La chiesa è contro il divorzio l'aborto le unioni omosessuali. la chiesa è quella che potrebbe farci morire attaccati a dei tubi. la chiesa punta a sminuire il ruolo della scuola pubblica in favore della scuola privata. la chiesa non paga le tasse. Che la chiesa sia ora critica nei confronti di Berlusconi non fa della chiesa un'istituzione migliore.
lunedì 26 settembre 2011
venerdì 23 settembre 2011
Outing (seconda parte)
1. Teomondo Scrofalo
2. Felice Caccamo
3. Rambaldo Buttiglione
4. Ada Venzolato in De Martiris
5. Renato Baldi
6. Giuseppe Baiocchi detto Peppe
7. Benito Cerbottana
8. Peppino Capone
9. Armandino Girasole
10. Duca Lamberti
Sì, lo so, è una vera porcheria pubblicare i nomi di tutti questi omosessuali senza uno straccio di prova. E quand'anche ci fossero le prove sarebbe una porcheria pubblicarli senza il loro consenso. E magari qualche nome l'ho tirato pure fuori a caso per fare dieci, numero tondo. E molti di voi già si sono scandalizzati quando guegli altri stronzi hanno pubblicato l'altra lista.
Ma a me, che mi frega? Avete alzato la voce, non ve lo ricordate?
2. Felice Caccamo
3. Rambaldo Buttiglione
4. Ada Venzolato in De Martiris
5. Renato Baldi
6. Giuseppe Baiocchi detto Peppe
7. Benito Cerbottana
8. Peppino Capone
9. Armandino Girasole
10. Duca Lamberti
Sì, lo so, è una vera porcheria pubblicare i nomi di tutti questi omosessuali senza uno straccio di prova. E quand'anche ci fossero le prove sarebbe una porcheria pubblicarli senza il loro consenso. E magari qualche nome l'ho tirato pure fuori a caso per fare dieci, numero tondo. E molti di voi già si sono scandalizzati quando guegli altri stronzi hanno pubblicato l'altra lista.
Ma a me, che mi frega? Avete alzato la voce, non ve lo ricordate?
Trivio
Un bel dialogo, quello tra il Responsabile Scilipoti e il giornalista del TG3 Danilo Scarrone.
Quest'ultimo chiede chiede al primo: «Ha letto Standard & Poor?», frase che ha lo stesso livello di accuratezza logico-grammaticale di «Ha letto Banca Papolare di Misano?».
Scilipoti risponde: «no, non l'ho letto», utilizzando correttamente il maschile ritenendo forse trattarsi di un libro appena uscito (e comunque, nel dubbio sul genere del complemento, è corretto l'utilizzo del maschile).
Il giornalista, insinuante, chiede a Scilipoti se egli sappia cosa sia questo "Standard and Poor", esponendosi alla presa per il culo dell'interlocutore che lo prega di dargli l'agognata spiegazione. Lo Scarrone, tradendo l'origine siciliana, risponde «è unn'agenzzia di rrrrrAAting» (e qui cominciamo a comprendere: per il sedicente giornalista «agenzia» equivale a «notizia», e quindi è comprensibile che nella sua ottica miope si possa "leggere un'agenzia").
Il dialogo si chiude sull'immagine di Scilipoti che prende per il culo il giornalista, e questi così fesso da non accorgersene neppure.
Epic Win di Scilipoti, Fail di Scarrone, Epic Fail dello schiavetto di Repubblica che ripassa il tutto senza un briciolo di comprensione del testo, del contesto e del tono.
Trivio e quadrivio
Non è certo una novità che nella nostra formazione culturale (e non parlo solo dell'Italia, ma di tutto l'Occidente se non del mondo intiero) si ritenga molto più importante articolare correttamente un verbo che saper moltiplicare due numeri.
La stessa gente che alza il sopracciglio o addirittura [sviene] di fronte ad un «pò», ad un «qual'è» o addirittura di fronte ad un «ad un» non si fa nessun problema ad ammettere che non ha alcuna idea di quanto incida sul prezzo finale un aumento dell'IVA del 5%, quale quello avvenuto con l'ultima finanziaria; e, anzi, rivendica con orgoglio tale ignoranza.
Il Corriere della Sera, con un articolo firmato dalla Redazione online (chissà, magari lo stesso pivello, a dimostrazione che la nostra giornalista scientifica preferita ha lasciato degni epigoni in Via Solferino) oggi spara questa bella verità:
Chi scrive, sia pur online per una rubrica di (pseudo)scienza dovrebbe avere il buon gusto di conoscere l'ABC, esattamente come chi cura una rubrica di cultura cinese dovrebbe avere non dico una conoscenza madrelingua del mandarino, ma perlomeno essere in grado di distinguere un ideogramma cinese da uno coreano.
E non si dica che si tratta di un errore, un refuso, una distrazione.
Un giornalista può essere un pò stanco, e commettere un refuso. Ma qual'è il giornalista, o l'uomo della strada, che potrebbe permettersi di scrivere frasi come:
- Oggi ho trovato traffico: alla fine ho timbrato con tre chilometri di ritardo.
- Signo', so' venuti cinquanta secondi di trippa in più. Che faccio, lascio?
- E la benzina rincara di cinque kelvin per mole. Dove andremo a finire, signora mia?
La stessa gente che alza il sopracciglio o addirittura [sviene] di fronte ad un «pò», ad un «qual'è» o addirittura di fronte ad un «ad un» non si fa nessun problema ad ammettere che non ha alcuna idea di quanto incida sul prezzo finale un aumento dell'IVA del 5%, quale quello avvenuto con l'ultima finanziaria; e, anzi, rivendica con orgoglio tale ignoranza.
Il Corriere della Sera, con un articolo firmato dalla Redazione online (chissà, magari lo stesso pivello, a dimostrazione che la nostra giornalista scientifica preferita ha lasciato degni epigoni in Via Solferino) oggi spara questa bella verità:
C'è la conferma ufficiale: la velocità della luce è stata superata. I neutrini sono più veloci della luce di circa 60 nanosecondi.Sono quelle cose che fanno girare i cosiddetti non solo a chi abbia finito il liceo scientifico, ma persino a chi si sia limitato alla lettura di qualche Urania.
Chi scrive, sia pur online per una rubrica di (pseudo)scienza dovrebbe avere il buon gusto di conoscere l'ABC, esattamente come chi cura una rubrica di cultura cinese dovrebbe avere non dico una conoscenza madrelingua del mandarino, ma perlomeno essere in grado di distinguere un ideogramma cinese da uno coreano.
E non si dica che si tratta di un errore, un refuso, una distrazione.
Un giornalista può essere un pò stanco, e commettere un refuso. Ma qual'è il giornalista, o l'uomo della strada, che potrebbe permettersi di scrivere frasi come:
- Oggi ho trovato traffico: alla fine ho timbrato con tre chilometri di ritardo.
- Signo', so' venuti cinquanta secondi di trippa in più. Che faccio, lascio?
- E la benzina rincara di cinque kelvin per mole. Dove andremo a finire, signora mia?
giovedì 22 settembre 2011
I.G.E.
Che l'Adusbef non perda occasione per sollevare allarmi campati in aria lo sapevamo già; e quanto alla Federconsumatori ne ha già scritto lo Scorfano, e quindi io mi limito a rilevare che al loro sito manca solo un'allegra musichetta MIDI per godere di quel sapore retrò che fa tanto IE4 .
Non ci saremmo aspettati, tuttavia, che queste sedicenti associazioni riuscissero a trovare la sponda di un giornale abbastanza squalificato per prendere per vere le loro affermazioni; ma dato che si trattava di dar contro al governo per gli effetti della manovra economica, ecco che Repubblica subito ha risposto all'appello: al Direttore, al Fondatore e all'Editore non riesce proprio a entrare in mente che si potrebbe contrastare efficacemente Berlusconi anche solo scrivendo cose vere anziché infarcendo di cazzate ogni articolo.
Ecco quindi che ti salta fuori nella pagina dell'economia un pezzo che ci fa fare un salto all'indietro di quasi quarant'anni, riportandoci ai bei tempi di Ezio Vanoni, quando Berta filava e vigeva l'I.G.E. (Imposta Generale sulle Entrate), espressione di una economia quasi preindustriale nella quale ciascun passaggio produttivo era penalizzato dall'applicazione indiscriminata dell'imposta sull'intero prezzo.
Poi i modelli economici sono cambiati: si è passati dalla fabbrica totale, nella quale si facevano i telai, i cerchioni e le selle, a modelli produttivi in cui operatori specializzati fanno ciascuno un pezzo della lavorazione. Con molto ritardo rispetto all'evoluzione del sistema produttivo, nel 1973 nacque l'I.V.A., che come tutti sanno si "scarica", di talché anche se i passaggi produttivi sono uno, venti o duecento, alla fin fine l'effetto sul consumatore finale è il medesimo.
Ecco: Adusbef, Federconsumatori e Repubblica sono riusciti a riportarci ai tempi della fonovaligia Geloso; e noi consumatori e lettori siamo grati per questa bella divagazione proustiana.
Non ci saremmo aspettati, tuttavia, che queste sedicenti associazioni riuscissero a trovare la sponda di un giornale abbastanza squalificato per prendere per vere le loro affermazioni; ma dato che si trattava di dar contro al governo per gli effetti della manovra economica, ecco che Repubblica subito ha risposto all'appello: al Direttore, al Fondatore e all'Editore non riesce proprio a entrare in mente che si potrebbe contrastare efficacemente Berlusconi anche solo scrivendo cose vere anziché infarcendo di cazzate ogni articolo.
Ecco quindi che ti salta fuori nella pagina dell'economia un pezzo che ci fa fare un salto all'indietro di quasi quarant'anni, riportandoci ai bei tempi di Ezio Vanoni, quando Berta filava e vigeva l'I.G.E. (Imposta Generale sulle Entrate), espressione di una economia quasi preindustriale nella quale ciascun passaggio produttivo era penalizzato dall'applicazione indiscriminata dell'imposta sull'intero prezzo.
Poi i modelli economici sono cambiati: si è passati dalla fabbrica totale, nella quale si facevano i telai, i cerchioni e le selle, a modelli produttivi in cui operatori specializzati fanno ciascuno un pezzo della lavorazione. Con molto ritardo rispetto all'evoluzione del sistema produttivo, nel 1973 nacque l'I.V.A., che come tutti sanno si "scarica", di talché anche se i passaggi produttivi sono uno, venti o duecento, alla fin fine l'effetto sul consumatore finale è il medesimo.
Ecco: Adusbef, Federconsumatori e Repubblica sono riusciti a riportarci ai tempi della fonovaligia Geloso; e noi consumatori e lettori siamo grati per questa bella divagazione proustiana.
martedì 20 settembre 2011
C'è molta crisi.
Questo qui è un vestitino in vetrina in via Montenapoleone.
C'è vicino il cartellino del prezzo, secondo il quale l'oggettino viene via per 12.700 euri.
So bene di essere un vecchio moralista che di certe cose non ne capisce nulla però, ecco, a me il vederlo mi ha fatto un po' girare i coglioni.
C'è vicino il cartellino del prezzo, secondo il quale l'oggettino viene via per 12.700 euri.
So bene di essere un vecchio moralista che di certe cose non ne capisce nulla però, ecco, a me il vederlo mi ha fatto un po' girare i coglioni.
(ride)
Ringrazio Sir Squonk per essersi sobbarcato l'onere di leggere le trascrizioni di parte delle 100.000 intercettazioni che hanno riguardato il giro di donne del Presidente del Consiglio senza assopirsi (del resto egli soggre notoriamente di insonnia), e soprattutto per aver mantenuto un grado di attenzione sufficiente a notare quel (ride) che nei brogliacci segue la frase «perché vedi io a tempo perso faccio il primo ministro» e che la giornalista Sarzanini Fiorenza si è dimenticata di evidenziare, al pari dei titolisti dei vari quotidiani che hanno creduto opportuno riempire una decina abbondante di pagine copincollando verbali.
L'altro giorno avevo già fatto timidamente notare che per interpretare la frase: «vi scagionerò tutti» come indice di colpevolezza ci vuole una bella dose di sospensione del senso del ridicolo, o perlomeno una crassa ignoranza del vocabolario. Oggi non posso sottacere il fatto che essere chiamati a rispondere di una frase che non costituisce né prova alcun reato, detta nel corso di una conversazione privata con un conoscente, è cosa degna della Gestapo; e se la frase viene estrapolata da un contesto e viene evidenziata a caratteri di scatola, sottacendo il fatto che costituisse un motto di spirito, allora siamo nel campo della falsificazione bella e buona: più o meno dalle parti di quei poliziotti centramericani che ti ficcano la coca nelle tasche del giubbotto per fare un arresto in più.
L'altro giorno avevo già fatto timidamente notare che per interpretare la frase: «vi scagionerò tutti» come indice di colpevolezza ci vuole una bella dose di sospensione del senso del ridicolo, o perlomeno una crassa ignoranza del vocabolario. Oggi non posso sottacere il fatto che essere chiamati a rispondere di una frase che non costituisce né prova alcun reato, detta nel corso di una conversazione privata con un conoscente, è cosa degna della Gestapo; e se la frase viene estrapolata da un contesto e viene evidenziata a caratteri di scatola, sottacendo il fatto che costituisse un motto di spirito, allora siamo nel campo della falsificazione bella e buona: più o meno dalle parti di quei poliziotti centramericani che ti ficcano la coca nelle tasche del giubbotto per fare un arresto in più.
domenica 18 settembre 2011
Ingegnere, risponda
Perché col Paese in crisi il Suo giornale dedica una dozzina abbondante di pagine al giorno a Lavitola e Tarantini e un paio scarse a a Trichet e Barroso?
sabato 17 settembre 2011
Parla con me
Io Parla con me l'o visto un paio di volte.
Una volta perché la sfatta conduttrice chiattona* intervistava un'amica mia.
L'altra volte perché avevo una febbre così alta da non riuscire ad alzarmi dal divano per prendere il telecomando e girare su Protestantesimo per farmi quattro risate in allegria.
In entrambe le occasioni mi sono annoiato mortalmente, e nella prima mi sono pure incazzato, perché di tutte le cose interessanti che so che la mia amica avrebbe potuto dire, manco una gli era stata chiesta.
Diciamo pure che non mi mancherà, ecco.
* spero che a nessuno di coloro che prendono in giro Brunetta e Berlusconi per i loro problemi di statura ed erettili possa venire in mente di contestare questa verità oggettiva.
Una volta perché la sfatta conduttrice chiattona* intervistava un'amica mia.
L'altra volte perché avevo una febbre così alta da non riuscire ad alzarmi dal divano per prendere il telecomando e girare su Protestantesimo per farmi quattro risate in allegria.
In entrambe le occasioni mi sono annoiato mortalmente, e nella prima mi sono pure incazzato, perché di tutte le cose interessanti che so che la mia amica avrebbe potuto dire, manco una gli era stata chiesta.
Diciamo pure che non mi mancherà, ecco.
* spero che a nessuno di coloro che prendono in giro Brunetta e Berlusconi per i loro problemi di statura ed erettili possa venire in mente di contestare questa verità oggettiva.
venerdì 16 settembre 2011
Do the right thing
Torniamo ad occuparci di Beppe Severgnini e della sua iniziativa volta a rieducare i malandrini che parcheggiano dove non dovrebbero.
Se girate in rete, ma anche se vi limitate a guardare i commenti all'articolo del Corriere, troverete un gran dibattito sul contemperamento tra diritto alla privacy e diritto di cronaca (se poi avete lo stomaco troppo debole per i commenti del Corriere, potete limitarvi ai commenti da Mantellini, che rispecchiano le medesime posizioni ma con un maggior rispetto per l'ortografia).
tutte cose belle che tuttavia, come spesso accade, non centrano il bersaglio, anche se per comprenderne il motivo occorre un minimo di ragionamento (non vorrei che ciò spaventasse Severgnini, ma mi tranquillizzo pensando che comunque non sarà arrivato fin qua).
Cambiamo giornale, quindi, e andiamo su Repubblica, che ci racconta di quest'altra bella iniziativa del presidente di un'associazione di froci (absit iniuria verbis) che ha messo su un bel sito con il quale intende fare un po' di outing, vale a dire pubblicare a loro insaputa nomi e cognomi di 10 politici (per iniziare) che predicano in un modo e poi sotto le lenzuola razzolano in un altro.
Nel sito messo su da quel genio, che dev'essersi sentito un nuovo Assange de' noantri, si legge: «L’outing (termine che viene usato in modo sbagliato dai giornalisti italiani che sono in molti casi ignoranti e pigri) è uno strumento politico duro ma giusto». Anche qui due aggettivi che cercano di contemperarsi: duro e giusto; ma se sul duro non ci sono molti dubbi (salvo che taluno pensi che non sia "duro" l'effetto di veder pubblicato il proprio nome come ricchione quando si tiene famiglia), il "giusto" è tale solo perché l'ideatore dell'iniziativa la pensa così.
Proviamo a tirare le fila.
Che cosa hanno in comune tutte queste persone? Semplicemente, credono di essere nel giusto, e che coloro che non pensano come loro sbaglino. E, dato che loro hanno ragione e gli altri torto, ritengono di avere il diritto di fare ciò che a loro piace, senza preoccuparsi delle conseguenze delle loro azioni.
Ma, questo è il punto veramente importante, il problema non è di essere o meno nel giusto, bensì di saper valutare le conseguenze di ciò che si fa.
Severgnini paladino della giustizia. Mancuso paladino della giustizia. Assange paladino della giustizia. Aguirre paladino della giustizia. Peccato che per Severgnini, Mancuso, Assange e Aguirre il concetto di giustizia coincida con l'idea di giustizia che loro hanno in mente.
Devastati da un ego ipertrofico, tutti questi personaggi hanno perso la capacità di confrontare il proprio io con il mondo esterno, tal quali i bambini che fino ai tre-quattro anni pensano che l'intero mondo sia un'estensione di essi stessi e quindi al loro servizio.
Poi i bambini si scontrano con il principio di realtà, e comprendono che il mondo non è il loro volere; ma taluni non riescono a superare quella fase, e continuano a ritenersi unici, giusti e irripetibili.
Di solito poi diventano così:
o così:
Se girate in rete, ma anche se vi limitate a guardare i commenti all'articolo del Corriere, troverete un gran dibattito sul contemperamento tra diritto alla privacy e diritto di cronaca (se poi avete lo stomaco troppo debole per i commenti del Corriere, potete limitarvi ai commenti da Mantellini, che rispecchiano le medesime posizioni ma con un maggior rispetto per l'ortografia).
tutte cose belle che tuttavia, come spesso accade, non centrano il bersaglio, anche se per comprenderne il motivo occorre un minimo di ragionamento (non vorrei che ciò spaventasse Severgnini, ma mi tranquillizzo pensando che comunque non sarà arrivato fin qua).
Cambiamo giornale, quindi, e andiamo su Repubblica, che ci racconta di quest'altra bella iniziativa del presidente di un'associazione di froci (absit iniuria verbis) che ha messo su un bel sito con il quale intende fare un po' di outing, vale a dire pubblicare a loro insaputa nomi e cognomi di 10 politici (per iniziare) che predicano in un modo e poi sotto le lenzuola razzolano in un altro.
Nel sito messo su da quel genio, che dev'essersi sentito un nuovo Assange de' noantri, si legge: «L’outing (termine che viene usato in modo sbagliato dai giornalisti italiani che sono in molti casi ignoranti e pigri) è uno strumento politico duro ma giusto». Anche qui due aggettivi che cercano di contemperarsi: duro e giusto; ma se sul duro non ci sono molti dubbi (salvo che taluno pensi che non sia "duro" l'effetto di veder pubblicato il proprio nome come ricchione quando si tiene famiglia), il "giusto" è tale solo perché l'ideatore dell'iniziativa la pensa così.
Proviamo a tirare le fila.
Che cosa hanno in comune tutte queste persone? Semplicemente, credono di essere nel giusto, e che coloro che non pensano come loro sbaglino. E, dato che loro hanno ragione e gli altri torto, ritengono di avere il diritto di fare ciò che a loro piace, senza preoccuparsi delle conseguenze delle loro azioni.
Ma, questo è il punto veramente importante, il problema non è di essere o meno nel giusto, bensì di saper valutare le conseguenze di ciò che si fa.
Severgnini paladino della giustizia. Mancuso paladino della giustizia. Assange paladino della giustizia. Aguirre paladino della giustizia. Peccato che per Severgnini, Mancuso, Assange e Aguirre il concetto di giustizia coincida con l'idea di giustizia che loro hanno in mente.
Devastati da un ego ipertrofico, tutti questi personaggi hanno perso la capacità di confrontare il proprio io con il mondo esterno, tal quali i bambini che fino ai tre-quattro anni pensano che l'intero mondo sia un'estensione di essi stessi e quindi al loro servizio.
Poi i bambini si scontrano con il principio di realtà, e comprendono che il mondo non è il loro volere; ma taluni non riescono a superare quella fase, e continuano a ritenersi unici, giusti e irripetibili.
Di solito poi diventano così:
o così:
Congiunzioni astrali
Oggi lo Scorfano ci racconta com'è bello insegnare in una classe di 28 ragazzi, mentre l'estate sta finendo.
giovedì 15 settembre 2011
Non c'è limite al peggio, ma si può sempre scavare per raccogliere altra preziosa merda
La deriva materna (nel senso di scuola dell'infanzia) che la nostra stampa ha preso è oramai irreversibile.
So bene di essere divenuto una macchietta, uno di quei vecchietti dell'ospizio che ripetono incessantemente la stessa frase da quando si svegliano a quando vanno a dormire, ma ahimè non riesco proprio a trattenermi.
E' con vera tristezza che mi rendo conto, giorno dopo giorno, di come le più elementari regole di civiltà siano state dimenticate, lasciando posto a un bailamme in cui chi l'unico vincitore degli scontri dialettici è chi urla più forte e chi la spara più grossa.
Berlusconi (che, a scanso di equivoci lo sottolineo, a mio parere ha fatto una quantità di porcherie) è stato messo in croce per aver datto al telefono con un conoscente (non in un discorso pubblico o in un comizio: al telefono con un conoscente) che questo è un paese di merda: cosa che chiunque di noi dice almeno una volta alla settimana, non foss'altro perché il paese è guidato da Berlusconi.
E viene considerato normale indignarsi contro di lui per una cosa che tutti diciamo.
Lo stesso Berlusconi è stato messo in croce perché si dice che abbia fatto dei commenti poco lusinghieri sull'aspetto fisico della cancelliera tedesca.
E coloro che lo mettono in croce sono gli stessi che lo chiamano psiconano e che prendono per il culo Brunetta
Oggi i giornali danno ampio spazio al contenuto della telefonata che ha fatto con Lavitola, quella in cui gli ha detto di restare fuori dall'Italia, e virgolettano la frase «vi scagionerò tutti» come se in quella frase ci fosse la prova della sua colpevolezza: e allora, facendo uno sforzo di immaginazione e supponendo per un attimo che veramente Berlusconi abbia dato soldi a Tarantini per ispirito di beneficienza, mi chiedo che cazzo dovrebbe dire uno al telefono per essere ritenuto innocente da Marco Travaglio.
Qualche giorno fa ho comperato dei biglietti per un viaggio che farò con un paio di amici, e questi mi restituiranno la loro quota facendomi un bonifico. Poniamo il caso che un PM mi accusi di aver loro estorto dei denari: non sarebbe naturale che il mio amico Dario al telefono mi dicesse «ma è una cazzata! Quel PM è impazzito! Non preoccuperti che quando sarò sentito ti scagionerò»?
In questo quadro si è perso completamente la capacità di distinguere tra accusato e colpevole: una distinzione che sta alla base di tutta la civiltà giuridica e che costituisce la fondamentale barriera a tutela della libertà di ciascuno.
Stamane, espletando le funzioni corporali del mattino, leggevo questo passo nell'articolo di Fiorenza Sarzanini su Io Donna: «Di fronte a questa realtà sono sempre più numerosi gli specialisti che ritengono necessaria la modifica dell'articolo 612-bis del Codice penale che punisce, appunto, gli atti persecutori, ma non prevede l'obbligo per l'indagato di sottoporsi a un "percorso di risocializzazione orientato"». Notata la parolina? Indagato, non condannato e nappure imputato. Può essere un lapsus, ma è un lapsus significativo.
Stiamo tornando, pacatamente e serenamente, a quegli anni in cui bastava essere accusati di qualche malefatta dalla "voce pubblica" per essere sottoposti all'ammonizione di P.S. o addirittura al confino.
Dopo quegli anni è venuto il 25 aprile, il 2 giugno e la Costituzione, che dice che la voce pubblica non basta e che ci vogliono le prove, prima di toccare la libertà altrui.
Tremonti voleva abolire il 25 aprile e il 2 giugno come giorni di vacanza: tanta sinistra sta cercando di conservare la vacanza mandando al macero il significato profondo di quei giorni. Francamente, dovendo scegliere preferisco di gran lunga Tremonti.
So bene di essere divenuto una macchietta, uno di quei vecchietti dell'ospizio che ripetono incessantemente la stessa frase da quando si svegliano a quando vanno a dormire, ma ahimè non riesco proprio a trattenermi.
E' con vera tristezza che mi rendo conto, giorno dopo giorno, di come le più elementari regole di civiltà siano state dimenticate, lasciando posto a un bailamme in cui chi l'unico vincitore degli scontri dialettici è chi urla più forte e chi la spara più grossa.
Berlusconi (che, a scanso di equivoci lo sottolineo, a mio parere ha fatto una quantità di porcherie) è stato messo in croce per aver datto al telefono con un conoscente (non in un discorso pubblico o in un comizio: al telefono con un conoscente) che questo è un paese di merda: cosa che chiunque di noi dice almeno una volta alla settimana, non foss'altro perché il paese è guidato da Berlusconi.
E viene considerato normale indignarsi contro di lui per una cosa che tutti diciamo.
Lo stesso Berlusconi è stato messo in croce perché si dice che abbia fatto dei commenti poco lusinghieri sull'aspetto fisico della cancelliera tedesca.
E coloro che lo mettono in croce sono gli stessi che lo chiamano psiconano e che prendono per il culo Brunetta
Oggi i giornali danno ampio spazio al contenuto della telefonata che ha fatto con Lavitola, quella in cui gli ha detto di restare fuori dall'Italia, e virgolettano la frase «vi scagionerò tutti» come se in quella frase ci fosse la prova della sua colpevolezza: e allora, facendo uno sforzo di immaginazione e supponendo per un attimo che veramente Berlusconi abbia dato soldi a Tarantini per ispirito di beneficienza, mi chiedo che cazzo dovrebbe dire uno al telefono per essere ritenuto innocente da Marco Travaglio.
Qualche giorno fa ho comperato dei biglietti per un viaggio che farò con un paio di amici, e questi mi restituiranno la loro quota facendomi un bonifico. Poniamo il caso che un PM mi accusi di aver loro estorto dei denari: non sarebbe naturale che il mio amico Dario al telefono mi dicesse «ma è una cazzata! Quel PM è impazzito! Non preoccuperti che quando sarò sentito ti scagionerò»?
In questo quadro si è perso completamente la capacità di distinguere tra accusato e colpevole: una distinzione che sta alla base di tutta la civiltà giuridica e che costituisce la fondamentale barriera a tutela della libertà di ciascuno.
Stamane, espletando le funzioni corporali del mattino, leggevo questo passo nell'articolo di Fiorenza Sarzanini su Io Donna: «Di fronte a questa realtà sono sempre più numerosi gli specialisti che ritengono necessaria la modifica dell'articolo 612-bis del Codice penale che punisce, appunto, gli atti persecutori, ma non prevede l'obbligo per l'indagato di sottoporsi a un "percorso di risocializzazione orientato"». Notata la parolina? Indagato, non condannato e nappure imputato. Può essere un lapsus, ma è un lapsus significativo.
Stiamo tornando, pacatamente e serenamente, a quegli anni in cui bastava essere accusati di qualche malefatta dalla "voce pubblica" per essere sottoposti all'ammonizione di P.S. o addirittura al confino.
Dopo quegli anni è venuto il 25 aprile, il 2 giugno e la Costituzione, che dice che la voce pubblica non basta e che ci vogliono le prove, prima di toccare la libertà altrui.
Tremonti voleva abolire il 25 aprile e il 2 giugno come giorni di vacanza: tanta sinistra sta cercando di conservare la vacanza mandando al macero il significato profondo di quei giorni. Francamente, dovendo scegliere preferisco di gran lunga Tremonti.
Formule ricorsive
Oggi Repubblica dà spazio in seconda pagina alla notizia che i quotidiani tedeschi riferiscono che secondo alcuni pettegolezzi Berlusconi avrebbe detto delle brutte cose sulla Merkel.
Nessuno tuttavia ha ancora visto uno straccio di prova, e se anche la prova ci fosse, continuo a trovare ingiustificabile che si attacchi l'uomo per aver detto in una conversazione privata una cosa che tutti noi aabbiamo pensato, guardando la Merkel in tv, e che molti di noi hanno detto al telefono nel corso di conversazioni private.
martedì 13 settembre 2011
Lezioni di logica formale
«A me non piace far arrestare la gente», disse quello che voleva sbattere in galera gli immigrati, e prima di essi tutti coloro che usano sostanze stupefacenti anche leggere.
Il che significa che:
A) Bossi ha cambiato idea;
B) Bossi è un po' una banderuola;
C) per Bossi negri e drogati non sono "gente".
Il che significa che:
A) Bossi ha cambiato idea;
B) Bossi è un po' una banderuola;
C) per Bossi negri e drogati non sono "gente".
La dimostrazione dell'inesistenza di Dio
Per quanto possa dispiacere a Odifreddi, è da qualche secolo che risulta chiaro, per chiunque abbia condotto degli studi liceali, anche con scarso profitto, che non esiste alcun modo per dimostrare l'inesistenza di Dio.
Allo stato non abbiamo neppure modo di dimostrarne l'esistenza, ma basterebbe che nei cieli del mondo intero comparisse un giorno un vecchio con barba e gran baffoni annunciante il giudizio universale per sopperire al problema (vero è che ciò potrebbe non soddisfare qualche filosofo, ma dal punto di vista pragmatico dell'uomo della strada credo che l'apparizione sarebbe sufficiente per chiunque, salvo che per il buon Odifreddi).
L'inesistenza di Dio invece è tutt'un'altra questione: è chiaro (perlomeno è chiaro per chi abbia studiato giurisprudenza) che spetta a chi afferma una certa cosa dimostrarne la verità, non viceversa.
Se io cito in giudizio il mio vicino perché mi rovina la vita con schiamazzi notturni, sta a me provare che egli tromba rumorosamente, non a lui fornire la prova del contrario.
Se affermo che la mia ex amante mi ha rigato la macchina, sta a me portare le prove, non a lei dimostrare di non averlo fatto.
Se vengo chiamato in giudizio per aver stuprato una cameriera, sta a chi mi accusa portare le prove della violenza, non a me dimostrare che lei era consenziente. E non è che il fatto che tutti i giornali mi abbiano dato contro, facendomi apparire come una bestia, inverta questo mio elementare diritto: perché sappiamo bene che i giornali e l'opinione pubblica sono, come dire, malleabili.
Dio esiste più o meno dall'origine dell'umanità, sia pur con vari nomi e aspetti: ma ciò non toglie che l'agnostico si senta nel buon diritto di attendere che qualcuno ne riesca a dimostrare l'esistenza: non basta il decorso dei millenni ad invertire questo elementare onere della prova. Liberissimi i credenti di credere, ma non pretendano che chi non crede si convinca per il solo fatto che la maggioranza degli uomini crede.
Questi concetti certo non sono fuori dalla portata del medio cittadino: possono apparire antipatici o irriguardosi, ma comunque ritengo assai difficile confutarli. Eppure non sono poi così chiari, persino nella testa di persone che hanno studiato.
Luca Sofri, per dire, si spende in un lungo e tedioso pippone che si sarebbe potuto risparmiare compulsando un po' di filosofia tedesca del XVIII secolo.
La questione è questa: alla domanda se sia o meno favorevole al limite dei due mandati parlamentari (una vecchia passione, questa della limitazione dei mandati, dei giovani-oramai-un-po'-vecchi), Fassino risponde che lui preferirebbe tre, ma comunque ritiene necessario che siano previste delle deroghe. E aggiunge, per esemplificare questa necessità che la regola, se adottata, lo sia cum grano salis: «se avessimo avuto il limite a 2 mandati, Napolitano non sarebbe presidente della Repubblica».
Il Sofri si spende per confutare questa osservazione, arrivando a questionare sull'oggettività del limite dei 18 anni per la maggiore età: e per fortuna che non ci ammannisce l'argomentazione che i 130 Km/h in autostrada non sono suscettibili di diventare 140 secondo l'umore dell'agente di pattuglia.
Ma ha torto: irrimediabilmente torto. Perché Fassino stava semplicemente dicendo, sia pure in maniera educata, che il limite dei due mandati è una cazzata: e sta a chi lo vorrebbe imporre dimostrare che si tratterebbe di una riforma giusta ed utile, non viceversa.
Se avessimo il limite dei due mandati parlamentari, probabilmente Napolitano non sarebbe Presidente della Repubblica: ma sta a chi vuole introdurre questa riforma dimostrare che al Quirinale oggi ci sarebbe Gaetano Brambilla, e che questi sarebbe meglio di Napolitano. Sofri pretenderebbe invece che chi è contrario al limite dei due mandati si faccia carico di dimostrare che Napolitano sarebbe il migliore di tutti i Presidenti possibili. Una prova diabolica, e anche in tal caso la dimostrazione non gli basterebbe.
Abbiamo deciso di stabilire buone regole generali e di rispettarle, senza trucchi, scrive.
Ma quell'aggettivo, «buone» rimane lì, appeso nel discorso, senza alcuna giustificazione che non sia il fatto che Renzi, Civati e compagnia cantante pensano che tali regole siano, appunto, buone.
Come pretendere che Odifreddi creda in Dio perché il Papa dice che Dio esiste. O che il Papa diventi ateo perché ciò farebbe piacere a Odifreddi.
Allo stato non abbiamo neppure modo di dimostrarne l'esistenza, ma basterebbe che nei cieli del mondo intero comparisse un giorno un vecchio con barba e gran baffoni annunciante il giudizio universale per sopperire al problema (vero è che ciò potrebbe non soddisfare qualche filosofo, ma dal punto di vista pragmatico dell'uomo della strada credo che l'apparizione sarebbe sufficiente per chiunque, salvo che per il buon Odifreddi).
L'inesistenza di Dio invece è tutt'un'altra questione: è chiaro (perlomeno è chiaro per chi abbia studiato giurisprudenza) che spetta a chi afferma una certa cosa dimostrarne la verità, non viceversa.
Se io cito in giudizio il mio vicino perché mi rovina la vita con schiamazzi notturni, sta a me provare che egli tromba rumorosamente, non a lui fornire la prova del contrario.
Se affermo che la mia ex amante mi ha rigato la macchina, sta a me portare le prove, non a lei dimostrare di non averlo fatto.
Se vengo chiamato in giudizio per aver stuprato una cameriera, sta a chi mi accusa portare le prove della violenza, non a me dimostrare che lei era consenziente. E non è che il fatto che tutti i giornali mi abbiano dato contro, facendomi apparire come una bestia, inverta questo mio elementare diritto: perché sappiamo bene che i giornali e l'opinione pubblica sono, come dire, malleabili.
Dio esiste più o meno dall'origine dell'umanità, sia pur con vari nomi e aspetti: ma ciò non toglie che l'agnostico si senta nel buon diritto di attendere che qualcuno ne riesca a dimostrare l'esistenza: non basta il decorso dei millenni ad invertire questo elementare onere della prova. Liberissimi i credenti di credere, ma non pretendano che chi non crede si convinca per il solo fatto che la maggioranza degli uomini crede.
Questi concetti certo non sono fuori dalla portata del medio cittadino: possono apparire antipatici o irriguardosi, ma comunque ritengo assai difficile confutarli. Eppure non sono poi così chiari, persino nella testa di persone che hanno studiato.
Luca Sofri, per dire, si spende in un lungo e tedioso pippone che si sarebbe potuto risparmiare compulsando un po' di filosofia tedesca del XVIII secolo.
La questione è questa: alla domanda se sia o meno favorevole al limite dei due mandati parlamentari (una vecchia passione, questa della limitazione dei mandati, dei giovani-oramai-un-po'-vecchi), Fassino risponde che lui preferirebbe tre, ma comunque ritiene necessario che siano previste delle deroghe. E aggiunge, per esemplificare questa necessità che la regola, se adottata, lo sia cum grano salis: «se avessimo avuto il limite a 2 mandati, Napolitano non sarebbe presidente della Repubblica».
Il Sofri si spende per confutare questa osservazione, arrivando a questionare sull'oggettività del limite dei 18 anni per la maggiore età: e per fortuna che non ci ammannisce l'argomentazione che i 130 Km/h in autostrada non sono suscettibili di diventare 140 secondo l'umore dell'agente di pattuglia.
Ma ha torto: irrimediabilmente torto. Perché Fassino stava semplicemente dicendo, sia pure in maniera educata, che il limite dei due mandati è una cazzata: e sta a chi lo vorrebbe imporre dimostrare che si tratterebbe di una riforma giusta ed utile, non viceversa.
Se avessimo il limite dei due mandati parlamentari, probabilmente Napolitano non sarebbe Presidente della Repubblica: ma sta a chi vuole introdurre questa riforma dimostrare che al Quirinale oggi ci sarebbe Gaetano Brambilla, e che questi sarebbe meglio di Napolitano. Sofri pretenderebbe invece che chi è contrario al limite dei due mandati si faccia carico di dimostrare che Napolitano sarebbe il migliore di tutti i Presidenti possibili. Una prova diabolica, e anche in tal caso la dimostrazione non gli basterebbe.
Abbiamo deciso di stabilire buone regole generali e di rispettarle, senza trucchi, scrive.
Ma quell'aggettivo, «buone» rimane lì, appeso nel discorso, senza alcuna giustificazione che non sia il fatto che Renzi, Civati e compagnia cantante pensano che tali regole siano, appunto, buone.
Come pretendere che Odifreddi creda in Dio perché il Papa dice che Dio esiste. O che il Papa diventi ateo perché ciò farebbe piacere a Odifreddi.
lunedì 12 settembre 2011
Pan dei morti
Dolce tipicamente milanese al pari del panettone, per quanto come esso poi esportato e prodotto un po' in tutta Italia.
Viene consumato in occasione della commemorazione dei defunti, che come tutti sanno cade il 2 di novembre.
Da rammentarsi quando l'espressione «non mangiare il panettone» appare viziata da eccessivo ottimismo.
Viene consumato in occasione della commemorazione dei defunti, che come tutti sanno cade il 2 di novembre.
Da rammentarsi quando l'espressione «non mangiare il panettone» appare viziata da eccessivo ottimismo.
Un Grande Paese Moderno
Molti di noi pensano di vivere in un Paese grande e moderno, che certo ha il suo bel po' di problemi ma che in fondo dopo un lunghissimo dopoguerra è riuscito a scrollarsi di dosso, quasi ovunque: la polvere dei campetti dell'oratorio, le vedove nerovestite vita natural durante, le maghe guaritrici, i padri padroni.
Anche nel campo della morale privata sembra che il nostro sia ormai un Paese assai diverso da quello rappresentato da quella provincia trevigiana o maceratese nella quale tutto si può fare con chiunque, purché nessuno lo possa mai venire a sapere: oggi abbiamo i sexy shop, vediamo in TV signore poco vestite anche all'ora di colazione e se vogliamo vedere qualcosa di più ci abbiamo la internet, con autorevoli siti quali www.repubblica.it o www.lastampa.it che ci offrono quotidianamente tante immagini tra le quali scegliere quella migliore per la sega giornaliera.
Bello vivere in un Grande Paese Moderno, vero? E infatti ce la raccontiamo, comperiamo i preservativi e i lubrificanti all'Esselunga e in altre catene ci sono perfino i gel stimolanti e gli anelli vibratori. Siamo, insomma, un Paese libero dopo duemila anni di repressione sessuofobica, nel corso dei quali l'unico motivo lecito per fare del buon sesso, perfino con il proprio coniuge, era quello di riprodursi.
Poi arriva un giorno nel quale succede qualcosa di diverso. Drammatico, bizzarro e soprattutto diverso dal solito: un signore, un serio professionista, nel corso di un gioco erotico ammazza una povera ragazza e ne manda in fin di vita un'altra. Cose che succedono: non dovrebbero succedere ma fanno parte della vita, come gli incidenti in autostrada.
Ed ecco che per giorni e giorni i quotidiani ci sfracellano i marroni con nodi, corde, pesi, comunità, patricolari. Sedicenti maestri di pensiero ci spiegano che le corde sono una metafora della precarietà della vita, e i nodi una reazione alla mancanza di autostima. Giornalisti precari si compiacciono di mostrare la banalità della perversione, affiancando manette e Monopoli in un pastone che non serve a nulla, salvo pubblicizzare un paio di circoli ARCI e soprattutto épater le bourgeois rassicurandolo allo stesso tempo: facendogli ventilare davanti al naso una vita meno di merda di quella noia mortale che conduce, ma consolandolo allo stesso tempo con il prezzo che potrebbe pagare qualora mollasse la moglie di cui è arcistufo o il marito che russa da trent'anni.
In ciascuno degli articoli che parlano di bondage, shibari, soffocamento e compagnia cantante si sente, fortissimo, l'odore di chiuso della sagrestia, l'aroma dell'incenso e il profumo dozzinale di motel sulla statale, confortevole e riservato.
Sono articoli che hanno lo stesso coefficiente di modernità delle pubblicità che scorrevano al cinema, con le diapositive.
Anche nel campo della morale privata sembra che il nostro sia ormai un Paese assai diverso da quello rappresentato da quella provincia trevigiana o maceratese nella quale tutto si può fare con chiunque, purché nessuno lo possa mai venire a sapere: oggi abbiamo i sexy shop, vediamo in TV signore poco vestite anche all'ora di colazione e se vogliamo vedere qualcosa di più ci abbiamo la internet, con autorevoli siti quali www.repubblica.it o www.lastampa.it che ci offrono quotidianamente tante immagini tra le quali scegliere quella migliore per la sega giornaliera.
Bello vivere in un Grande Paese Moderno, vero? E infatti ce la raccontiamo, comperiamo i preservativi e i lubrificanti all'Esselunga e in altre catene ci sono perfino i gel stimolanti e gli anelli vibratori. Siamo, insomma, un Paese libero dopo duemila anni di repressione sessuofobica, nel corso dei quali l'unico motivo lecito per fare del buon sesso, perfino con il proprio coniuge, era quello di riprodursi.
Poi arriva un giorno nel quale succede qualcosa di diverso. Drammatico, bizzarro e soprattutto diverso dal solito: un signore, un serio professionista, nel corso di un gioco erotico ammazza una povera ragazza e ne manda in fin di vita un'altra. Cose che succedono: non dovrebbero succedere ma fanno parte della vita, come gli incidenti in autostrada.
Ed ecco che per giorni e giorni i quotidiani ci sfracellano i marroni con nodi, corde, pesi, comunità, patricolari. Sedicenti maestri di pensiero ci spiegano che le corde sono una metafora della precarietà della vita, e i nodi una reazione alla mancanza di autostima. Giornalisti precari si compiacciono di mostrare la banalità della perversione, affiancando manette e Monopoli in un pastone che non serve a nulla, salvo pubblicizzare un paio di circoli ARCI e soprattutto épater le bourgeois rassicurandolo allo stesso tempo: facendogli ventilare davanti al naso una vita meno di merda di quella noia mortale che conduce, ma consolandolo allo stesso tempo con il prezzo che potrebbe pagare qualora mollasse la moglie di cui è arcistufo o il marito che russa da trent'anni.
In ciascuno degli articoli che parlano di bondage, shibari, soffocamento e compagnia cantante si sente, fortissimo, l'odore di chiuso della sagrestia, l'aroma dell'incenso e il profumo dozzinale di motel sulla statale, confortevole e riservato.
Sono articoli che hanno lo stesso coefficiente di modernità delle pubblicità che scorrevano al cinema, con le diapositive.
domenica 11 settembre 2011
sabato 10 settembre 2011
Stagisti
Questa volta lo stagista imita Bersani che volendo fare lo spiritoso imita Crozza che imita Bersani.
Se questa è una sessuologa
«Le esperienze forti sono a volte la risposta a difficili condizioni di vita, determinate, per esempio, dalla crisi o più in particolare dalla precarietà. Eccitazione dunque come risposta all'angoscia»
E questo discorso può valere a maggior ragione per i giovani e i giovanissimi, detentori di un'idea, assai diffusa, «della vita come bene di consumo», segnata dalla «mancanza di rispetto di sé»
Ecco: questa puttanate sono state dichiarate da Gianna Schelotto dopo la morte di due ragazze quale conseguenza di una pratica erotica.
Dichiarazioni che servono a dar fiato alla bocca, e che chiunque dotato di un minimo di conoscenza della vita intende per quel che sono: puttanate deliranti.
E se poi pensiamo che l'autore del fattaccio ha 43 anni, puttanate deliranti pronunciate da una signora che ha difficoltà perfino a distinguere un giovane da chi giovane non è più.
venerdì 9 settembre 2011
L'angolo della cultura
Oggi Repubblica, nel colonnino infame, ci informa che:
dopo aver fatto una bella corsetta si ha la faccia stanca, ma se ci si riposa la faccia torna riposata
mandando un filmato all'incontrario succedono cose curiose, tipo che la roba anziché cadere in basso cade in alto e l'acqua rientra negli idranti
Grazie, Repubblica!
dopo aver fatto una bella corsetta si ha la faccia stanca, ma se ci si riposa la faccia torna riposata
mandando un filmato all'incontrario succedono cose curiose, tipo che la roba anziché cadere in basso cade in alto e l'acqua rientra negli idranti
Grazie, Repubblica!
venerdì 2 settembre 2011
(mala) buona sanità
Prendo spunto da un post dello Scorfano e dalla discussione seguitane su Friendfeed in cui si è citato questo articolo per raccontare in due(1) righe altrettanti casi di malasanità di cui sono informato di prima mano, e che dovrebbero farci capire come le associazioni di consumatori (penso in particolare a Codacons e Adusbef, ma certo non sono le sole imputate), nel loro inseguire il mito della class action nei confronti dell'istituzione di turno, rendano un cattivo servizio anzitutto a quei comuni cittadini che teoricamente vorrebbero tutelare.
Qualche tempo fa, in vacanza, strinsi amicizia con il primario di chirurgia toracica di un ospedale del Nord Italia. Costui mi raccontò un episodio drammatico riguardante il precedente primario della stessa specialità, nel frattempo pensionatosi, suo maestro e amico.
Accade che il protagonista della nostra storia una sera cadde è battè violentemente il petto contro un oggetto di una certa dimensione, tipo una cassa. Ai familiari immediatamente le condizioni apparvero gravissime, e telefonarono subito al mio amico mentre portavano in ospedale il paziente. L'amico, viste le condizioni, decise di operare subito, senza fare neppure un esame tra quelli previsti dai protocolli, e salvò il paziente che (mi scuso per la banalizzazione, ma la faccio spiccia per quel che ho capito) nel colpo si era "rotto" un pezzetto del cuore o forse dell'aorta, che quindi perdeva.
Quello che mi colpì fu il fatto che, come mi assicurava l'interlocutore, con un qualsiasi altro paziente non si sarebbe mai arrischiato a fare una cosa simile: la probabilità che morisse sotto i ferri era elevata, e proprio per questo lui (e secondo lui qualunque suo collega) non si sarebbe mai sognato di rispettare men che alla lettera i protocolli, in quanto ciò avrebbe sicuramente avuto disastrose conseguenze penali e soprattutto civili.
Qualunque altro paziente, insomma, sarebbe morto con assoluta certezza: non perché fosse il suo destino, bensì solo per effetto dell'americanizzazione del nostro sistema sanitario e giudiziario.
Un altro caso, meno drammatico: qualche tempo fa, sempre di sera, una mia parente, portatrice di un catetere venoso centrale (in pratica una specie di tubicino che permette di somministrare delle medicine direttamente nel circolo sanguigno) trovò che il tubicino in questione si era staccato. Chiese il mio aiuto e io telefonai in ospedale, dove lo specialista di reperibilità mi disse che era necessario accertare se il catetere si fosse solo sfilato o si fosse proprio rotto, dato che in qual caso sarebbe stato necessario rimuovere al più presto possibile il pezzo di plastica rimasto internamente.
Andai quindi a vedere questo catetere sfilato, e pur non avendone mai visto prima uno capii immediatamente che era perfettamente integro (si tratta di un oggetto che finisce con una punta smussata, del tutto incompatibile con qualunque ipotesi di rottura).
Ritelefonai al medico reperibile, descrivendo il pezzo e affermando la mia certezza della sua interità, ma nuovamente questi mi disse che la paziente doveva andare immediatamente in ospedale a fare una lastra: atteggiamento comprensibile dato che eravamo al telefono e io non sono un medico.
Andammo quindi al pronto soccorso dell'ospedale che aveva in cura la mia congiunta, pur nella certezza che fosse una cazzata, ricevendo un codice verde e un tempo d'attesa di oltre due ore. Dopo un'ora e mezza tornammo all'accettazione, scoprendo che il tempo d'attesa nel frattempo era ancora aumentato, e quindi chiedemmo all'infermiera, certo più competente di me, di dare un'occhiata al catetere: costei prima nicchiò, poi -dopo aver precisato una cinquantina di volte che il suo sarebbe stato un parere del tutto personale, irrituale e privo di qualunque ufficialità o implicazione- lo guardò e si mise a ridere, dicendo che ovviamente il pezzo era intero ma lei comunque non lo stava affermando. Ci usò anche la cortesia di farlo vedere anche al medico internista di turno, che fu della medesima opinione ma non ce l'avrebbe detto direttamente.
A quel punto (quasi a mezzanotte) avrebbero dovuto dirci di andare a casa, no? E invece no: il medico di turno non si assunse la responsabilità di dirci «andatevene, che abbiamo cose più importanti da fare», e telefonò allo specialista reperibile. Questi, pur essendosi sentito dire dal medico di turno di un pronto soccorso del proprio ospedale che quel cazzo di catetere era tutto d'un pezzo, disse che non gli importava e che pretendeva comunque la lastra.
Questo dialogo ci fu riferito, con un fare ammiccante che chiaramente significava «non siate scemi, toglietevi dalle palle», ma senza che nessuno osasse dirlo chiaramente.
C'è forse una probabilità su mille che un catetere si rompa internamente, e una su mille che il medico di turno al pronto soccorso sia così ubriaco da non saper distinguere un catetere rotto da uno intero, e una su mille che l'eventuale pezzetto rimasto nel corpo possa entrare in circolo causando danni: ma per coprirsi il culo da quel miliardesimo di probabilità, si occupano posti in pronto soccorso, si fanno lastre inutili, si fa girare una gran quantità di carte che in fondo sono solo fumo.
E qual che è più drammatico è che se io fossi l'avvocato dello specialista reperibile, o del medico di turno, ripeterei loro come un mantra che *devono* far fare tutti gli esami possibili e immaginabili e anche qualcuno di più; e che comunque la lastra deve essere pretesa in ogni caso, non foss'altro perché così, quaunque cosa succeda, la responsabilità e le relative rogne se la prende il radiologo, il quale probabilmente a sua volta avrà qualche mezzo per rifilarla addosso a qualcun altro ancora.
(1) licenza poetica
Qualche tempo fa, in vacanza, strinsi amicizia con il primario di chirurgia toracica di un ospedale del Nord Italia. Costui mi raccontò un episodio drammatico riguardante il precedente primario della stessa specialità, nel frattempo pensionatosi, suo maestro e amico.
Accade che il protagonista della nostra storia una sera cadde è battè violentemente il petto contro un oggetto di una certa dimensione, tipo una cassa. Ai familiari immediatamente le condizioni apparvero gravissime, e telefonarono subito al mio amico mentre portavano in ospedale il paziente. L'amico, viste le condizioni, decise di operare subito, senza fare neppure un esame tra quelli previsti dai protocolli, e salvò il paziente che (mi scuso per la banalizzazione, ma la faccio spiccia per quel che ho capito) nel colpo si era "rotto" un pezzetto del cuore o forse dell'aorta, che quindi perdeva.
Quello che mi colpì fu il fatto che, come mi assicurava l'interlocutore, con un qualsiasi altro paziente non si sarebbe mai arrischiato a fare una cosa simile: la probabilità che morisse sotto i ferri era elevata, e proprio per questo lui (e secondo lui qualunque suo collega) non si sarebbe mai sognato di rispettare men che alla lettera i protocolli, in quanto ciò avrebbe sicuramente avuto disastrose conseguenze penali e soprattutto civili.
Qualunque altro paziente, insomma, sarebbe morto con assoluta certezza: non perché fosse il suo destino, bensì solo per effetto dell'americanizzazione del nostro sistema sanitario e giudiziario.
Un altro caso, meno drammatico: qualche tempo fa, sempre di sera, una mia parente, portatrice di un catetere venoso centrale (in pratica una specie di tubicino che permette di somministrare delle medicine direttamente nel circolo sanguigno) trovò che il tubicino in questione si era staccato. Chiese il mio aiuto e io telefonai in ospedale, dove lo specialista di reperibilità mi disse che era necessario accertare se il catetere si fosse solo sfilato o si fosse proprio rotto, dato che in qual caso sarebbe stato necessario rimuovere al più presto possibile il pezzo di plastica rimasto internamente.
Andai quindi a vedere questo catetere sfilato, e pur non avendone mai visto prima uno capii immediatamente che era perfettamente integro (si tratta di un oggetto che finisce con una punta smussata, del tutto incompatibile con qualunque ipotesi di rottura).
Ritelefonai al medico reperibile, descrivendo il pezzo e affermando la mia certezza della sua interità, ma nuovamente questi mi disse che la paziente doveva andare immediatamente in ospedale a fare una lastra: atteggiamento comprensibile dato che eravamo al telefono e io non sono un medico.
Andammo quindi al pronto soccorso dell'ospedale che aveva in cura la mia congiunta, pur nella certezza che fosse una cazzata, ricevendo un codice verde e un tempo d'attesa di oltre due ore. Dopo un'ora e mezza tornammo all'accettazione, scoprendo che il tempo d'attesa nel frattempo era ancora aumentato, e quindi chiedemmo all'infermiera, certo più competente di me, di dare un'occhiata al catetere: costei prima nicchiò, poi -dopo aver precisato una cinquantina di volte che il suo sarebbe stato un parere del tutto personale, irrituale e privo di qualunque ufficialità o implicazione- lo guardò e si mise a ridere, dicendo che ovviamente il pezzo era intero ma lei comunque non lo stava affermando. Ci usò anche la cortesia di farlo vedere anche al medico internista di turno, che fu della medesima opinione ma non ce l'avrebbe detto direttamente.
A quel punto (quasi a mezzanotte) avrebbero dovuto dirci di andare a casa, no? E invece no: il medico di turno non si assunse la responsabilità di dirci «andatevene, che abbiamo cose più importanti da fare», e telefonò allo specialista reperibile. Questi, pur essendosi sentito dire dal medico di turno di un pronto soccorso del proprio ospedale che quel cazzo di catetere era tutto d'un pezzo, disse che non gli importava e che pretendeva comunque la lastra.
Questo dialogo ci fu riferito, con un fare ammiccante che chiaramente significava «non siate scemi, toglietevi dalle palle», ma senza che nessuno osasse dirlo chiaramente.
C'è forse una probabilità su mille che un catetere si rompa internamente, e una su mille che il medico di turno al pronto soccorso sia così ubriaco da non saper distinguere un catetere rotto da uno intero, e una su mille che l'eventuale pezzetto rimasto nel corpo possa entrare in circolo causando danni: ma per coprirsi il culo da quel miliardesimo di probabilità, si occupano posti in pronto soccorso, si fanno lastre inutili, si fa girare una gran quantità di carte che in fondo sono solo fumo.
E qual che è più drammatico è che se io fossi l'avvocato dello specialista reperibile, o del medico di turno, ripeterei loro come un mantra che *devono* far fare tutti gli esami possibili e immaginabili e anche qualcuno di più; e che comunque la lastra deve essere pretesa in ogni caso, non foss'altro perché così, quaunque cosa succeda, la responsabilità e le relative rogne se la prende il radiologo, il quale probabilmente a sua volta avrà qualche mezzo per rifilarla addosso a qualcun altro ancora.
(1) licenza poetica
Ho fatto un sogno
Renzi e Civati si rialleano, per il bene di tutti quanti.
Poi chiamano Alessandro Profumo e si fanno dare una mano.
Renzi annuncia subito la sua candidatura alle primarie.
Civati gli fa da vice e complice.
Poi mi sono svegliato madido di sudore e ho messo le lenzuola nell'asciugatrice.
Poi chiamano Alessandro Profumo e si fanno dare una mano.
Renzi annuncia subito la sua candidatura alle primarie.
Civati gli fa da vice e complice.
Poi mi sono svegliato madido di sudore e ho messo le lenzuola nell'asciugatrice.