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venerdì 6 novembre 2009

Ancora un po'

Ieri sera sono stato a cena con Beppino Englaro: in effetti abbiamo parlato poco, perché non eravamo vicini e perché non è un signore che parli molto; e non abbiamo comunque parlato della vicenda che tutti conoscono che lo ha reso, malgré soi, un simbolo delle battaglie per la laicità.
Tornando a casa mi dicevo che c'è qualcosa che mi è rimasto in canna, quando ieri parlavo del crocefisso.
Coloro che pensano che la battaglia per toglierlo dalle aule sia inutile (dato che c'è sempre stato e a nessuno gliene è mai fregato granché), o dannosa (dato che ha richiamato l'attenzione sull'oggetto e rischia di farne apporre anche dove adesso non ci sono), o inopportuna (dato che ben altri sono i problemi che abbiamo, oggi) sono certo in buona fede.
Ma riflettano, per un secondo solo. Sul fatto che se oggi la chiesa si permette di condannare a vivere una donna, in ispregio alle sentenze di uno Stato formalmente laico, e con il pieno sostegno del governo in carica; se i ginecologi si permettono di contravvenire alle leggi boicottando, su mandato della chiesa, la distribuzione delle pillole che consentirebbero di abortire senza dolore; se i sindaci si permettono di rifiutare i permessi per aprire un locale di pubblico ritrovo in uno scantinato di periferia, perché i porporati affermano che la nostra società non è pronta per moschee e minareti; e -infine- se quel governo, quei ginecologi e quei sindaci non vengono rimossi dalle loro poltrone: be', riflettano costoro sul fatto che fore un po' di tutto ciò è dovuto anche a quei due pezzi di legno onnipresenti.
E quando vedranno in televisione il volto sorridente e sofferente del signor Englaro, si chiedano se sono ancora nella condizione di esprimergli tutta la solidarietà che gli hanno espresso.

venerdì 22 maggio 2009

Epitaffio /2

Qui sotto c'è un epitaffio il cui senso, criptico, certo non potrà essere compreso da molti.
Ho appreso anch'io la notizia, come un altro noto lettore, dai commenti sul suo blog: potrei linkarlo, ma sento che farei un torto a Fravia stesso, almeno credo.

Sta di fatto che il mio epitaffio è ben povera cosa: non sono certo un poeta. Ben diverse sono le ultime parole scritte da Fravia, che desidero ristrascivere in parte (la fonte, neppur questa, la linko). La sottolineatura è mia.
Ok, so all the cures I had to undergo for almost two years: two complete and quite debilitating chemotherapy cycles, 4 operations, many biopsies, uncounted PET scans and MRIs, months spent inside a clinic... did not work out.
The metastases escaped from the throat: my dutch professor managed to stop everything but not the liver tumour, and my liver is now imploding. So it is a matter of weeks, not even months.

My remaining choices are to die in a clinic, to die home or to ask for euthanasia (the last I will of course do if needs arise... fortunately this is a civilised EU-country and religious nuts don't have here -at least for now- enough power to nuke my rights just to appease and placate the alleged wishes of their dubious godzilla).

I'll go for home: it seems (again: this ubiquitous "seem") that I will die while asleep. I will "just" get weaker (and yellower, gosh: nothing like a terminal tumour to become really ugly) until one day I won't wake up any more. If so, fair enough: you go with a gentle puff on your final trip, an experience that btw is usually reported as unique and unrepeatable :-)
Avrete capito che Fravia, che aveva un rapporto privilegiato con l'Italia, si riferiva al nostro, di Paese.

martedì 10 marzo 2009

O di qua o di là /2

La lettura di questo articolo dell'edizione di firenze di Repubblica, che dà dettagliatamente conto delle posizioni del Partito Democratico a proposito del conferimento della cittadinanza onoraria a Beppino Englaro, è l'ennesimo argomento utilizzabile per dimostrare che in politica anzitutto bisogna avere un programma chiaro, e poi si può decidere chi lo deve portare avanti.
Pretendere di mettere tutte le opinioni in un calderone e nominare un leader con i gazebo potrà anche servire a vincere qualche elezione (e spesso neppur a quello); ma non aiuta a stabilire una linea politica condivisa, salvo che poi all'eletto non vengano attribuiti poteri nordcoreani per la repressione del dissenso interno.

Qualcuno potrà anche obiettare che la cittadinanza onoraria a Beppino Englaro non è tanto importante, e comunque costituisce un caso di coscienza.
Personalmente per me la laicità dello Stato è fondamentale e seppur ciascuno è libero di credere a ciò che vuole, cionondimeno la sua coscienza ha il limite del rispetto di tale principio; ed è per questo che la lite su questa cittadinanza onoraria, nel capoluogo della regione storicamente rossa, mi disgusta.

mercoledì 11 febbraio 2009

Profili costituzionali dell'alimentazione forzata

Ieri sera, non avendo granché meglio da fare, mi sono letto con attenzione la sentenza Cass. Civ. 21748/2007 (la trovate ad esempio qui), facendoci sopra qualche ragionamento.
La prima cosa da notare è che il principio di diritto espresso dalla corte (che trovate come virgolettato, in fondo alla sentenza), definisce il sondino nasogastrico come un "presidio sanitario". E "presidio" viene definito anche nelle varie massime sviluppate dalla sezione del massimario, che tuttavia nel riassunto redatto per la stampa (questo) utilizza la diversa definizione di "trattamento sanitario".
La questione non è di lana caprina, dacché il "trattamento sanitario", a differenza del "presidio", è espressamente normato dall'art.32 Cost., il quale dice, come ormai tutti sanno, che "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana."
Il testo della sentenza, al punto 7.6, è molto chiaro in quanto, secondo la Cassazione,
Non v’è dubbio che l’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino nasogastrico costituiscono un trattamento sanitario. Esse, infatti, integrano un trattamento che sottende un sapere scientifico, che è posto in essere da medici, anche se poi proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati come composto chimico implicanti procedure tecnologiche. Siffatta qualificazione è, del resto, convalidata dalla comunità scientifica internazionale; trova il sostegno della giurisprudenza nel caso Cruzan e nel caso Bland; si allinea, infine, agli orientamenti della giurisprudenza costituzionale...

Ora, una volta accertato che il sondino è un trattamento sanitario, ad esso si applica la riserva di legge costituzionale. Ciò non significa ancora che il trattamento con il sondino sia vietato, si badi. Ma è legittimo porsi il problema se tale trattamento forzato violi "i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
Il nostro governo evidentemente ritiene che l'applicazione di un sondino a una persona "non in grado di provvedere a se stessa" non violi tale limite. Il che potrebbe anche avere un senso per una persona in stato vegetativo, ma comincia a pormi forti dubbi per una persona cosciente ma immobilizzata, quale un tetraplegico che esprima con chiarezza il proprio rifiuto a tale pratica.
Del resto i casi in cui una persona può essere sottoposta a trattamenti sanitari contro la propria volontà sono caratterizzati da uno stato di assoluta eccezionalità: vi rientrano infatti i casi di crisi psichiatriche acute, nelle quali il soggetto, sicuramente incapace di autodeterminarsi, può essere pericoloso per sé o per altri, e i casi in cui il rispetto della persona deve cedere nel confronto con la tutela della collettività: nessuno infatti potrebbe affermare che il rispetto della dignità umana possa consentire a un ammalato di Ebola di andare tranquillamente a spasso per Piazza del Duomo!
Inoltre, il trattamento sanitario obbligatorio è estrmamente circoscritto nel tempo (avendo una durata di 7 giorni), mentre qui parliamo di pratiche destinate a durare anche anni.

Si noti poi che la categoria del "non in grado di provvedere a sé stessa" è talmente ampia che potrebbe rientrarci anche quella mia amica che, qualche tempo addietro, si era rotta il bacino in un incidente stradale e che, vi assicuro, non poteva in alcun modo provvedere a sé stessa.
A questo punto si apre un indubbio problema di legittimità costituzionale: posto infatti che la dignità e il rispetto della persona umana , per costante giurisprudenza e comune buon senso, non possono in alcun modo essere fatte dipendere dalle condizioni di salute della medesima, ecco che si viene a porre una inaccettabile disparità di trattamento (contraria al principio di uguaglianza sancito nell'art.3 Cost) tra coloro in grado di provvedere a sé, che non possono essere forzati ad alimentarsi, e coloro che in grado di provvedere a sé non sono, che possono essere al limite immobilizzati, qualora immoobili non siano per sé, e alimentati forzatamente.
Ne consegue che, a mio parere, il decreto preparato dal Governo era incostituzionale. Perché allora il Presidente Napolitano non ha addotto questi profili di merito invece dei profili formali relativi all'assenza dei requisiti di necessità e urgenza?
Immagino che vi siano due possibili ragioni. Da un lato, il ragionamento che abbiamo svolto, pur limpido, entra profondamente nel merito della norma: probabilmente il Presidente ritiene che il suo compito di tutore della Costituzione non si estenda al sindacato sul merito se non eni casi di evidente e manifesta incostituzionalità, vale a dire nei casi in cui non sia necessario sviluppare ragionamenti articolati. Del resto, come già abbiamo accennato, il Presidente della Repubblica è un organo monocratico mantre la Corte Costituzionale collegiale, quindi il suo potere di scrutinio è da esercitarsi con molto maggiore cautela (gli stessi costituenti, del resto, hanno previsto che qualora il Parlamento reiteri una norma respinta, egli abbia il dovere di promulgarla).
In secondo luogo, discettando del merito anziché del metodo egli si sarebbe legato le mani da solo: una volta affermata l'incostituzionalità della norma e non del suo procedimento emanativo, egli non avrebbe potuto far altro che respingerla qualora il Parlamento l'avesse approvata: ed è probabile che Napolitano abbia voluto scrupolosamente evitare uno scontro con il Parlamento.

martedì 10 febbraio 2009

Le Pascal retrouvé

Lettera aperta di un Uomo comune al Senatore Rutelli Francesco
Egregio Senatore,
ho appreso dalla stampa che Ella ha presentato un emendamento in dissenso dal Gruppo parlamentare cui appartiene. Mentre il Gruppo, infatti, tramite un suo proprio emendamento, chiede che venga rispettata la volontà di ciascuno sull'essere fatto oggetto di alimentazione forzata, il Suo emendamento tende ad escludere che tale volontà sia presa in considerazione.
Più grave ancora il fatto che la Capogruppo del Suo Gruppo in Commissione Sanità non abbia firmato l'emendamento del Gruppo. Io ho come noto una vecchia ruggine verso il concetto del bipolarismo, dell'"o di qua o di là"; e ne ho ben donde, dato che in questo caso in Commissione abbiamo tutt'altro che il proliferare incontrastato di posizioni diverse e frazionate, bensì una sola, unica posizione, che guarda caso è proprio contraria al mio sentire e a quello di milioni di persone che come me la pensano.
Ma veniamo al merito del problema.
Lei è evidentemente convinto, per dirla con il suo sòdale Formigoni, che qualunque vita sia degna di essere vissuta. Io non la penso come Voi.

Credo che una persona ridotta allo stato vegetativo o assimilabile (vale a dire nelle stesse condizioni di una sfortunata donna che ha recentemente fatto scorrere fiumi d'inchiostro) sia del tutto incosciente e incapace di rendersi conto del proprio esistere. anzi: lo spero, per i motivi che dirò in seguito.

Io non credo che una volta morti esista qualcosa come il Paradiso, il Nirvana o chissà che; non lo credo ma non sono in grado ovviamente di escluderlo.Bene: se non esistesse una vita ultraterrena, la condizione dell'uomo ridotto a vegetale e quella del deceduto sarebbero del tutto assimilabili: e quindi potrebbe non importarmene nulla, del giacere attaccato a un sondino. Me ne importa ora, perché pavento il dolore e i sacrifici che i miei famigliari, se volessero accudirmi, dovrebbero sopportare; e sono tanto cinico dall'affermare che anche il bilancio pubblico ne soffrirebbe, del tenermi lì attaccato contro la mia volontà; ma -ripeto- una volta lì, non me ne fregherebbe nulla.

Certo, Lei crede che esista, un'altra vita. E non crede che costringere una persona incosciente in un letto per 17 anni, ritardando di altrettanti anni il suo ricongiungersi con il Dio, il Principio Universale, il Motore Immobile o qualunque altro nome voglia attribuirgli, sia una gran vigliaccata, da parte Sua?
Certo, di là c'è l'eternità, e 17 anni son ben poca cosa, al confronto; ma chi diavolo è Lei per deciderlo? Un Dio minore, forse?

Ma veniamo alla parte brutta. Immagini per un momento che in quello stato l'uomo non sia completamente incosciente. Immagini per un attimo che quella signora fosse in grado di percepire tutto quello che succedeva intorno a sé, ma che non fosse in grado di reagire. Immagini che quella signora, malgrado le indicazioni contrarie degli strumenti di misura (che come da Voi stessi affermati, non possono dirci tutta la verità sull'Uomo) fosse sveglia, o semisveglia in una sorta di nebbia.
Immagini, per fare un paragone, di essere immerso in un blocco di resina trasparente che la avvolga completamente, mascella compresa, e di ricevere aria e cibo attraverso due tubicini.
Si chieda quanto tempo impiegherebbe a impazzire. Lei è una persona colta, sa per certo che la paura dell'essere sepolti vivi è una delle più ancestrali paure dell'Uomo, mitigata solo dalla consapevolezza che quand'anche dovessimo subire tale sorte, sarebbe per un periodo brevissimo in quanto moriremmo per mancanza d'aria o al limite di cibo.
Immagini di essere sepolto vivo per un mese, per un anno, per un decennio. Non preferirebbe migliaia di volte il nulla, se nulla debba essere? E non preferirebbe milioni di volte il Paradiso, se Paradiso dovrà essere? O forse ha tanti peccati da scontare che teme le fiamme dell'Inferno? E forse proietta questa sua paura sul mondo che La circonda, e crede che la sua missione sia quella di salvare anche me dall'Inferno, ritardando il più possibile il mio incontro con il Demonio?

La ringrazio, ma desidero far fronte alle mie responsabilità da solo; e credo che, al di là di discorsi vuoti quali laicità dello Stato, Costituzione e pinzillacchere fuori moda di questo genere, che certo non Le interessano, il Suo e quello dei Suoi correligionari sia anzitutto un problema di mancanza di rispetto e di buona educazione nei miei confronti.
Le sarei grato se volesse dimenticarsi della mia esistenza e smettersi di preoccuparsi per me. Lo faccia, se non altro, per rispetto del buon vivere.

venerdì 6 febbraio 2009

Procreazione assistita

E' in vigore in Italia una legge che pone vincoli rigidissimi alla possibilità di accedere alle tecniche di procreazione assistita: tanto che una coppia omosessuale o non sposata deve andare all'estero se vuole avere un figlio con questi metodi.
Il nostro PresConsMin oggi ha detto che la signora Englaro potrebbe avere dei figli.
Ma non è possibile che la predetta si sposi, non essendo evidentemente in grado di esprimere il necessario consenso; né potrebbe avere rapporti sessuali leciti (il futuro padre sarebbe infatti imputabile per stupro, per lo stesso motivo dell'assenza di consenso).
Forse che il PrensConsMin voglia cambiare la legge sulla procreazione assistita, magari tramite decreto?

Compiacimento

Ci sono anche delle cose che fanno piacere. Ad esempio questa intervista a Valerio Onida, che oltre che della mia commissione di laurea fu Presidente anche della Corte Costituzionale, per cui è uno che se ne intende.

E che dice, con una chiarezza che certo io non ho, quello che anticipavo qui, vale a dire che -dal punto di vista costituzionale- il decreto-legge del Governo che vorrebbe imporre l'alimentazione della Signora Englaro sarebbe perfettamente legittimo per quanto concerne il metodo (prescindendo quindi dal merito del contenuto della norma). Certo, si tratta di roba molto tecnica, da giurista: tanto che anche Enzo Mauro, che di solito è accorto e preciso, prende un abbaglio e scrive fischi per fiaschi asserendo che il decreto lederebbe l'intangibilità della cosa giudicata. Non è vero.

A parte la soddisfazione per non aver passato del tutto invano del tempo sui libri, questa notizia è interessante anche perché pone in diversa luce l'atteggiamento del Presidente della Repubblica: Napolitano infatti fin'oggi è stato forse il più notarile tra i Presidenti succedutisi negli ultimi 30 anni (da Pertini in poi, diciamo). Il suo intervento a gamba tesa e senza il paracadute di un difetto formale nella proposta del Governo può forse farci meglio sperare per il futuro?

Aggiornamento: Dunque il CdM ha voluto andare alla prova di forza con il Quirinale e approvare il decreto. Io dico che alla fine Napolitano firma, voi che ne pensate?

Aggiornamento/2: Sembra che non firmi... mah, speriamo in bene!

giovedì 5 febbraio 2009

Paradossalmente...

(segue da qui)
Paradossalmente, l'idea del Governo di emanare un decreto-legge per imporre l'alimentazione alla signora Englaro è, dal punto di vista strettamente ed esclusivamente costituzionale, la cosa più corretta che finora sia stata messa in campo.
Infatti, vero è quanto si diceva nel post precedente, vale a dire che l'azione dell'esecutivo è sottoposta alla legge e all'interpretazione che della legge viene data nei casi concreti dalla magistratura; ma vero anche che il potere legislativo ha la potestà per legiferare e quindi cambiare le carte in tavola.
Come accennavamo nel post richiamato, il potere legislativo pertiene al Parlamento, ma tuttavia il Governo ne partecipa, in particolare grazie alla facoltà di emanare decreti-legge che hanno forza di legge ordinaria ed entrano in vigore immediatamente, ma che entro 60 giorni debbono essere approvati dal Parlamento, in quanto altrimenti decadono.

Dal punto di vista costituzionale, quindi, la mossa di Berlusconi è corretta (e anzi l'unica perseguibile). Chi scrive tiene comunque a precisare ai propri lettori che considera una vera porcata l'accanimento su questa vicenda del Governo, del Vaticano, dei movimenti per la vita e via discorrendo.

mercoledì 4 febbraio 2009

Contro Sacconi (Appunti di diritto pubblico)

necessaria premessa: questo post è scritto un po' di getto ed utilizza espressioni semplici e colloquiali, come se fossimo al bar. Se quanto segue facesse parte di una tesina di uno studente al primo anno di giurisprudenza gli direi di darsi all'informatica; ma l'importante per me è solo par passare i concetti generali

Tutti sanno fin dalle elementari che nello Stato di diritto vige il principio di separazione dei poteri, anche se per molti questa sembra solo una vaga formula, e talvolta riesce difficile comprenderne appieno il significato.
In un ente politico (una comunità di persone legate a un territorio, che sia un consiglio di quartiere o un impero non conta) possono talvolta essere esercitate liberamente e indipendentemente alcune funzioni pubbliche apicali: e in questo caso siamo di fronte a un ente sovrano.
In particolare stiamo parlando:
  • della funzione legislativa, vale a dire lo stabilire norme (regole generali ed astratte) che regolino i rapporti tra i consociati;
  • della funzione esecutiva o amministrativa, vale a dire la concreta messa in atto di quanto disposto dalle norme;
  • della funzione giurisdizionale, vale a dire la risoluzione delle controversie originatesi nell'applicazione e nell'interpretazione delle norme

  • E così, per fare un esempio, il potere legislativo è quello che stabilisce che i bambini a sei anni debbano andare a scuola; il potere esecutivo bada a che vengano costruite le scuole, nonimati gli insegnanti, stabiliti i programmi di studio e via discorrendo; il potere giudiziario punisce i genitori che non mandano i figli a scuola, dirime le controversie riguardanti le graduatorie relative agli insegnanti di ruolo e decide se uno studente che asserisce di essere stato ingiustamente bocciato abbia ragione o torto.

    La separazione dei poteri non è ontologicamente necessaria: anzi si tratta di una conquista relativamente recente e tutto fuorché stabilmente acquisita. Nella Francia di Luigi XIV tutti i poteri appartenevano al Sovrano, e lo stesso valeva per la Francia di Luigi XVII (mi si passi la battuta), dove tutti i poteri erano concentrati nella Convenzione, o per la Germania hitleriana. Per quanto concerne l'Italia del 1922, basta l'incipit del Discorso del Bivacco per comprendere cosa ne pensasse il Capo del Governo, del Parlamento: "Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto"
    In altre parole: le tre funzioni sono sempre riconoscibili in un ente politico sovrano; ma non è per nulla scontato che esse facciano capo ad enti diversi tra loro: e quindi che siano separate.
    Sta di fatto che -malgrado taluno possa auspicare il ritorno ai fasti dell'ormai non più tanto recente passato- l'Italia del 2009 è uno Stato di Diritto, ed ha una Costituzione che statuisce il principio della separazione dei poteri.

    Per comprendere meglio tale principio, è importante sviluppare un paio di approfondimenti.
    Anzitutto, la tradizionale formula che si trova sui sussidiari (il legislativo fa le leggi; l'esecutivo applica la legge e il giudiziario punisce chi non rispetta la legge) è fuorviante: io perlomeno da piccolo non riuscivo proprio a comprendere la differenza tra esecutivo e giudiziario; e più grandicello ho scoperto anche che esistevano i tribunali civili dove non si punisce nessuno, bensì si applica la legge.
    In secondo luogo, va rilevato che non esiste una separazione piena ed assoluta. Il Governo ha il potere di emanare norme generali ed astratte, quali i Regolamenti, e quindi partecipa della funzione legislativa seppur in via subordinata al Parlamento (in quanto i Regolamenti sono posposti alla Legge nella gerarchia delle fonti). D'altro canto il Parlamento stesso, e per la precisione ciascuna delle due Camere, si amministra da sola, e quindi esercita nei confronti di sé stessa e dei suoi interlocutori anche il potere esecutivo e persino quello giudiziario.

    Una bella confusione, no? Che tuttavia può essere chiarita, se si pensa che l'esecutivo è un esecutore della legge, il suo braccio armato, mentre il giudiziario ne è l'interprete.
    Il giudiziario ti condanna a dieci anni, ma è l'esecutivo quello che manda i carabinieri ad arrestarti; il giudiziario riconosce che hai diritto a un risarcimento di 10.000 euri, ma è dall'esecutivo che dipende l'ufficiale giudiziario che pignora il conto del debitore. In estrema sintesi: l'esecutivo ha la forza, il giudiziario esercita un controllo sul suo uso. E con forza non si intende solo il carabiniere con la pistola: anche la concessione di un'autorizzazione ministeriale è forza, seppur di natura economica anziché bruta.

    L'esercizio del potere esecutivo richiede rapidità e coerenza nell'azione. Come sul campo di battaglia, occorre che le decisioni siano prese in maniera pronta e coerente, altrimenti si finisce come i comunardi parigini, che votavano per decidere dove piazzare i cannoni mentre le truppe di MacMahon avanzavano: ed è per questo che al Governo c'è una maggioranza (che si suppone concorde nelle decisioni) mentre in Parlamento ci sono tutte le forze politiche (sic!). Ma l'uso della forza senza controllo dà luogo all'assolutismo, all'arbitrio, alla dittatura. Ed ecco perché in uno stato di diritto il potere giudiziario è separato e l'esecutivo deve sottostare alla legge e rispettare l'interpretazione della legge che il potere giudiziario pronuncia.
    Se l'esecutivo potesse agire fuori del controllo del potere giudiziario non sarebbe più sottoposto alla legge. Se l'esecutivo potesse anche una sola volta stabilire che una sentenza è ingiusta, nulla gli impedirebbe di stabilirlo una seconda, una terza e così via. Da qui al discorso del 3 gennaio 1925 il passo sembra enorme, ma è solo questione di scala: è un problema quantitativo, non più qualitativo.

    L'indipendenza e l'autonomia della Magistratura sono elementi fondativi della nostra forma di Stato. Indipendenza ed autonomia che finora sono sempre state interpretate come guarentigie tese a far sì che il singolo giudice non si possa trovare costretto o sospinto, per pavidità o interesse di carriera, a prendere una decisione in un senso piuttosto che nell'altro al fine di compiacere il Governo. Ed è per questo che avanzamenti di carriera e punizioni disciplinari sono decisi dal CSM, non dal Ministro della Giustizia.
    Era ovvio, ma ora non lo è più: perché in passato abbiamo visto governanti che cercavano di indirizzare le decisioni dei giudici prima che fossero prese; abbiamo visto governanti criticare anche aspramente sentenze e promettere riforme contro le toghe verdi, rosse o blu. Ma non avevamo ancora visto governanti che, senza porsi minimamente il problema di andare contro la Costituzione, semplicemente se ne fregano di una sentenza passata in giudicato e agiscono esattamente al contrario rispetto a quanto stabilito dal potere giudiziario.

    Per quanto assurdo possa essere, il problema dell'indipendenza del potere giudiziario ha ora trovato una soluzione alla quale non si era ancora pensato: si lascia ai giudici la libertà di pronunciare la propria interpretazione della legge, dopodiché la si ignora o addirittura la si contrasta con azioni e parole.
    Un Ministro che agisce in modo contrario rispetto a quanto disposto da una sentenza definitiva viola il giuramento di rispettare la Costituzione e le leggi della Repubblica, e dovrebbe essere immediatamente rimosso dal proprio incarico: dal Capo del Governo stesso. E, qualora il Capo del Governo non vi provvedesse, l'opposizione parlamentare non dovrebbe perdere un minuto soltanto e chiederne la rimozione. Perché l'opposizione, in Parlamento, ci sta proprio per quello: per controllare il Governo, non per tentare di condividerne e indirizzarne l'operato.

    (segue qui)

     

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