibilità che Berlusconi si sia reso colpevole del reato di ricettazione, in quanto «È indubbio che Silvio Berlusconi si sia intromesso per far acquistare, prima, e occultare, poi, quella "cosa proveniente da un delitto"»
L'articolo è talmente fumoso che persino nell'ambiente dei blogger, notoriamente infestato da comunisti (e per davvero, mica come in magistratura!) la cosa è stata solo blandissimamente ripresa.
Luca Sofri, per dirne uno, cita l'articolo facendo notare che la versione di D'Avanzo è "piuttosto ardita": e quel "piuttosto" è un bell'eufemismo.

E difatti, vediamo un po' cosa dice il Codice Penale:
Art. 648. - Ricettazione.
Fuori dei casi di concorso nel reato, chi, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto, acquista, riceve od occulta denaro o cose provenienti da un qualsiasi delitto, o comunque si intromette nel farle acquistare, ricevere od occultare, è punito con la reclusione da due ad otto anni e con la multa da euro 516 a euro 10.329.

Notate quel «al fine di procurare a sé o ad altri un profitto»? Non è lì per caso, come vezzo stilistico. In diritto si chiama "dolo specifico", e sta a significare che perché il reato esista, il reo deve avere quella specifica finalità: di trarre profitto dalla propria azione o di far sì che altri ne tragga profitto. Se il fine è quello di aiutare un'altra persona il reato non sussiste, e ciò nonostante il fatto che, con la sua condotta, il soggetto faccia sì che altri traggano profitto: perché non vi era, appunto, quel "dolo specifico": quella finalità.
Cass. Pen. Sez. 2, Sentenza n. 7525 del 23/02/1982 Ud. (dep. 30/07/1982 ) Rv. 154841
Quando la cooperazione delittuosa con gli altri imputati è intesa al conseguimento di un fine di lucro, di un'utilità concreta e materiale mediante l'ottenuto possesso delle cose di provenienza furtiva o mediante l'intromissione per far acquistare ad altri l'ingiusto profitto, ricorre il delitto di ricettazione e non quello di favoreggiamento reale, che consiste invece nella condotta di chi presta l'aiuto richiesto, per assicurare ad altri il prodotto o il profitto o il prezzo del reato, disinteressatamente e senza fine di locupletazione. (NdR: locupletazione è un modo un po' brutto di dire arricchimento)

Cass. Pen. Sez. 2, Sentenza n. 11712 del 02/05/1980 Ud. (dep. 08/11/1980 ) Rv. 146538
Il delitto di ricettazione si differenzia da quello di favoreggiamento reale in relazione al fine specifico che nella ricettazione e costituito dall'intento di procurare a se o ad altri un profitto, mentre nel favoreggiamento consiste nell'aiuto apprestato dall'agente ad altri per assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato

Certo, si potrebbe anche dire che in effetti Berlusconi intendeva trarre profitto dalla propria opera di intermediazione, in quanto l'avvisare Marrazzo era un avvertimento in stile mafioso, o che comunque intendesse poi ottenerne favori: ma è una cosa che, per quanto uno possa voler male a Silvio Berlusconi, non ha uno straccio di prova e, ad essere franchi, mi pare anche un po' sciocca.
Non posso certo dire di conoscere Silvio Berlusconi, ma mi sembra che rientri pienamente nella psicologia del personaggio l'aiutare la persona (anche se avversario politico) che si trova in difficoltà per motivi di pantalone.

Ed è un peccato che D'Avanzo, preso dalla foga censoria, si sia inventato un'inesistente ricettazione alla quale ben pochi hanno mostrato di credere. E' un peccato perché, se avete letto bene il testo delle massime che vi ho trascritto, c'è un reato che si attaglia, questo sì perfettamente, alla condotta del PresConsMin:
Art. 379. Favoreggiamento reale.
Chiunque fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648, 648-bis, 648-ter, aiuta taluno ad assicurare il prodotto o il profitto o il prezzo di un reato, è punito con la reclusione fino a cinque anni se si tratta di delitto, e con la multa da euro 51 a euro 1.032 se si tratta di contravvenzione.

E' indubbio (dato che egli stesso l'ha affermato) che Silvio Berlusconi abbia in prima persona offerto a Marrazzo i riferimenti dell'agenzia che stava mettendo sul mercato il video: e con tale comportamento, sebbene non posto in essere a fine di trarne o farne trarre profitto, ha certo aiutato coloro che stavano tentando di piazzare la merce.
E notate che in questo caso non si configura neppure il tentativo, bensì il delitto consumato. Infatti l'aiuto è stato fornito, e il fatto che l'estorsione non sia andata a buon fine non rileva, come insegna
Cass. Pen. Sez. 6, Sentenza n. 778 del 08/10/1998 Ud. (dep. 21/01/1999 ) Rv. 212286
Per integrare la condotta materiale del reato di favoreggiamento reale, previsto dall'art. 379 cod. pen., è sufficiente il semplice aiuto all'autore di un reato finalizzato da parte di costui al conseguimento dell'utilità illecita, indipendentemente dal fatto che il favoreggiato riesca effettivamente a conseguire il prodotto, il profitto o il prezzo del reato. (La Corte, nella specie, ha ritenuto che ricorresse l'ipotesi del reato di favoreggiamento reale, consumato e non tentato, nella condotta di un soggetto che aveva aiutato altra persona ad assicurarsi il parziale provento della vendita di refurtiva facendole accendere depositi vincolati a nome di un terzo ignaro, e così cercando di impedire l'assoggettamento delle somme a sequestro)


In conclusione, sembrerebbe proprio che il Presidente del Consiglio, nell'avvisare Marrazzo di quanto stava accadento e nell'aiutarlo a cercare di salvare il salvabile ricomprando il video si sie reso colpevole di un delitto contro l'amministrazione della giustizia (titolo III del libro II del Codice Penale).

mercoledì 28 ottobre 2009

Di navi, d'aerei e di razzi /1

Qualche giorno fa avevo iniziato un post con una parte di questo titolo, e poi avevo parlato d'altro. Essendo mercoledì riprendo l'argomento.
Mercoledì perché, in virtù di non so bene quale strana congiunzione astrale, non solo mi hanno iscritto a un corso di inglese legale, ma sono stato addirittura inserito nella classe advanced, il che vuol dire che c'è un'avvocata americana che il mercoledì ci fa lezioni accademiche sulla contract law e ci fa stilare pareri legali e bozze di contratti. Il tutto ovviamente in lingua, e chi sgarra lasciandosi scappare una parola in italiano fa la fine di Fantozzi che cerca di mangiare con le mani.

I casi nel diritto anglo-americano sono molto più divertenti di quelli di diritto continentale: ciò è dovuto a una serie di fattori, i principali dei quali sono: la risalenza della common law, che ha otto-nove secoli alle spalle contro i due secoli scarsi del nostro diritto codificato; e i criteri di interpretazione che si usano colà, dove l'applicazione letterale delle norme e delle pattuizioni è la regola: il che dà luogo a curiosi contenziosi su questioni che da noi sarebbero state liquidate dal giudice con una condanna per lite temeraria.
Il primo parere che ho dovuto scrivere era un adattamento di un caso classico del diritto americano. Ci sono due amici che decidono di passare una serata insieme: vanno in un bar, poi in un altro, poi in un altro ancora, e così via. Verso il decimo bar, uno dei due, Alfred, comincia a banfare sul suo nuovo impianto stereo hi-fi iperamplificato TV 85 pollici etc. etc. etc. (nel caso originale si trattava di una goletta, e i bar erano taverne).
A un certo punto l'altro amico, Bob, prende un tovagliolino e ci scrive sopra «vendo a Bob il mio supermegaimpianto hi-fi per 5 dollari»; e lo passa ad Al il quale, ubriaco com'è, lo firma.
Il giorno dopo Al si sveglia con un tremendo mal di testa e la consapevolezza di aver fatto qualcosa, senza avere la minima idea di cosa possa essere. Il giorno dopo ancora, Bob si presenta alla porta di Al con cinque dollari in mano, e pretende di ritirare la merce.

martedì 27 ottobre 2009

Dio acceca chi vuole perdere

Poche cose mi fanno incazzare più della spocchia elitista.
La spocchia di chi è convinto di esser sempre dalla parte della ragione anche quando tutti gli dicono che sta andando verso il burrone; e lui a dire "non avete capito un cazzo, ho ragione io!"
Finché fa Plonk, come Vil Coyote.

Ecco, scrivere: Gli elettori, nella stragrande maggioranza maturi (per non dire anziani), tutti novecenteschi, come è ovvio che sia, hanno seguito questa strada, e hanno fatto bene, e ha avuto ragione chi ha scelto Bersani, chi ci ha creduto, chi ha investito su di lui. Su questo non ci piove per sminuire la scelta del popolo delle primarie (nello stesso post si parla di bocciofilìa, di sospetto verso i nuovi medie e di tutto ciò che fa anzYano) sarebbe anche legittimo, pur se un po' stupido. Se scritto da chi le primarie le ha sempre combattute.

E' spocchioso, villanamente spocchioso, se viene scritto da chi aveva fatto delle primarie una bandiera, contro chi -eletto- era contrario alle primarie medesime, che pur l'hanno eletto.

LGB & T

Ieri sono andato dapprima a prendere il caffè con alcuni colleghi, giù al GinRosa, e poi nel corso della giornata ne ho bevuto un altro paio alla macchinetta.
Sapete bene che la macchinetta del caffè è lo strumento principe per capire come vanno le cose in azienda, e anche come vanno le cose nella "società civile". Tra la gente, insomma.
Alla mia macchinetta del caffè (e credo a tutte le macchinette di tutti gli uffici del paese) i commenti sul Presidente del Lazio, e sulla Brendona immortalata da Rep, sono stati irriferibili anche per questo blog dove spesso si sono usate espressioni non convenzionali. E ciò indipendentemente da età e sesso e grado dei colleghi, tutti accumunati nel dileggio e nella rappresentazione fiorita di dettagli anatomici e pratiche esoteriche.
C'è un'altra macchinetta del caffè, quella di FriendFeed, i cui frequentatori invece assumono reciprocamente, danno per scontato, che Lesbiche, Gay, Bisessuali e Trans abbiano uguali diritti e dignità. Chiero che FriendFeed non è lo specchio della società, e neppure di quella parte che frequenta la rete (probabilmente su FB le cose sarebbero ben diverse): me si tratta comunque di una discrasia significativa.
Ho lanciato su FF una domanda: se cioè ci si possa aspettare che in Italia tra venti o trent'anni andare a trans possa essere considerato egualmente accettato o riprovato che andare a prostitute. Non mi riferisco a normali coppie stabili: perché di fronte al fenomeno delle coppie stabili omosessuali o transgender ormai si è creato quel meccanismo che fa sì che pubblicamente si accetti il fenomeno (un po' come i leghisti che affermano in pubblico di "non essere razzisti"): mentre tale schermo di ipocrisia di fronte all'amore mercenario cade, legittimando i peggiori sentimenti e i pareri più corrivi.
Ne è nato un dibattito interessante, e mi piacerebbe raccogliere lì anche la vostra opinione: pertanto metto questo link e chiudo il commenti su questo post, per evitare duplicazioni.

domenica 25 ottobre 2009

Farisei

Fare distinzioni tra chi va a troie femmine e chi fa a troie travestite; tra chi è stato ricattato e chi non lo è stato; tra chi ha vuotato il sacco subito e chi l'ha vuotato solo dopo; tra chi si è dimesso subito e chi non si è dimesso né ci pensa lontanamente; tra chi è rimasto con la moglie e chi la moglie l'ha lasciata.
Ecco: a me leggere queste cose non fa neppure ridere, che sarebbe l'unica reazione corretta. Ma vedo che c'è chi discetta puntigliosamente su queste sfumature, come scolastici che disputano sul'entelechia.
E allora, diciamo l'unica cosa che seriamente si può dire su questa triste vicenda: Marrazzo è indifendibile, e lo è perchè il suo partito di riferimento ha messo per sei mesi le mani nelle mutande del suo avversario.
Tutto il resto sono cazzate: che Berlusconi si dovesse dimettere perché è ricattabile; perché ha mentito; perché ha saltato appuntamenti importanti; perché ha usato degli aerei di Stato. Tutte cazzate: Repubblica (e il PD dietro) hanno tentato di farlo saltare perché ANDAVA A TROIE.
Non ci sono riusciti, ma adesso Marrazzo salta perché ANDAVA A TRAVESTITI. L'assegno, il ricatto, le smentite e le ammissioni sono tutti meri accidenti: Marrazzo paga l'intransigenza del suo partito, tutto qua. Tanto che il buon Mele, che andava a troie e pippava, è ancora lì, bello come il sole, e nessuno gli ha più chiesto conto di nulla.

Ah, un'altra cosa: si può ben dire che Marrazzo aveva l'unico merito di essere comparso in una trasmissione peraltro non sua, e che non sapeva nulla di politica ma era solo un acchiappavoti catodico. Non è gentile ma è un'opinione legittima, per carità.
Però coloro che questa opinione in quattro anni se la sono sempre tenuta per sé, e poi la esternano proprio oggi, mi sembra che non ci facciano un gran bella figura.

Elaboratore elettronico per uso personale

Ho comperato un nuovo elaboratore elettronico di dati per uso personale, e di colpo mi sembra di essere invecchiato di una dozzina d'anni.
Non mi è chiaro come ci si muove, cosa si fa; non ritrovo quele piccole cosine alle quali ero abituato e delle cui esistenza non mi accorgevo neppure più.
Passerò il pomeriggio qui, attaccato allo schermo (nel quale non mi ci ritrovo, grande e lungo com'è), cercando di rifamiliarizzari.

venerdì 23 ottobre 2009

Flame War

Aver frequentato reti sociali ancor prima che qualcuno si inventasse la terminologia "reti sociali" può avere dei vantaggi che ripagano un po' del tempo perso.
Una delle cose che certo ho imparato stando su Usenet è la gestione delle flame war: come non farle nascere, come gestirle, come spegnerle; ed anche come accenderle e come gettare benzina sul fuoco, quando c'è da divertirsi.
Per i neofiti che non conoscono il termine, rimando alla pagina su Wikipedia, che spiega abbastanza bene di cosa sto parlando; aggiungo solo che i principali elementi che contribuiscono a incancrenire la discussione fino allo scambio dei più pesanti insulti immaginabili sono due: l'utilizzo di messaggi in forma scritta anziché orale e la possibilità di rispondere immediatamente all'interlocutore.
Quando parliamo con qualcuno (anche in condizioni di invisibilità reciproca, come al telefono) il nostro messaggio è mediato dal tono e dalle inflessioni della voce, che dicono all'interlocutore come dev'essere inteso il significante. "Sei uno stronzo" è ben diverso se viene pronunciato da un automobilista ad un altro che gli ha fregato il parcheggio piuttosto che da chi stia ascoltando un amico che racconta la scusa che ha rifilato alla moglie per uscire a farsi una bevuta in compagnia: non conoscendo il contesto, possiamo capire il significato se ascoltiamo le parole, ma vederle scritte non ci dice nulla.
Ma non è che la scrittura non consenta di esprimere concetti con grande chiarezza, perfino superiore rispetto alla parola, anzi: ma per far ciò serve tempo, riflessione, un vocabolario ricco e un accurato studio di ciascuna espressione. E' per questo che scrivere una lettera richiede esperienza e fatica.
Fin dai tempi di Usenet, la combinazione forma scritta/brevità del messaggio/limitato tempo di elaborazione del testo ha dato luogo allo scoppiare di litigi ed inimicizie destinate a durare in eterno: sono frequenti i casi in cui a posteriori è impossibile capire se chi scriveva volesse esprimere un commento ironico e divertito o insultare apertamente l'interlocutore: tanto che si è sentito il bisogno di inventare le faccine, alle quali io sono ferocemente contrario ma che talora che sono un'ancora di salvezza.

Perché oggi racconto tutto questo? Semplicemente perché ormai la comunicazione quasi-sincrona è diventata il principale mezzo di scambio d'informazioni anche sul posto di lavoro: e vivere in una realtà aziendale fa capire quanto i frequentatori di socialcosi (che non a caso si conoscono un po' tutti tra loro) siano uno sparuto gruppo di mosche bianche.
Da qualche mese, forse per influsso di congiunzioni astrali forse solo perché era ora che succedese così, vedo che al normale scambio di mail un po' paludate, che ancora conservavano l'impostazione della lettera formale, con formula d'apertura e saluti di chiusura, si sta via via sostituendo una modalità d'espressione molto più simile a quella che vediamo tutti i giorni sui socialcosi; e non è escluso che l'esplosione di FB non abbia qualcosa a che fare con questo.
Da mail corpose e compendiose (spesso addirittura composte da una semplice formula d'invio con allegata una nota in Word) si è arrivati a semplici messaggi di una o due righe: "sono d'accordo"; "p.f. approfondisci meglio il punto 3"; "ho sentito Carlo che ci farà sapere qualcosa domani"; "Perché mi avete avvertito SOLO ORA?????".
Era inevitabile che questa nuova (per l'ambiente) modalità comunicativa desse luogo in breve tempo agli stessi fenomeni che avevamo visto su Usenet nei tempi d'oro: vale a dire all'esplodere di vere e proprie guerre dovute a incomprensioni, malintesi e in certi casi vere e proprie provocazioni.
Sono guerre che fanno più fatica a partire, perché bene o male ci si conosce tutti e comunque vi sono gerarchie e regolamenti che debbono essere rispettati; e che fino a qualche tempo fa si sopivano al nascere con il semplice prendere in mano il telefono per un chiarimento. Ma ora, osservo, prendere in mano il telefono sta diventando sempre meno frequente, e in parallelo il livello delle tensioni diventa sempre più alto, tanto che questa settimana leggendo la mail di lavoro mi sembra di essere di fronte al mio Forté Agent e a Giovanni Greco.

E' chiaro che in tutto ciò io ci sguazzo come una paperella in una vasca, dato che per me è tutta roba vista, rivista, digerita ed espulsa da anni: ma è affascinante osservare come coloro che non hanno la stessa mia anzianità di rete vivono quest'esperienza: le facce ingrugnite via via che leggono i messaggi, le voci spezzate, le dita che si mettono a picchiettare freneticamente le tastiere, l'uso sconsiderato del tasto prima di aver riletto e meditato su quanto scritto.

Piove, ATM ladra

Totentanz racconta una sua piccola disavventura con il metrò di Francoforte, e di come l'efficienza tedesca risolva certe situazioni.
Ieri e l'altro ieri a Milano pioveva, e quindi ho dovuto prendere il metrò per andare al lavoro. Per dare un'idea della frequenza con la quale me ne servo, considerate che l'altro ieri ho utilizzato l'ultima corsa del "carnet" (vale a dire un biglietto valido dieci corse), il cui primo viaggio era stato timbrato il 14 luglio.
Su quattro corse, due andate e due ritorni, due si sono svolte in condizioni tutto sommato umane (vale a dire stipato come un pesce in barile); una si è svolta in condizioni umane solo dopo aver fatto passare tre treni non quali non era umanamente possibile salire, e una mi ha visto salire sul convoglio ed aspettare una dozzina di minuti prima della sua partenza; alla stazione di San Babila verso le 18:30: chi ha i necessari riferimenti spazio-temporali potrà ben capire come si sia svolto il viaggio.

Non mi stupisco tanto del fatto che ci sia così tanta gente che accetta di passare ogni giorno della settimana un paio di mezz'orette in queste condizioni (per non dire poi dei pendolari: ma in fondo loro se lo sono scelti di star fuori città, e indiscutibilmente godono di una serie di vantaggi che ripagano dello stress del viaggio mattutino e serotino): anch'io l'ho fatto per tanti anni e non mi lamentavo.
Mi rendo però conto che oggi anche un solo giorno di utilizzo del mezzo pubblico mi comporta una grande dose di stress, tanto che quanto la notte sento la pioggia tamburellare fuori dalla finestra provo angoscia per il successivo risveglio: e mi chiedo se sia io ad essere cambiato, in questi ultimi tre-quattro anni, abbassando di molto l'asticella del mio livello di sopportazione; o se sia anche il servizio pubblico molto peggiorato rispetto a prima.

giovedì 22 ottobre 2009

Di navi, d'aerei e d'Ipazie

Con riguardo al mio post di ieri sera, Ipazia sognatrice ha lasciato un commento che mi sembra sollevare un tema d'interesse generale, e che quindi porto su per non lasciarlo confinato lì sotto, confinato in una stanzetta dove ci siamo solo noi due*:
Uhm, quindi sarebbe 'la legge non è uguale per tutti, ma deve essere uguale per tutti quelli per cui non è uguale'?
Cavolo, un po' lungo, da ricamare sui miei calzini blu a renne multicolori. Evitando le renne.
Sospettavo che le cose fossero un filino più complesse di come ci eravamo (parlo di noi comuni Ipazie) convinte che fossero.
Quello che più mi intristisce è che non solo le campagne cazzeggione di Repubblica, ma tutta una serie di trasmissioni/dibattito, interviste, dichiarazioni, rilasciate da persone che in teoria dovrebbero essersi laureate in giurisprudenza, e che dovrebbero candidarsi a rappresentarci e governare, non facevano la minima allusione a ciò che tu dici.
E allora, delle due l'una: o tu sei un pazzo mitomane che si ammanta di conoscenze che non ha ed ha una grande audience (cosa che non credo; anche se è vero: hai una grande audience); o questo è davvero un teatrino di marionette che manovrano marionette che manovrano marionette...
Lascio al lettore giudicare da sé, andando a leggere direttamente i punti 7.3.2.2. e 7.3.2.3. della sentenza 262/2009.

* Anche se devo ammettere che trovarmi in una stanzetta confinato con Ipazia potrebbe essere una prospettiva non disdicevole

mercoledì 21 ottobre 2009

Di navi e di aerei

La Corte costituzionale, come certo sapete, ha pubblicato le motivazioni della sentenza sul cd. "Lodo Alfano". E' da un paio di giorni che la sto leggendo, rimuginandola e cercando di scriverne un post, ma non è cosa facile: si tratta infatti di un documento molto complesso e molto difficile da spiegare, nelle sue argomentazioni e implicazioni, a chi non è un tecnico.
Salvo essere un giornalista: la stampa ha infatti impapocchiato qualcosa di vagamente somigliante a qualche frase estrapolata dal contesto, e se l'è cavata così. Per una volta, peraltro, non sono critico: ammetto che scrivere un articolo di senso compiuto in poche ore, pur essendo pagato per farlo, sarebbe stato molto -troppo- difficile.
Una cosa però ci tengo a sottolinearla fin da subito.
Rammenterete che prima della sentenza c'è stato un bailamme di gente che si fotografava con cartelli "la legge è uguale per tutti"; o lo scriveva sui propri blog; o lo canticchiava per la strada.
Ecco: la Corte Costituzionale a questo principio non ha pensato neppur di straforo. Ha sì dichiarato l'illegittimità del Lodo Alfano ai sensi dell'art. 3 cost.: ma, come illustrato ai punti 7.3.2.2. e 7.3.2.3., non già perché introducesse una disparità di trattamento tra il Presidente del Consiglio e i comuni cittadini, bensì tra il Presidente del Consiglio e i Ministri (7.3.2.2.), tra il Presidente della Camera e i Deputati, tra il Presidente del Senato e i Senatori (7.3.2.3.1.).
Quella campagna, quel meme, per usare un termine moderno, era quindi del tutto fuori luogo: e lo era pur essendo, da un punto di vista oggettivo, molto seria, pur nel suo spirito giocoso.
Ecco: se una campagna bene o male seria come quella, alla fine si è dimostrata scentrata e pertanto, a conti fatti, inutile; che giudizio si può dare per quegli inviti a fotografarsi con i cartelli "siamo tutti farabutti"; o "sono una donna offesa" o addirittura ad andare in giro con i calzerotti in tinta?
Tanti prima di me hanno commentato quest'ultima ennesima sciocchezza, e l'hanno fatto in modo certo più spiritoso di come lo stia affrontando io ora; ma credo che, passato lo sfottò e resici tutti conto che con il pedalino azzurro si è toccato l'ennesimo punto imo dello scantinato, sia il caso di cominciare a capire che le campagne di Repubblica (e non solo) sono sia ridicole che inutili o addirittura disutili.

se vi chiedete che c'azzecca il titolo del post, la risposta è: nulla, volevo parlar d'altro e mi sono fatto prender la mano. Però mi sembrava che il lasciarlo fosse surreale almeno quanto darsi del farabutto

Sicurezza vo cercando

Dato che domani sarà lanciato sul mercato Windows 7, Panda offre gratis per 24 ore una licenza annuale del proprio antivirus.
Per lo stesso motivo IoBit offre, sempre gratis, una licenza annuale di IObit Security 360™ PRO, suite di rimozione e prevenzione per malware e spyware. In questo caso c'è meno necessità d'affrettarsi, dato che l'offerta scade l'11 novembre.

domenica 18 ottobre 2009

Cambiate canale

Alla fine, quando un dominio è arrivato a costare come un Mississippi Mule al Mujio, e i doloretti al fegato mi hanno suggerito di saltare l'aperitivo del sabato, per investire i soldi risparmiati ho preso la carta di credito e ho comperato mfisk.org
Il nuovo indirizzo di questo blog è quindi blog.mfisk.org, con un risparmio di ben 14 lettere rispetto all'indirizzo precedente: il mio piccolo contributo al rallentamento della crescita dell'entropia nell'universo.
Il motivo principale non è stato quello di dare un nome al blog, che poteva vivere tranquillo e sereno così com'era, bensì di assicurarmi nel tempo un indirizzo e-mail stabile: ne ho cambiati tanti nel tempo, e ogni volta che il precedente fornitore smetteva di erogare il servizio chiudendo i battenti, o ne faceva scendere la qualità al di sotto di un livello minimamente accettabile, o rendeva inverosimilmente complesso il fruirne, ecco che il trasloco di tutte le registrazioni che riuscivo a ricordare mi prendeva una gran quantità di tempo: anche se erano pochissime rispetto a ora, e di molti account me ne dimanticavo, puramente e semplicemente.
Ormai qualunque servizio del mondo reale o virtuale può essere fruito, acquistato o prenotato in rete: biglietti, dischi, libri, viaggi, alberghi, pacchi, tasse, conti, spesa... tutto a patto di conoscere user e password corretti.
Ogni servizio ha i propri barocchi standard di sicurezza: c'è quello che vuole la user di almeno sei lettere, quello che ci vuole un numero, l'altro che ci vuole un punto; e così pure per le password, con in più il fatto che è da incoscenti usare la stessa password per qualunque servizio, dato che è come lasciare le chiavi di casa in bella vista, in una cabina telefonica, con attaccato un biglietto con nome, cognome e indirizzo.
Non ci si può neppure fidare della memoria del proprio browser e fargli rammentare tutte quelle coppie di parole: un po' perché non ci si fida a prescindere, un po' perché tutti noi ormai usiamo più di un PC e spesso più di un browser. L'unica soluzione è quindi quella di affidarsi al tasto "ho perso la password!", che te la fa recapitare docile sulla tua mail.
E se la mail per un motivo o per l'altro non la dovessi più avere? Se qualcuno te la rubasse, complice il fatto che non essendoci giro di soldi non c'è modo per provare che quall'indirizzo tu, e solo tu, l'hai usato per anni? Se Gmail chiudesse*?
Così qualche settimana fa, quando gmail è saltato per qualche ora, proprio mentre dovevo comprare un biglietto del treno, mi sono chiesto cosa sarebbe successo a tutta quella marea di cose che uso e di cui non saprei più fare a meno, qualora improvvisamente Google avesse deciso di essersi stancata di fornire quel servizio. Un po' come quando perdi il portafoglio, e devi rifare la patente e le carte di credito: ma moltiplicato per cento volte.
Ho acquistato questo nome, che uso ormai da una quindicina d'anni e che nessuno aveva voluto prendersi. Just in case.

* Sì, certo: è troppo grande e importante per chiudere. Anche di Lehman Brothers dicevano lo stesso.

Se verza sciato verde per quadro

non avevo ancora approfondito bene questa buzzword dell'augmented reality, fino a quando ho pensato che questo woman fail potrebbe essere un'imperdibile opportunità per un car maker di creare un'applicazione iPhone
E mi chiedo: sarà una presa per il culo, o gli è proprio venuta così di getto, questa frase?

venerdì 16 ottobre 2009

Siamo alla frutta, anime belle

Vale la pena di spendere un minuto per dire che sì, quello che ha fatto Canale 5 con il giudice Mesiano fa schifo.
Ma che i principali quotidiani nazionali non dedichino un'apertura al fatto che CISL e UIL hanno firmato il principale contratto collettivo di lavoro, quello dei metalmeccanici, senza la CGIL, fa capire che il mondo non si divide in buoni e cattivi.
Anche i buoni possono diventare cattivi, facendo pessimo giornalismo al servizio di qualche interesse non chiaro.

Siete alla frutta

Mantellini qui dice di essere pessimista. E ce ne sarebbe ben donde: il servizio di Canale 5 (parte soccombente) sul giudice Mesiano sfonda un buon numero di limiti finora invalicati del buon gusto e della dignità umana e professionale.

Ma, pensandoci bene, non è così. Guardate il video: avete mai visto una persona più normale di questo signore?
E quello che racconta Zio Tibia Sallusti, è o non è la normalità più banale, che ben conosce chiunque abbia avuto a che fare con le aule giudiziarie, per mestiere o per sfortuna?
Be', credo che dare dello "stravagante" a questo giudice sia essere alla frutta. Non solo sono finite le argomentazioni buone, ma persino quelle cattive: restano solo quelle farlocche.
Se poi qualcuno volesse leggersi la sentenza scritta dal giudice Mesiano, la può trovare qui.

Perché la proposta di legge "anti-omofobia" era una sciocchezza (short version; rather wonkish)

Pensare di combattere l'omofobia inserendo un'aggravante nel codice penale è come pensare di combattere:
- il traffico di droga con la legge Fini-Giovanardi;
- il terrorismo internazionale con il divieto di connessioni internet libere;
- le rapine in villa con il permesso di sparare ai ladri;
- le scritte sui muri con la galera per i writer («Se il fatto e` commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati, si applica la pena della reclusione da uno a sei mesi o della multa da 300 a 1.000 euro. Se il fatto e` commesso su cose di interesse storico o artistico, si applica la pena della reclusione da tre mesi a un anno e della multa da 1.000 a 3.000 euro»);
- l'immigrazione clandestina con l'aggravante di clandestinità («11-bis. l'avere il colpevole commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale.»).

Prolegomeni a qualunque legislazione che voglia risultare efficace

 
Fate un bell'esercizio: leggetevi un po' l'art. 3 delle "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica" (non spaventatevi: andate giù, giù, dove c'è scritto "art. 3"). Fatto? Bene!
Ora, leggetevi un po' questo "si proceda da tutti li giudici ordinarii di questo Stato a pena pecuniaria e corporale, ancora di relegatione o di galera, e fino alla morte" Fatto? Bene!
Ora, leggetevi un po' questo.
E traete voi, se credete, qualche conclusione.

mercoledì 14 ottobre 2009

In difesa di Paola Binetti

Premessa.
Su questa questione del voto sulla cosiddetta legge anti-omofobia ci sarebbe da dire una valanga di vagonate di cose che mi risparmio e vi risparmio in attesa che cali l'ansia di prestazione di chi crede di dover sempre dire qualcosa non appena i fatti accadono, senza prima fermarsi a riflettere un po'.
Chi mi legge da tempo sa che la mia opinione l'ho già espressa in un post che ha avuto anche un certo seguito di pubblico, e chi non mi segue da tempo può cercarselo: non lo linko perché quel post, astratto dal contesto, farebbe subito gridare allo scandalo, come infatti ha gridato allo scandalo chi allora l'ha letto.


Post.
Paola Binetti ha votato contro la cosiddetta legge anti-omofobia, e metà del Partito Democratico ha finalmente sollevato il problema se sia opportuno o meno pretendere le sue dimissioni.
Io da mesi vado ripetendo che la Costituzione prevede che i deputati siano eletti senza vincolo di mandato, e pertanto il fatto che la Binetti voti in modo contrario alla linea ufficiale del partito costituisce, per me che aspiro ad essere minimamente coerente con me stesso, almeno sulle questioni di principio, il mero esercizio di un diritto.
Chi deve pagare, per il fatto che la Binetti abbia votato come ha votato, non è la Binetti stessa; e, secondo il mio modo forse un po' troppo manicheo di affrontare le cose politiche, non è neppure chi ha deciso di metterla in lista, in posizione tale da assicurarne l'approdo a Montecitorio.
Possiamo discutere o meno se vi sia stato un errore: ma se ammettiamo che errore vi sia stato, questo va ricercato alle origini: nell'aver fondato un partito nel quale si è ritenuto di mettere dentro, con pari dignità e pari diritti, Bersani e Franceschini; Rutelli e D'Alema; Concia e Binetti.
Anziché un partito è stata fatta una pasta e fagioli, con il beneplacito di tutti gli iscritti, simpatizzanti ed elettori che sono andati alle primarie a votare per il Puffo capocuoco.
Senza pensare che, quando si mangia la pasta e fagioli il giorno prima di una riunione importante, è molto facile che poi si possano creare dei momenti di forte imbarazzo.

martedì 13 ottobre 2009

Controcorrente

Stavo cercando un'altra cosa e ho trovato questo video che ha per protagonisti Emilio Fede, giornalista di lungo corso, e tale Piero Ricca, che si autodefinisce giornalista.
Rammento quando incontrai Emilio Fede: era il 1990, l'università era occupata dalla "Pantera", e io ero uno stimato membro della commissione Bar di Scienze Politiche.
Quella sera c'era al Circolo De Amicis un convegno con il ministro Ruberti, autore dell'omonima riforma che aveva dato il via alla protesta. Via De Amicis era completamente transennata, noi che manifestavamo eravamo all'imbocco della via, verso Via Correnti.
A un tratto, visto che la cosa diventava noiosa e faceva anche freschino, io e K. che eravamo pure vestiti decorosamente, ci dicemmo: - "andiamo a vedere dentro", e come niente fosse passammo le transenne, come due convenuti, ed entrammo nel circolo.
Lì trovammo Bobo Craxi, che era amico d'infanzia di K., e con il quale per anni mi sono cordialmente salutato, ogni volta che casualmente ci incontravamo (per molti anni io e K. eravamo inseparabili, e Milano come ben sa chi ci abita è una città minuscola, per cui trovare Bobo al Magenta era tutt'altro che infrequente).
Nel salone del circolo noi tre cominciammo a parlare: non ricordo se di calcio e figa o di figa e calcio: certo non del convegno o di politica. Ad un tratto arrivò Emilio Fede: piccolo, sudato, fegatoso. Sfoggiò il migliore dei suoi sorrisi, giallastro, e chiese, suadente e un po' in falsetto: - "Scusa Bobo, posso disturbarti un secondo per farti qualche domanda?".
Bobo si girò, con degnazione, guardandolo dall'alto al basso dei suoi venti centimetri di maggiore altezza, e con tono gelido gli fece: - "Emilio, sto parlando di cose importanti con queste persone". Fede tornò alla carica, ancor più umile e servile, e Bobo lo respinse ancor più sgarbatamente, finche il molesto dovette ritirarsi.
Rammento distintamente la faccia di Fede, allo stesso tempo umile e grata; e rammento perfettamente lo sguardo che ci lanciò: un po' di disappunto per l'occasione mancata e un po' di timore reverenziale per chi stava approcciando amichevolmente il Potente, da pari a pari, sghignazzando come si fa tra uomini e uomini e come certo mai si può fare tra uomini e servi.

Ecco: da allora ogni volta che vedo Emilio Fede rammento quella scena, e lo considero poco meno di una simpatica macchietta. Vedere questo video stasera, per la prima volta, me l'ha fatto sembrare umano; e mi ha fatto essere schierato dalla sua parte.

Il post sbagliato

E così sono ancora a piede libero, ma vale la pena di raccontare come sono andate le cose.
Nichita ha portato a scuola la macchina fotografica. Come ovvio, l'ha subito tirata fuori, facendosi vedere dalla maestra la quale si è subito terrorizzata e gli ha ordinato di rimetterla immediatamente nello zaino, spiegandogli che è V-I-E-T-A-T-I-S-S-I-M-O portare a scuola macchine fotografiche.

C'è della poesia nella perversione di una legge -ma più che della legge, è della società, che stiamo parlando- che trova in sé gli anticorpi per riparare i propri eccessi. Tanto è il timore che la nostra società ha dell'abuso dell'immagine del bambino che l'introduzione di un apparato atto a catturarne è considerato alla stregua di un pericoloso crimine, quasi si trattasse di un coltello o una pistola.
Cose che per quelli della mia generazione erano naturali, quali il fare ai compagni una foto meno ingessata di quella ufficiale di classe (soldatini piantati sull'attenti sotto lo sguardo fintamente amichevole della maestra), diventano esecrabili violazioni di un diritto alla privacy del quale nessuno di noi sa stabilire bene i confini, e che viene stiracchiato qua e là come una coperta un po' troppo corta.
Ipazia mi ha chiesto su FF (luogo ove ella si ostina a commentare, e la colpa è mia, ché le ho raccontato di che si trattava) perché mai non avessi spiegato a Nichita che in questo paese ci sono delle leggi che potrebbero mettere in guai seri il suo papà, per i suoi giochini innocenti e stupidini.
Le avevo risposto"il motivo è che se dovessi spiegare che ci sono leggi che, scritte sull'onda dell'allarme montato dalla stampa per vender più copie e della fama di notorietà di squallidi personaggi che strumentalizzano problemi gravissimi per il proprio profitto personale, puniscono giochini innocenti alla stregua di crimini orrendi, dovrei giungere con lui alla conclusione che le leggi - o alcune di esse - sono sbagliate; ed appesantire così la sua immaturità dell'onere di saper discernere tra la norma giusta e quella ingiusta: il che, ancora, non si merita".
Oggi posso confermare quelle parole: non avendogli ancora insegnato a distinguere tra norma giusta e ingiusta, Nichita non si è posto il problema del perché fosse vietato fotografare i compagni a scuola: lo ha preso come un dovere; ma se avessi dovuto spiegarglielo, quel perché, mi sarei trovato in serie difficoltà: dato che quel divieto, per me, è una cazzata.

lunedì 12 ottobre 2009

L'ultimo vero post

E' probabile che questo sia l'ultimo, o uno degli ultimi, post di questo blog, che chiuderà i battenti a tempo indeterminato, nel migliore dei casi almeno fino al 2012. Considerato poi che nel 2012 dovrebbe esserci la fine del mondo, tanto vale salutarci una volta per tutte e chi s'è visto s'è visto.
La chiusura non farà grande scalpore: ieri ha chiuso ufficialmente Maestrini per caso, che aveva un pubblico cento volte superiore al mio, e ciò è una bella seccatura, dato che la notizia della mia chiusura verrà cannibalizzata da quella della chiusura di Mafe e Vanz.
- Fatti furbo -potreste dire- e annuncia la tua chiusura tra una settimana, quando il clamore dell'altra notizia si sarà spento.
Già, il punto è che non ho la possibilità di scegliere, purtroppo. Tra poco qui sotto arriveranno un paio di volanti, a sirene spiegate, e mi porteranno a San Vittore; così sui giornali di domani potrete vedere anche il mio volto, senza occhiali a specchio e in manette. C'è anche il caso che Bruno Vespa faccia uno speciale, con la partecipazione di Paolo Crepet.

Prima che leggiate la notizia sui giornali, vi devo la mia versione dei fatti.
Tutto comincia nello scorso mese di giugno, quando Nichita, che aveva finito la quarta elementare, prese la pagella. Rispetto al primo quadrimestre, nel quale si era lasciato un po' andare, la pagella finale era molto migliorata, tornando ad avere solo nove e dieci: e pertanto meritava un regalo di una certa importanza.
Decisi così di fargli un regalo da grandi, e gli comperai una macchina fotografica, che lui apprezzò molto.
Facciamo un salto nel tempo e arriviamo allo scorso venerdì: il suo compagno R. lo aveva invitato a passare il week-end in campagna, e Nichita mi ha chiesto se poteva portare la macchina fotografica. Io gli ho risposto che non doveva chiedermi il permesso, dato che la macchina è sua, e lui così ha fatto.
Ieri sera, tornato a casa, ha voluto farmi vedere le fotografie che aveva fatto. C'erano dei divertenti ritratti di R. che faceva le boccacce, qualche immagine un po' storta della casa e dei paesaggi ripresi dai finestrini della macchina.
Poi c'erano foto di piciu e di bus del cü: cazzi e culi.
I due decenni avevano pensato bene di fotografarsi l'un l'altro i rispettivi attributi, e di ciò erano evidentemente felicissimi e fieri: non so quante volte si fossero rivisti l'un l'altro quella mezza dozzina di foto, ma mentre me le mostrava Nichita non riusciva ancora a trattenersi dal ridere, contento come una pasqua.
Pure io, quando io avevo la sua età o poco dopo, possedevo una macchina fotografica, ma non ho mai fotografato gli attributi miei o dei miei amici. Non perché che la cosa non ci avrebbe divertito, ma perché sapevamo bene che la pellicola avrebbe dovuto essere sviluppata in un laboratorio, e non solo ci saremmo vergognati come ladri, ma probabilmente avremmo anche riscosso una seria punizione. Ci mostravamo i piselli, certo; facevamo anche la gare negli spogliatoi della piscina, ma non ne lasciavamo traccia.
Con l'avvento delle macchine digitali direi che è del tutto normale che il nostro mostrarci e scherzarci di allora sia divenuto il fotografarsi di adesso, e la cosa mi ha insieme tranquillizzato e confortato, sul fatto che mio figlio sta crescendo percorrendo tutte le tappe che debbono essere percorse da un bambino che sta per diventare un ragazzino.
Poi è venuto fuori il legale che è in me.
600-quater. Detenzione di materiale pornografico.
Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall'articolo 600-ter, consapevolmente si procura o
detiene materiale pornografico realizzato utilizzando minori degli anni diciotto, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa non inferiore a euro 1.549.
600-sexies. Circostanze aggravanti ed attenuanti.
[...] Nei casi previsti dagli articoli 600-bis, primo comma, e 600-ter, nonché dagli articoli 600, 601 e 602, se il fatto è commesso in danno di minore, la pena è aumentata dalla metà ai due terzi se il fatto è commesso da un ascendente [...]
Notate, caso mai aveste dei dubbi sull'interpretazione della norma, che l'originario verbo "dispone" è statto sostituito nel 2006 con il verbo "detiene", a chiarire che per incorrere nel reato non c'è bisogno di altro che della possibilità astratta di accedere al materiale in questione, indipendentemente dalla circostanza che questo venga scambiato, e perfino qualora questo non venga neppure visualizzato.
Orbene, l'interpretazione della legge è cosa complicata, ma credo proprio che nel concetto di "materiale pedopornografico" non possano non rientrare due piselli decenni.
La cosa è grave, come potete ben immaginare: considerate per un attimo che al giovane Stasi, accusato di aver ucciso la fidanzata e nei confronti del quale non si riusciva a trovare un possibile movente, è stato cucito addosso un vestitino d'accuse infamanti perché nel suo PC c'erano delle non meglio specificate immagini pedopornografiche, che solo ora una perizia ha dimostrato essere capitate lì più o meno per caso; e per il solo possesso delle medesime egli sta affrontando un altro processo, che si aggiunge a quello per omicidio.

Un padre ligio alle leggi avrebbe preso la scheda dalla macchina fotografica e l'avrebbe cancellata; un padre ligio alle leggi e competente in materie informatiche l'avrebbe buttata nel fuoco, consapevole del fatto che qualche traccia può sempre rimanere nella memoria flash, ed essendo il reato ormai ampiamente consumato l'unica possibilità era quella di far sparire le prove.
Un padre meno ligio alle leggi e più attento allo sviluppo armonico della personalità del proprio figlio, quale io credo di essere, ha creduto che bruciare la scheda, o anche solo cancellarla, non avrebbe fatto altro che instillare nel figlio dei tabù pericolosi, figli della nostra era sempre più oscurantista. Bruciare o cancellare quelle due foto di piselli avrebbe voluto dire che la volta successiva Nichita e R. o P. o K. si sarebbero comunque fotografati (perché sono decenni ed è naturale che lo facciano), ma di nascosto: lui non me l'avrebbe più detto in quanto avrebbe perso la fiducia in me; e se c'è una probabilità su un milione che un giorno qualcuno davanti a scuola avrebbe potuto proporgli di fare qualcosa di sporco, il cancellare ora quelle foto mi avrebbe impedito allora di poterlo sapere, perché anche quel qualcosa sarebbe stato fatto pure di nascosto.
E pertanto ho lasciato le foto sulla scheda; e le ho importate, insieme alla boccacce di R, e alla casa, e ai paesaggi, nel mio computer, nella directory dove Nichita tiene le foto che ha fatto in Sardegna, nella bergamasca e in giro per Milano.
E quando stamattina Nichita mi ha chiesto il permesso di portare la macchina fotografica a scuola, per far vedere le foto a P., io ho avuto un altro brivido, ma ho voluto essere coerente con me stesso e gli ho detto di farlo, anche se, pavidamente, gli ho raccomandato di mostrarle solo a P. senza farsi beccare dalle maestre: raccomandazione di cui non aveva alcun bisogno, dato che tutti i decenni sono ben consapevoli del fatto che quelle sono cose che devono essere fatte di nascosto, ed anzi è quello il bello -il sugo- del farle.
Come ovvio, le maestre li beccheranno, non ne ho dubbio alcuno. Se fossero lige al loro dovere dovrebbero chiamare gli assistenti sociali, i quali disporranno l'affidamento di Nichita in una casa famiglia. Qui sarà interrogato da una girandola di psicologi, i quali a un certo punto cominceranno a fargli delle domande sempre più stringenti sull'attenzione che il papà ha sempre mostrato nei confronti del suo pisellino.
Dopo essere stato arrestato sarò così accusato anche di violenza sessuale su minore degli anni dieci (art. 609-ter comma 2: da sette a quattordici anni); e a nulla varranno le mie giustificazioni. Racconterò che ho subìto due operazioni (e due ricoveri in pronto soccorso, grondante sangue) per guarire la fimosi e le aderenze provocate dalla mentalità bacchettona dei miei genitori, per i quali l'igiene del corpo era sì fondamentale, tranne che per un paio di centimetri del medesimo che nel bagno si fingeva non esistessero neppure; spiegherò quanto sia forte in me il desiderio di risparmiare a mio figlio le sofferenze che ho dovuto affrontare io per rimettere a posto i relativi danni, non solo fisici, e che pertanto ritengo mio dovere controllare la pulizia del prepuzio tanto quanto quella delle orecchie o la presenza di pidocchi.
Non sarò creduto. Son qui, quindi, ad attendere le volanti.
Credete che questa sia una storia da ridere? Tutt'altro.

venerdì 9 ottobre 2009

@Dago (e non solo)

Troppo bello per essere vero!
Uno dei due blogger citati in questo post ha subito riequilibrato le cose scrivendo una cosa sulla quale non sono d'accordo in alcun modo.

Segnalo, di contro, la segnalazione di Knut Wicksell.

Listening to "Bella Ciao"

Comunque, qui sotto sta passando la manifestazione dei metalmeccanici, e dopo aver sentito Contessa, ora sto ascoltando Bella Ciao. Con mortaretti e sirene.
Sono cose che ti rimettono in sesto la giornata.

Piccole (non tanto piccole) verità

Luca Sofri scrive cose molto giuste sulla Corte Costituzionale e sui costituzionalisti della domenica.
Francesco Cundari fa lo stesso.
Metto i link, ché* ve li possiate leggere anche voi.

* Sì, lo so D., ho esagerato: non abbandonarmi, però.

La bocciofila del Ritz-Carlton


Ehi tu, elboniano:
so bene che nel tuo paese c'è solo fango. Non importano il Martini. Non importano la vodka. Non crescono gli ulivi.
Sono solidale con te, ti sono vicino, so che è una vita difficile.
Ma qui, in Italia, il Martini lo facciamo. Dalla Finlandia ci spediscono enormi quantitativi di liquore; e quanto alle olive, se tu avessi una connessione a internet potresti guardarti qualche foto della Puglia.
Quindi, pezzo d'idiota, quando hai tradotto in S03E09 la frase «Absolut martini on the rocks. Two olives», come ha potuto passarti anche solo per l'anticamera del cervello di metterci «Un aperitivo con ghiaccio, olive e salatini»? Ma lo fai apposta per farmi incazzare o sei proprio completamente, inguaribilmente e incommensurabilmente cretino?

Vedi, pezzo d'idiota, lascia che ti spieghi come funziona il mondo.
Josh ha appuntamento con Amy alle undici. Che non sono le undici del mattino, anzitutto perché Amy è appena andata a un balletto e poi, deficiente, perché fuori è buio. Anche in Elbonia alle 11 del mattino c'è la luce, per cui è un concetto al quale puoi arrivare.
E tu lo riesci a capire, minorato che non sei altro, che ordinare un "aperitivo" alle undici è quanto più fuor di luogo possa esistere? 
Ma non solo: Josh non ordina un Martini. Non ordina un Vodka Martini. Non ordina neppure un Absolute Martini. Ordina un Absolute Martini on the rocks. Con due olive, per di più. Vuol dire che quel tipo lì è uno che sa cosa sta facendo, è uno che ne frequenta di bar, che ha dei gusti che possono essere giudicati o meno raffinati (un Absolute Martini on the rocks, santo cielo!, direi io; solo un ammmericano!), ma sono gusti precisi.
Egli è un uomo potente e un uomo di mondo. Gestisce affari di stato e fa ordinazioni da habitué del Ritz-Carlton.
Fargli ordinare un "aperitivo con ghiaccio, olive e salatini" lo trasforma completamente: neppure un quindicenne sceso dalla Val Trompia oggi sparerebbe fuori una simile cagata: ordinerebbe una Red Bull & Vodka.
Un aperitivo con ghiaccio, olive e salatini è l'ordinazione che avrebbe potuto fare Tom Hanks, se fosse stato sull'isola deserta di Cast Avay dieci anni anziché solo cinque.

C'era un film degli anni Cinquanta (o addirittura dei Trenta), e non ricordo proprio più quale, in cui a un certo punto il protagonista, in un locale, ordinava dello Champagne; poi mentre il cameriere si stava allontanando gli gridava «buona marca, mi raccomando!»
Nella colonna originale probabilmente il protagonista diceva «Dom Pérignon 1937»; ma giustamente il doppiaggio di allora tradusse «Buona marca», dato che nell'Italia di quel tempo dire Dom Pérignon sarebbe stato come spiegare a un convegno di allevatori il funzionamento di una nuova mungitrice meccanica ultrautomatica paragonandola a un DHCP server.
Ma l'Italia di oggi non è quella di allora, e il pubblico di West Wing oltretutto è un sottoinsieme particolare degli italiani, un filino più istruito, e fors'anche più modaiolo, della media.
Con quel dialogo, elboniano, hai preso Josh e dal bar Ritz-Carlton, dove stava, l'hai trasferito di peso in una bocciofila. E' una puttanata, te ne rendi conto?

giovedì 8 ottobre 2009

Piccole verità

Francesco Costa:
Se, per assurdo, lo scellerato referendum sul lodo Alfano si fosse celebrato prima della sentenza della Corte, oggi avremmo ancora il lodo Alfano. Così come ci teniamo la legge 40 grazie alla più folle delle consultazioni referendarie. Questo per dimostrare, per l’ennesima volta, quando sia dannoso e pericoloso un certo populismo parassitario e strumentale, e quanto possa essere catastrofico decidere cosa fare in politica ascoltando la pancia e non la testa. Chi preferisce la pancia vada allo stadio. La politica è una cosa troppo importante per farsi dare la linea da un comico.

Bella tòpica

Stamane, pedalando con inconsueta lentezza a causa delle abbondanti libagioni di ieri sera, pensavo a cosa avrei scritto per commentare la toppata di ieri, che non è stata la prima e certo non sarà l'ultima.
togliamo di mezzo ogni equivoco e diciamo subito che la Corte ha ragione e io avevo torto. Altri dicono che si tratta di un verdetto politico e non giuridico, che i giudici sono tutti comunisti (o a maggioranza comunisti), o ancora che hanno francamente sbagliato.
Non è così: a parte il fatto che per definizione le sentenze della Corte Costituzionale sono vangelo, in tema di interpretazione della Costituzione, va anche detto che la Corte si è sempre caratterizzata per un'eccezionale qualità della sua produzione giuridica, persino nei tempi bui in cui era presieduta da personaggi discutibilissimi quale Antonio Baldassare, che aveva cercato, senza successo, di politicizzarla.
Ciò detto, e cosparso il capo di cenere, ho acceso il PC e ho trovato, in coda al post di ieri, un commento di .mau. che dice in una dozzina di parole quello che io avrei scritto in una dozzina di capoversi:
Certo che mettere insieme l'articolo 3 e il 138 significa buttare i carichi, per la serie "non provateci una terza volta"!
Bisognerà leggere attentamente le motivazioni, quando saranno depositate, ma sembra proprio che questa volta la Corte ci sia andata giù durissima: il richiamo all'art. 3, cioè al principio di uguaglianza, dimostra che in effetti Alfano e i suoi scudieri erano riusciti a risolvere tutti i nodi che la precedente sentenza 24/2004 aveva evidenziato: rimane quindi solo la violazione del principio di uguaglianza di fronte alla legge, che è una coperta che si può stendere un po' su tutto, ma che proprio per questo non è spesso utilizzato da solo, quale motivo per statuire l'incostituzionalità di una norma; specie quando la violazione è tutt'altro che evidente come nel caso specifico.
Il riferimento all'art. 138, poi, appare molto curioso. L'art. 138 è quello che stabilisce qual è il procedimento per l'emanazione di leggi di rango costituzionale, ma è evidente che il fatto che una legge sia di rango ordinario anziché di rango costituzionale non è, per sé, un motivo valido per cassarla. La Corte deve statuire se una legge ordinaria è contraria a norme costituzionali: il fatto che tale legge sia ordinaria e non costituzionale è un presupposto per la pronuncia, non certo un motivo.
L'unica spiegazione che mi viene in mente è che con il riferimento all'art. 138 i giudici abbiano voluto dare un messaggio di moderazione: secondo la Corte stessa infatti esistono principi fondamentali del nostro ordinamento che non sono suscettibili di revisione costituzionale neppure con il procedimento aggravato previsto dall'art.138: non solo la forma repubblicana dello Stato, ma anche altri principi contenuti nella prima parte della Costituzione quali, chessò, il diritto alla difesa, il diritto alla salute, l'uguaglianza tra sessi e così via. Una legge, pur di rango costituzionale, che stabilisse che le donne non hanno diritto di voto e che i loro beni devono essere amministrati dai mariti sarebbe inesorabilmente cassata, anche se approvata all'unanimità dal Parlamento nelle forme dell'art.138.
E' possibile quindi che con quel richiamo i giudici abbiano voluto esprimere fin d'ora il fatto che sì, la violazione del principio di uguaglianza vi è stata, ma non di portata tale da rientrare nel novero delle violazioni di principi inderogabili.

Si apre, in ogni caso, una stagione molto interessante: la Corte si è esposta andando a scavare nella Costituzione materiale, ed ha espresso con chiarezza il fatto che leggi ineccepibili dal punto di vista formale, che tuttavia vanno di fatto a toccare i meccanismi sostanziali del funzionamento delle istituzioni, sono comunque contrarie alla Costituzione. si tratta, credo, di un nuovo orientamento molto più interventista che in passato: rammentiamo che non molto tempo fa la medesima Corte aveva lasciato passare il referendum che avrebbe potuto trasformare -sostanzialmente- il Paese in una repubblica bipartitice e perciò necessariamente di fatto (anche se non di diritto) semipresidenziale: credo che oggi tale referendum non sarebbe passato; e credo che alla luce di questa sentenza anche altre schifezze, quali la legge sul testamento biologico, per dirne una, siano destinate ad avere vita travagliata.
Speriamolo, almeno!

mercoledì 7 ottobre 2009

Se voi foste il giudice

questo post è stato scritto prima della decisione della Corte Costituzionale. La Corte ha deciso e sono il primo a gioirne!

La mia conclusione, dopo aver letto la giurisprudenza della Corte Costituzionale sul Lodo Schifani (Sent. 24/2004), sui diritti della parte civile in caso di sospensione a tempo indefinito del processo penale (sent. 354/1996) e sull' uso distorto degli strumenti di difesa a fini dilatori (sent. 353/1996), è che la Corte Costituzionale non dovrebbe dichiarare l'illegittimità costituzionale del Lodo Alfano.
Lo dico adesso, dato che tra poco, a decisione avvenuta, sarebbe troppo semplice prendere posizione; e dico anche che è una conclusione umiliante, dato che il Lodo Alfano è una schifezza scritta ad personam e fatta ingoiare al parlamento; ma ciò non basta per renderlo incostituzionale.
Non è attraverso la Costituzione che si può definire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Certo, ciò che è incostituzionale è anche necessariamente sbagliato, nel nostro ordinamento; ma non è detto il contrario, e questo è, a mio parere, uno di quei casi.
Il Lodo Alfano è stato costruito, con perizia, da chi sapeva che cosa stava facendo; e l'ha fatto bene.

Update (lo porto su dai commenti per chi leggesse ora)
.mau. fa notare nei commenti la disparità che si viene a creare con la posizione delgi imputati non immuni, tipo David Mills, i cui procedimenti continuano per la loro strada.
Secondo me questo era un problema con il Lodo Schifani, ma è è stato superato dal comma 6 del lodo Alfano, che esclude l'applicabilità dell'art. 75 c.3 c.p.p., consentendo alla parte civile di agire in sede civile per la tutela dei propri interessi patrimoniali.
Chi ci rimette quindi non è il privato, ma solo ("solo"!) la pretesa punitiva dello Stato, che non viene meno ma viene semplicemente rimandata. Se il rimandare a tempo indeterminato tale pretesa punitiva era ritenuto inammissibile dalla sent. 24/2004, il fatto che ora il rinvio sia a termine e non progabile può far ritenere che gli interessi siano reciprocamente contemperati.
A questo punto la questione è solo se cinque anni siano giusti o troppi: ma questo è un problema squisitamente di merito sul quale probabilmente i giudici costituzionali non se la sentiranno di intervenire.
Per quanto riguarda invece il fatto che taluno (Mills) possa essere condannato (o assolto) subito e talaltro condannato (o assolto) dopo, non si tratta di una violazione del principio di uguaglianza di fronte alla legge: siamo più o meno nello stesso caso in cui vi siano due omicidi, di cui l'uno riconosciuto temporaneamente incapace di partecipare al procedimento (art. 71 cpp): la posizione di questi viene stralciata e quella dell'altro prosegue.

Sitting on a chimera

Oggi Francesco Costa pubblica un lucido post che spiega con chiarezza perché il PD sembri andare meno a donnine di facili costumi, negli ultimi tempi, e anche perché è quasi certo che a breve tornerà a farlo.
Dall'analisi, che condivido, io inferisco anche un'altra cosa: che il PD è una chimera, un qualcosa che non diventerà mai un animale compiuto, che non avrà mai la capacità di crescere e di procreare e, in ultima analisi, che non avrebbe mai dovuto nascere.
Un po' come quei bambini, frutto di fecondazioni in vitro di madri ultrasessantenni, che vedono nel volto della mamma il ritratto della propria fine.

Appunti di diritto costituzionale: il Presidente del Consiglio

Ieri me la sono presa con Alessandro Gilioli, che ha scritto che il Presidente del Consiglio "è scelto liberamente dal Parlamento, da deputati e senatori".
Ho ritenuto opportuno riprenderlo per due motivi: il primo è che quando taluno si mette a fare le pulci a ciò che dice talaltro, ha un preciso dovere -perlomeno per buona creanza- di esser certo di dire la cosa giusta. Facciamo un esempio.
Io posso lasciarmi scappare che il Presidente della Repubblica è eletto da 945 persone (deputati e senatori), il che è sbagliato; ma se a qualcuno venisse in mente di prendere la penna rossa e dire che in realtà gli elettori sono in realtà 1005 perché bisogna contare i rappresentanti delle Regioni, be' allora mi arrabbierei: perché chi mi corregge ha il preciso dovere di rendersi conto che i rappresentanti regionali sono 58 e non 60; e che inoltre ci sono fino a cinque senatori a vita (salvo che il Presidente uscente sia Pertini), che ench'essi entrano nel mucchio.

Questa tuttavia sarebbe una sciocchezza, se la confrontiamo con il merito della questione sollevata da Gilioli, e sulla natura prettamente politica e istituzionale del suo errore.
L'art. 92 Cost. recita: «Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri»; e l'art. 94 dice che «Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere».
E' quindi il Presidente della Repubblica che nomina il Presidente del Consiglio, e il Parlamento può dire "Sì" o "No", ma non può sceglierne il nome. Anzi, ad essere precisi, il Parlamento non può neppure dare o negare il proprio assenso al Presidente del Consiglio, bensì al Governo nel suo complesso; e il Governo è formato dal PdC e dai ministri, che vengono nominati dal PdR su proposta del PdC.
Ne consegue che:
- il PdR nomina il PdC;
- il PdC propone i ministri al PdR, che li nomina;
- il Parlamento (o meglio: ciascuna Camera) conferisce la fiducia al Governo.

Possono sembrare questioni di lana caprina, ma non è così. Chi ha l'età sufficiente a rammentare riti e miti della Prima Repubblica ricorderà perfettamente che alla caduta di un Governo (evento certo non raro, ai tempi) iniziava il giro delle consultazioni, nel corso delle quali il Presidente della Repubblica doveva cercare un soggetto in grado di ricoprire la carica di PdC, formare un Governo ed ottenere la fiducia.
Il PdR aveva un compito assai difficile, stante la frammentazione della rappresentanza politica: e difatti le consultazioni iniziavano con gli ex Presidenti della Repubblica che mettevano a disposizione la propria esperienza di crisi, e via via tutte le segreterie dei partiti e i gruppi parlamentari.
Di contro il PdR aveva la massima libertà nello scegliere il candidato: la medesima frammentazione, sia del Parlamento in partiti e gruppi, sia degli stessi partiti in correnti, faceva sì che i nomi papabili fossero molti.
Certo, fino agli anni '80 il PdC veniva pur sempre scelto in seno al partito di maggioranza; ma ciò non era un assoluto, tanto che da Spadolini in poi, per arrivare fino a Craxi, vi fu una lunga stagione di PdC non democristiani.
Alla fine di tutto questo procedimento veniva formato il Governo, che giurava e solo dopo si presentava alle Camere, le quali avevano solo la possibilità di concedere o
respingere la fiducia: non avevano la possibilità di intervenire sulla designazione del PdC né sui ministri, se non agendo per il tramite dei partiti.
Capite bene che c'è una bella differenza, tra lo scegliersi una fidanzata e trovarsi una fidanzata scelta dai propri genitori e avere solo la possibilità di dire "sì" o "no", vero?
Se approfondiamo il ruolo del PdR, poi, vediamo che era proprio la frammentazione in partiti e correnti a conferirgli la libertà d'azione di cui abbiamo discusso. Non dimentichiamo che il Presidente della Repubblica è super partes e non è un organo politico, e neppure ha ricevuto un'investitura direttamente dal popolo. Ma proprio la difficoltà di formare i governi giustificava, in un certo modo, il largo margine di autonomia che si prendeva e quindi la sua libertà di nominare chiunque avesse voluto scegliere.

Con la riforma elettorale in senso bipolare le cose sono radicalmente cambiate. Vero è che la Costituzione formale è rimasta immutata, e che quindi il PdR ha la possibilità di nominare chi vuole alla carica di PdC: ma se facesse così verrebbe meno il ruolo super partes che la Costituzione stessa gli assegna; e soprattutto verrebbe lesa, gravemente, l'espressione della sovranità popolare che si esprime con le elezioni.
Finché si trattasse di nominare un PdC alternativo a Berlusconi, nel remoto caso in cui questi dovesse dimettersi per ragioni di salute, il vulnus inferto alla volontà popolare sarebbe in fin dei conti minimo. Berlusconi è sì il leader di una coalizione, e il suo nome è presente nel simbolo sul quale si traccia una croce; ma fortunatamente non siamo ancora divenuti una repubblica presidenziale in cui il Governo è incarnato nel Presidente, come ad esempio gli USA.
Ben diverso, però, sarebbe se Berlusconi perdesse la fiducia a seguito di una rivolta interna al PdL: una sorta di notte dei coltelli in cui i maggiorenti dovessero accordarsi per far fuori il vecchio, ormai gravato da troppi misteri e sospetti. In tal caso, pur se formalmente il PdR avrebbe la piena facoltà di nominare Fini o financo Giovanardi quali Presidenti incaricati, ciononostante se ne guarderebbe, io credo, assai bene: perché sarebbe andare in direzione palesemente contraria a quella voluta dal corpo elettorale.
Badate bene a questo: il popolo si esprime attraverso le elezioni e massimamente attraverso le elezioni politiche, che avvengono una volta ogni cinque anni; non vi sono altre possibilità in mezzo alla legislatura per esprimere la sovranità popolare. Con il sistema proporzionale, quando c'erano i partiti in Parlamento, la nostra era una democrazia rappresentativa in cui si poteva affermare che ciascun cittadino conferisse ad un determinato partito un mandato in bianco per rappresentarlo; e che quindi il partito avesse la possibilità di fare e disfare alleanze, con l'onere di muoversi nell'alveo di un programma di massima esposto in campagna elettorale e che, si noti, non prevedeva esplicitamente il formarsi o lo sciogliersi di alleanze.
Oggi, con questa sciagurata legge elettorale voluta e impiastricciata da tutti, è innegabile che il corpo elettorale decida una coalizione; e da qui a dire che decide il nome del Presidente del Consiglio il passo è molto, ma molto breve. Ripeto: fossi in Napolitano non mi farei alcuno scrupolo a sostituire Berlusconi qualora egli dovesse dimettersi per motivi obiettivi, di salute; ma non so proprio cosa farei nell'altro caso prima delineato, perché andrei contro la volontà del popolo, che è sovrano.
Se fosse il Parlamento ad eleggere il Presidente del Consiglio le cose sarebbero diverse, per vari motivi. Innanzitutto un'elezione è cosa ben diversa da una nomina: il Parlamento (sia inteso come organo unico che come insieme delle due Camere) è un organo collegiale, nel quale la responsabilità delle scelte ricade sull'istituzione, e in cui ciascun componente ne condivide solo una parte; poi è un organo rappresentativo, nel quale è (ormai solo astrattamente, data la schifosa legge elettorale) rappresentata la volontà popolare: è l'organo in cui si incarna la volontà del popolo e quindi -pur con tutti i dubbi già espressi- un Presidente eletto dal Parlamento forzando gli schieramenti originari avrebbe una legittimazione debole, ma comunque ben superiore a quella conferita da una nomina presidenziale. Infine (ma questo non pertiene alla formazione del Governo, bensì ai rapporti di forza istituzionali) un PdC eletto dal Parlamento dovrebbe pur sempre mantenere un rapporto di rispetto verso il proprio autore, che invece Berlusconi dimostra in ogni occasione di non avere minimamente, in quanto fa quotidianamente strame della funzione legislativa, ormai ridotta a mera facciata: non a caso l'opinione pubblica (ahimé, soprattutto a sinistra) ritiene che il lavoro del parlamentare consista nel sedere su un banco e schiacciare a comando un bottone; e si chiede perché mai quindi un parlamentare dovvrebbe essere pagato più di un ascensorista.

Questo per capire i termini della questione. Con tutto ciò non voglio dire che il Lodo Alfano sia men che una porcheria, badate: voglio solo dar conto di che tipo di assetto istituzionale esiste oggi nel nostro Paese.
Poi, se volete saperlo, io mi aspetto che la Corte Costituzionale non dichiari l'illegittimità del Lodo: ma questo non vuol dire che lo ritenga una legge buona o anche solo presentabile.

martedì 6 ottobre 2009

Citare, puttana di quella grandissima zoccola di tua madre: citare!

(The West Wing, S03E07)
Tu, elboniano traduttore per avventura, mettitelo bene in quella minuscola appendice, e vuota, che porti in cima al collo.
To sue in italiano si traduce nel 99% dei casi con citare, non con denunciare, cazzo.

La Costituzione secondo Gilioli

Non voglio certo difendere Pecorella né tantomeno attaccare gratuitamente Gilioli, ma quando questi scrive un post intitolato «La Costituzione secondo Pecorella» dovrebbe risparmiarsi un paio di inesattezze.
Scrive Pecorella: «la nuova legge elettorale ha sostanzialmente modificato l’identità costituzionale del premier». Replica Gilioli: "A me risulta che per cambiare una «identità costituzionale» serva appunto una legge costituzionale. Quella elettorale invece era una legge ordinaria".
Mi spiace, ma non è vero. La nostra Costituzione è stata radicalmente modificata con il passaggio da una legge elettorale proporzionale ad una bipolare, e solo uno sprovveduto potrebbe ignorare questo fatto. E' andato in vacca tutto il complesso meccanismo di equilibrio dei poteri, e si è svuotato il ruolo del Parlamento. Il tutto con una legge ordinaria, quale quella elettorale, dal momento che il principio di proporzionalità della rappresentanza politica non è stato costituzionalizzato: un errore grave -uno dei pochi, peraltro- fatto dai costituenti, che pure ne hanno dibattuto a lungo ma, purtroppo, hanno fatto la scelta sbagliata.

E ancora:
Dice Pecorella, «oggi il premier ha una investitura diretta dalla sovranità popolare».
Scrive Gilioli: "E pensare che invece la Costituzione diceva che il premier è scelto liberamente dal Parlamento, da deputati e senatori, e non con un’investitura diretta degli elettori."
E' sbagliato, Alessandro: il Presidente del Consiglio è scelto dal Presidente della Repubblica, non dal Parlamento, non dai deputati o dai senatori.
Non è un errore gravissimo, ma quando si fanno le pulci al prossimo bisogna esser certi di dire le cose esattamente come stanno, altrimenti si fa una figuraccia: come in questo caso.

lunedì 5 ottobre 2009

Cose da non crederci

Ho pagato tutte le rate arretrate delle spese condominiali, e ciononostante il mio conto non è ancora andato in rosso.
Sono cose a cui non ero abituato.

Scudiscio fiscale

questo post è lungo e probabilmente *molto* tedioso; e oltretutto non si rivolge alla pancia di alcuno né distribuisce facile ironia: per cui se non siete dell'umore giusto saltatelo a pie' pari, suvvia; e se avete voglia di leggerlo, ma molta fretta, rimandate. Tanto resterà attuale ancora per qualche anno.
Se n'è parlato tanto, della votazione sullo scudo fiscale, da tanti punti di vista; e forse è ora il caso di riflettere un pochino, a mente un po' più fresca, per fare un punto organico di quanto accaduto, sfatare qualche mito e trarre qualche conclusione.
La prima cosa da considerare è questa: nell'attuale assetto parlamentare, quale esce dal disastro istituzionale avviato quasi vent'anni fa da Mariotto Segni e via via sempre peggiorato nel corso del tempo, le assenze dei deputati d'opposizione non sono in grado di provocare il respingimento di alcun provvedimento.
Vi sono due spiegazioni a ciò: una banale, l'altra meno.
La spiegazione banale: nell'aula ci sono due schieramenti, la maggioranza e l'opposizione. I deputati non sono sempre presenti in aula, dato che l'attività parlamentare non consiste solo nell'andare a sedersi e schiacciare un bottone (altrimenti si potrebbe fare con il televoto, o addirittura si potrebbe sposare la proposta di Berlusconi di far votare solo i capigruppo): è per questo che è normale che vi siano assenze sia nei banchi della maggioranza che in quelli dell'opposizione.
Il capogruppo di maggioranza, o un suo delegato, ha il preciso compito di contare gli scranni e i deputati in transatlantico, e verificare che tempo per tempo il numero dei deputati di maggioranza sia maggiore (per l'appunto) rispetto al numero dei deputati di minoranza. Qualora così non fosse, o il margine di vantaggio dovesse pericolosamente assottigliarsi, si convocano all'istante i deputati assenti, in modo da ristabilire la supramazia numerica. considerato che alla Camera dei Deputati la coalizione di maggioranza ha un minimo di 340 seggi su 630 (e pertanto l'opposizione ha al più 290 deputati) vedete che il divario di 50 voti è più che sufficiente a far dormire sonni tranquilli al Governo.
L'assenza di uno, dieci o anche cento deputati d'opposizione è quindi del tutto ininfluente; mentre ovviamente è molto grave l'assenza ingiustificata di un numero di deputati di maggioranza superiore a cinquanta, salvo che i medesimi non siano in grado di accorrere per tempo alla chiamata del capogruppo: ma non è di questo caso che stiamo discutendo.
Dire quindi che lo scudo fiscale si sarebbe potuto bloccare, se fossero stati presenti i cinquanta deputati circa di opposizione che non hanno partecipato alla prima votazione sulle pregiudiziali di costituzionalità, è una colossale sciocchezza dacché, se costoro fossero stati presenti, nelle file della maggioranza sarebbero stati chiamati altri cinquanta deputati, con il medesimo risultato.
Questo meccanismo è perfettamente noto non solo ai cronisti parlamentari, ma anche a un qualsiasi studente del secondo anno di scienze politiche: il fatto è che la stampa ha montato un caso puramente demagogico, e a questo punto dobbiamo chiederci quali siano i motivi sottesi a ciò. Io non ho una risposta da fornire, anche perché non sono in grado di indicare con precisione da quale parte sia venuto lo scandalo: ben diverso infatti sarebbe se il caso fosse stato montato da Repubblica piuttosto che dal Giornale; per ora, quindi, dobbiamo (devo) sospendere il giudizio.
Ben diversa è la questione del secondo voto, quello definitivo sul provvedimento. Qui gli assenti erano solo ventinove, se non erro: ventinove voti che sarebbero stati del tutto ininfluenti, come nel caso precedente. C'è però una differenza, e marchiana! Nel secondo caso, infatti, i parlamentari d'opposizione venivano da una settimana in cui su tutti i giornali non s'era parlato altro che delle assenze in aula. Pertanto, con l'eccezione di quei due-tre (o cinque, o anche dieci) malati gravi, impossibilitati a muoversi, un minimo di rispetto dell'elettorato e di senso del proprio ruolo avrebbe dovuto spingere tutti gli eletti, a qualsiasi schieramento appartenessero, ad essere presenti alla votazione. Non sarebbe cambiato nulla, beninteso, ma il messaggio dato agli elettori sarebbe stato chiaro.
Alcuni eletti, dalla ciliciata alla figlioccia del Puffo Triste, hanno deciso di essere altrove: sapevano certo che la loro presenza in aula non avrebbe fatto respingere la legge, ma non hanno colto il significato politico della loro assenza. Circostanza gravissima per gente che pretende di fare il politico di professione, e che certo non riguarda il deputato Gaglione, che ha partecipato a meno del 10% delle votazioni e quindi, per usare un eufemismo, se ne strafrega.

Il fatto, però, è che il cardiologo Gaglione, quello che preferisce stare a Studio piuttosto che sedere in Aula, non è stato scelto dagli elettori, come ben sappiamo tutti; e questo ci porta ad affrontare la spiegazione non del tutto banale, che avevamo lasciato in sospeso.
C'era un tempo, quello della cosiddetta Prima Repubblica, in cui i partiti erano un discreto numero: una decina, più o meno, su base nazionale, oltre ad alcuni storici esponenti delle autonomie locali con un forte radicamento nelle regioni di confine.
La disciplina di partito era sentita: rigida per alcune formazioni e ferrea per altre. Rammento che mia madre comperava l'Unità, quando ancora non era diretta da Padellaro, e in prima pagina, in basso, compariva ogni settimana un boxino che diceva Tutti i deputati e le deputate del PCI sono tenuti senza eccezione alcunaad esser presenti a Montecitorio martedì e mercoledì; e il grassetto non è mio. Per quanto ovvio, non era neppur pensabile che un deputato del PCI votasse diversamente da come disponeva il Partito.
Gli altri partiti non avevano lo stesso piglio militaresco, ma la sostanza non cambiava di molto: i deputati dei gruppi votavano compatti. Ben diversa la situazione disciplinare a livello di partito: le maggioranze erano formate formale dalle più disparate composizioni di rami e rametti (id est partiti e partitini), ciascuno dei quali aveva le proprie istanze da portare e i propri obiettivi da raggiungere; il che faceva sì che il voto favorevole a ciascun provvedimento venisse, sovente, contrattato.

Barbarie!!!, gridò a un tratto Mariotto Segni, e ci avviò, con il consenso del 90% dei miei concittadini, verso un moderno sistema maggioritario, dove le maggioranze di governo non sono a rischio né sottoposte al ricatto del primo gruppuscolo. Un sistema solidamente maggioritario e bipartitico, come quello della più grande democrazia del mondo, gli Stati Uniti d'America.
Poi è arrivato Veltroni*, che questa fola se la beveva, e ancora ce la ammannisce.
Il fatto, vedete, è che io il sistema politico degli Stati Uniti d'America l'avevo studiato, sapevo come funzionava e sapevo che non c'entrava una cippa con quello che ci ha propagandato Mariotto Segni e via via nel tempo, fino a Veltroni (il quale nella sua oligofrenia si è convinto che fosse sufficiente dare al suo partito il medesimo nome di quello di Kennedy per sostituire nottetempo la Costituzione firmata da Terracini con quella firmata da George Washington; o forse non si tratta di oligofrenia, ma di semplice malafede).
Potrei farvi un pippone lungo almeno quanto quello che precede, ma fortunatamente non ce n'è bisogno perché proprio l'altra sera mi sono visto, to'!, un altro episodio di West wing, e precisamente S03E04: un vero puttanaio.
Il Presidente ha messo il veto ad una legge, e negli USA per superare il veto presidenziale ci vogliono due terzi dei voti delle camere. Il fatto è che il Presidente si accorge che questi due terzi ci sono, perché una certa parte di democratici voterà a favore della legge voluta dai repubblicani. come? E' inammissibile, tuonerebbe Mariotto. Ribaltone!!!
Ma in America le cose funzionano così; e non solo: perché finalmente si trova un deputato democratico che controlla quattro voti che sarebbero sufficienti a ribaltare l'esito della votazione, e che avvia con lo staff presidenziale una trattativa che al confronto un venditore di tappeti a Casablanca ha la stessa trasparenza di comportamento e stabilità di listino di un distributore automatico di preservativi fuori da una farmacia.
Né lo staff presidenziale è da meno, quanto a pelo sullo stomaco, dato che all'ennesima richiesta i due negoziatori mandano a quel paese il democratico (quello dello stesso partito del presidente!) e trovano un repubblicano al quale fanno le stesse offerte. e questi accetta di votare a favore del veto posto dal presidente repubblicano, ottenendo in cambio un vantaggio per le elezioni successive, vale a dire che i democratici gli schierino contro, al momento giusto, un avversario debole.
No, dico: capito come funzionano le cose in America? Dove c'è il bipartitismo, c'è pure una enorme autonomia dei singoli eletti: i partiti sono contenitori nei quali c'è un po' di tutto, e ciascun eletto si muove come crede. Tanto che al congresso non basta contare le sedie: bisogna anche sapere, provvedimento per provvedimento, come voterà ciascun deputato: il che è tutt'altro che scontato.
Anche noi abbiamo questo principio, all'art.67 della costituzione, che dice che i parlamentari sono eletti senza vincolo di mandato. Peccato che da tutte le parti (PD o PDL, non cambia) l'imposizione nei fatti del vincolo di mandato sia cosa fatta, con il meccanismo delle liste bloccate e con la deresponsabilizzazione del ruolo del parlamentare, che viene visto non a caso come uno schiacciatore di bottoni.
Qualcuno si è forse domandato se la Madia, qualora fosse stata presente in Aula, avrebbe votato a favore o contro lo scudo fiscale? No, perché è scontato che ella avrebbe votato contro, in quanto eletta nel partito di minoranza. Tanto che gli unici casi in cui il problema del scegliere da quale parte votare si è posto sono stati quelli riguardanti scelte cosiddette "di coscienza", sia in questa che nella precedente legislatura, come tutti ben ricordiamo. Come se solo l'autorità della morale, o meglio della Chiesa, potesse giustificare lo scioglimento del vincolo di mandato partitico.
Siamo tornati alla Prima Repubblica, quindi? No, ahimé: perché questa disciplina ferrea si sposa con una legge ipermaggioritaria che conferisce ad una coalizione la maggioranza assoluta dei seggi (e se fosse stato per Mariotto, tale maggioranza sarebba andata a un solo partito!); ma la maggioranza non viene costruita in Parlamento, come una volta accadeva, bensì al momento della presentazione delle liste, il che significa nelle segreterie dei partiti.
Il fatto che la coalizione sia predeterminata e sulla base di ciò premiata in caso di vittoria, rende assai difficile il suo scioglimento; e forse non hanno tutti i torti coloro che affermano che sarebbe dovere del Capo dello Stato sciogliere le Camere in caso di ribaltone, dal momento che parte dei deputati, quelli discendenti dal premio di maggioranza, devono la presenza in aula non al voto popolare bensì al premio discendente dalla vittoria della coalizione anziché del partito**.
Che abbiamo, dunque? Un Parlamento esautorato di qualunque potere e financo di qualunque dignità, in quanto privi di potere e di dignità sono i suoi componenti, mere estensioni della segreteria di partito, vere e proprie dita viventi. E delle segreterie di partito che non possono sfuggire alla coazione dello schieramento nel quale si sono infilate prima ancora della chiamata alle urne, e che sono costrette a recitare sempre il medesimo ruolo, incessantemente, come gli avari del quarto cerchio.
Chi tira le fila, dunque? Uno solo, il capo della coalizione vincente. O, più precisamente, chi tira le fila dell'organizzazione del partito di maggioranza, ed è in posizione tale da poter decidere incarichi e soprattutto determinare i nomi da inserire nelle liste elettorali e le relative posizioni nell'ordine di presentazione.
Se avete avuto la pazienza di seguirmi fin qui, mi chiedo, e vi chiedo: di fronte a questo squallido simulacro in cui si è ridotta la nostra democrazia, credete davvero che sia il caso di indignarsi perché la Melandri stava in Ispagna o la Madia dal dottore? Voi stessi, che vi indignate, vi rendete conto di quanto avete contribuito ad arrivare a questo punto? Certo, quando avete votato sì nel 1993 non vi aspettavate tutto ciò; e neppure quando avete inseguito le sirene del voto utile, lasciando in Parlamento un manipolo di entità le quali, tra le prime cose che hanno fatto, sono state ben attente ad autoperpetuarsi, garantendosi con le soglie di sbarramento che neppure alle elezioni europee le voci dissenzienti potessero farsi sentire.
Voci dissenzienti che peraltro hanno fatto di tutto per rovinarsi definitivamente, dal momento che sono riuscite, ciononostante, a presentarsi divise, mettendo in scena una rappresentazione canonica del dilemma del prigioniero, a dimostrazione del fatto che i matematici e gli economisti nella politica italiana sono troppo pochi.
Non crediate che io scagli pietre in quanto mi senta privo di peccati: io per primo, pur criticando i Segni, i Travagli, i di Pietri, gli utilitaristi del voto e compagnia cantante, non ho fatto proprio nulla per indirizzare le cose e le persone in altre direzioni: mi sono limitato a guardare e borbottare ogni tanto, come un vecchietto un po' tocco che si lamenta di questi giovinastri che girano per strada al giorno d'oggi.


*già: cito il nome, anche se porta sfiga, perché altrimenti comincio a somigliargli troppo
**si noti, tuttavia, che nell'attuale legislatura la vittoria della coalizione PdL-Lega è stata così schiacciante da rendere inutile il premio di maggioranza e quindi, paradossalmente, un ribaltone sarebbe politicamente accettabile.

venerdì 2 ottobre 2009

Chi viene dopo fa sempre rimpiangere chi c'era prima, per quanto pessimo potesse essere chi c'era prima

Forse non avete visto Santoro, ier sera. Nel caso, avete la mia comprensione più profonda: io stesso stavo andando a letto quando ho beccato il feed della Soncini, su FF.
Se non l'avete visto, recuperate guardandovi questo filmato, e scoprite cosa ci sarà dopo Berlusconi. Roba da organizzare le sessioni di preghiera affinché Dio ce lo mantenga sano e vitale, come fa Socci*.


* non è un'osservazione ironica. Sono rimasto davvero colpito da quello che sta facendo Antonio Socci

giovedì 1 ottobre 2009

La scoperta dell'acqua calda


Chi veramente pensava che si potesse studiare su Kindle, e ora si stupisce, rientra in una delle seguenti categorie:
* quelli che non hanno capito che cos'è quell'affare;
* quelli che non hanno mai studiato.

NB: le due categorie non sono mutualmente esclusive.