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venerdì 20 marzo 2009

A posteriori /segue

In un commento al precedente post Scorfano solleva una questione che mi pare valga la pena di approfondire. Queste le sue osservazioni:
Io, proprio nel 2003, cominciai a pensare di comprare casa. Andai in alcune agenzie e poi in una banca, per la questione del mutuo. Mi consigliarono con insistenza il tasso variabile; quando io dissi che mi sentivo psicologicamente più portato per il tasso fisso, quasi mi presero in giro.
(psicologicamente: so che devo pagare quella cifra per vent'anni, non mi preoccupo più, visto che non capisco niente di economia)
Per fortuna non comprai casa; l'ho poi acquistata due anni fa senza accendere nessun mutuo, grazie a un po' di fortuna. Però spesso ripenso a quel consiglio. Come ripenso all'amico che mi consiglio vivamente di comprare i bond argentini. E non ho ancora compreso davvero se sono pagati per fregarmi o se, invece, non ci capiscono niente nemmeno loro, nonostante quell'aria da so-tutto-io.

Vediamo la mia storia:
Nel 2003 i miei genitori, ormai anziani e che avevano trascorso una vita in affitto, comprarono casa. L'appartamento era di un fondo pensione che lo mise in vendita, e quindi era una scelta obbligata, visto che al tempo trovare un altro appartamento in affitto era pressoché impossibile.
Mi chiesero consiglio ed io consigliai loro, con insistenza, di stipulare un tasso variabile, perché allora il differenziale tra fisso e variabile era sensibilmente elevato e non ci si attendeva il rialzo che avvenne.
Chi aveva lavorato in banca da qualche anno rammentava i tassi al 15% di dieci anni prima, e ben sapeva che simili livelli, con i quali si era riuscito a convivere, non si sarebbero più ripresentati. Oltretutto non si contavano più le volte in cui ci eravamo detti "più di così i tassi non possono scendere: ora dovranno per forza salire!", ogni volta smentiti dai fatti. Avevamo visto varcare la soglia del 10, del 7, del 5, del 4, del 3...
Forse avevamo perso la prospettiva del limite costituito dallo zero; forse ragionavamo in scala logaritmica anziché lineare e quindi credevamo che la distanza dal 20 al 2 fosse confrontabile con quela dal 2 all'1.
Tenete poi presente che le mie erano considerazoni personali, dato che non sono un risk manager o un analista; ma erano generalmente condivise dai colleghi.
Sta di fatto che, mi ripeto, il differenziale tra fisso e variabile era elevato; e comunque il reddito dei miei vecchi consentiva un minimo di spazio anche in caso di aumento della rata.

Qualche mese dopo la stipula, se ben ricordo, ci fu il primo segnale di inversione di tendenza: il primo rialzo della BCE. La cosa provocò una certa tensione, se ne parlò a lungo. I miei ricevettero una lettera con la quale la banca proponeva la sottoscrizione di un derivato: non ho qui i numeri precisi ma più o meno con 3.200 euri circa potevano "cappare" il tasso base (l'Euribor) al 4,20% per cinque anni: vale a dire che per cinque anni, se l'Euribor avesse superato tale soglia, la differenza sulla rata sarebbe stata pagata dal derivato e non da loro.
Era una cosa un po' più complessa da valutare, e andai a trovare il nostro guru dei derivati: un'autorità in materia. Egli mise i numeri in un suo programma e mi disse che quel derivato proposto, in quell'orizzonte temporale, aveva una probabilità del 28% di attivarsi (vale a dire di rendere almeno un euro). Ma perché risultasse conveniente avrebbe dovuto rendere almeno 3.600 euro: vale a dire i 3.200 che mio padre avrebbe dovuto pagare, più gli interessi (dato che egli avrebbe pagato subito, mentre il beneficio l'avrebbe visto nei cinque anni, in massima parte verso la fine).
Valutò anche quanto sarebbe stato il prezzo di un simile derivato (il mark to market), quotandolo in circa 1.100 euro.
Consigliai quindi a mio padre di non stipulare il contratto, e da quel giorno ad ogni aumento di tasso mi sentivo filippiche su quanto avesse fatto male a darmi retta.

A posteriori, posso affermare che entrambi i consigli fornitigli si sono dimostrati validi: a tutt'oggi, nonostante tutto, i miei hanno pagato meno di quanto avrebbero pagato se avessero stipulato un fisso fin dall'origine; e quanto al derivato, sottoscriverlo sarebbe stata una corbelleria.
Dal punto di vista psicologico, è evidente che rispetto ai miei genitori non potevo che essere in buona fede, e quindi la possibilità che tirassi a fregarli è esclusa. Certo, le cose avrebbero potuto andare diversamente, e mia madre, ormai vedova, avrebbe potuto passare ora un brutto momento: ma ciascuno di noi può solo fare delle ragionevoli assunzioni sul futuro, non certo conoscerlo; e se qualcuno avesse la sfera di cristallo, non lavorerebbe in banca e non giocherebbe neppure in borsa, ma passerebbe il tempo in sala corse.
I consigli da me forniti li ho elaborati sulla base di ragionamenti che, tenendo conto dei possibili rischi delle due soluzioni prospettabili, mi avevano consentito di scegliere quella che, a priori, appariva più conveniente. Le mie scelte avrebbero potuto dimostrarsi perdenti, ma comunque nel 2003 sarebbe stato poco accorto prendere un'altra decisione; i fatti hanno dimostrato che invece ho avuto ragione, ma avrebbe potuto anche andare diversamente.

Ci sono poi scelte completamente diverse, quali quella sulla sottoscrizione dell'accordo ABI-MEF da cui eravamo partiti per il precedente post. Qui avevamo due scelte (sottoscrivere o non sottoscrivere) delle quali una offriva solo vantaggi e nessuno svantaggio. Lo dico qui apoditticamente perché ho già speso i miei canonici sette articoli per argomentare questa affermazione: chi è interessato può andare a rileggerseli. In questo caso siamo di fronte a una non-scelta: nella generalità dei casi, salvo eccezioni particolari, non ha molto senso non sottoscrivere un accordo che va solo a proprio vantaggio.
Ecco quindi che il collega che si fosse trovato, interpellato dal cliente, a sconsigliare la sottoscrizione, avrebbe reso un pessimo servigio.
Io ovviamente sono andato con mia madre a sottoscriverlo, l'accordo: e ho durato grandissima fatica a convincerla, grazie anche ad Adusbef (associazione sulla quale molto ci sarebbe da dire!), Codacons, Altroconsumo e compagnia cantante. Lì ho trovato un collega (sia pur di altra banca, pur sempre di collega si tratta), che ci ha guardato stranito, dato che eravamo i primi interessati che avesse visto: e ha cercato di sconsigliarci.
Ho capito che era in perfetta buona fede: quanto ci diceva non lo faceva per dovere, ma proprio perché ci credeva; e credo che quel poco che sapeva (veramente poco!) fosse frutto più dell'ascolto del telegiornale che di istruzioni impartite dalla banca.

Che dire, in conclusione? Mi sembra ci sia spazio per varie considerazioni.
Anzitutto, che nessuna banca istruisce i dipendenti al fine di fregare il cliente. Sarebbe impossibile tenere il segreto, anche perché rimarrebbero le circolari scritte, e non è pensabile un passaparola omertoso, considerato anche il turn-over, il grado di sindacalizzazione e la frequente litigiosità tra banche e dipendenti: sarebbe una formidabile arma di ricatto nelle mani dei lavoratori!
Diverso è l'assegnare obiettivi individuali particolarmente incentrati su certi prodotti: qui il dipendente agisce in perfetta buona fede, mentre per quanto concerne i vertici non sono in grado di trarre un giudizio. Non ho vissuto né la vicenda dei bond argentini né Cirio né Parmalat; ho seguito da vicino una vicenda analoga, seppur in scala estremamente più ridotta e posso dire che, perlomeno in quel caso, la colpa principale era di chi, improvvisandosi Soros, pensava di fare l'affare della vita comprendo azioni di una società sull'orlo del fallimento; ma, ripeto, si tratta di fattispecie molto ma molto diverse.

Una seconda considerazione è che, a fare i conti e allo stato attuale delle cose, il consiglio di scegliere il tasso variabile si è dimostrato alla prova dei fatti azzeccato. Ci sono, certo, delle variabili personali: una persona con una fortissima avversione al rischio, che magari potrebbe somatizzare l'incertezza perdendo il sonno la notte, avrebbe fatto sicuramente bene a contrattare a tasso fisso, perché la propria salute vale infinitamente più di quel pugno di euri risparmiato; ma per l'utente medio, il consiglio era adeguato.

Una terza, importante considerazione, è che bisogna sempre ricordare chi ci si trova di fronte in banca non è un oracolo. Egli non ha notizie riservate che potrebbero farvi arricchire e che condividerà con voi. Se fosse un indovino non sarebbe lì; e se avesse notizie riservate neppure, dato che chi le possiede ha un grado tale da non rammentare nemmeno più che cosa sia, uno sportello, ammesso che vi ci sia mai seduto dietro. Probabilmente il vostro interlocutore ha letto Milano Finanza e poco più, ed ha l'obiettivo di vendere un po' di fondi, un po' di assicurazioni e far qualche operazione in azioni, tutto lì.
Pensiamoci un attimo: se aveste veramente una dritta sicura sul cavallo giusto, lo consigliereste a cani e porci per far crollare il totalizzatore e alzare un pugno di biglietti da cinquanta, o piuttosto la terreste gelosamente segreta per far sì che le quote restino alte? Ecco, vi siete risposti da soli. E con i tassi non cambia nulla, salvo che prevedere i tassi futuri è molto più difficile che azzeccare una tris.

giovedì 19 marzo 2009

A posteriori

Tempo addietro, quando ancora non era scoppiata la crisi e di parlava del rischio dell'inflazione e della crescita inarrestabile dei tassi d'interesse, ho scritto una serie di articoli su questo blog.
L'occasione era l'entrata in vigore dell'accordo ABI-Tremonti con il quale veniva offerto alle famiglie uno strumento per calmierare l'ammontare delle rate sui mutui a tasso variabile; accordo che conoscevo bene in quanto facevo parte del gruppo di studio che, nella banca per cui lavoro, doveva mettere in attuazione le relative regole.

In quel periodo le associazioni dei consumatori, la stampa generalista e le stesse Banche riuscirono a esprimere quasi unanimemente lo stesso concetto: vale a dire che l'accordo in questione non conveniva assolutamente, e che bene avrebbero fatto invece gli italiani a rinegoziare i mutui, passando al tasso fisso dal variabile approfittando della cosiddetta "portabilità" introdotta dall'art. 1202 del Codice Civile (articolo scritto non già da Bersani, bensì dal Cavaliere; e neppur quello tricotrapiantato, bensì quello con il mascellone).

Si distinsero, nell'orientare le scelte del pubblico, alcuni soloni, tra cui ci piace ricordare:
  • lo stesso Bersani, il quale continuò a ripetere in tutte le sedi possibili ed immaginabili quanto era meglio il suo sistema (rectius del Cavaliere) rispetto a quello del ministro valtellinese;
  • la rivista Altroconsumo, che sul proprio sito lanciò un qualificante slogan: Rinegoziare il mutuo secondo il patto tra banche e governo non conviene. Vi spieghiamo perché con un link per scaricare un PDF a pagamento contenente la spiegazione;
  • tale Fracaro Massimo, consigliere economico delle famiglie per il Corriere della Sera, che in quei giorni consigliava, o forse sarebbe meglio dire intimava senza neppur lo schermo di un condizionale, l'abbandono del variabile per il convenientissimo fisso, sconsigliando decisamente la rinegoziazione.
Io credo che quanto da me scritto non abbia spostato una sola opinione, e che invece molti abbiano sottoscritto un mutuo a tasso fisso nel momento di massimo picco dei tassi, risultando così cornuti e mazziati.
Non sono andato, per mancanza sia di voglia che di tempo, a leggere i siti dei signori e delle istituzioni sopra citate, per cui se mi sbaglio farò pubblica ammenda; ma non risulta che nessun di loro abbia mai ammesso con i propri lettori:
"Scusate, vi ho mal consigliato"..
Lo dovrebbero fare.

lunedì 13 ottobre 2008

Mutui e rinegoziazioni /reprise

Vedo senza stupore (ormai non mi stupisco più di nulla) che il Corrierone scrive un interessante articoletto per convincere i lettori a non rinegoziare il mutuo.

Io quello che avevo da dire l'ho detto e per giunta in maniera assai prolissa (in sintesi: fate la rinegoziazione che vi conviene), mentre l'estensore della notarella fa fuori il problema in una quindicina di righe (in sintesi: non fate la rinegoziazione che non vi conviene). Dato che mi sembra che non ci pigli, è per puro puntiglio che le commento passo passo.

Caro mutui, non conviene rinegoziare
Mai come adesso è consigliabile il tasso fisso: sul mercato al 5%, ma non durerà per molto
Questo il titolo, che serve a dimostrarci che l'estensore la sa lunga.
Qualora le rate non dovessero scendere, conviene la rinegoziazione dei mutui proposta dalle banche?
È la domanda di Alberto. Diciamo che rispetto ad agosto la situazione è addirittura peggiorata perché è aumentata la differenza tra i tassi attuali e quelli pagati nel 2006 e utilizzati per la rideterminazione della rata. Questo potrebbe comportare un ulteriore allungamento della durata del prestito.

Il meccanismo l'ho già spiegato qui: se devo pagare 120 e invece mi consentono di pagare solo 100, pago 20 in meno e quel che non pago oggi lo pagherò domani, allungando il piano. Se i 120 diventano 150, pago 50 in meno: e quindi il piano mi si allunga di più. Non è che ci stia perdendo: sto solo dilazionando a domani quel che dovrei comunque pagare oggi.
Nonostante la crisi i mutui si continuano, per fortuna, a fare, e allora ritorna l'eterna domanda: meglio il variabile o il fisso? Per rispondere a Silvia diciamo che mai come adesso il fisso è consigliabile. Perché se l'Euribor è salito alle stelle, l'Eurirs, il parametro dei mutui fissi, è sceso ai minimi. Oggi il tasso a 20 anni è al 4,54% e quello a trent'anni al 4,24%. Quasi un punto in meno dell'Euribor. Questo vuol dire che oggi si possono trovare sul mercato mutui fissi al 5%. Meglio approfittarne perché questa anomalia potrebbe rientrare.
dunque, oggi l'IRS vale un punto meno dell'Euribor. Abbiamo visto che l'IRS è un derivato che si fa per trasformare in fisso un tasso variabile e viceversa. Se l'IRS a dieci anni è più basso dell'Euribor, vuol dire che il mercato si aspetta che l'Euribor sia destinato ad essere costantemente più basso, in quell'arco di tempo.
Una banca che sottoscrive un IRS si sta impegnando per dieci anni; e dieci anni sono un bel po' di tempo e quindi un bel po' di rischio. Se il prezzo che chiede è di un punto inferiore al tasso variabile, vuol dire che l'aspettativa è di una bella discesa, no? O il nostro estensore ha solo lui la palla di cristallo, oppure tutte le controparti del mercato hanno bevuto smodatamente, i questi giorni, e fanno i prezzi tirando i dadi.
Il variabile continua però a esercitare il suo fascino: per Marcello i tassi prima o poi scenderanno. Questo è vero, ma difficilmente torneranno ai livelli del 2005.
Oggi è una bella giornata di sole. Forse domani pioverà. Mi piacciono le pizze, ma anche i gelati.
Il mutuo variabile può essere fatto solo se si è in grado di sopportare, rispetto a oggi, rincari nella rata del 20/25%.
Un bel numero sparato a caso non fa mai male. E perché il 25 e non il 50% (che poi è l'aumento che si è registrato sulla rata dei mutui stipulati a tasso variabile nel 2003)?
E, soprattutto: perché qui l'estensore parla di stipulare un nuovo mutuo a tasso variabile quando il titolo dell'articolo parla di rinegoziare un mutuo già esistente? E si è forse dimenticato che con la rinegoziazione l'importo della rata torna quello del 2006, e quindi non c'è il rischio di un aumento bensì la certezza di una diminuzione (che verrà pagata poi, certo, ma qui si parla della rata, non della durata)?
E se la banca fallisce? Nessuna moratoria, caro Giorgio. La rata andrà pagata all'istituto che subentra a quello in default o al commissario liquidatore.
Almeno una cosa sensata, giusto per concludere.

Una chiosa, per concludere. Tutto si può dire del Corriere della Sera, ma non che sia nemico delle banche: spero che basti averlo preso in mano qualche volta, per convincersene, ma se dovesse servire si possono anche vedere questi dati.
Dopo aver letto un articolo così, siamo proprio sicuri che la rinegoziazione convenga alle banche e non ai mutuatari?

domenica 5 ottobre 2008

Mutui e rinegoziazioni /7

(vedi le puntate precedenti)
Nella scorsa puntata abbiamo fatto degli esempi di persone con un reddito molto più che adeguato a rimborsare il mutuo, a cui certamente la rinegoziazione "ABI-Tremonti" non interessa, e di persone in grave difficoltà, per le quali essa è una scelta obbligata.
Tra i due estremi si situano ovviamente la maggioranza delle famiglie, che devono decidere se aderire o meno a quanto proposto loro dalla banca.
Cominciamo a dire che anche coloro che ritengono di avere buone possibilità di spuntare altrove condizioni di maggior favore, non per questo debbono escludere di accettare le rinegoziazione ABI: nulla infatti impedisce che, pur avendo accolto la proposta, successivamente portino altrove il loro mutuo. Anzi, dobbiamo tenere presente che siamo in un momento di stretta creditizia, nel quale le banche rifiutano di prestarsi denaro tra loro e, conseguentemente, stringono i cordoni della borsa: pertanto credo sia più saggio aspettare qualche mese prima di mettersi in cerca di un'altra banca per attivare la portabilità. E' bene quindi aver presente il fatto che scegliere una strada oggi non vuol dire precludersene un'altra domani.

Vediamo ora cosa comporta dal punto di vista finanziario la rinegoziazione, e accenniamo dapprima al corso dei tassi. Dato per scontato che abbiate presente il meccanismo della rinegoziazione, spiegato qui, presumiamo che il mutuo a tasso variabile sia regolato all'EURIBOR 3 mesi più uno spread, diciamo l'1% per stare bassi. Il conto accessorio è regolato all'IRS a 10 anni rilevato il giorno di adesione alla proposta, più uno spread dello 0,50%, che peraltro molte banche hanno unilateralmente ridotto o rinunciato; poniamo quindi che lo spread applicato sia solo lo 0,30%.
In questi giorni l'EURIBOR a 3 mesi naviga attorno al 5,30% (in salita). E' particolarmente elevato, ma comunque la media dall'inizio dell'anno è di circa 4,80%. Sempre in questi giorni l'IRS a 10 anni sull'EURIBOR 3 mesi varia tra il 5% e il 4,40% (in discesa); ipotizziamo che il giorno dell'adesione alla convenzione sia sul 4,70%.
Ne consegue che il mutuo sarà regolato al 6,30% (e se anche, ottimisticamente, prendiamo la media dall'inizio anno, al 5,80%), mentre il conto accessorio sarà regolato al 5,00%. In pratica ad ogni pagamento di rata la banca prende la differenza non pagata e la mette su un conto ad un tasso sensibilmente minore.
Ora, da un punto di vista strettamente finanziario, il conto accessorio non è altro che un finanziamento che la banca sta facendo al mutuatario; ma la particolarità è che glielo fa ad un tasso incredibilmente inferiore rispetto a quelli medi di mercato.
Se guardiamo la tabella ministeriale per la rilevazione dei TAEG medi vediamo che attualmente i prestiti personali sono concessi mediamente al 10,63%, i prestiti con cessione del quinto dello stipendio vanno dal 10% al 14% e i crediti al consumo per importi tra i 1.500 e i 5.000 euro arrivano oltre il 17%!
Certo, se uno è sicuro che non avrà mai bisogno di comperare qualcosa a rate, non ha nessuna ragione di farsi finanziare in questo modo improprio. Ma se appena appena pensiamo di dover aprire un giorno un finanziamento per comprare una macchina? Ecco che diventa molto più conveniente risparmiare la quota della rata di mutuo che non paghiamo alla banca, mettendola da parte, e usare poi quelli per l'acquisto che pensavamo di farci finanziare.
Basti pensare che se andassimo a mettere i soldi in un conto arancio o simili, otterremmo un interesse persino superiore, sia pur di un minimo, rispetto a quello che dovremmo riconoscere alla banca (in effetti non è così, ma solo perché parte degli interessi a nostro favore viene mangiata dal fisco).
Certo, se pensiamo che per quando ne avremo bisogno il mercato offrirà tassi di finanziamento al consumo paragonabili al famoso 5,00% (o anche meno, dipende dalle condizioni della vostra banca e del giorno di adesione), allora non avremmo tutta quella convenienza; ma si tratta di una scommessa azzardata.

Un'obiezione viene subito in mente: vale a dire che il finanziamento lo prendo quando voglio, mentre aderendo alle rinegoziazione sono costretto a farmi finanziare mese per mese, anche se non ne ho bisogno, e pagarci sopra gli interessi. Questo però non tiene conto di due cose: in primo luogo che, come abbiamo visto prima, posso mettere i soldi che risparmio su un conto fruttifero e praticamente andare in pari.
Ma la cosa più interessante è che l'art. 5 della convenzione prevede che l'estinzione anticipata del conto accessorio non sia soggetta ad alcuna penale: questo vuol dire che io posso risparmiare la parte di rata che non pago alla banca e alla fine dell'anno (o comunque quando mi pare) versarla in banca per saldare il conto accessorio e ripartire da zero.

L'effetto di tutto ciò mi sembra chiaro: aderendo alla rinegoziazione si può prendere respiro, se ne abbiamo bisogno, o precostituirsi la possibilità di prenderne in un futuro, a costi tutto sommato estremamente contenuti. E aderendo abbiamo in pratica sottoscritto un finanziamento a condizioni quasi certamente irripetibili.

Bene, siamo così arrivati alla conclusione. Non pretendo di aver convinto nessuno, e del resto non ho alcun interesse né mi pagano per questo. Credo tuttavia sia stato importante cercare di far capire in maniera un po' più completa, pur tra inevitabili tecnicismi, quali sono le opzioni disponibili sul tavolo e quali sono i vantaggi e gli svantaggi che offrono.
Io, personalmente, non avrei dubbi su cosa scegliere, e ho consigliato in tal senso tutte le persone che mi hanno chiesto un parere; dopodiché ciascuno è naturalmente libero di agire come crede: l'importante è farlo in maniera consapevole.

giovedì 2 ottobre 2008

Mutui e rinegoziazioni /6

(vedi le puntate precedenti)
Avremmo dovuto parlare di Tremonti, e invece parliamo di elettrodomestici.

Non so voi, ma io credo che non ci siano poi molti beni veramente essenziali. Si può far tranquillamente a meno della televisione, del computer, del telefonino. L'auto e l'abbonamento a Sky manco ce li ho, e neppure il microonde. La lavastoviglie è una grande comodità, ma pure ho vissuto senza.
Il frigorifero è essenziale. Negli anni trenta, quando ogni casa aveva la domestica di campagna che faceva la spesa negozio per negozio, si poteva farne a meno, ma oggi non più.
Bene, immaginiamo che i comunisti siano andati al governo e nella loro infinita cattiveria abbiano deciso di ripristinare le tasse che l'attuale governo, onorando le promesse elettorali, ci ha così sensibilmente ridotto; e che istituiscano una odiosa tassa sui frigoriferi, talché il modello base costi 2.000 euri.
Ammettiamo, infine, che ci sia un negozio di frigoriferi, che vende il modello base a 2.000 euri in contanti, o a rate con 24 comode rate da 100 euri ciascuna.

Marco è un giovinetto appena andato a vivere da solo. Il suo papà è assai benestante, e gli ha dato 10.000 euri con cui dovrà comperare il frigorifero e il computer, pagarsi le vacanze, gli aperitivi e i concerti.
Nichita è un giovinetto appena andato a vivere da solo. Il suo papà è tipicamente nel ceto medio, e gli ha dato 3.000 euri con cui dovrà comperare il frigorifero e il computer, pagarsi le vacanze, gli aperitivi e i concerti.
Davide è un giovinetto appena andato a vivere da solo. Il suo papà è messo male, e con grandi sacrifici gli ha dato 500 euri per contribuire all'acquisto del frigorifero.

Bene, cosa faranno i nostri eroi? Mi sembra che saremo tutti d'accordo sul fatto che Marco sarebbe un cretino, a comprare il frigorifero a rate. E credo che converremo tutti che Davide deve fare le comode rate, anche se gli costano un bel po', perché non ha altra scelta.
La situazione di Nichita è diversa: lui deve scegliere se tirare la cinghia, vale a dire comprare a contanti il frigorifero e il computer e poi passare tutte le sere a casa a scrivere sul suo blog, oppure prendere il frigorifero a rate e con i soldi liquidi che gli sono rimasti concedersi qualche sera fuori con la sua fidanzata.
Non è che ci sia una risposta giusta: Nichita deve scegliere, e non può scegliere suo padre o l'associazione dei giovani appena usciti di casa: deve scegliere lui perché lui è quello che subirà, nel bene o nel male, le conseguenze della scelta.
Suo padre può dargli un consiglio, l'associazione pure, sulla base della loro esperienza; ma solo Nichita può sapere se preferisce spendere meno e tirare la cinghia o fare una vita meno di ristrettezze e alla fine spendere di più. Un Nichita più formica se ne starà chiuso in casa, magari sull'orlo della depressione, ma mangerà la bistecca ogni tanto; uno più cicala farà festa, e poi magari dovrà mangiar pane e cicoria, in buona compagnia.

Vi sembra che il discorso fili? A me sì.
Bene: per decidere cosa fare del mutuo, la logica è esattamente la stessa.

La famiglia Marchi guadagna 4.000 euri l'anno. Hanno un mutuo con una rata di 1.000 euro, a tasso variabile con uno spread è altino: 1,75%; nel 2006 pagavano 900 euri.
La famiglia Nichiti guadagna 2.500 euri l'anno. Hanno un mutuo con una rata di 1.000 euro, a tasso variabile, con uno spread dell'1,40%; nel 2006 pagavano 800 euri;
La famiglia Davidi guadagna 1.900 euri l'anno. Hanno un mutuo a tasso variabile: fortunatamente lo spread è basso (1,10%), ma -dato che la somma erogata è stata molto alta- con l'aumentare dei tassi la rata è molto salita: ora pagano 1.000 euri mentre nel 2006 ne pagavano solo 700.

A questo punto andate a leggervi gli articoli sulla portabilità Bersani e sulla rinegoziazione Tremonti e provate a capire cosa conviene ai Marchi e ai Davidi. Fatevi anche un'idea per quanto riguarda la famiglia Nichiti; la prossima volta (ve lo anticipo già) vedremo perché la Tremonti conviene comunque anche ai Nichiti.

(continua)

mercoledì 1 ottobre 2008

Mutui e rinegoziazioni /5

(vedi le puntate precedenti)
Arriviamo finalmente al motivo principale per il quale avevamo iniziato questa saga: parlare dell'accordo ABI-Tremonti.
Altroconsumo (che è il primo risultato che mi viene fuori googlando) ha una posizione molto chiara:
Rinegoziare il mutuo secondo il patto tra banche e governo non conviene. Vi spieghiamo perché.

Certo, il perché è contenuto in un PDF che può essere scaricato a pagamento, il che non mi sembra punto bello. Io ve la racconto aggratis, poi fate voi.
Prima rinfreschiamo un momento la memoria: avevamo visto in questo articolo che la cosiddetta portabilità del mutuo può convenire a numerose famiglie, ma non certo a tutte.
Facciamo un esempio concreto: una famiglia di anziani, che sono stati costretti a comprare casa nel 2003, quando la banca proprietaria dell'appartamento l'ha messo in vendita: mutuo di 150.000 euri, 25 anni, spread 1,30% sull'Euribor. Rata iniziale: 800 euri. Rata oggi: 1150 euri. Probabile rata a fine anno: 1.200 o 1.250 euri. Possibilità di portare il mutuo altrove a condizioni migliori: nessuna. Badate: l'esempio è concreto, non astratto: si tratta di mia madre. E quel nessuna vuol dire nessuna per la madre di un funzionario di banca, non per la sprovveduta casalinga di Voghera.
Bene: cosa inventa Tremonti, che non può certo imporre per legge un tasso inferiore a quello di mercato alle banche (ché quello sarebbe da comunisti, e quindi non piacerebbe certo al Cavaliere)? Una genialata.
Anzitutto non impone nulla. Propone alle banche di stipulare una convenzione: le banche sono libere o meno di aderire, e una volta che aderiscono si sono obbligate nei confronti del Ministero dell'Economia e per suo tramite del pubblico. E, guarda caso, tutte aderiscono, perché è vero che sono libere, ma certo una spintarella sottobanco l'hanno anche ricevuta; così si trovano obbligate a fare una cosa senza poter lamentarsi, perché in fondo è stata una loro scelta.
A questo punto devono proporre ai clienti di fare un'operazione un po' complessa, che cerco di rendere nel modo più chiaro possibile:
  • calcolano (con certi criteri che non vi spiego) una rata corrispondente a quelle che si pagavano nel 2006 (nel nostro esempio, 850 euri)
  • propongono al cliente di pagare per sempre non la rata "giusta" (i 1.200 euri), bensì solo gli 850 euri
  • e così via, il mutuo continua ad andare al suo tasso variabile, seguendo la salita o la discesa dei tassi; ma il cliente paga sempre la rata fissa
  • ad ogni rata, c'è una differenza, in più o in meno: questa differenza viene messa su una specie di conto corrente
  • alla fine del mutuo, sul conto corrente ci sarà -salvo che i tassi tornino a scendere vorticosamente- un importo a debito per il cliente e a credito per la banca, diciamo nel nostro caso che ci ritroveremo nel 2029 un debito di 65.000 euri
  • quella somma verrà ripagata nel corso degli anni successivi, sempre versando lo stesso importo fisso (gli 850 euri) fino ad estinzione del debito
  • .
    Per quanto riguarda i tassi, abbiamo visto che sul mutuo continua a correre il tasso variabile, con il suo spread; mentre sul conto corrente viene applicato un tasso pari all'IRS a 10 anni, più uno spread fino allo 0,50% (che molte banche hanno rinunciato). Il motivo per cui si sceglie l'IRS, alla luce di quanto detto altrove, è facile da comprendere: se infatti la banca stipula un IRS di segno contrario, il cliente "vede" un tasso fisso, mentre la banca "vede" un tasso variabile; e così tutti e due sono contenti.
    Chiaro fin qui? adesso vediamo un po' di capire se ci conviene, ricordandoci che stiamo assumendo il fatto che il tasso applicato al mutuo sia corretto: di mercato, non da strozzini.
    Abbiamo detto che se le cose non cambiano alla fine il cliente si trova un bel debitone da pagare, bello grosso; e che ci metterà un bel po' di tempo a pagarlo. Ma attenzione! Si trova il debitone perché ha pagato di meno di quanto avrebbe dovuto pagare. Se assumiamo che il mutuo abbia un tasso equo, quello che dovrebbe pagare è il giusto, non una rapina.
    Spariamo un po' di numeri a caso e diciamo che i 65.000 euri sono 56.000 euri di soldi pagati in meno nel corso del mutuo, e 9.000 euri di interessi. Allora sto pagando in più solo 9.000 euri, non 65.000! Perché i 56.000 li ho risparmiati nel corso degli anni. E badate bene che quei 56.000 li ho risparmiati un po' oggi, un po' il mese prossimo, e così via... sono soldi del 2009, del 2010, e poi via via sempre meno fino al 2029 (ricordate che la rata via via scende, come spiegato qui; mentre il debito di 65.000 euri (e quindi i 9.000 euri in più da pagare) me li trovo nel 2029, quando sicuramente varranno molto meno di quanto non valgano oggi.
    Comunque non abbiamo ancora risposto, alla domanda: ci conviene, pagare quei soldi in più? Lo vedremo nella prossima puntata.

    (continua)

    martedì 30 settembre 2008

    Mutui e rinegoziazioni /4

    (vedi le puntate precedenti)
    Ci manca quindi da esaminare la terza norma contenuta nel pacchetto Bersani-bis: quella sulla portabilità dei mutui.
    La prima cosa che si può dire è che Bersani ha avuto un'idea geniale: infatti la portabilità dei mutui è basata sull'art. 1202 del codice civile, che è lì bel bello dal 1942, solo che nessuno lo utilizzava, dato che per raggiungere i fini per cui era stato pensato ci sono strumenti più snelli.
    Ovviamente non sarebbe stato un gran successo fare una dichiarazione pubblica ricordando alle banche che esisteva quell'articolo: e così nel decreto Bersani-bis esiste una norma (l'art. 8 ) che in buona sostanza dice, infiorettata, la medesima cosa; così sembra che l'inventore della portabilità sia Bersani, mentre così non è. Ma questa è politica.
    Vediamo un po' più approfonditamente il concetto che è alla base della portabilità: abbiamo visto qui che l'art. 3 del decreto dice che se un debitore ha fatto un mutuo con una banca e le condizioni non sono più convenienti, può prendere e andarsene anticipatamente senza penali.
    Già, ma se uno i soldi non li ha? Deve farseli dare da un'altra banca! Eh, ma le spese, tra notaio, tasse, istruttoria, frizzi e lazzi sono tali da rendere antieconomico questo trasferimento. In particolare l'iscrizione della nuova ipoteca paga una bella tassa, e poi è sempre una cosa un po' complicata.
    Che facciamo allora? facciamo un nuovo mutuo, garantito dalla vecchia ipoteca.
    L'idea in sé funzionerebbe anche, se non fosse per quanto ci hanno ricamato sopra. Anzitutto c'è il problema delle spese: se ne pagano di meno, ma il nuovo atto comunque costa, visto che c'è sempre il notaio di mezzo: e chi lo paga? Poi c'è da periziare l'immobile: e chi la paga la perizia? Poi ci vuole un minimo di collaborazione da parte della vecchia banca, la quale -per quanto ciò possa essere eticamente scorretto- non ha mica tanta voglia di collaborare.
    Insomma: un discreto casino. Le banche ci hanno messo molto del loro per non applicare la norma; le associazioni dei consumatori altrettanto per pretendere anche l'impretendibile. Con l'ultima finanziaria poi il governo ci ha messo un ulteriore carico, stabilendo che anche quelle verifiche di comune buon senso (accertamenti catastali, istruttoria del mutuo) devono essere fatte senza spese perché devono svolgersi secondo procedure di collaborazione interbancaria improntate a criteri di massima riduzione dei tempi, degli adempimenti e dei costi connessi.
    Il concetto è un po' come dire che stai comperando una macchina usata e la legge ti dice che non la puoi vedere, ma devi fidarti della parola del concessionario.
    Ciò detto, comunque, la portabilità ha dato un bell'aiuto a moltissime famiglie che si trovavano sulle spalle un mutuo stipulato a tassi divenuti ormai sensibilmente più alti rispetto al mercato.
    La portabilità non può servire a tutti: serve in particolare a chi ha sulle spalle mutui abbastanza vecchi, a tassi elevati e in grado di trovare un'altra banca che gli faccia condizioni migliori.
    Devono essere mutui vecchi, perché se sono abbastanza recenti è poco probabile che siano stati fatti a condizioni molto diverse da quelle di mercato; e bisogna che ci sia un'altra banca che offre condizioni migliori: altrimenti che portabilità è, se non posso portare nulla da nessuna parte?
    Facciamo un esempio pratico: una famiglia di due impiegati quarantenni che ha un mutuo di 150.000 euro con uno spread del 2%, sicuramente troverà un'altra banca che offrirà condizioni molto migliori; mentre una pensionata settantenne con un mutuo di 35.000 euro e uno spread del 1,25% non ha alcun senso che si metta neppure a cercarla, un'altra banca: è anziana e quindi a rischio; ha un tasso di mercato e quindi, ammesso che trovi un'altra banca, ben difficilmente questa le farà condizioni migliori; e poi quand'anche la trovasse, alla fine il risparmio sarebbe minimo e quindi non ne varrebbe la pena, di tutto lo sbattimento.
    Il problema è che nell'immaginario dei consumatori è entrata l'idea che sia un diritto quello di ottenere condizioni migliori, indipendentemente dalla propria condizione di partenza. Mentre il diritto è di cambiare banca, non di trovare chi ti fa lo sconto.
    E per questo leggiamo sulla stampa comunicati che invitano a non usufruire della rinegoziazione prevista dalla convenzione ABI-Tremonti (quella di cui parleremo nella prossima puntata), senza che nessuno si periti di spiegare ai debitori che chi ha un mutuo a tasso variabile a condizioni oggi di mercato, per quanto strangolato possa essere oggi, non può sperare di avere alcun vantaggio dalla portabilità, perché nessuno gli farà condizioni migliori di quelle che ha.
    Nella prossima puntata vedremo il contenuto della convenzione ABI-Tremonti e vedremo che risponde a esigenze del tutto differenti rispetto a quelle cui risponde la portabilità. Potremo così cercare di capire a chi conviene una cosa e a chi un'altra, e perché.

    (continua)

    lunedì 29 settembre 2008

    Mutui e rinegoziazioni /3

    In questa puntata della serie sui mutui cominceremo a vedere quali interventi sono stati approntati dalle autorità (uso di proposito un termine generico) per alleviare la situazione delle famiglie in difficoltà con il pagamento delle rate dei mutui.
    Una nota metodologica: le banche sono soggetti tutt'altro che deboli e stanno antipatiche a tutti. Ma per comprendere i meccanismi che vado a descrivere, è indispensabile spogliarsi per un attimo dal pregiudizio: ci sarà tempo per valutare chi siano i soggetti forti e quelli deboli; per ora immaginiamo che siano tutti sullo stesso piano.

    Facciamo solo un cenno ad alcune novità che sono state introdotte nell'ordinamento nei tardi anni '90 (anche perché si tratta di rimedi attuati quando i tassi stavano scendendo), vale a dire:
  • il divieto di anatocismo,
  • la riformulazione del reato di usura;
  • l'imposizione forzosa di un tetto ai tassi di interesse per determinate categorie di mutui in essere a tutto il 2000.

  • Si tratta di regole criticabili per più di un aspetto giuridico e finanziario (critiche che vi risparmio), ma non si può negare che abbiano dato respiro a molti soggetti deboli. Forse il problema più grave è stato che nessuno -in primis le sedicenti associazioni di consumatori- si è peritato di spiegare che cosa esattamente dicessero, quelle norme: e pertanto una caterva di debitori, mal consigliati, si è imbarcata in reclami e cause perse in partenza, credendo che una certa norma, solo perché aveva un nome più o meno esotico, si adattasse anche alla situazione nella quale si loro trovavano.
    Del tutto convinti di poter chiedere indietro dei soldi alla loro banca, o di poterne pagare di meno, si sono ritrovati non solo a doverne di più, ma anche a dover sobbarcarsi il costo delle spese legali di avvocatucoli incompetenti o peggio senza scrupoli e in malafede.

    Ma torniamo ad oggi.
    Quando la stuazione ha iniziato a farsi spessa, un primo intervento è stato posto in essere ad opera del ministro Bersani, con il pacchetto di liberalizzazioni cosiddetto Bersani-bis, lo stesso che ha tagliato i costi di ricarica dei cellulari.
    Per quanto riguarda i mutui, il pacchetto prevedeva tre norme, anzi due norme e qualcosina, come vedremo.

    La prima norma (art. 7) è quella che impedisce alle banche di chiedere una commissione qualora il mutuatario intenda estinguere anticipatamente il mutuo. Anche qui si tratta di una norma controversa: da un lato la penale per estinzione anticipata aveva perso molto del suo senso dopo la riforma della legge bancaria del 1993, e certo era ingiustificabile ormai per i mutui a tasso variabile. Diverso è il discorso dei mutui a tasso fisso: se io stipulo un tasso fisso sto in una certa misura scommettendo contro la banca che i tassi non scenderanno; ma se io posso tirarmene fuori, allora è una scommessa da una parte sola.
    Ammettiamo che io stipuli un mutuo al 5%; dopodiché i tassi salgono, diciamo al 7%. Io guadagno e la banca perde (se non ha un derivato -un IRS- che la copre); ammettiamo ora che successivamente i tassi tornino giù, fino al 3%: a quel punto dovrei essere io a perderci: invece posso chiamarmi fuori! Vedete che c'è una asimmetria: quando guadagno resto, quando perdo esco. Dal punto di vista della banca, la situazione è svantaggiosa: se non si era coperta con un IRS, ora avrebbe la possibilità di recuperare la perdita, e non può farlo; se invece si era coperta, ora deve chiudere l'IRS, e il suo valore è negativo, quindi deva pagare la sua controparte.
    Si tratta quindi di un rischio inaccettabile per la banca, la quale odia il rischio. Che fa allora? Semplice: alza un pochettino tutti i tassi per recuperare la perdita prevedibile (tecnicamente si dice che incorpora il rischio nel tasso). E così pagano tutti un pochino di più.

    La seconda norma è quella che dà la possibilità -e fa obbligo- alle banche di cancellare automaticamente l'ipoteca una volta che il mutuo è stato rimborsato. E' una cosa in fondo buona per tutti, tranne che per i Notai, che facevano un bel fatturato con le cancellazioni d'ipoteca. Oltretutto non costa nulla alle banche, che quindi non devono riversare costi sui clienti. Certo non va a toccare il problema delle rate elevate, dal momento che avvantaggia solo chi il mutuo ha già finito di pagarlo!

    La terza norma, che tanto norma non è, è quella sulla portabilità dei mutui: la vediamo in dettaglio nella prossima puntata, dato che tutti ne parlano come la panacea per tutti i mali.

    (continua)

    venerdì 26 settembre 2008

    Mutui e rinegoziazioni /2

    Nella prima puntata abbiamo visto come sia avvenuto che un grandissimo numero di italiani si è indebitato per acquistare la casa.
    Abbiamo anche visto che la maggior parte di questi nuovi proprietari si è trovata indebitata a condizioni di tasso variabile per il semplice motivo che non avrebbero potuto sostenere il costo di un mutuo a tasso fisso -che allora prospettava rate notevolmente superiori- e non già per un complotto delle banche ai loro danni.
    Anche perché, come illustrato nella digressione sui derivati, per la banca alla fine basta stipulare un IRS per trasformare un mutuo da tasso fisso a variabile e viceversa. Non è che le banche siano istituti di beneficienza, e certo non sempre si comportano in modo eticamente corretto; ma il mito che abbiano fatto indebitare tutti a tassi bassi per poi strangolarli è proprio da sfatare!
    Ora per capire cosa è successo quando i tassi hanno iniziato a salire, e quindi perché tante famiglie si trovino in grosse difficoltà, è necessario capire come funziona il rimborso di un mutuo.

    La forma classica di rimborso è il cosiddetto ammortamento alla francese, dove la rata rimane fissa per tutta la durata del rimborso. Ma attenzione: la rata è fissa ma le sue componenti non lo sono mica! Vediamo di capirci qualcosa.
    Ammettiamo di aver fatto un mutuo di € 150.000, da pagare in rate mensili, in 20 anni, al 4% annuo. abbiamo quindi 240 rate mensili, ciascuna all'interesse dello 0,333% (cioè 4% annuo/12 mesi). Esiste una complicata formula per calcolare l'ammontare della rata; vi dico io che sono € 909 al mese.
    Il calcolo della prima rata è semplicissimo: parto da € 150.000, calcolo lo 0,333% e viene € 500, che sono gli interessi. La differenza di € 409 è il capitale che andrò a rimborsare.
    Per la seconda rata gli interessi li devo calcolare solo su € 149.591, e quindi pagherò (solo) 498virgolaqualcosa euro di interesse, e rimborserò 410virgolaqualcosa euro di capitale.
    Una volta pagata la penultima rata, mi rimarranno da pagare esattamente 906 euro di capitale, che in un mese maturano 3 euro di interessi: pago 909 euro, ho rimborsato tutto il mutuo e vivo da allora in poi felice e contento.

    Se il tasso è fisso, il calcolo degli interessi viene effettuato solo una volta, e morta lì. Se invece è variabile, ad ogni rata (oppure ogni volta che il contratto prevede la variazione) si ricalcolano gli interessi, mentre il capitale di ciascuna rata resta sempre quello determinato all'inizio.
    Ora, poniamo che il tasso schizzi al 6%. Se mi rimane da pagare l'ultima rata, gli interessi passeranno da 3 euro a 4,5 euro: quindi la rata da 909 passa a 910,50 euro: sopportabile se rinuncio a un cappuccino al bar.
    Ma se sto ancora pagando le prime rate, quando la quota di interessi è ancora elevata, l'effetto è ben diverso. Sulla prima rata infatti passo a pagare, da 500, 750 euro; e quindi la rata mi passa da 909 (500+409) a 1159 (750+409) euro: e possono essere dolori.

    Chiaro fin qui? bene (anzi, male): perché il punto è che moltissime famiglie si sono indebitate di recente, dal 2000 in poi (prima non se lo sarebbero potuto permettere) e quindi sono ancora all'inizio del loro ammortamento: stanno pagando proprio le prime rate. E quindi il rialzo dei tassi ha giorno per giorno, sulla loro economia familiare, un effetto devastante.

    Prima in sordina, poi sempre più frequentemente, le famiglie si sono trovate strangolate dal peso del mutuo che avevano stipulato per trovare un'abitazione. Alcuni che avevano fatto il passo più lungo della gamba, comprando magari un immobile più grande del necessario, sono riusciti a tirarsene fuori vendendolo, quando ancora il mercato tirava, e passando in una casa più piccina; ma chi già ha acquistato una casa piccina, o chi ha perso il treno, in questo momento non riuscirebbe neppure a venderla, la casa; e per andare dove, poi?

    Di fronte a questa difficoltà, gli italiani non hanno preso la cosa con la filosofia che avrebbe avuto una famiglia americana: pur di non vedersi pignorare la casa dalla banca hanno ristretto i consumi all'osso e ancor più che all'osso, rinunciando a tutto per pagare il mutuo: con il risultato di contribuire significativamente al crollo dei consumi e alla stagnazione dell'economia.

    Vedremo più avanti cosa hanno fatto i governi che si sono succeduti per risolvere o mitigare la situazione di crisi.

    (continua)

    giovedì 25 settembre 2008

    Mutui e rinegoziazioni

    Ho pensato che se proprio voglio rendermi utile, tanto vale scrivere qualcosa su un argomento che ne valga la pena, rivolto a una generalità di persone.
    Oggi quindi vi racconto come funziona la rinegoziazione dei mutui: non quella di Bersani, bensì quella più recente di Tremonti.

    Naturalmente prima di tutto vi annoio con un pippone di inquadramento storico e di richiami normativi.

    Partiamo dall'inizio: con l'ingresso dell'Italia nell'area Euro i tassi di interesse hanno preso a scendere vertiginosamente, e hanno raggiunto livelli minimi tra la fine del 2003 e l'inizio del 2005 (se proprio volete verificare, qui trovate i dettagli). Questo mutamento del mercato ha avuto in Italia un effetto sconvolgente.

    In effetti gli italiani hanno storicamente avuto una fortissima propensione all'acquisto della casa di abitazione, in percentuale molto maggiore che nel resto d'Europa. Il problema era che con i tassi di interesse in vigore negli anni '80 il mutuo poteva supplire a una piccola parte delle necessità finanziarie connesse all'acquisto di una casa: in pratica serviva per comperare la cucina e la cameretta, il resto bisognava mettercelo di tasca propria. In tale quadro esisteva un fiorente mercato degli affitti, cui accedevano tutte le classi sociali.
    Con la diminuzione dei tassi il mutuo è diventato sempre più abbordabile, fino al punto in cui è diventato di fatto più conveniente dell'affitto stesso. Vi risparmio i motivi per cui ad un certo punto l'affitto è diventato più costoso: roba di matematica finanziaria. Sta di fatto che a un certo punto, in Italia, chi aveva pochi soldi ha iniziato a dover comprare casa: tanto che il mercato degli affitti si è concentrato su immobili del tutto marginali -le cosiddette case popolari e simili- o su abitazioni di pregio destinate a locatari di classe sociale assai elevata, che avevano interesse a far transitare l'operazione da società costituite allo scopo per sfruttare i vantaggi fiscali o che semplicemente non volevano impegnarsi in un investimento di breve durata.
    Quindi una marea di italiani dal 1997 in poi ha comprato casa, prendendo a prestito i fondi necessari dalle banche tramite un mutuo. I mutui potevano essere contratti a tasso fisso oppure a tasso variabile; quest'ultimo è di regola più conveniente, e lo era sicuramente in quegli anni: scopriamo perché e vedremo che questo ci consentirà subito di sfatare un mito.
    La banca prende i soldi in varie maniere, ma il maggior volume di denaro viene movimentato su base giornaliera o comunque di brevissimo termine (in verità questa è una semplificazione: ci torneremo sopra, ma per ora pigliatela così). La banca, quindi, il denaro lo paga a tasso variabile (perché anche la banca paga il denaro, mica lo trova sugli alberi). Dato che il tasso variabile può variare, come dice il nome stesso, anticiparne la misura nel tempo è rischioso, e il rischio va remunerato.
    Detto in altre parole: oggi pago il denaro al 4%, domani potrei pagarlo al 4%, al 3% o al 5%, ma non so quale sarà la misura futura. Se sono un banchiere ho due scelte: o dico al cliente di starmi dietro, e quindi di pagare il denaro quanto lo pago io, più un pezzettino (lo spread); oppure accetto di rischiare e gli vendo il denaro a un tasso che rimarrà sempre fisso.
    Se il cliente mi paga a tasso variabile, il rischio che corro è solo il rischio di credito, vale a dire il rischio che il cliente non mi paghi. Se mi paga a tasso fisso, corro il rischio di credito ma anche il rischio di tasso, vale a dire che a un certo punto io, banchiere, stia pagando il denaro più di quanto me lo sta pagando il cliente.
    Un rischio contro due rischi: è per questo che il tasso variabie costa di meno del tasso fisso. Vedete che l'ottica del banchiere è molto diversa da quella del mutuatario: per il banchiere il tasso fisso è rischioso, dato che per lui conta quanto giorno per giorno paga il denaro; mentre per il mutuatario la logica è opposta.
    Il mutuatario ha di regola una o più entrate fisse, con cui deve pagare l'abitazione, le spese condominiali, il cibo e quant'altro. Per lui il rischio vero è quello di non farcela a fine mese: gli importa abbastanza poco se il banchiere ci guadagna più o meno abbondantemente: l'importante è arrivare al 27!
    Come che sia, negli anni che ci interessano i tassi variabili sono diventati ridicolmente bassi. Orbene, i tassi non possono scendere sotto lo zero, ma possono ben salire molto sopra: quindi più la misura del tasso corrente (variabile) scende, più si allarga la forbice rispetto al tasso fisso che un banchiere è disposto a fare. Quando il tasso è al 2%, può scendere al massimo all'1%, ma può anche salire al 3%, al 5%, o addirittura al 9%! Perciò le possibilità di salita sono molto superiori rispetto alle possibilità di discesa.
    Le banche proponevano due tipologie di mutuo: a tasso fisso e a tasso variabile; ma il tasso variabile era molto meno costoso del tasso fisso, dato che quest'ultimo era più rischioso.
    Ne consegue che quasi tutti coloro che si sono indebitati in quegli anni lo hanno fatto a tasso variabile: la differenza era tale che ben pochi hanno preferito scommettere che la pacchia non sarebbe durata: quasi tutti hanno scelto di pagare subito quanto meno possibile. In effetti non era proprio una scelta: il fatto era che se si fossero indebitati a tasso fisso non sarebbero riusciti a pagare la rata; l'affitto non riuscivano a pagarlo... che rimaneva?
    Attenzione, però: la banca non aveva alcun interesse a preferire una forma di mutuo rispetto all'altra: poniamo ad esempio che la banca avesse stabilito che sul variabile voleva far pagare il tasso base più uno spread dell'1,5%, mentre sul fisso voleva il 7%. Bene: le due soluzioni sono per la banca perfettamente equivalenti: la banca non ha alcun interesse a spingere l'una o l'altra: e questo perché è la banca stessa che, con strumenti complicati (i derivati) trasforma internamente i tassi fissi in variabili e viceversa.
    In sintesi, per chiudere il capitolo:
    - la discesa dei tassi ha reso conveniente e necessario indebitarsi con le banche, in quanto ha distrutto il mercato degli affitti;
    - indebitarsi a tasso variabile era molto meno costoso per l'utente finale, anche se più rischioso i termini di flussi ("arrivare a fine mese");
    - le banche non avevano particolare interesse a spingere ad indebitarsi nell'una o nell'altra forma.

    Nella prossima puntata approfondiremo l'ultimo punto e vedremo poi cos'è successo quando i tassi hanno cominciato a risalire.

    (continua)

     

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