(lettera a Il Giornale)
«Le miniere di carbone potrebbero fornire posti di lavoro ai carcerati contribuendo a ridurre l'affollamento delle prigioni e ridurre i costi organizzativi»
giovedì 31 marzo 2011
mercoledì 30 marzo 2011
Recensione
Lunedì scorso stavo attendendo a una conference call in inglese. Dato che tutto il mio inglese si riassume nell'uso del verbo "attendere" in luogo di "partecipare" e di "conference call" in luogo di "telefonata con varie persone" potete ben capire quanto mi annoiassi.
Lì dappresso c'era un convegno sulla nautica italiana, che mi interessava assai sia perché da un po' di tempo mi occupo moltissimo di nautica, sia perché era arrivato il mezzodì ed ero certo di trovare un lauto buffet.
Saluto dunque tutti i partecipanti e me ne vado, pronto a inforcare la bici ma, sorpresa!, la trovo per l'ennesima volta bucata. Per quanto possa sembrare strano a chi va in giro con i mezzi pubblici o in macchina, Milano è piena zeppa di vetri, e almeno una volta al mese ne becchi uno.
Qualche giorno prima un tizio appena conosciuto mi aveva decantato le prodigiose qualità dei copertoni Schwalbe: si tratta di gomme che hanno un rivestimento interno in caucciù molto spesso, talché a meno di trovare un chiodo proprio infilato in verticale nel pavé, o un coccio di bottiglia enorme, bucare è quasi impossibile. Avevo già fatto un pensierino, e l'occasione è giunta a fagiuolo.
Un'altra particolarità della nostra bella città è il numero ridicolmente basso di ciclisti: in pratica andando dal centro città verso ovest il primo che incontri è dalle parti di Piazza Baracca, e fra l'altro è carissimo e odioso.
Il mio ciclista di fiducia è assai più distante, ma una volta incamminatisi questo è in fondo il problema minore: in realtà avevo il timore che trattandosi di un negozio di periferia non avesse in casa i magici copertoni: e poi il mio ciclista di fiducia sui blog e sui socialcosi è proprio sconosciuto.
Camminare per camminare, quindi, decido di andare da Ciclistica, di cui avevo letto un gran bene su qualche blog o socialcoso: da fuori sembra un posto da fighette, ma chi ne aveva scritto aveva detto che si tratta di ragazzi gentili, cordiali e competenti.
Decido quindi di andare nel posto figo, dato che andarci, essendo lui figo, è figo in sé. Oltretutto ormai da tempo leggo in rete che seguire i consigli socialinternettari fa molto figo, e chi ancora si ostina ad andare dal fornaio all'angolo anziché dal fornaio ciechedin su foursquare è un vecchio puzzone, e chi non legge le recensioni di tripadvaisor un pirla. Dato che io mi sento poco puzzone e ancor meno pirla, mi incammino verso ciclistica, meditando se questa decisione faccia di me un figo doppio o un figo al quadrato.
Arrivo in via Pelizza da Volpedo quasi all'una: sono ben consapevole che essendo un lunedì mattina il negozio sarà chiuso, ma già mi ero prefissato di legare la bici lì davanti e ripassare poi nel pomeriggio tornando a casa. Invece la serranda è mezza aperta, e quindi entro.
Il posto è vuoto e dopo qualche secondo chiedo educatamente: "c'è nessuno?". Da dietro rispondono: "siamo chiusi".
Fisk: - "è che ci ho una bici bucata, posso lasciarvela comunque?"
Vocedadietro: - "tanto prima di mercoledì non ho tempo", risponde un giovine che finalmente si degna di uscire dal retrobottega.
F. - "ah. Ma posso lasciarla e tornare mercoledì?"
Giovine: - "no, non ho posto"
F. - "vabbe', ma senta, pneumatici antiforatura ne avete?" (e qui il drudo fa gli occhi di chi pensa "quale dannato rompicoglioni mi è arrivato in sorte stamane").
G. - "qualcosa"
F.- (sarcastico interiormente, ma compassato all'esterno) "mi userebbe la cortesia di verificare se ne ha per la misura delle mie ruote?"
G. - (accompagna al roteare degli occhi gesti con le mani a sottolineare il tedio delle mie richieste) "tanto le posso dare appuntamento solo per lunedì prossimo"
F. - "aveva detto mercoledì. poc'anzi."
G. - "per i copertoni non prima di lunedì prossimo"
F. - "vabbe', grazie e mi stia bene".
G. - (grugnisce).
Decido quindi che sono troppo vecchio per seguire i suggerimenti socialcosistici; mi rendo conto di essere assai poco figo e molto puzzone: e quindi vado dal ciclista di fiducia che mi si confà, la Bicicletta quello che sta in via Pisanello, praticamente in Piazza Siena, e che naturalmente a quell'ora è chiuso. Lego la bici e torno verso le 17:30.
F. - "guardi, ho bucato e volevo mettere i copertoni antiforatura";
Tipo Meno Giovine: - "ma lei quanti chilometri fa?"
F. - "moltissimi, perché?"
TMG - (lunghissima e dettagliata spiegazione sul fatto che gli Schwalbe costano assai, e pertanto mi conviene montarli solo se il numero dei chilometri che percorro è tale da compensarne il prezzo con le forature che eviterei, altrimenti sarebbero soldi buttati)
F. - "sì, ma guardi, ne faccio proprio tanti quindi non è un problema spendere un po'"
TMG - (corposa spiegazione sulla necessità di valutare se sostituire solo il copertone della ruota posteriore, in quanto soggetta a foratura con maggiore frequenza, il che comporterebbe comunque un bel risparmio)
F. - "grazie, ma guardi proprio sono deciso, non si faccia scrupoli. Piuttosto, per quando me la può fare? passo domani sera?"
TMG - "mah, senta, ha niente da fare per 15 minuti?"
F. - "no, perché?"
TMG - "se fa un giretto e torna qua fra 15, 20 minuti la trova già pronta, così non ci pensa più"
F. - "gentilissimo, grazie".
Intendiamoci: non lo scrivo per dare consigli ai miei tre lettori, dato che a mio parere chi si fida dei consigli letti su internet è un pirla puzzone; ma se proprio doveste forare tra piazzale Brescia e piazza Ghirlandaio, e non aveste santi a cui votarvi, io fossi in voi spingerei la bici verso ovest: che da quelle parti i ciclisti saranno meno fighi ma vi servono meglio.
Lì dappresso c'era un convegno sulla nautica italiana, che mi interessava assai sia perché da un po' di tempo mi occupo moltissimo di nautica, sia perché era arrivato il mezzodì ed ero certo di trovare un lauto buffet.
Saluto dunque tutti i partecipanti e me ne vado, pronto a inforcare la bici ma, sorpresa!, la trovo per l'ennesima volta bucata. Per quanto possa sembrare strano a chi va in giro con i mezzi pubblici o in macchina, Milano è piena zeppa di vetri, e almeno una volta al mese ne becchi uno.
Qualche giorno prima un tizio appena conosciuto mi aveva decantato le prodigiose qualità dei copertoni Schwalbe: si tratta di gomme che hanno un rivestimento interno in caucciù molto spesso, talché a meno di trovare un chiodo proprio infilato in verticale nel pavé, o un coccio di bottiglia enorme, bucare è quasi impossibile. Avevo già fatto un pensierino, e l'occasione è giunta a fagiuolo.
Un'altra particolarità della nostra bella città è il numero ridicolmente basso di ciclisti: in pratica andando dal centro città verso ovest il primo che incontri è dalle parti di Piazza Baracca, e fra l'altro è carissimo e odioso.
Il mio ciclista di fiducia è assai più distante, ma una volta incamminatisi questo è in fondo il problema minore: in realtà avevo il timore che trattandosi di un negozio di periferia non avesse in casa i magici copertoni: e poi il mio ciclista di fiducia sui blog e sui socialcosi è proprio sconosciuto.
Camminare per camminare, quindi, decido di andare da Ciclistica, di cui avevo letto un gran bene su qualche blog o socialcoso: da fuori sembra un posto da fighette, ma chi ne aveva scritto aveva detto che si tratta di ragazzi gentili, cordiali e competenti.
Decido quindi di andare nel posto figo, dato che andarci, essendo lui figo, è figo in sé. Oltretutto ormai da tempo leggo in rete che seguire i consigli socialinternettari fa molto figo, e chi ancora si ostina ad andare dal fornaio all'angolo anziché dal fornaio ciechedin su foursquare è un vecchio puzzone, e chi non legge le recensioni di tripadvaisor un pirla. Dato che io mi sento poco puzzone e ancor meno pirla, mi incammino verso ciclistica, meditando se questa decisione faccia di me un figo doppio o un figo al quadrato.
Arrivo in via Pelizza da Volpedo quasi all'una: sono ben consapevole che essendo un lunedì mattina il negozio sarà chiuso, ma già mi ero prefissato di legare la bici lì davanti e ripassare poi nel pomeriggio tornando a casa. Invece la serranda è mezza aperta, e quindi entro.
Il posto è vuoto e dopo qualche secondo chiedo educatamente: "c'è nessuno?". Da dietro rispondono: "siamo chiusi".
Fisk: - "è che ci ho una bici bucata, posso lasciarvela comunque?"
Vocedadietro: - "tanto prima di mercoledì non ho tempo", risponde un giovine che finalmente si degna di uscire dal retrobottega.
F. - "ah. Ma posso lasciarla e tornare mercoledì?"
Giovine: - "no, non ho posto"
F. - "vabbe', ma senta, pneumatici antiforatura ne avete?" (e qui il drudo fa gli occhi di chi pensa "quale dannato rompicoglioni mi è arrivato in sorte stamane").
G. - "qualcosa"
F.- (sarcastico interiormente, ma compassato all'esterno) "mi userebbe la cortesia di verificare se ne ha per la misura delle mie ruote?"
G. - (accompagna al roteare degli occhi gesti con le mani a sottolineare il tedio delle mie richieste) "tanto le posso dare appuntamento solo per lunedì prossimo"
F. - "aveva detto mercoledì. poc'anzi."
G. - "per i copertoni non prima di lunedì prossimo"
F. - "vabbe', grazie e mi stia bene".
G. - (grugnisce).
Decido quindi che sono troppo vecchio per seguire i suggerimenti socialcosistici; mi rendo conto di essere assai poco figo e molto puzzone: e quindi vado dal ciclista di fiducia che mi si confà, la Bicicletta quello che sta in via Pisanello, praticamente in Piazza Siena, e che naturalmente a quell'ora è chiuso. Lego la bici e torno verso le 17:30.
F. - "guardi, ho bucato e volevo mettere i copertoni antiforatura";
Tipo Meno Giovine: - "ma lei quanti chilometri fa?"
F. - "moltissimi, perché?"
TMG - (lunghissima e dettagliata spiegazione sul fatto che gli Schwalbe costano assai, e pertanto mi conviene montarli solo se il numero dei chilometri che percorro è tale da compensarne il prezzo con le forature che eviterei, altrimenti sarebbero soldi buttati)
F. - "sì, ma guardi, ne faccio proprio tanti quindi non è un problema spendere un po'"
TMG - (corposa spiegazione sulla necessità di valutare se sostituire solo il copertone della ruota posteriore, in quanto soggetta a foratura con maggiore frequenza, il che comporterebbe comunque un bel risparmio)
F. - "grazie, ma guardi proprio sono deciso, non si faccia scrupoli. Piuttosto, per quando me la può fare? passo domani sera?"
TMG - "mah, senta, ha niente da fare per 15 minuti?"
F. - "no, perché?"
TMG - "se fa un giretto e torna qua fra 15, 20 minuti la trova già pronta, così non ci pensa più"
F. - "gentilissimo, grazie".
Intendiamoci: non lo scrivo per dare consigli ai miei tre lettori, dato che a mio parere chi si fida dei consigli letti su internet è un pirla puzzone; ma se proprio doveste forare tra piazzale Brescia e piazza Ghirlandaio, e non aveste santi a cui votarvi, io fossi in voi spingerei la bici verso ovest: che da quelle parti i ciclisti saranno meno fighi ma vi servono meglio.
martedì 29 marzo 2011
Ospiti e pesci
Mia sorella affitta, insieme ad una congerie di altre persone, una sorta di baita dalle parti di Gressoney. Ci sono un bel po' di stanze, e spesso non tutte sono occupate dai legittimi tenutari: ragione per cui talora prendo e vado a sciare anche io. La cosa funziona un po' come l'overbooking delle compagnie aeree: spesso parto, con un paio di lenzuola di ricambio, senza sapere in che letto dormirò: ma alla fin fine un letto lo si trova sempre, e non sono costretto a dormire sulla nuda terra.
Certo, se un albergo mi offrisse un servizio del genere mi scandalizzerei, e manderei i gestori a quel paese: ma in un albergo pago e quindi pretendo il servizio, mentre da mia sorella sono ospite, conosco in anticipo le regole e quindi accetto di buon grado, e anzi ringraziando, quanto mi viene offerto.
Ci sono oggi molte anime belle (giornalisti, telegiornalisti, politici, gente della strada) che si scandalizzano per il fatto che i {profughi|clandestini|rifugiati|criminali|martiri|stupratori} sbarcati a Lampedusachiedanopretendano cessi funzionanti e cibo sufficiente. Molti di costoro sono i medesimi che plaudivano alle deposizioni di {dittatori|governanti|rais|autocrati|tenutari dell'ordine costituito} nei paesi d'origine dei nuovi ospiti, il che di per sé dimostra una capacità di analisi rispetto all'immediato futuro più o meno pari a quella del pesce rosso che nuota nella vasca condominiale, ma non è tanto questo il punto.
Il punto vero è che costoro pretenderebbero che i nuovi arrivati avessero, nei confronti dell'Italia e dei suoi abitanti, lo stesso atteggiamento di rispettosa deferenza che ha chiunque vada a passare un periodo a casa altrui, e riconoscente per l'ospitalità ricevuta faccia il possibile per rendere la propria presenza gradita e, perlomeno, eviti di rompere i marroni al padrone di casa.
Non si accorgono tuttavia che esiste un problema di scala: se fai una festa a casa tua, e arriva un rompicoglioni, puoi anche buttarlo fuori da solo; ma se i disturbatori sono venti è meglio chiamare la polizia, perché rischi di finire sbattuto fuori tu. Se poi i facinorosi sono alcune migliaia, vale a dire molto più del locale distaccamento di polizia e carabinieri messi insieme, ecco che c'è un bel problema, ed è ben difficile che basti dire «tornatevene a casa» per risolverlo.
Dunque, per come la vedo io le strade sono due: la prima consiste nel mandare l'esercito a Lampedusa a catturare i seimila e passa nordafricani, metterli su una decina di navi cargo e scaricarli a forza su una costa africana qualsiasi. Si tratta di una soluzione temporanea, dato che è presumibile che come sono arrivati in seimila in pochi giorni, in altrettanti pochi giorni arrivino altre seimila persone: e allora per essere conseguenti bisogna anche disporre la flotta affinché gli eventuali nuovi arrivi non sbarchino a Lampedusa, ad esempio mitragliando i barconi. E' presumibile che dopo un paio di migliaia di morti in mare la frequenza dei tentati sbarchi diminuisca drasticamente, e il problema possa essere ritenuto sotto controllo.
La seconda strada consiste nel nutrire e accudire i nuovi giunti, trovando loro una sistemazione. Cosa più semplice a dirsi che a farsi, e che avrebbe la logica conseguenza di un ulteriore incremento della frequenza degli sbarchi dato che, come a tutti noto, esiste un bacino enorme di potenziali emigranti, e quella che adesso stiamo vedendo è solo l'avanguardia.
Una terza via io non riesco a scorgerla, e questo mi fa pensare che l'attuale politica europea in tema di immigrazione, che si basa sul controllo delle frontiere e sul respingimento da parte dei paesi di primo ingresso, abbia bisogno di una seria rivisitazione.
Certo, se un albergo mi offrisse un servizio del genere mi scandalizzerei, e manderei i gestori a quel paese: ma in un albergo pago e quindi pretendo il servizio, mentre da mia sorella sono ospite, conosco in anticipo le regole e quindi accetto di buon grado, e anzi ringraziando, quanto mi viene offerto.
Ci sono oggi molte anime belle (giornalisti, telegiornalisti, politici, gente della strada) che si scandalizzano per il fatto che i {profughi|clandestini|rifugiati|criminali|martiri|stupratori} sbarcati a Lampedusa
Il punto vero è che costoro pretenderebbero che i nuovi arrivati avessero, nei confronti dell'Italia e dei suoi abitanti, lo stesso atteggiamento di rispettosa deferenza che ha chiunque vada a passare un periodo a casa altrui, e riconoscente per l'ospitalità ricevuta faccia il possibile per rendere la propria presenza gradita e, perlomeno, eviti di rompere i marroni al padrone di casa.
Non si accorgono tuttavia che esiste un problema di scala: se fai una festa a casa tua, e arriva un rompicoglioni, puoi anche buttarlo fuori da solo; ma se i disturbatori sono venti è meglio chiamare la polizia, perché rischi di finire sbattuto fuori tu. Se poi i facinorosi sono alcune migliaia, vale a dire molto più del locale distaccamento di polizia e carabinieri messi insieme, ecco che c'è un bel problema, ed è ben difficile che basti dire «tornatevene a casa» per risolverlo.
Dunque, per come la vedo io le strade sono due: la prima consiste nel mandare l'esercito a Lampedusa a catturare i seimila e passa nordafricani, metterli su una decina di navi cargo e scaricarli a forza su una costa africana qualsiasi. Si tratta di una soluzione temporanea, dato che è presumibile che come sono arrivati in seimila in pochi giorni, in altrettanti pochi giorni arrivino altre seimila persone: e allora per essere conseguenti bisogna anche disporre la flotta affinché gli eventuali nuovi arrivi non sbarchino a Lampedusa, ad esempio mitragliando i barconi. E' presumibile che dopo un paio di migliaia di morti in mare la frequenza dei tentati sbarchi diminuisca drasticamente, e il problema possa essere ritenuto sotto controllo.
La seconda strada consiste nel nutrire e accudire i nuovi giunti, trovando loro una sistemazione. Cosa più semplice a dirsi che a farsi, e che avrebbe la logica conseguenza di un ulteriore incremento della frequenza degli sbarchi dato che, come a tutti noto, esiste un bacino enorme di potenziali emigranti, e quella che adesso stiamo vedendo è solo l'avanguardia.
Una terza via io non riesco a scorgerla, e questo mi fa pensare che l'attuale politica europea in tema di immigrazione, che si basa sul controllo delle frontiere e sul respingimento da parte dei paesi di primo ingresso, abbia bisogno di una seria rivisitazione.
Forum
A me, comunque, fanno un po' pena tutti quegli opinionisti della pausa caffè che ci hanno messo 25 anni (VENTICINQUEANNI) per scoprire che a Forum ci vanno gli attori e non la ggggente vera.
mercoledì 16 marzo 2011
Un po' di cose che ho imparato /2
Il signore qui e fianco è Angelo Panebianco: grande esperto di scienze politiche, editorialista del Corriere e una delle persone più prevedibili che ci siano nel panorama politologico odierno.
A differenza del collega Sartori, che spesso riserva sorprese, un editoriale di Panebianco segue sempre la stessa struttura, sia dal punto di vista formale che del merito dei contenuti, talché una persona di media esperienza può fare la sinossi dell'articolo semplicemente leggendo il titolo attribuitogli dal titolista.
Quando stamane ho aperto la mia copia del Corriere (lo confesso: il giornale di Ezio Mauro oramai mi vergogno ad acquistarlo) e ho letto «La paura e la ragione» mi sono fatto una raffigurazione mentale di quel che avrei trovato stampato. Poi ho scorso l'articolo, che non mi ha lasciato deluso. Quello che non ero riuscito a prevedere era solo il finale lirico, quando Whitebread parte per la tangente affermando che il rischio è vita, e quindi chi ha dubbi sul nucleare è un morto che cammina. Un colpo di genio degno del Celentano ospitato in altra pagina e che altri hanno già perculato, sia pur in modo non del tutto convincente.
Nello scorso post avevo affrontato il tema della sicurezza del nucleare, sottolineando come, per quanto le tecnologie avanzino, l'esempio giapponese ci dimostra che c'è pur sempre qualche cosa che sfugge al controllo. La tragedia ora in corso ci ha insegnato: (a) che il combustibile esaurito (la cui modalità conservazione è del tutto slegata dalla tecnologia ennepuntozero di costruzione della centrale) è persino più pericoloso del nocciolo; (b) che l'anello debole della catena di sicurezza si è dimostrato essere un motore diesel identico a uno delle migliaia di motori installati un un piccolo peschereccio; (c) che per quanto si possa ridondare i sistemi di sicurezza esiste pur sempre un problema di materialità: le cose occupano uno spazio fisico, i motori diesel possono essere spazzati via dalle ondate e quand'anche si volessero ridondare a distanza il problema si sposterebbe dal motore ai cavi di adduzione dell'energia.
Un bel casino, che ci fa capire come sia impossibile eliminare la totalità dei rischi connessi ad un'attività pericolosa. Del resto anche questa non è una gran novità: lo si sapeva già nel 1942, quando è stato redatto il Codice Civile, che difatti non a caso contiene l'art. 2050.
Il Panebianco entra nel dibattito e (sorvoliamo sulla prosa alata, frutto forse di una rincuorante bottiglia di Sangiovese) ci dice che comunque rischi ci sono ovunque, ma ci sono mezzi per mitigarli e comunque anche la dipendenza dal petrolio è rischiosa.
Dividerei la questione in due sottoargomenti: quello di cui parla il Panebianco, vale a dire il rischio di approvvigionamento, e quello di cui il Panebianco si dimentica, vale a dire il rischio ambientale.
Per quanto riguarda l'approvvigionamento, la questione può essere liquidata in due parole: l'Italia non ha né petrolio né gas naturale né uranio. Sostituire il petrolio con l'uranio, dal punto di vista della dipendenza energetica dall'estero, è del tutto ininfluente. Tenta l'affondo, il Panebianco, facendo notare che il petrolio viene da paesi politicamente a rischio, ma -purtroppo per lui- non si rende conto che la geografia dei paesi produttori di uranio è in buona parte sovrapponibile a quella dei produttori di petrolio, con la sola eccezione di Australia e Canada, che occupano rispettivamente la seconda e terza posizione in classifica (notate che per quanto riguarda la produzione di petrolio, dopo la Russia la seconda e terza posizione sono occupate da Arabia Saudita e USA, e non vedrei probabile che su questi paesi abbia luogo lo scoppio di armi termonucleari che il Panebianco paventa ad usum del lettore poco in grado di documentarsi).
Parte del rischio di approvvigionamento è costituito anche dal previsto esaurimento delle risorse fossili, ma anche qui, per quanto i dati siano frammentati e contradditori, le previsioni sulla disonibilità di uranio non propongono limiti temporali molto differenti da quelli previsti per il petrolio. Con la non marginale differenza che per costruire una centrale nucleare ci vuole una decina d'anni, e quindi quando entrerà in esercizio (diciamo -siamo in Italia- nel 2025) saremo assai più vicini di oggi al picco dell'uranio, o magari l'avremo già superato.
Passiamo ai rischi ambientali. Tutti sappiamo che bruciare combustibili fossili incrementa l'effetto serra, e che l'aria delle nostre città (Milano anzitutto, per la particolare conformazine geografica della pianura dove sorge) è schifosamente inquinata a causa del traffico automobilistico e dei riscaldamenti. La disponibilità di abbondante energia a buon mercato ci consentirebbe di confertire i sistemi di riscaldamento e, in futuro, perfino di far marciare ad idrogeno le autovetture (rammentiamo sempre che l'idrogeno non è una fonte di energia, bensì un vettore). Tutte cose bellissime, peccato che perfino in Francia, il Paese che marcia quasi esclusivamente a nucleare, le auto viaggino a benzina o gasolio, e i caloriferi vadano a gasolio o metano.
E la quantità di energia nucleare che si vorrebbe produrre in Italia sarebbe sostitutiva dell'energia di centrale, non aggiuntiva: e quindi non destinata ad usi quali teleriscaldamento o produzione di idrogeno. Ci troveremmo quindi in uno scenario nel quale la schifezza che entra nei nostri polmoni sarebbe destinata a rimaniere sostanzialmente invariata.
Certo, verrebbe sostituita la gran parte del carbone e dell'olio pesante che fa marciare le grandi centrali elettriche, che producono una indicibile quantità di ceneri. Qui a fianco vedete un deposito di ceneri combuste di una delle più grandi centrali ad olio combustibile italiane. Ciascuna delle due montagne ha una dimensione di 200x300 metri (corrispondenti a 8 campi da calcio), e dunque capite bene quanta schifezza venga prodotta nei bruciatori. Ma si tratta di una schifezza che viene catturata dai filtri meccanici ed elettrostatici, tanto che può assere accumulata in montagnole che forse non saranno belle da vedere né saluberrimi, ma che consentono alla polvere di non girare liberamente per l'aria e di non entrare nei polmoni.
I residui di una centrale nucleare, invece, non possono essere conservati in brutte montagnole: questo credo che lo sappia perfino Panebianco. I residui di una centrale nucleare (e gli stessi suoi muri, alla fine della vita utile) sono schifezze che vanno trattati con attenzione e scrupolo per un tempo più o meno equivalente a quello intercorso dalla comparsa dell'Homo Habilis (ne vedete qui a fianco un ritratto, che per caso fortuito ha una straordinaria rassimiglianza con un noto editorialista del principale quotidiano italiano) ad oggi.
A me, vi assicuro, la montagnola di cenere inquieta. Ma il barile di scorie atomiche vetrificate inquieta un filo di più.
Riassumendo: quanto all'approvvigionamento, i rischi, sia di instabilità geopolitica che di disponibilità della risorsa, sono equivalenti. Quanto all'inquinamento, le moderne centrali a combustibile fossile rilasciano nel corso dell'esercizio inquinanti in misura ridotta, ma comunque superiore rispetto all'emissione zero del nucleare; ma considerando il ciclo di vita completo del combustibile l'equilibrio si sposta radicalmente a favore del fossile rispetto al fissile, le cui scorie sono infinitamente più pericolose per un tempo infinitamente più lungo.
Restano da considerare due fattori, che potrebbero essere le variabili in grado di spostare l'ago della bilancia dall'una all'altra parte.
Il primo è l'effetto serra. Potrebbe valer la pena di costruire centrali nucleari, con tutte le diseconomie ed esternalità che abbiamo esaminato, al fine di impedire il surriscaldamento globale della Terra?
Il secondo è la disponibilità di energie alternative. Quanta energia si potrebbe produrre da fonti alternative investendo la stessa quantità di denaro che si intenderebbe investire nelle centrali nucleari?
Sono entrambe domande alle quali non ho risposta, ma che si riferiscono a quantità per le quali uno studio serio potrebbe fornire almeno qualche ordine di grandezza.
A differenza del collega Sartori, che spesso riserva sorprese, un editoriale di Panebianco segue sempre la stessa struttura, sia dal punto di vista formale che del merito dei contenuti, talché una persona di media esperienza può fare la sinossi dell'articolo semplicemente leggendo il titolo attribuitogli dal titolista.
Quando stamane ho aperto la mia copia del Corriere (lo confesso: il giornale di Ezio Mauro oramai mi vergogno ad acquistarlo) e ho letto «La paura e la ragione» mi sono fatto una raffigurazione mentale di quel che avrei trovato stampato. Poi ho scorso l'articolo, che non mi ha lasciato deluso. Quello che non ero riuscito a prevedere era solo il finale lirico, quando Whitebread parte per la tangente affermando che il rischio è vita, e quindi chi ha dubbi sul nucleare è un morto che cammina. Un colpo di genio degno del Celentano ospitato in altra pagina e che altri hanno già perculato, sia pur in modo non del tutto convincente.
Nello scorso post avevo affrontato il tema della sicurezza del nucleare, sottolineando come, per quanto le tecnologie avanzino, l'esempio giapponese ci dimostra che c'è pur sempre qualche cosa che sfugge al controllo. La tragedia ora in corso ci ha insegnato: (a) che il combustibile esaurito (la cui modalità conservazione è del tutto slegata dalla tecnologia ennepuntozero di costruzione della centrale) è persino più pericoloso del nocciolo; (b) che l'anello debole della catena di sicurezza si è dimostrato essere un motore diesel identico a uno delle migliaia di motori installati un un piccolo peschereccio; (c) che per quanto si possa ridondare i sistemi di sicurezza esiste pur sempre un problema di materialità: le cose occupano uno spazio fisico, i motori diesel possono essere spazzati via dalle ondate e quand'anche si volessero ridondare a distanza il problema si sposterebbe dal motore ai cavi di adduzione dell'energia.
Un bel casino, che ci fa capire come sia impossibile eliminare la totalità dei rischi connessi ad un'attività pericolosa. Del resto anche questa non è una gran novità: lo si sapeva già nel 1942, quando è stato redatto il Codice Civile, che difatti non a caso contiene l'art. 2050.
Il Panebianco entra nel dibattito e (sorvoliamo sulla prosa alata, frutto forse di una rincuorante bottiglia di Sangiovese) ci dice che comunque rischi ci sono ovunque, ma ci sono mezzi per mitigarli e comunque anche la dipendenza dal petrolio è rischiosa.
Dividerei la questione in due sottoargomenti: quello di cui parla il Panebianco, vale a dire il rischio di approvvigionamento, e quello di cui il Panebianco si dimentica, vale a dire il rischio ambientale.
Per quanto riguarda l'approvvigionamento, la questione può essere liquidata in due parole: l'Italia non ha né petrolio né gas naturale né uranio. Sostituire il petrolio con l'uranio, dal punto di vista della dipendenza energetica dall'estero, è del tutto ininfluente. Tenta l'affondo, il Panebianco, facendo notare che il petrolio viene da paesi politicamente a rischio, ma -purtroppo per lui- non si rende conto che la geografia dei paesi produttori di uranio è in buona parte sovrapponibile a quella dei produttori di petrolio, con la sola eccezione di Australia e Canada, che occupano rispettivamente la seconda e terza posizione in classifica (notate che per quanto riguarda la produzione di petrolio, dopo la Russia la seconda e terza posizione sono occupate da Arabia Saudita e USA, e non vedrei probabile che su questi paesi abbia luogo lo scoppio di armi termonucleari che il Panebianco paventa ad usum del lettore poco in grado di documentarsi).
Parte del rischio di approvvigionamento è costituito anche dal previsto esaurimento delle risorse fossili, ma anche qui, per quanto i dati siano frammentati e contradditori, le previsioni sulla disonibilità di uranio non propongono limiti temporali molto differenti da quelli previsti per il petrolio. Con la non marginale differenza che per costruire una centrale nucleare ci vuole una decina d'anni, e quindi quando entrerà in esercizio (diciamo -siamo in Italia- nel 2025) saremo assai più vicini di oggi al picco dell'uranio, o magari l'avremo già superato.
Passiamo ai rischi ambientali. Tutti sappiamo che bruciare combustibili fossili incrementa l'effetto serra, e che l'aria delle nostre città (Milano anzitutto, per la particolare conformazine geografica della pianura dove sorge) è schifosamente inquinata a causa del traffico automobilistico e dei riscaldamenti. La disponibilità di abbondante energia a buon mercato ci consentirebbe di confertire i sistemi di riscaldamento e, in futuro, perfino di far marciare ad idrogeno le autovetture (rammentiamo sempre che l'idrogeno non è una fonte di energia, bensì un vettore). Tutte cose bellissime, peccato che perfino in Francia, il Paese che marcia quasi esclusivamente a nucleare, le auto viaggino a benzina o gasolio, e i caloriferi vadano a gasolio o metano.
E la quantità di energia nucleare che si vorrebbe produrre in Italia sarebbe sostitutiva dell'energia di centrale, non aggiuntiva: e quindi non destinata ad usi quali teleriscaldamento o produzione di idrogeno. Ci troveremmo quindi in uno scenario nel quale la schifezza che entra nei nostri polmoni sarebbe destinata a rimaniere sostanzialmente invariata.
Certo, verrebbe sostituita la gran parte del carbone e dell'olio pesante che fa marciare le grandi centrali elettriche, che producono una indicibile quantità di ceneri. Qui a fianco vedete un deposito di ceneri combuste di una delle più grandi centrali ad olio combustibile italiane. Ciascuna delle due montagne ha una dimensione di 200x300 metri (corrispondenti a 8 campi da calcio), e dunque capite bene quanta schifezza venga prodotta nei bruciatori. Ma si tratta di una schifezza che viene catturata dai filtri meccanici ed elettrostatici, tanto che può assere accumulata in montagnole che forse non saranno belle da vedere né saluberrimi, ma che consentono alla polvere di non girare liberamente per l'aria e di non entrare nei polmoni.
I residui di una centrale nucleare, invece, non possono essere conservati in brutte montagnole: questo credo che lo sappia perfino Panebianco. I residui di una centrale nucleare (e gli stessi suoi muri, alla fine della vita utile) sono schifezze che vanno trattati con attenzione e scrupolo per un tempo più o meno equivalente a quello intercorso dalla comparsa dell'Homo Habilis (ne vedete qui a fianco un ritratto, che per caso fortuito ha una straordinaria rassimiglianza con un noto editorialista del principale quotidiano italiano) ad oggi.
A me, vi assicuro, la montagnola di cenere inquieta. Ma il barile di scorie atomiche vetrificate inquieta un filo di più.
Riassumendo: quanto all'approvvigionamento, i rischi, sia di instabilità geopolitica che di disponibilità della risorsa, sono equivalenti. Quanto all'inquinamento, le moderne centrali a combustibile fossile rilasciano nel corso dell'esercizio inquinanti in misura ridotta, ma comunque superiore rispetto all'emissione zero del nucleare; ma considerando il ciclo di vita completo del combustibile l'equilibrio si sposta radicalmente a favore del fossile rispetto al fissile, le cui scorie sono infinitamente più pericolose per un tempo infinitamente più lungo.
Restano da considerare due fattori, che potrebbero essere le variabili in grado di spostare l'ago della bilancia dall'una all'altra parte.
Il primo è l'effetto serra. Potrebbe valer la pena di costruire centrali nucleari, con tutte le diseconomie ed esternalità che abbiamo esaminato, al fine di impedire il surriscaldamento globale della Terra?
Il secondo è la disponibilità di energie alternative. Quanta energia si potrebbe produrre da fonti alternative investendo la stessa quantità di denaro che si intenderebbe investire nelle centrali nucleari?
Sono entrambe domande alle quali non ho risposta, ma che si riferiscono a quantità per le quali uno studio serio potrebbe fornire almeno qualche ordine di grandezza.
Un po' di cose che ho imparato sulle centrali nucleari
Credo sia venuta l'ora di sistematizzare quello che ho appreso leggendo qua e là articoli e notizie.
Dunque, ho imparato che il materiale fissile contenuto in una centrale può, in condizioni straordinarie, arrifare a fondere, ma che anche nel caso in cui fonda non può né esplodere come una bomba atomica (in quanto, essendo un uranio di tipo diverso da quello delle bombe, può formare una massa supercritica ma non prontocritica). Ho imparato che anche qualora fondano le camicie che contengono le pastiglie, è comunque estremamente improbabile, se non impossibile, che il combustibile formi una massa critica, dato che il fondo del contenitore è disegnato apposta per sparpagliare, e non raccogliere, il combustibile che cade.
Ho imparato che per spegnere un reattore ci vuole un bel poò di tempo, dal momento che il materiale riveniente dalla fissione è fortemente radioattivo e scatena la fissione nell'uranio, e che pertanto nei primi giorni è indispensabile raffreddare ben bene tutto, ma dopo un po' la situazione si stabilizza.
Ho imparato che in ogni caso, anche se tutto quel che può andare male vada male, la centrale è costruita in modo da racchiudere all'interno tutto il combustibile fuso, in un contenitore in grado di resistere all'immenso calore generato.
Ho imparato che quando viene liberato del vapore per alleggerire la pressione nel contenitore, questo contiene isotopi radioattivi che hanno una vita brevissima, e in pochi secondi sono innocui. E che anche se le camicie di rivestimento sono danneggiate, la massa di isotopi radioattivi pericolosi è piccola, e in gran parte costituita da iodio 131 che nel giro di un mesetto diventa sostanzialmente innocuo.
Ho imparato che in Giappone ci sono un fottìo di centrali nucleari, e che tutte queste centrali hanno resistito ad un terremoto di magnitudo 9, e l'unica che ha avuto problemi è una centrale vecchia di quarant'anni, facente parte di una generazione che non viene costruita più da tanto tempo.
Tutte queste cose, che ho imparato, mi tranquillizzano. Rifletto sul fatto che l'Italia è una terra sismica, ma non come il Giappone; che nel Mediterraneo non può crearsi uno Tsunami come nell'Oceano; che in Italia si costruirebbero centrali di quarta generazione e non di seconda: e mi sento sereno.
Poi rifletto sul fatto che in Giappone i reattori vecchi di quarant'anni hanno resistito al terremoto, e hanno ceduto per il venir meno della corrente fornita dai generatori diesel, che non erano né di prima né di seconda né di quarta generazione, dato che erano motori diesel.
Penso al fatto che, malgrado il Grande Contenitore Sigillato stia resistendo, c'è un grosso ma grosso problema perché un bel po' di combustibile esausto viene conservato fuori del Grande Contenitore Sigillato, e quel combustibile esausto ora sta friggendo all'aria o quasi.
Leggo che quelle famose radiazioni che dovrebbero avere una vita così breve da non costituire alcun pericolo sono troppo elevate perfino per far volare gli elicotteri sopra la centrale, per il tempo necessario a buttarci sopra un po' d'acqua. Che a trenta chilometri di distanza non si può uscire dalle case. Leggo, insomma, che per quanto in teoria il pericolo più grande che si può correre è quello di dover buttare via una centrale nucleare, e pagare un bòtto di soldi per la sua bonifica nei prossimi vent'anni, quello che sta succedendo in pratica è qualcosa di molto peggio di quanto previsto dalla teoria.
Comprendo che per quanto si faccia di tutto per mettere tutto in sicurezza, c'è sempre qualche particolare che sfugge: l'ho imparato a mie spese quando facevo il Project Manager, ed è una lezione che porto sempre dentro. Mi immagino che in una centrale di quinta o sesta generazione si farà tesoro dell'esperienza giapponese, si metteranno delle batterie capientissime e dei motori diesel dentro dei bunker antiatomici; e si conserverà il materiale esaurito in contenitori con un grado di sicurezza pari a quello del materiale fissile fresco. Si farà in modo, insomma, che quando tutto ma proprio tutto quel che potrà andare storto andrà storto, comunque non vi sia alcuna possibilità di rilasciare all'esterno materiale radioattivo pericoloso. Ma ho imparato che c'è sempre qualcosa che nessuno pensava potesse andare storto e che proprio quel qualcosa invece potrebbe andarci. Io non so che cosa, dato che per mestiere scrivo letteracce e non costruisco centrali: ma credo che la sicurezza assoluta non possa mai essere raggiunta: e mi preoccupo.
Certo, mi rassicura il fatto che le strutture della centrale giapponese, eseguite secondo le procedure e che hanno superato tutti i controlli, abbiano resistito ad un terremoto mille volte più intenso del massimo previsto. Mi rassicura molto meno pensare che la Casa dello Studente, all'Aquila, fosse stata costruita secondo le procedure ed avesse superato i controlli: e preferirei che costruzione, procedure e controlli li facessero i giapponesi, ché dei subappaltatori italiani non è che mi fidi più di tanto.
Penso che quelle famose centrali di nuova generazione, costruite in Italia e controllate da tecnici giapponesi incorruttibilissimi, non si faranno fregare da un motore diesel che non funziona. Poi penso ai camion che non riescono a portare i sacchi della spazzatura da Napoli alle discariche, e mi chiedo se un giorno le autobotti di gasolio potrebbero arrivare alla centrale di nuova generazione, superando magari anche un ponte crollato sulla A3.
Dunque, ho imparato che il materiale fissile contenuto in una centrale può, in condizioni straordinarie, arrifare a fondere, ma che anche nel caso in cui fonda non può né esplodere come una bomba atomica (in quanto, essendo un uranio di tipo diverso da quello delle bombe, può formare una massa supercritica ma non prontocritica). Ho imparato che anche qualora fondano le camicie che contengono le pastiglie, è comunque estremamente improbabile, se non impossibile, che il combustibile formi una massa critica, dato che il fondo del contenitore è disegnato apposta per sparpagliare, e non raccogliere, il combustibile che cade.
Ho imparato che per spegnere un reattore ci vuole un bel poò di tempo, dal momento che il materiale riveniente dalla fissione è fortemente radioattivo e scatena la fissione nell'uranio, e che pertanto nei primi giorni è indispensabile raffreddare ben bene tutto, ma dopo un po' la situazione si stabilizza.
Ho imparato che in ogni caso, anche se tutto quel che può andare male vada male, la centrale è costruita in modo da racchiudere all'interno tutto il combustibile fuso, in un contenitore in grado di resistere all'immenso calore generato.
Ho imparato che quando viene liberato del vapore per alleggerire la pressione nel contenitore, questo contiene isotopi radioattivi che hanno una vita brevissima, e in pochi secondi sono innocui. E che anche se le camicie di rivestimento sono danneggiate, la massa di isotopi radioattivi pericolosi è piccola, e in gran parte costituita da iodio 131 che nel giro di un mesetto diventa sostanzialmente innocuo.
Ho imparato che in Giappone ci sono un fottìo di centrali nucleari, e che tutte queste centrali hanno resistito ad un terremoto di magnitudo 9, e l'unica che ha avuto problemi è una centrale vecchia di quarant'anni, facente parte di una generazione che non viene costruita più da tanto tempo.
Tutte queste cose, che ho imparato, mi tranquillizzano. Rifletto sul fatto che l'Italia è una terra sismica, ma non come il Giappone; che nel Mediterraneo non può crearsi uno Tsunami come nell'Oceano; che in Italia si costruirebbero centrali di quarta generazione e non di seconda: e mi sento sereno.
Poi rifletto sul fatto che in Giappone i reattori vecchi di quarant'anni hanno resistito al terremoto, e hanno ceduto per il venir meno della corrente fornita dai generatori diesel, che non erano né di prima né di seconda né di quarta generazione, dato che erano motori diesel.
Penso al fatto che, malgrado il Grande Contenitore Sigillato stia resistendo, c'è un grosso ma grosso problema perché un bel po' di combustibile esausto viene conservato fuori del Grande Contenitore Sigillato, e quel combustibile esausto ora sta friggendo all'aria o quasi.
Leggo che quelle famose radiazioni che dovrebbero avere una vita così breve da non costituire alcun pericolo sono troppo elevate perfino per far volare gli elicotteri sopra la centrale, per il tempo necessario a buttarci sopra un po' d'acqua. Che a trenta chilometri di distanza non si può uscire dalle case. Leggo, insomma, che per quanto in teoria il pericolo più grande che si può correre è quello di dover buttare via una centrale nucleare, e pagare un bòtto di soldi per la sua bonifica nei prossimi vent'anni, quello che sta succedendo in pratica è qualcosa di molto peggio di quanto previsto dalla teoria.
Comprendo che per quanto si faccia di tutto per mettere tutto in sicurezza, c'è sempre qualche particolare che sfugge: l'ho imparato a mie spese quando facevo il Project Manager, ed è una lezione che porto sempre dentro. Mi immagino che in una centrale di quinta o sesta generazione si farà tesoro dell'esperienza giapponese, si metteranno delle batterie capientissime e dei motori diesel dentro dei bunker antiatomici; e si conserverà il materiale esaurito in contenitori con un grado di sicurezza pari a quello del materiale fissile fresco. Si farà in modo, insomma, che quando tutto ma proprio tutto quel che potrà andare storto andrà storto, comunque non vi sia alcuna possibilità di rilasciare all'esterno materiale radioattivo pericoloso. Ma ho imparato che c'è sempre qualcosa che nessuno pensava potesse andare storto e che proprio quel qualcosa invece potrebbe andarci. Io non so che cosa, dato che per mestiere scrivo letteracce e non costruisco centrali: ma credo che la sicurezza assoluta non possa mai essere raggiunta: e mi preoccupo.
Certo, mi rassicura il fatto che le strutture della centrale giapponese, eseguite secondo le procedure e che hanno superato tutti i controlli, abbiano resistito ad un terremoto mille volte più intenso del massimo previsto. Mi rassicura molto meno pensare che la Casa dello Studente, all'Aquila, fosse stata costruita secondo le procedure ed avesse superato i controlli: e preferirei che costruzione, procedure e controlli li facessero i giapponesi, ché dei subappaltatori italiani non è che mi fidi più di tanto.
Penso che quelle famose centrali di nuova generazione, costruite in Italia e controllate da tecnici giapponesi incorruttibilissimi, non si faranno fregare da un motore diesel che non funziona. Poi penso ai camion che non riescono a portare i sacchi della spazzatura da Napoli alle discariche, e mi chiedo se un giorno le autobotti di gasolio potrebbero arrivare alla centrale di nuova generazione, superando magari anche un ponte crollato sulla A3.
martedì 15 marzo 2011
Offellee fa el tò mestee
Sia chiaro che io di comunicazione non ne capisco nulla, ma nulla nulla nulla. Di solito quando qualcuno sta per farmi una domanda rispondo "NO!" prima ancora che questi abbia iniziato a parlare, e quando devo trasmettere un messaggio, ho due modelli standard: uno lavorativo («Paga perché altrimenti ti faccio fallire domani stesso») e l'altro privato («Fai questo perché altrimenti ti strappo la pelle dei coglioni e ne faccio un paralume»). Questo quando l'interlocutore è debole; per quando è più forte di me, rimando alla visione del ciclo completo di Fantozzi, un maestro del genere.
Insomma, prendendo un campione a caso di 100 frequentatori della rete e dei socialcosi (io, ahimè, non posso più considerarmi parte di quest'ultima categoria), troveremo una cinquantina di guru della comunicazione, una trentina di gente più o meno "esperta di" comunicazione, 15 persone che lavorano affianco alla comunicazione, 4 normali e, nell'ultimo centile, io.
Ma perfino io, che non mi definirei un fine diplomatico, nel mentre in Giappone sta succedendo tutto quel casino nelle centrali nucleari (casino di cui non conosciamo appieno le dimensioni e che non sappiamo ancora con certezza come andrà a finire), mai e poi mai sarei entrato nella modalità be bold dell'amministratore di wikipedia (modalità detta anche: io so' io e tu, te non sei un cazzo).
Se io fossi stato un esponente del Governo, o dell'ENEL, o Chicco Testa, avrei rilasciato una serie di dichiarazioni del tipo: «I terribili eventi che in queste ore angosciano il Giappone ci devono spingere ad approfondire con maggior puntiglio tutte le questioni legate alla sicurezza di questa tecnologia. Gli impianti che abbiamo intenzione di costruire in Italia risultano assai più sicuri di quelli oggi a rischio in Giappone, ma sentiamo come nostro dovere decuplicare i controlli e le verifiche, anche con l'ausilio di soggetti indipendenti e internazionali, per essere del tutto certi che la strada che intendiamo intraprendere sia quella giusta. Noi crediamo che il nucleare sia la giusta soluzione per il futuro, ma ben comprendiamo che la popolazione debba essere messa in condizione di riporre assoluta fiducia nella sicurezza propria e di quella delle generazioni a venire».
Dopodiché si sarebbero fatti passare un paio di mesi, magari si sarebbe convocato un bel convegno con rinfresco, invitato a dormire in qualche città d'arte un centinaio di giornalisti, una ventina di blogger, Elio Lannutti e Paolo Landi; cosicché nel frattempo gli umori si rassenassero e, referendum permettendo, si potesse arrivare alle agognate vacanze estive, che per la mente politica dell'italiano equivalgono a un bel format a: /u dei bei tempi andati.
Invece no: la modalità di comunicazione è stata: «non ce ne frega un cazzo, noi abbiamo ragione e tireremo dritto». Che sarà anche un bel modo efficace di relazionarsi, se sei un dittatore libico o il tenente di una compagnia di disciplina, ma che in politica, e con un referendum alle porte, mi sembra in assoluto la via più diretta per prendersi una bella valangata di insulti oggi, e di voti contrari domani.
Mi chiedo, e vi chiedo: perché la reazione del Governo è stata questa e non quella? C'è una strategia, dietro, oppure è solo incompetenza e approssimazione?
Insomma, prendendo un campione a caso di 100 frequentatori della rete e dei socialcosi (io, ahimè, non posso più considerarmi parte di quest'ultima categoria), troveremo una cinquantina di guru della comunicazione, una trentina di gente più o meno "esperta di" comunicazione, 15 persone che lavorano affianco alla comunicazione, 4 normali e, nell'ultimo centile, io.
Ma perfino io, che non mi definirei un fine diplomatico, nel mentre in Giappone sta succedendo tutto quel casino nelle centrali nucleari (casino di cui non conosciamo appieno le dimensioni e che non sappiamo ancora con certezza come andrà a finire), mai e poi mai sarei entrato nella modalità be bold dell'amministratore di wikipedia (modalità detta anche: io so' io e tu, te non sei un cazzo).
Se io fossi stato un esponente del Governo, o dell'ENEL, o Chicco Testa, avrei rilasciato una serie di dichiarazioni del tipo: «I terribili eventi che in queste ore angosciano il Giappone ci devono spingere ad approfondire con maggior puntiglio tutte le questioni legate alla sicurezza di questa tecnologia. Gli impianti che abbiamo intenzione di costruire in Italia risultano assai più sicuri di quelli oggi a rischio in Giappone, ma sentiamo come nostro dovere decuplicare i controlli e le verifiche, anche con l'ausilio di soggetti indipendenti e internazionali, per essere del tutto certi che la strada che intendiamo intraprendere sia quella giusta. Noi crediamo che il nucleare sia la giusta soluzione per il futuro, ma ben comprendiamo che la popolazione debba essere messa in condizione di riporre assoluta fiducia nella sicurezza propria e di quella delle generazioni a venire».
Dopodiché si sarebbero fatti passare un paio di mesi, magari si sarebbe convocato un bel convegno con rinfresco, invitato a dormire in qualche città d'arte un centinaio di giornalisti, una ventina di blogger, Elio Lannutti e Paolo Landi; cosicché nel frattempo gli umori si rassenassero e, referendum permettendo, si potesse arrivare alle agognate vacanze estive, che per la mente politica dell'italiano equivalgono a un bel format a: /u dei bei tempi andati.
Invece no: la modalità di comunicazione è stata: «non ce ne frega un cazzo, noi abbiamo ragione e tireremo dritto». Che sarà anche un bel modo efficace di relazionarsi, se sei un dittatore libico o il tenente di una compagnia di disciplina, ma che in politica, e con un referendum alle porte, mi sembra in assoluto la via più diretta per prendersi una bella valangata di insulti oggi, e di voti contrari domani.
Mi chiedo, e vi chiedo: perché la reazione del Governo è stata questa e non quella? C'è una strategia, dietro, oppure è solo incompetenza e approssimazione?
Piccole differenze
Questo è un articolo chiaro e documentato che spiega (uno dei) pericoli che stiamo correndo.
Questa è un'ignobile cialtronata in cui si fa fatica a trovare un capoverso privo di cazzate. Le camicie di grafite, il tappo che salta per la pressione del vapore, i 30 cm d'acqua, le pastiglie di isotopi radioattivi che vanno a zonzo, e via discorrendo.
Fortuna che, come dice l'imbrattacarte, «è la Rete, ancora una volta, a fornire sprazzi di verità». Ma l'imbrattacarte è talmente scemo che nella riga dopo scrive «I blog e i tweet raccolgono voci e indiscrezioni».
Ecco, vorrei che fosse chiara una cosa: i blog e i tweet non sono modi corretti per informarsi sul funzionamento di una centrale nucleare e sui rischi che si corrono in caso di mancato raffreddamento del nucleo e di liquefazione del combustibile del nocciolo. In rete ciascuno può trovare, a costo di tempo, fatica e applicazione personale, le informazioni necessarie a farsi una prima idea; ma pensare di trovare la pappa già fatta è una sciocchezza, dato che quella pappa può averla cucinata chiunque. Farsi un'idea di ciò che sta succedendo nelle centrali giapponesi attraverso i blog degli italiani che vivono a Tokio è un po' come comprendere il signoraggio attraverso gli scritti del Marra.
Compito del giornalista dovrebbe essere quello di fare l'esame delle fonti per conto del lettore, e fornire un quadro comprensibile dello stato dei fatti, alla luce delle conoscenze raccolte completato, se necessario, dalle informazioni che appaiono contradditorie o incomplete e che quindi potrebbero far sospettare che qualche fonte sia inaffidabile.
Scrivere un pezzo in cui si parla di camicie di grafite che si sciolgono, e di nubi cariche di iodio e cesio, non è accettabile in alcun modo, neppure sotto la spinta della concitazione del momento e della confusione delle fonti. Scrivere di grafite, cesio e iodio significa una sola cosa: che il cosiddetto inviato ha preso un pezzo del 1987 (a Chernobil c'era grafite, e c'erano nubi cariche di iodio e di cesio) e lo ha diligentemente ricopiato.
Non molto tempo fa Repubblica lodava il ministro zu Guttenberg per aver presentato le dimissioni dopo che si era scoperto che aveva copiato la tesi di laurea, e paragonava tale gesto, a fronte di uno scandalo tutto sommato minimo, con il vezzo del permanere attaccati alla poltrona dei politici di casa nostra.
Se Daniele Mastrogiacomo avesse un minimo di dignità dovrebbe dire ai lettori: «Sì, è vero: non capivo niente, avevo il jet lag, non so nulla di centrali, mi hanno mandato lì di punto in bianco, avevo mangiato pesante. Ho scopiazzato un articolo di venti e passa anni fa, scusatemi, ecco le mie dimissioni».
Non lo farà, statene sicuri. Nel frattempo quel paio di migliaia di lettori di Repubblica si saranno fatti l'idea che quello che sta succedendo in Giappone sia l'esatta replica di quello che successe in Ucraina.
Questa è un'ignobile cialtronata in cui si fa fatica a trovare un capoverso privo di cazzate. Le camicie di grafite, il tappo che salta per la pressione del vapore, i 30 cm d'acqua, le pastiglie di isotopi radioattivi che vanno a zonzo, e via discorrendo.
Fortuna che, come dice l'imbrattacarte, «è la Rete, ancora una volta, a fornire sprazzi di verità». Ma l'imbrattacarte è talmente scemo che nella riga dopo scrive «I blog e i tweet raccolgono voci e indiscrezioni».
Ecco, vorrei che fosse chiara una cosa: i blog e i tweet non sono modi corretti per informarsi sul funzionamento di una centrale nucleare e sui rischi che si corrono in caso di mancato raffreddamento del nucleo e di liquefazione del combustibile del nocciolo. In rete ciascuno può trovare, a costo di tempo, fatica e applicazione personale, le informazioni necessarie a farsi una prima idea; ma pensare di trovare la pappa già fatta è una sciocchezza, dato che quella pappa può averla cucinata chiunque. Farsi un'idea di ciò che sta succedendo nelle centrali giapponesi attraverso i blog degli italiani che vivono a Tokio è un po' come comprendere il signoraggio attraverso gli scritti del Marra.
Compito del giornalista dovrebbe essere quello di fare l'esame delle fonti per conto del lettore, e fornire un quadro comprensibile dello stato dei fatti, alla luce delle conoscenze raccolte completato, se necessario, dalle informazioni che appaiono contradditorie o incomplete e che quindi potrebbero far sospettare che qualche fonte sia inaffidabile.
Scrivere un pezzo in cui si parla di camicie di grafite che si sciolgono, e di nubi cariche di iodio e cesio, non è accettabile in alcun modo, neppure sotto la spinta della concitazione del momento e della confusione delle fonti. Scrivere di grafite, cesio e iodio significa una sola cosa: che il cosiddetto inviato ha preso un pezzo del 1987 (a Chernobil c'era grafite, e c'erano nubi cariche di iodio e di cesio) e lo ha diligentemente ricopiato.
Non molto tempo fa Repubblica lodava il ministro zu Guttenberg per aver presentato le dimissioni dopo che si era scoperto che aveva copiato la tesi di laurea, e paragonava tale gesto, a fronte di uno scandalo tutto sommato minimo, con il vezzo del permanere attaccati alla poltrona dei politici di casa nostra.
Se Daniele Mastrogiacomo avesse un minimo di dignità dovrebbe dire ai lettori: «Sì, è vero: non capivo niente, avevo il jet lag, non so nulla di centrali, mi hanno mandato lì di punto in bianco, avevo mangiato pesante. Ho scopiazzato un articolo di venti e passa anni fa, scusatemi, ecco le mie dimissioni».
Non lo farà, statene sicuri. Nel frattempo quel paio di migliaia di lettori di Repubblica si saranno fatti l'idea che quello che sta succedendo in Giappone sia l'esatta replica di quello che successe in Ucraina.
domenica 13 marzo 2011
Punto per punto
Giuliano Ferrara oggi scrive un lungo pezzo sul quotidiano del fratello del Presidente del Consiglio, spiegando i motivi per i quali bisognerebbe fare la riforma della giustizia proposta dal Governo presieduto dal fratello del proprietario del quotidiano che ospita il pezzo.
Ferrara non è il primo cretino imbrattacarte, e difatti il suo articolo è assai suggestivo: per smontarlo è necessario analizzare i passi salienti punto per punto.
L'argine al potenziale conflitto di interessi o di personalizzazione del legame tra una delle parti processuali e il giudice risiede proprio nella professionalità del giudice, nell'obbligo che egli ha di motivare i propri provvedimenti e nel vaglio che dette motivazioni hanno di fronte alle magistrature d'appello e alla Cassazione. La separazione delle carriere per sé non significa nulla; o non significa più di quanto non significhi la separazione dei circoli del golf. Una legge organica che volesse portare all'estremo il concetto di separazione tra requirente e giudicante dovrebbe statuire che i giudici possano praticare solo il golf, i PM solo il tennis e gli avvocati difensori solo l'equitazione, facendo venir meno la possibilità che i tre attori del processo possano incontrarsi in uno spogliatoio.
Quanto al fatto che chi oggi persegue domani possa giudicare, e viceversa, abbiamo già chiarito che questa è la regola nei sistemi di diritto anglosassone, ai quali il Ferrara è così attaccato. Strano che uno che ha come soprannome "l'Elefantino" abbia una memoria così corta.
Ma non è questo il punto: il punto è che nel sistema anglosassone c'è una giuria che decide sul fatto, e che non motiva la propria decisione. E' per questo che la decisione (di assoluzione o di condanna) non è soggetta ad appello: perché la decisione sul fatto essendo immotivata non può essere soggetta a gravame.
In Italia la decisione, sia sul fatto che sul diritto, deve essere motivata. E sulla base della motivazione (o carenza di motivazione) il giudice del gravame decide se il magistrato che ha pronunciato la sentenza abbia valutato correttamente o meno le prove e la qualificazione giuridica dei fatti. Notiamo, per inciso, che perlopiù in Italia il magistrato è monocratico, e per questo soggetto molto più di una giuria di dodici civili a prendere in considerazione, nei casi veramente dubbi, solo una parte delle prove, o a valutarne erroneamente il peso.
Nel sistema francese, fino al 2000, le decisioni della Corte d'Assise (strutturata come quella italiana, e quindi con giudici popolari che decidono su fatto e diritto) erano inappellabili, sia da parte dell'accusa che della difesa. Poi è stata introdotta la possibilità dell'appello anche lì. In ogni caso, quel che deve essere ben chiaro è che non si vede da nessuna parte un sistema in cui l'appello sia consentito solo alla difesa e non all'accusa
Ferrara non è il primo cretino imbrattacarte, e difatti il suo articolo è assai suggestivo: per smontarlo è necessario analizzare i passi salienti punto per punto.
il magistrato inquirente deve essere messo sullo stesso piano del difensore, mentre chi giudica deve stare al di sopra delle parti. Questo è la «separazione delle carriere». Senza, non c’è vera giustizia, c’è una grottesca caricatura della giustizia. Se l’avvocato difensore è un mendicante di diritti appena tollerato mentre il pubblico ministero che indaga e promuove l’accusa è un collega di chi emetterà la sentenza, lavora con lui, fa la stessa carriera, si appoggia agli stessi uffici, ha con il giudice una quotidiana frequentazione e una comunanza di interessi corporativi e professionali, la giustizia è negata in radice. Se chi oggi persegue domani può giudicare, e viceversa, alla negazione si aggiunge la beffaCome abbiamo già detto nei giorni precedenti, il problema della comunanza di carriera è assai diverso dal problema della equiparazione processuale di accusa e difesa. Nella maggior parte dei piccoli tribunali italiani vi è una comunanza di interessi, frequentazioni e svaghi assai maggiore tra giudicante e avvocati difensori rispetto a quella che vi sia tra giudicanti e PM. Questo perché il giudicante spesso è lì da molto tempo, se non vi è addirittura nato, frequenta i circoli della buona società, va al golf, al tennis e così via; mentre il PM nei piccoli centri è spesso ad inizio carriera, ed aspetta di fare il salto andando in un centro di maggiori dimensioni. Il fatto di far parte della stessa società è un legame molto più forte del dipendere dallo stesso Ministero o dell'aver la carriera decisa dallo stesso CSM: questo sono certo che Ferrara non lo ignori, ma non ne fa cenno.
L'argine al potenziale conflitto di interessi o di personalizzazione del legame tra una delle parti processuali e il giudice risiede proprio nella professionalità del giudice, nell'obbligo che egli ha di motivare i propri provvedimenti e nel vaglio che dette motivazioni hanno di fronte alle magistrature d'appello e alla Cassazione. La separazione delle carriere per sé non significa nulla; o non significa più di quanto non significhi la separazione dei circoli del golf. Una legge organica che volesse portare all'estremo il concetto di separazione tra requirente e giudicante dovrebbe statuire che i giudici possano praticare solo il golf, i PM solo il tennis e gli avvocati difensori solo l'equitazione, facendo venir meno la possibilità che i tre attori del processo possano incontrarsi in uno spogliatoio.
Quanto al fatto che chi oggi persegue domani possa giudicare, e viceversa, abbiamo già chiarito che questa è la regola nei sistemi di diritto anglosassone, ai quali il Ferrara è così attaccato. Strano che uno che ha come soprannome "l'Elefantino" abbia una memoria così corta.
Il secondo elemento è la responsabilità verso i cittadini nell’esercizio della professione di magistrato. Se un funzionario qualsiasi sbaglia, e magari con dolo o comunque travolgendo i diritti del cittadino, quel funzionario paga ragionevolmente le conseguenze dell’errore, è responsabile civilmente del proprio comportamento. Senza questa regola, l’ufficiale dell’anagrafe assonnato e distratto può prenderci a pernacchie quando gli chiediamo un certificato all’ora del caffè. E l’irresponsabilità dei magistrati ha conseguenze più gravi di un dileggio o di un ritardo nel rilascio di una carta d’identità: pesa sulla vita delle persone, sul loro onore, sugli affetti, sulla salute, sulla libertà di noi tuttiIl Ferrara mette sullo stesso piano un compito meramente esecutivo, quale il rilascio della carta d'identità, con uno che richiede intelligenza e perizia e che è strutturalmente soggetto ad errore. L'ufficiale di anagrafe assonnato non deve prendere decisioni sulla base di dati quasi sempre insufficienti. Nessuno ha fotografato la Franzoni che uccideva il figlio, ma compito del giudice è stabilire, anche in assenza di una prova oggettiva, se lei l'abbia o meno fatto. Il magistrato è naturalmente soggetto ad errore, perché se così non fosse potrebbero esere condannati solo i rei confessi e quelli catturati in flagranza, il che, io credo, nessuno al mondo desidererebbe. L'attuale normativa in tema di responsabilità civile del magistrato (qui un sunto) stabilisce che il magistrato risponde per dolo o colpa grave, al pari del medico e dell'architetto (e ciò nonostante Alfano continui a sostenere che la riforma da lui proposta equiparerebbe il magistrato al medico!). Sono oggi esclusi dall'ambito della responsabilità professionale l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove, e ciò per la semplice ragione che le attività in questione sono inevitabilmente fallaci, e soggette a ricorso proprio per tale motivo. Immaginate di essere nei panni del giudice chiamato a decidere sull'omicidio della povera Scazzi, e che qualunque decisione prendiate o il padre o la figlia potrebbero poi venire a chiedervi conto della vostra decisione per il solo fatto di aver sbagliato, non per negligenza bensì in buona fede e utilizzando al pieno le vostre capacità professionali. Credete che in tale situazione sareste in grado di decidere? E, seguitemi bene, se davvero la magistratura è quella infame casta arroccata in autodifesa di ciascun componente; se davvero ciascun giudice ha come unico interesse quello di difendere i propri colleghi, credete davvero che la Corte d'Appello rovescerebbe un provvedimento del Tribunale, con la consapevolezza che ciò manderebbe in rovina il giudice che ha pronunciato la sentenza? No: se la magistratura è davvero composta solo da infami, i successivi gradi di giudizio diverrebbero delle mere burlette.
La terza semplice verità è che non si può essere processati una seconda volta dopo essere stati assolti. Perché? È facile da dire. Il diritto anglosassone stabilisce che si possa essere condannati solo se considerati colpevoli «al di là di ogni ragionevole dubbio»(l’avvocato Perry Mason nei vecchi telefilm contava su questa garanzia per trovare il vero colpevole e scagionare l’innocente). L’esclusione di ogni possibile ombra è un ancoraggio oggettivo del giudizio, una garanzia decisiva per le libertà civili. Da noi il principio è che si può emettere sentenza in base al «libero convincimento del giudice», un criterio meramente soggettivo. Bisogna invece che la libertà del giudice sia ancorata all’oggettività di una certezza come base per un giudizio nel giusto processo. Ed è ovvio che una sentenza di assoluzione lascia e lascerà sempre un ragionevole dubbio nell’aria, anche se nel giudizio di appello arrivasse una condanna. Dunque: niente doppio processo una volta che l’imputato sia assolto perché manca una assoluta certezza processualeQui il Ferrara, che prima si era dimenticato di ricordare come funzionano le cose in America, volta la frittata. Stavolta si dimentica che anche in Italia l'art. 533 c.p.p. dispone che la sentenza di condanna sia pronunciata se il fatto appare provato "al di là di ogni ragionevole dubbio", e non già in base al libero convincimento del Giudice.
Ma non è questo il punto: il punto è che nel sistema anglosassone c'è una giuria che decide sul fatto, e che non motiva la propria decisione. E' per questo che la decisione (di assoluzione o di condanna) non è soggetta ad appello: perché la decisione sul fatto essendo immotivata non può essere soggetta a gravame.
In Italia la decisione, sia sul fatto che sul diritto, deve essere motivata. E sulla base della motivazione (o carenza di motivazione) il giudice del gravame decide se il magistrato che ha pronunciato la sentenza abbia valutato correttamente o meno le prove e la qualificazione giuridica dei fatti. Notiamo, per inciso, che perlopiù in Italia il magistrato è monocratico, e per questo soggetto molto più di una giuria di dodici civili a prendere in considerazione, nei casi veramente dubbi, solo una parte delle prove, o a valutarne erroneamente il peso.
Nel sistema francese, fino al 2000, le decisioni della Corte d'Assise (strutturata come quella italiana, e quindi con giudici popolari che decidono su fatto e diritto) erano inappellabili, sia da parte dell'accusa che della difesa. Poi è stata introdotta la possibilità dell'appello anche lì. In ogni caso, quel che deve essere ben chiaro è che non si vede da nessuna parte un sistema in cui l'appello sia consentito solo alla difesa e non all'accusa
sabato 12 marzo 2011
Qualche riflessione sulla riforma della giustizia /2
Passiamo ora a parlare dei due punti di maggiore rilevanza della proposta di riforma: l'attenuazione del principio di obbligatorietà dell'azione penale e la responsabilità civile dei magistrati. Ci sarebbe da scriverci sopra un paio di tesi di laurea, ma non avendo qualche mese a disposizione mi limiterò a formulare qualche pensiero più disordinato del consueto.
Sulla responsabilità civile, la questione, per quanto mi riguarda, è abbastanza semplice: già oggi è previsto che il magistrato risponda per dolo o per colpa grave. Nella proposta del Governo si equiparano i magistrati ai dipendenti dello Stato, che rispondono anche per colpa semplice. Ciò comporterebbe, a mio avviso, un inaccettabile pressione su chi è chiamato a giudicare: perché il giudizio è un mestiere difficilissimo, e chi lo esercita deve essere messo in condizioni di farlo con tutta la serenità del caso. I giudici sono pur sempre uomini, soggetti ad abbagli, distrazioni e stanchezza: tanto che il sistema giudiziario, in tutto il mondo, prevede che vi siano più gradi di giudizio, al fine di riparare gli errori commessi nella pronuncia di una sentenza.
Già oggi l'art. 2236 c.c. limita la responsabilità civile del prestatore d'opera intellettuale (il medico, l'avvocato, l'architetto...) statuendo che "Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave", ed è giusto che sia così dato che, altrimenti, nessun medico penserebbe di sperimentare una nuova terapia. Negli USA, dove questo principio di limitazione di responsabilità non esiste, la tutela del professionista passa attraverso il meccanismo dell'assicurazione, il che ha comportato una lievitazione dei costi per l'accesso alla sanità che tutti, in quanto spettatori di serie americane, ben conosciamo.
Cosa farebbe un giudice che rischiasse di essere citato in un giudizio risarcitorio ogni volta che condanna qualcuno? Siamo certi che potrebbe pronunciare la sentenza liberamente? Io francamente non lo credo: basterebbe un minimo dubbio (vale a dire un dubbio assai più sfumato del "ragionevole dubbio" oggi previsto dall'art. 533 c.p.p.) per assolvere l'imputato, a scanso di rogne. E se sposiamo questo con la pure prevista inappellabilità delle sentenze di assoluzione, quello che ne uscirebbe è un sistema in cui chiunque (ma in particolare chi, avendo maggiori mezzi, potrebbe affrontare a cuor sereno le spese dei successivi giudizi risarcitori) potrebbe farla franca molto più facilmente di oggi.
Badate, io sono un convinto sostenitore del principio per cui è meglio che cento colpevoli siano fuori che un solo innocente in galera: ma qui andiamo a sconfinare nell'impunità legalizzata, e per di più nell'impunità di classe.
Veniamo ora alla questione dell'obbligatorietà dell'azione penale. Il testo proposto dice che "Il Pubblico Ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale secondo i criteri stabiliti dalla Legge". Sembrerebbe quindi che non vengsa meno il principio di base, ma non è così: questa fornmulazione mi ricorda assai da vicino l'art. 28 dello Statuto Albertino (che, non dimentichiamolo, era in vigore nel Ventennio) che disponeva: "La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi", e sappiamo tutti come è andata a finire.
Prendiamo atto quindi che la formulazione proposta, quindi, metterebbe fine all'obbligo costituzionale di esercitare l'azione penale, rimettendo alla legge ordinaria le modalità di tale esercizio, e cerchiamo di capire che cosa ciò significherebbe.
Già sappiamo che non dovunque l'azione penale è obbligatoria: negli ordinamenti anglosassoni infatti non lo è mai, e pure in molti ordinamenti continentali (in particolare in quelli francofoni) è discrezionale.
In Italia il principio di obbligatorietà dell'azione penale è sempre esistito, per quanto il codice di procedura del 1930, che dava al PM il potere di archiviare la notizia di reato senza il vaglio del Giudice Istruttore, l'avesse di fatto incrinato. La cosa non sfuggì nel corso del dibattito alla Costituente, all'inizio del quale la figura del Pubblico Ministero era ben lungi dall'essere ben definita.
In effetti vi erano sul tappeto due temi, strettamente connessi anche se tale legame non è di immediata evidenza: quello se il PM dovesse essere espressione del Potere Esecutivo piuttosto che del Potere Giudiziario, e quello dell'obbligatorietà dell'azione penale.
Il concetto di base è questo: un PM espressione dell'Esecutivo potrebbe essere sottoposto a pressioni, o addirittura a vere e proprie disposizioni formali da parte del superiore gerarchico, per non fargli esercitare l'azione penale in determinati casi In tale configurazione pertanto l'obbligatorietà dell'azione penale andrebbe a tutela sia del singolo PM, sia in generale del principio di eguaglianza di chiunque di fronte alla legge. Un PM indipendente e autonomo invece non sarebbe soggetto a quelle pressioni o ordini, e quindi in tal caso sarebbe possibile lasciare una maggiore discrezionalità all'ufficio. Alla fine i Costituenti scelsero la via più rigida, facendo sì che il PM fosse autonomo al pari dei giudici, e al contempo sancendo l'obbligatorietà dell'azione penale. Uno dei motivi per tale scelta radicale fu di evitare l'introduzione nell'ordinamento di un'azione penale sussidiaria da parte del giudice che avesse dovuto riscontrare l'inattività del PM di fronte alla notizia di reato, dato che appariva inaccettabile, per la nostra cultura giuridica, la possibilità che un reato non venisse perseguito non in quanto bagattellare bensì in quanto commesso da "amici di amici". In altre parole, si riteneva che senza l'espressa previsione dell'obbligatorietà dell'azione anche un PM autonomo avrebbe potuto favorire qualcuno, magari non per effetto di pressioni bensì di interesse personale, e pertanto si volle blindare l'ufficio.
Con la riforma che viene proposta si accetta che certi reati, che verranno poi definiti con legge ordinaria, siano "meno reati" di altri. Ci si dice che ciò è fatto perché la Giustizia oggi non funziona, perché bisogna saper dare priorità nella persecuzione degli illeciti, perché non si può pensare che per ogni puttanata venga avviato un procedimento penale, con tutto quel che costa in termini di tempo, mezzi e soldi.
E' in gran parte vero, ma, ahinoi, non è questo il punto.
Recentemente il vicesindaco di Treviso, Gentilini, è stato oggetto del del lancio di due carciofi romani che lo hanno sfiorato al volto. Gli autori dell'orrendo gesto sono stati identificati e denunciati, e certo tutti siamo più tranquilli. Ne scaturirà un procedimento penale (dato che il PM ha l'obbligo di esercitare l'azione) che si concluderà con un nulla di fatto, o al più con una multa di qualche decina o centinaia di euri. Secondo il Governo fare un processo penale per queste cazzate non è giusto: bisogna che i mezzi della giustizia siano utilizzati per perseguire i reati veri: e noi siamo d'accordo.
Ma la soluzione al problema, e credo che chiunque dotato di buon senso ne debba convenire, non è quella di lasciare certi reati in una zona grigia di procedibilità attenuata, bensì quella di ridurre l'ambito della normativa penale limitando il suo campo d'azione ai reati veramente offensivi. Non ha senso lasciare che il getto pericoloso di cose o la rappresentazione abusiva di spettacoli teatrali restino reati, ma allo stesso tempo dire che i giudici non devono occuparsene per mancanza di tempo. In primo luogo, perché è sbagliato in via di principio (i reati dovrebbero essere cose serie e gravi, e quindi dovrebbero essere puniti senza badare al tempo disponibile), e in secondo luogo perché così si introdurrebbe una discriminazione tra chi commette un reato in un luogo con un tribunale scarico di lavoro, che verrebbe perseguito in quanto il PM locale non ha nulla da fare, e chi commettesse lo stesso reato in un luogo con un tribunale ingolfato, che la farebbe franca.
Gli strumenti per ridurre il carico di lavoro dei tribunali e dei PM ci sono: la depenalizzazione, anzitutto, come pure -ad esempio- l'estensione del procedimento per decreto alle fattispecie più lievi di reato, anche se punibili con pene detentive minime.
Il fatto è che la discrezionalità dell'azione penale vale nei sistemi in cui il PM la sfrutta non per sgravarsi da una parte del lavoro, bensì per perseguire più efficacemente i reati, modulare la pena in funzione della pericolosità del reo o, come nei sistemi anglosassoni, trattare con l'imputato per far ammettere la sua colpevolezza o concedergli l'immunità per fargli fare nomi. Ma nei sistemi anglosassoni l'accusatore dispone non solo dell'esercizio dell'azione, ma anche della quantificazione della pena.
Insomma: rendere discrezionale l'esercizio dell'azione penale, o sottoporre il suo esercizio a condizioni dipendenti dalla situazione degli uffici giudiziari, è profondamente iniquo nmel sistema che oggi abbiamo: e il fatto che all'estero funzioni non significa nula, dato che per scardinare questo punto bisognerebbe importare dall'estero tutti quegli altri istituti che danno un senso alla discrezionalità del PM.
Sulla responsabilità civile, la questione, per quanto mi riguarda, è abbastanza semplice: già oggi è previsto che il magistrato risponda per dolo o per colpa grave. Nella proposta del Governo si equiparano i magistrati ai dipendenti dello Stato, che rispondono anche per colpa semplice. Ciò comporterebbe, a mio avviso, un inaccettabile pressione su chi è chiamato a giudicare: perché il giudizio è un mestiere difficilissimo, e chi lo esercita deve essere messo in condizioni di farlo con tutta la serenità del caso. I giudici sono pur sempre uomini, soggetti ad abbagli, distrazioni e stanchezza: tanto che il sistema giudiziario, in tutto il mondo, prevede che vi siano più gradi di giudizio, al fine di riparare gli errori commessi nella pronuncia di una sentenza.
Già oggi l'art. 2236 c.c. limita la responsabilità civile del prestatore d'opera intellettuale (il medico, l'avvocato, l'architetto...) statuendo che "Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave", ed è giusto che sia così dato che, altrimenti, nessun medico penserebbe di sperimentare una nuova terapia. Negli USA, dove questo principio di limitazione di responsabilità non esiste, la tutela del professionista passa attraverso il meccanismo dell'assicurazione, il che ha comportato una lievitazione dei costi per l'accesso alla sanità che tutti, in quanto spettatori di serie americane, ben conosciamo.
Cosa farebbe un giudice che rischiasse di essere citato in un giudizio risarcitorio ogni volta che condanna qualcuno? Siamo certi che potrebbe pronunciare la sentenza liberamente? Io francamente non lo credo: basterebbe un minimo dubbio (vale a dire un dubbio assai più sfumato del "ragionevole dubbio" oggi previsto dall'art. 533 c.p.p.) per assolvere l'imputato, a scanso di rogne. E se sposiamo questo con la pure prevista inappellabilità delle sentenze di assoluzione, quello che ne uscirebbe è un sistema in cui chiunque (ma in particolare chi, avendo maggiori mezzi, potrebbe affrontare a cuor sereno le spese dei successivi giudizi risarcitori) potrebbe farla franca molto più facilmente di oggi.
Badate, io sono un convinto sostenitore del principio per cui è meglio che cento colpevoli siano fuori che un solo innocente in galera: ma qui andiamo a sconfinare nell'impunità legalizzata, e per di più nell'impunità di classe.
Veniamo ora alla questione dell'obbligatorietà dell'azione penale. Il testo proposto dice che "Il Pubblico Ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale secondo i criteri stabiliti dalla Legge". Sembrerebbe quindi che non vengsa meno il principio di base, ma non è così: questa fornmulazione mi ricorda assai da vicino l'art. 28 dello Statuto Albertino (che, non dimentichiamolo, era in vigore nel Ventennio) che disponeva: "La stampa sarà libera, ma una legge ne reprime gli abusi", e sappiamo tutti come è andata a finire.
Prendiamo atto quindi che la formulazione proposta, quindi, metterebbe fine all'obbligo costituzionale di esercitare l'azione penale, rimettendo alla legge ordinaria le modalità di tale esercizio, e cerchiamo di capire che cosa ciò significherebbe.
Già sappiamo che non dovunque l'azione penale è obbligatoria: negli ordinamenti anglosassoni infatti non lo è mai, e pure in molti ordinamenti continentali (in particolare in quelli francofoni) è discrezionale.
In Italia il principio di obbligatorietà dell'azione penale è sempre esistito, per quanto il codice di procedura del 1930, che dava al PM il potere di archiviare la notizia di reato senza il vaglio del Giudice Istruttore, l'avesse di fatto incrinato. La cosa non sfuggì nel corso del dibattito alla Costituente, all'inizio del quale la figura del Pubblico Ministero era ben lungi dall'essere ben definita.
In effetti vi erano sul tappeto due temi, strettamente connessi anche se tale legame non è di immediata evidenza: quello se il PM dovesse essere espressione del Potere Esecutivo piuttosto che del Potere Giudiziario, e quello dell'obbligatorietà dell'azione penale.
Il concetto di base è questo: un PM espressione dell'Esecutivo potrebbe essere sottoposto a pressioni, o addirittura a vere e proprie disposizioni formali da parte del superiore gerarchico, per non fargli esercitare l'azione penale in determinati casi In tale configurazione pertanto l'obbligatorietà dell'azione penale andrebbe a tutela sia del singolo PM, sia in generale del principio di eguaglianza di chiunque di fronte alla legge. Un PM indipendente e autonomo invece non sarebbe soggetto a quelle pressioni o ordini, e quindi in tal caso sarebbe possibile lasciare una maggiore discrezionalità all'ufficio. Alla fine i Costituenti scelsero la via più rigida, facendo sì che il PM fosse autonomo al pari dei giudici, e al contempo sancendo l'obbligatorietà dell'azione penale. Uno dei motivi per tale scelta radicale fu di evitare l'introduzione nell'ordinamento di un'azione penale sussidiaria da parte del giudice che avesse dovuto riscontrare l'inattività del PM di fronte alla notizia di reato, dato che appariva inaccettabile, per la nostra cultura giuridica, la possibilità che un reato non venisse perseguito non in quanto bagattellare bensì in quanto commesso da "amici di amici". In altre parole, si riteneva che senza l'espressa previsione dell'obbligatorietà dell'azione anche un PM autonomo avrebbe potuto favorire qualcuno, magari non per effetto di pressioni bensì di interesse personale, e pertanto si volle blindare l'ufficio.
Con la riforma che viene proposta si accetta che certi reati, che verranno poi definiti con legge ordinaria, siano "meno reati" di altri. Ci si dice che ciò è fatto perché la Giustizia oggi non funziona, perché bisogna saper dare priorità nella persecuzione degli illeciti, perché non si può pensare che per ogni puttanata venga avviato un procedimento penale, con tutto quel che costa in termini di tempo, mezzi e soldi.
E' in gran parte vero, ma, ahinoi, non è questo il punto.
Recentemente il vicesindaco di Treviso, Gentilini, è stato oggetto del del lancio di due carciofi romani che lo hanno sfiorato al volto. Gli autori dell'orrendo gesto sono stati identificati e denunciati, e certo tutti siamo più tranquilli. Ne scaturirà un procedimento penale (dato che il PM ha l'obbligo di esercitare l'azione) che si concluderà con un nulla di fatto, o al più con una multa di qualche decina o centinaia di euri. Secondo il Governo fare un processo penale per queste cazzate non è giusto: bisogna che i mezzi della giustizia siano utilizzati per perseguire i reati veri: e noi siamo d'accordo.
Ma la soluzione al problema, e credo che chiunque dotato di buon senso ne debba convenire, non è quella di lasciare certi reati in una zona grigia di procedibilità attenuata, bensì quella di ridurre l'ambito della normativa penale limitando il suo campo d'azione ai reati veramente offensivi. Non ha senso lasciare che il getto pericoloso di cose o la rappresentazione abusiva di spettacoli teatrali restino reati, ma allo stesso tempo dire che i giudici non devono occuparsene per mancanza di tempo. In primo luogo, perché è sbagliato in via di principio (i reati dovrebbero essere cose serie e gravi, e quindi dovrebbero essere puniti senza badare al tempo disponibile), e in secondo luogo perché così si introdurrebbe una discriminazione tra chi commette un reato in un luogo con un tribunale scarico di lavoro, che verrebbe perseguito in quanto il PM locale non ha nulla da fare, e chi commettesse lo stesso reato in un luogo con un tribunale ingolfato, che la farebbe franca.
Gli strumenti per ridurre il carico di lavoro dei tribunali e dei PM ci sono: la depenalizzazione, anzitutto, come pure -ad esempio- l'estensione del procedimento per decreto alle fattispecie più lievi di reato, anche se punibili con pene detentive minime.
Il fatto è che la discrezionalità dell'azione penale vale nei sistemi in cui il PM la sfrutta non per sgravarsi da una parte del lavoro, bensì per perseguire più efficacemente i reati, modulare la pena in funzione della pericolosità del reo o, come nei sistemi anglosassoni, trattare con l'imputato per far ammettere la sua colpevolezza o concedergli l'immunità per fargli fare nomi. Ma nei sistemi anglosassoni l'accusatore dispone non solo dell'esercizio dell'azione, ma anche della quantificazione della pena.
Insomma: rendere discrezionale l'esercizio dell'azione penale, o sottoporre il suo esercizio a condizioni dipendenti dalla situazione degli uffici giudiziari, è profondamente iniquo nmel sistema che oggi abbiamo: e il fatto che all'estero funzioni non significa nula, dato che per scardinare questo punto bisognerebbe importare dall'estero tutti quegli altri istituti che danno un senso alla discrezionalità del PM.
venerdì 11 marzo 2011
Qualche riflessione sulla riforma della giustizia
Inizio questo post raccomandandovi la lettura dell'analogo pezzo di Francesco Costa, che dice cose alle quali riconosco molto buon senso anche se non tutte, a mio modo di pensare, sono condivisibili appieno. Richiamo anche l'articolato del disegno di legge costituzionale, da tener sott'occhio durante la lettura.
Cominciamo dalla separazione delle carriere. In effetti l'unitarietà di carriera della magistratura giudicante e requirente è un po' una peculiarità del sistema italiano, dal momento che nella maggior parte dei sistemi continentali, e nella totalità dei sistemi anglosassoni, il PM non fa parte della magistratura o, nei rari casi in cui ne fa parte, segue un percorso di carriera separato.
Questo però non significa che esista una incompatibilità ontologica tra accusatore (o avvocato) e giudice: proprio negli ordinamenti anglosassoni, infatti, i giudici sono perlopiù (o, come in Gran Bretagna, esclusivamente) persone che hanno precedentemente ricoperto, e con successo, il ruolo di avvocato dell'accusa (o della difesa): e pertanto, pur non facendo parte dello stesso Ordine o Corpo, hanno comunque quella comunanza di conoscenze, abitudini e deformazioni professionali che possiamo riscontrare oggi nel panorama italiano e che ci viene rappresentata come un'indegna vergogna.
Pretendere, come fa il Governo Berlusconi, che la contiguità tra giudice e PM sia fonte di iniquità nel processo penale è quindi sbagliato per due motivi: l'uno, perché tale contiguità vi è un po' in tutto il mondo; l'altro, perché la garanzia di equità non è nell'avere uffici e carriere separate, bensì nella professionalità di chi deve rispondere alla legge e motivare i propri provvedimenti.
Se accettassimo la tesi di Berlusconi, allora dovremmo anche ritenere incompatibile Leonardo con la panchina dell'Inter, o stupirci del fatto che Cassano o Pazzini possano scendere in campo contro la Sampdoria. Possono farlo perché sono dei professionisti, che non ci penserebbero mai neppur un secondo a tirar fuori della porta per non dispiacere il portiere con il quale magari qualche settimana prima condividevano la camera d'albergo.
Detto quindi che la separazione della carriere non è una soluzione a un problema, ammesso che il problema vi sia, ciò non toglie che la separazione medesima non possa neppure essere un totem né un tabù: se il resto del mondo va avanti in tal modo, possiamo benissimo sposare anche noi tale modello, purché ciò avvenga nell'ambito di una riforma organica e razionale (e in tal caso, aggiungo, come nel resto del mondo dovrà pure essere possibile a chi scelga una carriera decidere, in un certo momento della propria vita, di sedersi dall'altra parte, sostenendo esami, facendo concorsi e così via).
Quanto alla duplicazione dei CSM, sarebbe una ovvia conseguenza della duplicazione delle carriere, e quindi non starei a spenderci su troppe parole: sarebbe assurdo il contrario.
Bizzarra, per usare un eufemismo, la norma che vorrebbe che i membri togati dei due CSM fossero "eletti previo sorteggio degli eleggibili". Voi sapete bene cosa penso delle primarie; e introdurre le primarie per sorteggio è, come dire, uno dei mezzi meno adatti per assicurare la selezione dei migliori. Sembra, questa, un'idea dettata solo dalla volontà di sminuire la forza della componente togata in favore di quella di nomina politica i cui componenti, loro sì, sarebbero per l'appunto eletti.
Quanto alla Corte di disciplina, non ne riesco francamente a vedere la ragione, dato che sarebbe un organismo sostanzialmente duplicazione dei CSM destinato solo a decidere di provvedimenti disciplinari, ma che ha la stessa modalità di formazione dei CSM medesimi. Se si afferma che il procedimento disciplinare oggi è una burletta si ha probabilmente ragione; ma non è che creare un altro organismo gemello dell'attuale, cambiandogli il nome, possa essere una soluzione efficace. L'unica differenza che vedo, tra i due futuri CSM e la Corte di disciplina, è il fatto che in quest'ultimo organo la componente togata sarebbe formata da soggetti "scelti" (non "eletti") previo sorteggio: ma non so se questa differenza sia segno di qualche cosa di diverso dall'incapacità dell'attuale legislatore di scrivere leggi fatte bene.
Veniamo alle cose importanti, che come spesso accade sono le meno appariscenti. Il nuovo testo dell'art. 101 assicurerebbe la garanzia costituzionale dell'autonomia e indipendenza ai soli giudici, mentre l'ultimo comma del nuovo art. 104 farebbe sì che il PM sia organizzato secondo "le norme dell'Ordinamento Giudiziario che ne garantiscono autonomia e indipendenza". Le due cose sembrano identiche ma sono molto diverse, dato che l'Ordinamento Giudiziario è una legge ordinaria che può venir mutata a colpi di maggioranza in Parlamento (e sappiamo bene cosa vuol dire colpi di maggioranza in un sistema maggioritario dove i parlamentari sono nominati dai segretari di partito). Di fatto quindi l'autonomia e indipendenza dei PM sarebbero molto meno garantite: del resto la situazione che si verrebbe a creare corrisponderebbe a quella ora vigente in Francia, dove il Pubblico Ministero, pur facendo parte della Magistratura e godendo delel relative guarentigie, non è indipendente dall'Esecutivo e pertanto non può essere considerato "Autorità Giudiziaria", come afferma la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nella sentenza 23/11/2010 "Moulin vs. France".
Vogliamo un PM dipendente dall'Esecutivo? Non è un tabù, l'abbiamo detto: ma che si abbia il coraggio di dirlo chiaramente, e di rammentare che la dipendenza del PM dall'Esecutivo è il modello seguito non solo in Francia, ma anche in tutti gli stati ex-comunisti e nell'Italia e Germania tra le due Guerre.
Veniamo ora alla questione del divieto di reformatio in pejus delle sentenze di assoluzione. Qui bisogna intendersi: non si può sposare il modello accusatorio, portandolo alle estreme conseguenze, assicurando in tutti i modi logici e meno logici la parità tra accusa e difesa, e poi alla fine stabilire che i goal in casa valgono doppio. Se accusa e difesa sono sullo stessissimo piano, allora devono anche avere le stesse possibilità di ricorrere contro le sentenze in caso di sconfitta. Altrimenti non sono sullo stesso piano e una delle due squadre ha comprato l'arbitro. Lasciate perdere che quello messo peggio sia il PM: c'è il caso del Sofri anziano, certo; ma di contro ci sono tanti casi di criminali mafiosi che l'avrebbero sfangata in primo grado e poi sono stati condannati in appello, e giustamente. Del resto basta una banale considerazione: oggi se il giudice di primo grado all'esito del dibattimanto ha un dubbio che non è stato chiarito, può pronunciare una sentenza assolutoria, come prevede la legge, sapendo che se del caso in appello la questione potrà essere approfondita. Un domani, sapendo che dall'assoluzione non si può tornare indietro, condannerebbe senza tante storie, lasciando all'imputato l'onere di appellarsi a sua volta: e il sistema sarebbe distorto tal quale oggi, anzi peggio.
(scusate ma interrompo, si è fatto tardi: gli anacoluti e i refusi li sistemerò più tardi, insieme al resto delle considerazioni)
Cominciamo dalla separazione delle carriere. In effetti l'unitarietà di carriera della magistratura giudicante e requirente è un po' una peculiarità del sistema italiano, dal momento che nella maggior parte dei sistemi continentali, e nella totalità dei sistemi anglosassoni, il PM non fa parte della magistratura o, nei rari casi in cui ne fa parte, segue un percorso di carriera separato.
Questo però non significa che esista una incompatibilità ontologica tra accusatore (o avvocato) e giudice: proprio negli ordinamenti anglosassoni, infatti, i giudici sono perlopiù (o, come in Gran Bretagna, esclusivamente) persone che hanno precedentemente ricoperto, e con successo, il ruolo di avvocato dell'accusa (o della difesa): e pertanto, pur non facendo parte dello stesso Ordine o Corpo, hanno comunque quella comunanza di conoscenze, abitudini e deformazioni professionali che possiamo riscontrare oggi nel panorama italiano e che ci viene rappresentata come un'indegna vergogna.
Pretendere, come fa il Governo Berlusconi, che la contiguità tra giudice e PM sia fonte di iniquità nel processo penale è quindi sbagliato per due motivi: l'uno, perché tale contiguità vi è un po' in tutto il mondo; l'altro, perché la garanzia di equità non è nell'avere uffici e carriere separate, bensì nella professionalità di chi deve rispondere alla legge e motivare i propri provvedimenti.
Se accettassimo la tesi di Berlusconi, allora dovremmo anche ritenere incompatibile Leonardo con la panchina dell'Inter, o stupirci del fatto che Cassano o Pazzini possano scendere in campo contro la Sampdoria. Possono farlo perché sono dei professionisti, che non ci penserebbero mai neppur un secondo a tirar fuori della porta per non dispiacere il portiere con il quale magari qualche settimana prima condividevano la camera d'albergo.
Detto quindi che la separazione della carriere non è una soluzione a un problema, ammesso che il problema vi sia, ciò non toglie che la separazione medesima non possa neppure essere un totem né un tabù: se il resto del mondo va avanti in tal modo, possiamo benissimo sposare anche noi tale modello, purché ciò avvenga nell'ambito di una riforma organica e razionale (e in tal caso, aggiungo, come nel resto del mondo dovrà pure essere possibile a chi scelga una carriera decidere, in un certo momento della propria vita, di sedersi dall'altra parte, sostenendo esami, facendo concorsi e così via).
Quanto alla duplicazione dei CSM, sarebbe una ovvia conseguenza della duplicazione delle carriere, e quindi non starei a spenderci su troppe parole: sarebbe assurdo il contrario.
Bizzarra, per usare un eufemismo, la norma che vorrebbe che i membri togati dei due CSM fossero "eletti previo sorteggio degli eleggibili". Voi sapete bene cosa penso delle primarie; e introdurre le primarie per sorteggio è, come dire, uno dei mezzi meno adatti per assicurare la selezione dei migliori. Sembra, questa, un'idea dettata solo dalla volontà di sminuire la forza della componente togata in favore di quella di nomina politica i cui componenti, loro sì, sarebbero per l'appunto eletti.
Quanto alla Corte di disciplina, non ne riesco francamente a vedere la ragione, dato che sarebbe un organismo sostanzialmente duplicazione dei CSM destinato solo a decidere di provvedimenti disciplinari, ma che ha la stessa modalità di formazione dei CSM medesimi. Se si afferma che il procedimento disciplinare oggi è una burletta si ha probabilmente ragione; ma non è che creare un altro organismo gemello dell'attuale, cambiandogli il nome, possa essere una soluzione efficace. L'unica differenza che vedo, tra i due futuri CSM e la Corte di disciplina, è il fatto che in quest'ultimo organo la componente togata sarebbe formata da soggetti "scelti" (non "eletti") previo sorteggio: ma non so se questa differenza sia segno di qualche cosa di diverso dall'incapacità dell'attuale legislatore di scrivere leggi fatte bene.
Veniamo alle cose importanti, che come spesso accade sono le meno appariscenti. Il nuovo testo dell'art. 101 assicurerebbe la garanzia costituzionale dell'autonomia e indipendenza ai soli giudici, mentre l'ultimo comma del nuovo art. 104 farebbe sì che il PM sia organizzato secondo "le norme dell'Ordinamento Giudiziario che ne garantiscono autonomia e indipendenza". Le due cose sembrano identiche ma sono molto diverse, dato che l'Ordinamento Giudiziario è una legge ordinaria che può venir mutata a colpi di maggioranza in Parlamento (e sappiamo bene cosa vuol dire colpi di maggioranza in un sistema maggioritario dove i parlamentari sono nominati dai segretari di partito). Di fatto quindi l'autonomia e indipendenza dei PM sarebbero molto meno garantite: del resto la situazione che si verrebbe a creare corrisponderebbe a quella ora vigente in Francia, dove il Pubblico Ministero, pur facendo parte della Magistratura e godendo delel relative guarentigie, non è indipendente dall'Esecutivo e pertanto non può essere considerato "Autorità Giudiziaria", come afferma la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nella sentenza 23/11/2010 "Moulin vs. France".
Vogliamo un PM dipendente dall'Esecutivo? Non è un tabù, l'abbiamo detto: ma che si abbia il coraggio di dirlo chiaramente, e di rammentare che la dipendenza del PM dall'Esecutivo è il modello seguito non solo in Francia, ma anche in tutti gli stati ex-comunisti e nell'Italia e Germania tra le due Guerre.
Veniamo ora alla questione del divieto di reformatio in pejus delle sentenze di assoluzione. Qui bisogna intendersi: non si può sposare il modello accusatorio, portandolo alle estreme conseguenze, assicurando in tutti i modi logici e meno logici la parità tra accusa e difesa, e poi alla fine stabilire che i goal in casa valgono doppio. Se accusa e difesa sono sullo stessissimo piano, allora devono anche avere le stesse possibilità di ricorrere contro le sentenze in caso di sconfitta. Altrimenti non sono sullo stesso piano e una delle due squadre ha comprato l'arbitro. Lasciate perdere che quello messo peggio sia il PM: c'è il caso del Sofri anziano, certo; ma di contro ci sono tanti casi di criminali mafiosi che l'avrebbero sfangata in primo grado e poi sono stati condannati in appello, e giustamente. Del resto basta una banale considerazione: oggi se il giudice di primo grado all'esito del dibattimanto ha un dubbio che non è stato chiarito, può pronunciare una sentenza assolutoria, come prevede la legge, sapendo che se del caso in appello la questione potrà essere approfondita. Un domani, sapendo che dall'assoluzione non si può tornare indietro, condannerebbe senza tante storie, lasciando all'imputato l'onere di appellarsi a sua volta: e il sistema sarebbe distorto tal quale oggi, anzi peggio.
(scusate ma interrompo, si è fatto tardi: gli anacoluti e i refusi li sistemerò più tardi, insieme al resto delle considerazioni)
giovedì 10 marzo 2011
Poi uno dice la sudditanza ideologica
«Se si va a elezioni nel 2013 e il centrodestra presenta uno come Angelino Alfano, noi non possiamo riproporre i nostri leader storici».
Come dire che a scacchi preferisce sempre giocare con i pezzi neri.
Come dire che a scacchi preferisce sempre giocare con i pezzi neri.
The new Power Balance
L'Italia (non solo l'Italia, a dire il vero, è piena di cretini che hanno comperato il Power Balance, e una volta acquistatolo e indossatolo hanno sentito le proprie forze moltiplicarsi.
L'Italia è pure piena di gente che, riscontrato il fatto che negli anni '80 il debito pubblico e la corruzione sono esplosi, e che negli anni '80 c'era la proporzionale, ne induce che il sistema elettorale proporzionale provoca debito e corruzione.
In effetti negli anni '80 c'era anche Gazebo che cantava I like Chopin, e sfido chiunque a dimostrare che rispetto all'aumento del debito pubblico c'è una correlazione maggiore correlazione con il sistema elettorale rispetto che con il numero di passaggi TV del (non più tanto) noto cantante libano-friulano.
L'Italia è piena anche di bravi politici che esaminano due fenomeni (chessò, l'inquinamento e la difficoltà di trovare parcheggio in centrocittà), rilevano una forte correlazione tra i due eventi e ne arguiscono che l'inquinamento sia provocato dalla scarsità di parcheggi: e per combatterlo propongono la costruzione di grandi parcheggi multipiano.
Da quando sono comparsi i primi PC con VisiCalc, tutti coloro che non hanno idea dell'argomento sul quale sono chiamati a lavorare prendono una messe di dati, possibilmente ampia ed eterogenea, e cercano di trovarvi in mezzo il germe di un significato. E' un vizio che si è diffuso ubiquitariamente: lo fanno i liceali per la tesina di maturità e lo fanno i consulenti strapagati di Bain, BCG o McKinsey su fogli Excel con centinaia di migliaia di record.
Si tratta di un metodo sbagliato, ma purtroppo chi fa il consulente aziendale quasi mai ha una minima infarinatura di metodo scientifico.
Se andiamo ad esaminare un campione di imprese italiane, vediamo che quelle con sede in Liguria pagano i loro debiti molto più puntualmente rispetto a quelle con sede nel Molise, ma solo un cretino potrebbe pensare che una legge che obbligasse le imprese molisane a trasferire la propria sede sociale presso un commercialista di Genova potrebbe risolvere il problema delle insolvenze a Isernia. I dati vanno interpretati, e anche un bimbo delle medie comprende che il problema è quello del contesto produttivo, del mercato di riferimento, delle diseconomie dovute alla carenza di infrastrutture e via discorrendo. Il problema delle imprese molisane non è certo che i libri sociali prendano l'aria di campagna di Campobasso invece che la saluberrima aria salmastra di Genova, spero ne converrete con me.
Quando si parla di donne, e in ispecie quando se ne parla in prossimità dell'8 marzo, ecco che questi princìpi, (che più che con il metodo scientifico hanno a che vedere con il semplice buonsenso) si perdono: e così un non autorevole* supplemento di un noto quotidiano pubblica un'intera paginata per riportare uno studio secondo cui la presenza delle donne nei CdA fa dimezzare i tassi d'insolvenza.
Ecco, ci terrei che i miei lettori fossero ben consapevoli che la presenza di donne nei CdA è esattamente come il profumo salmastro dell'aria nel luogo di conservazione dei libri sociali: la presenza di donne può essere un effetto della maggiore modernità, e pertanto efficienza, di una determinata azienda. Non ne è la causa.
Pensare di imporre la presenza di donne nei CdA per incrementare l'efficienza delle imprese italiane è esattamente come imporre il trasferimento forzoso dei libri sociali a Genova, o il divieto di comparire in video del cantante Gazebo per ridurre l'indebitamento pubblico.
* del resto vi scrive sopra la Caruso
L'Italia è pure piena di gente che, riscontrato il fatto che negli anni '80 il debito pubblico e la corruzione sono esplosi, e che negli anni '80 c'era la proporzionale, ne induce che il sistema elettorale proporzionale provoca debito e corruzione.
In effetti negli anni '80 c'era anche Gazebo che cantava I like Chopin, e sfido chiunque a dimostrare che rispetto all'aumento del debito pubblico c'è una correlazione maggiore correlazione con il sistema elettorale rispetto che con il numero di passaggi TV del (non più tanto) noto cantante libano-friulano.
L'Italia è piena anche di bravi politici che esaminano due fenomeni (chessò, l'inquinamento e la difficoltà di trovare parcheggio in centrocittà), rilevano una forte correlazione tra i due eventi e ne arguiscono che l'inquinamento sia provocato dalla scarsità di parcheggi: e per combatterlo propongono la costruzione di grandi parcheggi multipiano.
Da quando sono comparsi i primi PC con VisiCalc, tutti coloro che non hanno idea dell'argomento sul quale sono chiamati a lavorare prendono una messe di dati, possibilmente ampia ed eterogenea, e cercano di trovarvi in mezzo il germe di un significato. E' un vizio che si è diffuso ubiquitariamente: lo fanno i liceali per la tesina di maturità e lo fanno i consulenti strapagati di Bain, BCG o McKinsey su fogli Excel con centinaia di migliaia di record.
Si tratta di un metodo sbagliato, ma purtroppo chi fa il consulente aziendale quasi mai ha una minima infarinatura di metodo scientifico.
Se andiamo ad esaminare un campione di imprese italiane, vediamo che quelle con sede in Liguria pagano i loro debiti molto più puntualmente rispetto a quelle con sede nel Molise, ma solo un cretino potrebbe pensare che una legge che obbligasse le imprese molisane a trasferire la propria sede sociale presso un commercialista di Genova potrebbe risolvere il problema delle insolvenze a Isernia. I dati vanno interpretati, e anche un bimbo delle medie comprende che il problema è quello del contesto produttivo, del mercato di riferimento, delle diseconomie dovute alla carenza di infrastrutture e via discorrendo. Il problema delle imprese molisane non è certo che i libri sociali prendano l'aria di campagna di Campobasso invece che la saluberrima aria salmastra di Genova, spero ne converrete con me.
Quando si parla di donne, e in ispecie quando se ne parla in prossimità dell'8 marzo, ecco che questi princìpi, (che più che con il metodo scientifico hanno a che vedere con il semplice buonsenso) si perdono: e così un non autorevole* supplemento di un noto quotidiano pubblica un'intera paginata per riportare uno studio secondo cui la presenza delle donne nei CdA fa dimezzare i tassi d'insolvenza.
Ecco, ci terrei che i miei lettori fossero ben consapevoli che la presenza di donne nei CdA è esattamente come il profumo salmastro dell'aria nel luogo di conservazione dei libri sociali: la presenza di donne può essere un effetto della maggiore modernità, e pertanto efficienza, di una determinata azienda. Non ne è la causa.
Pensare di imporre la presenza di donne nei CdA per incrementare l'efficienza delle imprese italiane è esattamente come imporre il trasferimento forzoso dei libri sociali a Genova, o il divieto di comparire in video del cantante Gazebo per ridurre l'indebitamento pubblico.
* del resto vi scrive sopra la Caruso
martedì 8 marzo 2011
Premio Mario Luzi 2011
una spirale di egoismo sociale
e di riduzione del nostro orizzonte
che include solo ciò che ci è vicino
mentre quello che accade lontano
lo guardiamo
su Internet o in Tv
ma con un sostanziale
disinteresse
e di riduzione del nostro orizzonte
che include solo ciò che ci è vicino
mentre quello che accade lontano
lo guardiamo
su Internet o in Tv
ma con un sostanziale
disinteresse
costruire nuovi network
di forze e culture
democratiche
altrimenti vincereranno
le forze estremiste
e
islamiche
Noi
non siamo solo
l'Italia.
Noi
siamo la punta
dell'Europa
verso il
Mediterraneo
lunedì 7 marzo 2011
Piccola guida alla comprensione del pensiero di Testa Vuota
Perche' nessuno scende in piazza al fianco dei patrioti libici? Perche' era cosi' facile mobilitare giustamente milioni di persone contro Bush e gli americani per la guerra in Iraq e nessuno prova a riempire le piazze contro il dittatore Gheddafi?Sono moltissimi coloro che si sono stupiti per il fatto che Testa di Cocomero abbia rilasciato questa dichiarazione sulla Libia.
In rete c'è chi gli ha rinfacciato il doppiopesismo del PD, che a suo tempo aveva votato a favore del protocollo di amicizia italo-libico. C'è anche chi ha speso tempo e fatica per spiegare che le grandi manifestazioni di piazza in occasione delle guerre americane in medio oriente avevano lo scopo di fare pressione sul Governo italiano affinché prendesse una posizione, non certo di solidarizzare con chi, stando sotto le bombe, di solidarietà non sa che farsene. C'è chi ha rimarcato la sterilità di una protesta simulata e fine a sé stessa che sarebbe priva di un destinatario, un programma, un obiettivo.
Francamente, io di questo stupore un po' mi stupisco: se ben rammentate Angurione è riuscito a vendere come cosa propria, del PD, la vittoria di Barack Obama. E credo che perfino i suoi due neuroni fossero in grado di comprendere che il Partito Democratico da lui al tempo diretto era cosa diversa dal Partito Democratico di Obama, non foss'altro per questioni di fuso orario. L'ultima uscita di Walter, quindi, è perfettamente il linea con il pensiero nebbioso del nostro cialtrone preferito, al quale tutti noi dovremmo aver fatto il callo da un pezzo.
domenica 6 marzo 2011
Rieducazione politica
C'è un vecchio imbecille pregiudicato che afferma che la nostra Costituzione deve essere cambiata in quanto vecchia di 63 anni, non capendo che le Costituzioni, a differenza delle leggi ordinarie, dettano principi che non sono legati a uno specifico momento di cronaca, bensì a periodi storici di lungo respiro: nel cui contesto 63 anni possono essere perfino pochini.
Il cialtrone demagogo, uno con una faccia come il culo tale da far politica affermando che i pregiudicati non dovrebbero far politica, adesso vorrebbe introdurre il referendum propositivo e senza quorum per le proposte di legge.
I nostri costituenti, che eran saggi ma non geni della lampada, inizialmente ci avevano pensato pure loro, a questa bella idea. Poi si sono resi conto che era una puttanata. Le motivazioni sul perché il referendum oggi sia regolato così com'è sono tra le pagine più lucide scritte dall'Assemblea Costituente: e non sentono mimimamente il trascorrere del tempo. Se volete rifarvi gli occhi e la testa con un po' di ragionamenti, e sciacquarvi la mente dalle sciocchezze di chi a malapena sapeva far ridere, potete ricrearvi qui.
Il cialtrone demagogo, uno con una faccia come il culo tale da far politica affermando che i pregiudicati non dovrebbero far politica, adesso vorrebbe introdurre il referendum propositivo e senza quorum per le proposte di legge.
I nostri costituenti, che eran saggi ma non geni della lampada, inizialmente ci avevano pensato pure loro, a questa bella idea. Poi si sono resi conto che era una puttanata. Le motivazioni sul perché il referendum oggi sia regolato così com'è sono tra le pagine più lucide scritte dall'Assemblea Costituente: e non sentono mimimamente il trascorrere del tempo. Se volete rifarvi gli occhi e la testa con un po' di ragionamenti, e sciacquarvi la mente dalle sciocchezze di chi a malapena sapeva far ridere, potete ricrearvi qui.
mercoledì 2 marzo 2011
Lustramento di coglioni
L'Innominabile è sceso a Lanciano, città del Miracolo Eucaristico, a supporto del locale candidato sindaco, M.P.
Tra varie amenità (del discorso delle primarie per legge ne abbiamo già discusso, e comunque ne parla Bordone sul suo blog, cui rimando), l'Acrobata Cadente ha inanellato questa serie di proposizioni all'indirizzo del candidato:
(1-8) tra parentesi, il numero di volte nelle quali M.P. è stato costretto a massaggiarsi i gioielli di famiglia, seminascostamente, lì al fianco di Walter.
Il fatto che prima del discorso di Veltroni, per distendere l'atmosfera, sia stata cantata la nota tarantella "Auschwitz" è del tutto ininfluente. Se non ci credete beccatevi anche il video.
Tra varie amenità (del discorso delle primarie per legge ne abbiamo già discusso, e comunque ne parla Bordone sul suo blog, cui rimando), l'Acrobata Cadente ha inanellato questa serie di proposizioni all'indirizzo del candidato:
è giusto che si sperimenti la logica dell'alternanza(1) in questa citta' con un candidato come M. P. che nasce nella societa' civile(2) e che e' stato scelto proprio con lo strumento delle primarie(3). Mi prendo l'impegno di tornare(4) presto(5) a Lanciano per dare sostegno(5) a P. e alla coalizione nella ormai prossima campagna elettorale: credo(6) ci siano le condizioni per fare bene(7), sono fiducioso(8)
(1-8) tra parentesi, il numero di volte nelle quali M.P. è stato costretto a massaggiarsi i gioielli di famiglia, seminascostamente, lì al fianco di Walter.
Il fatto che prima del discorso di Veltroni, per distendere l'atmosfera, sia stata cantata la nota tarantella "Auschwitz" è del tutto ininfluente. Se non ci credete beccatevi anche il video.