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mercoledì 19 maggio 2010

Theriaca

Forse qualcuno dei lettori miei coetanei rammentarà una storia di Paperino che s'incentrava sulla Triacà (o Theriaca) veneziana, sorta di antidoto dagli effetti miracolosi capace di guarire tutti i mali.
Non dissimile è la lotta all'evasione per il nostro Ministro dell'Economia: e non sto parlando di Giulio Tremonti, che siede attualmente nell'ufficio di via XX Settembre, ma di chiunque ricopra pro-tempore l'ambito ruolo.
Ci son da regondere 25 miliardi di euri? Non c'è problema, non metteremo le mani nelle tasche degli italiani, colpiremo gli evasori. Ero piccino, appena compitavo, e già il Ministro delle finanze dell'epoca, dovendo regondere 25 miliardi di lire, che allora avalevano qualcosa, si riproponeva di lottare contro l'evasione.
Quanto al tema dei falsi invalidi, rammento distintamente che uno dei bidelli della mia scuola elementare era additato in quanto tutti sapevano che era stato assunto in quanto invalido, ma falso, e che in forza di tale tara non faceva nulla di nulla, se non fumare il sigaro.

Insomma: che Tremonti si svegli dicendo da oggi che lotteremo contro l'evasione e i falsi invalidi è sorprendente quanto accendere la TV e trovarvi Carlo Conti.
Più di un anno fa avevo scritto preconizzando un intervento del Governo sull'evasione fiscale, dato che la situazione dei conti e la necessità di non perdere consenso non lasciavano altre strade al Ministro. Un anno è passato, non ci sono più elezioni alle porte e quindi non è difficile pronosticare che neppure questa volta verrà posto in essere un qualsiasi intervento serio: né ormai è ipotizzabile di passare attraverso un nuovo condono, essendo oramai stato condonato tutto il condonabile (salvo forse ipotizzare un bel condono penale: una milionata per un omicidio volontario, tre milioni per bancarotta fraudolenta, un dieci milioni per associazione mafiosa e via così: ché si svuoterebbero anche le carceri salvo che per i poveracci).

C'è però una cosa che ha detto Tremonti, che val la pena di rimarcare: il fatto che il taglio del cinque percento degli stipendi dei parlamentari è una solenna cazzata (lui ha detto «solo l'aperitivo», ma lui parlava ai microfoni, non scriveva su un blog.
Il fatto è che si trattava di una proposta di Calderoli, mica di Bocchino o di un altro finiano. E allora è possibile ipotizzare che dietro quella battuta vi sia un raffreddamento dell'asse tra Tremonti e la Lega?

martedì 21 aprile 2009

C'è crisi, c'è grande crisi /5

Pochi giorni fa vi ho raccontato come Goldman Sachs e JP Morgan hanno fatto a far uscire una trimestrale con dei begli utili malgrado avessero perso soldi su quasi tutte le proprie linee di business; e ciò con i soldi dei contribuenti americani e per il tramite di AIG.
Oggi invece vi dico qualcosa sull'altro grande colosso bancario: Citigroup, che ha chiuso la trimestrale con 1,6 miliardi di utili. Bloomberg spiega il dettaglio delle cifre, e se aveste la pazienza di andare fino alla metà dell'articolo trovereste questa criptica frase:"Citigroup posted a $2.5 billion gain from accounting rules that allow companies to profit when their own creditworthiness declines", che vale la pena di spiegare.

Immaginate una situazione in cui ci sono: Alberto il banchiere; Berta la massaia e Cirillo lo speculatore. Berta deve 1.000 dollari ad Alberto, ma ha perso il lavoro, ha due figli da mantenere e il marito è scappato con una ballerina. Alberto sa bene che quei 1.000 dollari esistono solo sulla carta, e se gli va bene ne vedrà solo 400 o al massimo 500 (ma dopo molto tempo e con molte spese). Arriva lo speculatore Cirillo, il quale dice ad Alberto: vendimi il credito verso Berta, e io ti dò subito 400 dollari, così non ci pensi più. Alberto ci pensa sopra 20 secondi e poi vende il credito a Cirillo: perché?
Semplice: Alberto sa bene che Berta non ha occhi per piangere, e una regola d'oro del credito è che non si può cavar soldi dalle rape. Meglio portare a casa meno di quanto si dovrebbe, ma portarlo a casa e non pensarci più.

Ora immaginate che Berta non esista; e neppure Cirillo.
C'è una banca, che si chiama Citigroup, che ha emesso delle obbligazioni. Ha dei debiti, insomma, come normale per una banca. Citigroup però sta messa male: le sue probabilità di diventare insolvente sono consistenti: il mercato non le dà più fiducia. Se qualcuno dovesse comprare un'obbligazione da 1.000 dollari di Citigroup, oggi la comprerebbe a 900 dollari, dato che non si fida. Sul mercato, quindi, il valore di 1.000 dollari di debito di Citigroup è pari a solo 900 dollari.
Ma visto che Citigroup mette in bilancio i propri debiti al mark-to-market, cioè li contabilizza al valore di mercato, ecco che magicamente al passivo Citigroup non ha più 1.000 dollari di debiti, bensì solo 900; e la differenza di 100 dollari, che da qualche parte deve essere contabilizzata, viene appostata come un utile.
Avete letto bene: Citigroup ha fatto utili grazie al fatto che rischia di fallire; e se stesse messa ancora peggio, gli utili sarebbero ancora maggiori: se il valore di mercato delle sue obbligazioni fosse solo 800, l'uile sarebbe stato di ben 200 dollari!!!
Con questo giochino Citigroup ha fatto, come detto prima, 2,5 miliardi di dollari di utili; e con altri giochini simili un altro miliardo, per un totale di 3,5 miliardi di guadagni taroccati. Visto che l'utile netto della trimestrale è di 1,6 miliardi di dollari, ne risulta che in realtà Citigroup ha perso quasi 2 miliardi di dollari.

Bello il mondo della finanza, vero? e adesso, non vi sembra che ci sia da stare un po' preoccupati, malgrado Tremonti e Marcegaglia dicano che va tutto bene, madama la marchesa?

lunedì 20 aprile 2009

Non sarà che Tremonti porti un po' sfiga?


aggiornamento: c'è da leggere anche questo!

Tremonti pensiero

Ieri pomeriggio Giulio Tremonti era ospite da Lucia Annunziata, e ha detto svariate cose, ciascuna delle quali merita di essere commentata analiticamente.

Sul mettere le mani nelle tasche degli italiani

Il governo non metterà le mani nelle tasche degli italiani perché i soldi ci sono. Questa affermazione è poi stata declinata in vario modo, anche per l'insistenza della Annunziata che in effetti ha fatto la figura di quella che vuole a tutti costi un aumento delle tasse; e Tremonti ha avuto buon gioco a dire altrettante volte che le tasse non c'è bisogno di aumentarle perché basterà spostare altri capitoli di spesa.
Tremonti ha fatto una bella figura, non per merito suo ma per demerito dell'Annunziata, la quale una sola domanda avrebbe dovuto fare, e non le è venuta fuori: ma perché ora i soldi ci sono, e quando si trattavi di tagliare fondi alla scuola non c'erano?
Credo non sia del tutto secondario, nell'agire di Tremonti il quale notoriamente è molto vicino alla Lega, il desiderio di evitare qualunque polemica sul (prevedibile) successivo punto all'ordine del giorno.

Sui costi del referendum

Dato ormai per scontato che 400 milioni da risparmiare non ci sono, è comunque vero che i referenda un certo costo ce l'hanno, e difatti l'Annunziata ha chiesto se non fosse opportuno risparmiare qualcosa, foss'anche un solo milione.
La risposta di Tremonti è invero pessima, ma non peggiore della posizione de lavoce.info, L'Unità e compagnia cantante: egli infatti ha affermato che il costo della consultazione non deve essere imputato al Governo che ne ha fissato la data, bensì ai referendari che l'hanno convocata. Tesi suggestiva, ma fondamentalmente tanto antidemocratica quanto quella di coloro che volevano andare per forza al voto con le europee.
Il referendum è un ben preciso istituto della nostra Costituzione, che ha delle sue regole: condivisibili o meno (io personalmente credo dovrebbero essere profondamente riformate), ma regole. Se 500.000 cittadini firmano, è un loro diritto democratico e nessuno può sostenere che l'esercizio di un diritto sia un costo inaccettabile (allo stesso modo, tuttavia, quegli stessi cittadini non possono poi andare a raccontare panzane decuplicando il computo dei costi rivenienti dall'esercizio di tale loro diritto per ottenere un'artificioso incremento della partecipazione).
Sostenere che il referendum non andava fatto non costituirà attentato alla Costituzione, ma comunque è una frase che un Ministro della Repubblica non dovrebbe permettersi di pronunciare.

Sull'evasione fiscale

Dato che qualche giorno fa preconizzavo che il governo Berlusconi avrebbe dovuto darsi una mossa sul tema dell'evasione fiscale, quando è arrivata la domanda sono stato con le orecchie dritte. Francamente non sono riuscito a penetrare la maschera da sfinge del valtellinese: da un lato ha affermato che i dati sulle dichiarazioni 2007 sono "scandalosi"; dall'altro ha detto che l'unico modo per combattere l'evasione è il "federalismo fiscale", che ben sappiamo essere null'altro che una buzzword ormai un po' usurata. Staremo a vedere.

Sull'uscita dalla crisi

La parte più interessante, per me, è stata quella -ampiamente riportata in virgolettato dai giornali odierni- nella quale il Ministro ha detto che nessuno crede più in un'apocalisse finanziaria: "La paura di un crollo delle Borse e della finanza mi sembra finita e la gente ha tirato un respiro di sollievo perchè è finito l’incubo degli incubi".
Il contesto nel quale è stata calata l'affermazione rassicurante è molto interessante: la giornalista ha chiesto per quando ci si può attendere la ripresa, e Tremonti ha affermato che lui non è abituato a fare previsioni di questo tipo anche se -immodesto!- lui la crisi l'aveva prevista, dato che da tempo parlava e scriveva contro la globalizzazione. Come dire: io sono un guru, ma non ve lo faccio pesare; e adesso vi dò un po' di fiducia.
Vediamo come stanno le cose.
Tremonti, è vero, da un paio d'anni si scaglia contro la globalizzazione. Ma non solo non ha assolutamente previsto la crisi in atto, ma anzi l'ha clamorosamente toppata. Quella in atto infatti è una crisi discendente non da una crisi di carenza materie prime dovuta all'affacciarsi al mercato globale di masse di nuovi consumatori; e neppure alla caduta dei salari (e di conseguenza dei consumi) dovuta alla delocalizzazione degli stabilimenti produttivi.
Quella in atto è prima una crisi finanziaria dovuta all'utilizzo della leva dell'indebitamento per stimolare i consumi e al ricircolo di liquidità grazie agli strumenti della finanza strutturata (CDO, ABS etc.); scoppiata la bolla immobiliare che sosteneva l'indebitamento, solo dopo (cioé ora) la crisi finanziaria sta trasformandosi in una crisi dell'economia reale, innescata dalla caduta di investimenti e consumi, dovuta alla stretta creditizia delle banche e all'impoverimento delle famiglie.
Tremonti tutto ciò non l'aveva manco lontanamente pensato: era lui, anzi, che propugnava il ricorso delle famiglie all'indebitamento ipotecario proprio per il rilancio dei consumi; era lui che invitava ad ipotecare la casa per pagarsi le vacanze al mare, rassicurando sul fatto che tanto i prezzi sarebbero sempre saliti.
Come si permette, oggi, di dire, proprio lui, che il sistema economico-finanziario italiano sta molto meglio di quello degli USA o del Regno Unito? E' vero, intendiamoci: ma fosse stato per lui ora staremmo nel guano.

lunedì 30 marzo 2009

Banana republic

Visto che siamo in tema di letture impegnate, sul numero di maggio 2009 (sì, lo so che siamo in marzo, ma così va il mondo) di Atlantic ci sarà un articolo di Simon Johnson sulla crisi finanziaria e i piani del governo Obama per superarla.
L'articolo è molto interessante e non molto tecnico, per cui alla portata di chiunque, e -stringendo e semplificando all'osso, voi mi perdonerete- in pratica dice che bisognerebbe perndere un po' di management delle banche e mandarlo a casa, nazionalizzare le banche stesse per ripristinare la fiducia nella solvibilità, e con essa il funzionamento del mercato; dopodiché si potranno anche rivendere le banche così risanate per non tenerle in mano pubblica.

E' un concetto, quello della nazionalizzazione, che non può essere preso neppure in considerazione, negli USA. Io ne parlavo in fondo a questo post, in una digressione stizzita che mi sono permesso nel mentre raccontavo del funzionamento dei Tremonti Bond; ma certo non conto granché.
Ne parla da tempo anche Krugman, che ha evidenziato le criticità del piano Geithner prima ancora che venisse reso pubblico, e che proprio per tale sua posizione ipercritica ormai è considerato alla stregua di un inguaribile comunista (se ne è accorto perfino Sofri giovane, leggendo Newsweek). E se andate a vedere un po' di articoli vecchi tratti da quei siti che sulla colonna qui, a destra, sono marcati come "Economie", probabilmente vedrete che è da qualche mese, che se ne parla.

Ma la cosa veramente interessante è che Simon Johnson non è Krugman o un altro professore universitario, chiuso nella torre d'avorio della sua cattedra, o perlomeno non è solo quello. E' stato capo economista del Fondo Monetario Internazionale, vale a dire di quella istituzione che è l'espressione più pura e dura del neoliberismo d'assalto.
L'FMI (o IMF in acronimo inglese) è quell'ente che arriva nei paesi del terzo mondo (e non solo del terzo) disastrati, tipo Argentina, per intenderci, e impone la svendita di tutto il patrimonio pubblico, il taglio ai diritti dei lavoratori e alle pensioni dei pensionati, il rincaro dei servizi e la abolizione della sanità pubblica, per dire. Gente con le palle, insomma, che non guardano in faccia nessuno.
bene: Johnson dice, papale papale, che se gli USA non fossero gli USA, l'FMI imporrebbe la nazionalizzazione delle banche:
The challenges the United States faces are familiar territory to the people at the IMF. If you hid the name of the country and just showed them the numbers, there is no doubt what old IMF hands would say: nationalize troubled banks and break them up as necessary.
E' un punto di vista interessante, da prendere in considerazione seriamente. E per inciso ci dà anche la sensazione della differenza tra la situazione del mercato finanziario americano ed europeo, ed anche se vogliamo delle differenze tra Europa e Italia.
In Europa, infatti, sono state fatte delle nazionalizzazioni, negli scorsi mesi, senza pensarci su troppo (Fortis, per dirne una, e così varie banche inglesi), mentre negli USA non se ne riesce neppure a parlare pubblicamente, e ci si incentra sul problema del bonus ai dirigenti, come se quelli fossero i problemi!
In Italia, a Dio piacendo, il problema proprio non si pone: che sia perché, come dice Tremonti, i banchieri non sanno l'inglese, oppure (come più probabile) perché la Vigilanza di Banca d'Italia è composta da gente che sa fare il suo mestiere (e difatti Tremonti vorrebbe togliere queste persone e mettere in campo i prefetti), sta di fatto che in Italia le Banche hanno la febbre, ma non rischiano certo la pelle.
E' per questo che lo strumento dei Tremonti Bond è più che sufficiente per fronteggiare la situazione attuale: questo a Tremonti gli va riconosciuto; ma bisogna anche tener presente che la sua soluzione ha dovuto fronteggiare un problema di vari ordini di grandezza minore di quello che hanno dovuto fronteggiare i suoi omologhi nel resto del mondo: e ciò non certo per merito suo.

lunedì 9 marzo 2009

Tremonti Bond /7

(continua da qui)
Nella scorsa puntata abbiamo esaminato come l'aumentare il patrimonio, specie in tempi di crisi, non sia affatto cosa semplice. Se ci sono pochi soldi, sono pochi per tutti, e quindi chi dovrebbe metter mano al portafoglio non avrà volgia o mezzi per farlo. C'è pur sempre lo Stato, che ha capacità finanziarie superiori a quelle di qualsiasi altro soggetto, ma come abbiamo visto ci sono dei vincoli ideologicioggettivi che ne impediscono l'ingresso nelle compagini sociali.

Tuttavia delle soluzioni ci sono, e le possiamo capire approfondendo l'ultima cosa che finora ho lasciato un po' confusa nell'ombra: il concetto di patrimonio.
Ricorderete che nella seconda puntata avevamo fatto l'esempio dell'acquisto di una casa: un po' con soldi propri e un po' con il mutuo della banca. Avevamo anche visto che il concetto "Di chi sono i soldi?" corrisponde, bilancisticamente parlando, al concetto di Passivo
Prendiamo ora queste in esame tre possibilità di passivo:
Di chi sono i soldi?
nostri 500.000
debito, da rendere
tra un mese
500.000
Di chi sono i soldi?
nostri 500.000
debito, da rendere
tra 30 anni
500.000
Di chi sono i soldi?
nostri 500.000
debito, da rendere
tra 3 anni
500.000

Nessun dubbio che se siamo nella seconda ipotesi dormiamo sonni molto più tranquilli che nella prima: è vero che la nostra ricchezza (il nostro patrimonio) è esattamente identica, ma ben diverso è pensare che tra trenta giorni dovremo firmare un assegno per una cifra che neppur lontanamente abbiamo, piuttosto che pensare di doverlo fare tra 10.000 e rotti giorni.
Per quanto riguarda la terza ipotesi, si tratta di una via di mezzo tra le prime due: più tranquillizzante della prima e più seria della seconda. Ma proviamo, fermo restando il resto, a fornire un'informazione in più:
Di chi sono i soldi?
nostri 500.000
della banca, da rendere
tra un mese
500.000
Di chi sono i soldi?
nostri 500.000
della banca, da rendere
tra 30 anni
500.000
Di chi sono i soldi?
nostri 500.000
dei genitori, da rendere
tra 3 anni
500.000

Siamo ancora sicuri che la terza ipotesi sia intermedia? Converrete che nella maggioranza dei casi (non sempre, ovviamente, ma spesso) il prestito dei genitori è una di quelle cose che si paga quando si può; e se non si può non saranno certo coloro che ci hanno messo al mondo a cacciarci di casa.

Ecco, con il patrimonio è un po' così: non è tutto bianco o nero, ma ci sono delle sfumature, tanto che si arriva a un certo punto dove il colore è puro grigio e totalmente indistinguibile.
Se chiamiamo bianco il patrimonio e nero il debito, allora sicuramente il capitale sociale (vale a dire il prezzo pagato per comprare le azioni) è bianco, mentre un debito rappresentato da un certificato di deposito che scade domani mattina è sicuramente nero, così come un conto corrente, che scade nel momento stesso in cui il correntista si presenta allo sportello per ritirare i suoi soldi.
Da un lato, infatti, abbiamo una situazione in cui se la banca non onora il debito, il giorno dopo può arrivare un ufficiale giudiziario a pignorare i mobili; dall'altro lato, abbiamo dei debiti (il capitale sociale) nei confronti dei soci, che non hanno alcun diritto di pretendere né i dividendi né la restituzione del capitale: i dividendi saranno pagati se ci saranno utili e se la società lo vorrà, e il capitale addirittura sarà pagato solo quando la società cesserà di esistere.
Ovviamente il certificato di deposito o il conto corrente rendono molto poco, ma vengono sempre pagati; mentre le azioni rendono molto di più, ma solo se e quando vengono pagati i dividendi.

Ora, ipotizziamo di avere un debito che non ha scadenza: verrà pagato quando la banca avrà i mezzi; e ipotizziamo pure che anche gli interessi verranno pagati solo se la banca farà utili; e ipotizziamo pure che, nel malaugurato caso in cui la banca dovesse fallire, tale debito venga sì pagato prima delle azioni (ci mancherebbe!) ma dopo tutti gli altri debiti.
Si tratta per l'appunto dei Tremonti Bond, ma di che colore sono? Bianco? Nero? Grigio? Ma grigio #777777, grigio #CCCCCC o grigio #333333?
La risposta (lo dice l' art. 12 del Decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185 e il relativo decreto attuativo, e volta a volta lo deve confermare la Banca d'Italia), è che questi strumenti sono quasi-bianchi, vale a dire che possono essere computati nel patrimonio di vigilanza purché entro certi limiti e a certe condizioni.

Come funzionano in pratica questi benedetti "Tremonti Bond"? La prima sorpresa è che non li emette Tremonti (il Ministero dell'Economia, insomma). Sono titoli che emettono le Banche, mentre il Tesoro ha messo a disposizione un po' di soldi (un bel po' di soldi, invero) per comperarli.
Né potrebbe essere altrimenti, se ragioniamo su tutto quel che abbiamo visto finora: infatti non si sta né creando né distruggendo ricchezza; non si sta regalando denaro. La Banca emette dei titoli con certe caratteristiche, che iscrive al passivo; e contemporaneamente mette all'attivo una uguale quantità di contanti: non si sono creati né utili né perdite, ma abbiamo ottenuto un risultato molto interessante. L'attivo ponderato infatti è rimasto immutato (i contanti sono ponderati allo 0%), mentre il patrimonio si è incrementato di un importo pari a quello dei titoli emessi, esattamente come se avesse avuto luogo un aumento di capitale.

Ogni Banca può strutturare dei titoli con un certo tipo di tasso e condizioni, all'interno peraltro di paletti ben precisi; c'è un controllo esperito in parte da Banca d'Italia e in parte dal Ministero sull'economicità dell'operazione, vale a dire sul fatto che il rendimento offerto sia congruo rispetto alle condizioni di mercato e soprattutto alla rischiosità della Banca.
Ci sono poi dei limiti e delle condizioni, abbiamo detto. Il primo limite è che l'ammontare dei titoli non può superare il 2% dell'attivo ponderato; le condizioni sono che la Banca si deve impegnare a finanziare la piccola e media impresa, le famiglie in difficoltà, agire eticamente, sviluppare l'imprenditoria e tutto un yada yada che conta meno del due di spade a briscola quando briscola è coppe.
Più interessante il comma 3 dell'art.1 del decreto attuativo, che recita: "Le Banche che ricorrono agli interventi previsti dal presente decreto devono svolgere la propria attività in modo da non abusare del sostegno ricevuto senza intraprendere politiche di espansione aggressive incompatibili con gli obiettivi di cui all'articolo 12, comma 1, del Dl 185, e conseguirne indebiti vantaggi": il che sembrerebbe voler dire che non bisogna usare i soldi di Tremonti per scalare altre Banche.
C'è poi il comma 5 dell'art. 3 del decreto, che recita: "Per singola Banca, l'importo delle sottoscrizioni di cui al presente decreto è contenuto nel minimo necessario rispetto agli obiettivi da conseguire e non può di regola essere superiore al due per cento del valore dell'insieme delle attività del gruppo bancario di appartenenza della Banca ponderate per il rischio.", il che, letto maliziosamente, significherebbe che possono ricorrere all'emissione di titoli solo le banche che stanno messe così male da non poterne fare a meno. Un bel disincentivo, no? In pratica le Banche che emetteranno i bond stanno confessando di essere quasi alla canna del gas: il che spiega come mai in questi ultimi giorni sembra che tutte le prenotazioni siano improvvisamente svanite come neve al sole.
Un'ultima particolarità, che suscità una certa curiosità, è quella del tasso che sale con il passare del tempo. In effetti è una cosa molto comune, tecnicamente si chiama step-up. Ci sono dei casi in cui due parti si accordano per un affare che formalmente ha una durata molto lunga, ma in effetti entrambi intendono impegnarsi per tempi assai più brevi. Se, per tanti motivi, vi sono dei vincoli a far sì che l'operazione abbia una durata una durata coincidente con quella che le parti si propongono, di solito si concorda che una delle parti possa chiudere l'operazione quando vuole; ma per esser certi che lo farà, si concorda che l'operazione stessa per lei diventerà molto più costosa.
Qui è lo stesso: i titoli emessi non devono avere una scadenza, o perlomeno non una scadenza vicina: altrimenti sarebbero molto più simili al debito che al patrimonio. Ma per far sì che vengano ripagati dalla Banca, li si rende molto più costosi via via che passa il tempo. La scadenza si vede ma non c'è, insomma!

Credo sia ormai giunto il momento di chiudere questa serie di racconti: ho impiegato molto più tempo e tasti di quanto avevo inizialmente pensato, ma credo che senza sviscerare tutti i vari passaggi la natura di quest'iniziativa sarebbe rimasta oscura (e non è detto che ancora non lo sia).
Dal punto di vista tecnico credo quindi di aver illustrato il funzionamento dei "Tremonti Bond". E' ora il momento di provare a commentare criticamente l'iniziativa del Governo, per valutare se si tratti di roba seria o di fuffa, ma questo sarà oggetto di un'altro articolo, secondo il buon vecchio -e non sempre seguito, soprattutto da me- principio di separare fatti e commenti.

I tempi che corrono

A proposito del fatto che il nostro paese stia andando a rotoli, non sarebbe male notare che al tempo del primo Tremonti i costruttori abusivi venivano messi in condizione di costruire abusivamente, ma almeno lo Stato ci guadagnava qualcosa.
Con il nuovo Tremonti, chi avrebbe dovuto pagare quanto dovuto per i condoni è stato lasciato in pace: nessuno è andato a chieder soldi, che si sa il recupero dei crediti fiscali non è fine.
Con il Tremonti nuovissimo, il problema è stato risolto alla radice: i costruttori abusivi adesso potranno abusare senza pagare una lira, il che semplifica di molto la nostra burocrazia!

Tremonti Bond /6

(segue da qui) e, fortunatamente, si avvia verso la fine!

Abbiamo quindi visto che al fine di alzare il coefficiente di solvibilità (patrimonio/attivo ponderato), la scelta di diminuire il denominatore della frazione non è una grande idea. Infatti, i casi sono due:
  • possiamo diminuire l'attivo: ma questo implica ridurre anche il patrimonio, e per effetto della leva questa operazione fa scendere il coefficiente di solvibilità anziché aumentarlo;
  • possiamo diminuire il coefficiente di ponderazione: ma così facendo stringiamo i cordoni della borsa, provocendo una stretta creditizia. Dal momento che siamo avidi banchieri potremmo anche fregarcene, se non fosse per il fatto che noi ci campiamo, sul credito, e se non ne eroghiamo non facciamo utili, il che E' MALE.
I più dotati in matematica avrenno capito a questo punto che l'altra soluzione è quella di incrementare il numeratore della frazione, vale a dire aumentare il patrimonio. Detto così, sembra semplice; il guaio è che non lo è mica poi tanto.
Uno dei modi che abbiamo per incrementare la nostra ricchezza è quello di risparmiare. Ipotizziamo di prendere un normale stipendio da 6.000 euro al mese: se tiriamo un po' la cinghia e spendiamo solo 5.700 euro al mese ci resteranno 300 euri puliti puliti da mettere da parte, e a fine anno potremo usare il gruzzoletto per comprarci il motorino nuovo oppure metterli sotto il materasso per l'eventualità di dover fronteggiare tempi di vacche magre.
Per le società per azioni è un po' lo stesso: alla chiusura dell'anno si calcola l'utile lordo, ci si pagano sopra le tasse e quel che rimane è l'utile netto. Questa sommetta può essere distribuita ai soci (gli azionisti), un tanto per ciascuna azione posseduta: tecnicamente queste somme si chiamano dividendi. Ma se la società prevede tempi di vacche magre, può decidere di non distribuire i dividendi, e tenerseli in pancia, che è un po' l'equivalente del mettere i soldi nel salvadanaio: in tal modo anziché distribuire dividendi si incrementa il patrimonio.
Immagino che si sarà già capito il problema: malgrado il nostro PresConsMin affermi che tutto va per il meglio, in Italia abbiamo ancora dei fannulloni che grazie ad uno stato assistenziale e all'eredità del comunismo si ostinano a guadagnare 1.000 euri al mese: e costoro come fanno a risparmiare? Ecco, le banche in questo momento sono un po' assimilabili ai fannulloni di cui sopra: se la necessità di incrementare il patrimonio deriva dal fatto che rischiano di perdere soldi, o perlomeno di avere utili risicatissimi, ben difficilmente potranno mettere da parte qualcosa per incrementare le riserve, è ovvio!

Cosa facciamo noi fannulloni sottopagati quando abbiamo veramente bisogno? Se li abbiamo ancora, e loro sono in grado, andiamo dai genitori a chiedere un obolo. Formalmente si chiama prestito, ma tanto sappiamo tutti che non sarà mai restituito, e comunque i conti si pareggeranno al momento di ereditare.
Ecco, le società possono andare dalla mamma, che nello specifico sarebbero i propri azionisti, e dire: "cari papà e mamma soci, le cose vanno male, abbiamo un problema: sareste così carini da mettere mano al portafoglio?" La cosa viene fatta emettendo delle nuove azioni, che secondo il Codice civile vengono offerte anzitutto in prelazione ai soci, proporzionalmente al numero di azioni già possedute.
Il problema, qui, è che i soci (specie i soci delle banche italiane) non sono papà e mamma: sono delle persone, magari padri e madri, pieni di problemi loro, che certo non hanno alcun desiderio di sovvenzionare la società, specie nel momento in cui i figli biologici stanno magari lottando con le rate del mutuo. Oppure i soci sono a loro volta delle società, che hanno fatto una fatica boia a chiudere il bilancio in nero, tagliando costi e licenziando o cassintegrando, e l'ultima cosa che desiderano è buttare altri soldi.

Vediamo un'altra possibilità, ma qui dobbiamo forzare un po' il paragone. Supponiamo di vivere in un paese islamico dove sia consentito avere più mogli. La nostra famiglia arranca a fatica, i nostri genitori soldi non ne hanno da darci e neppure quelli delle due mogli che già abbiamo: che facciamo allora? Semplicissimo: ci sposiamo una donna ricca, che ci porti una congrua dote! Se siamo una società, il nuovo matrimonio corrisponde al chiedere soldi non già ai soci, bensì a terzi, ai quali venderemo le nuove azioni che i vecchi soci non hanno voluto o potuto comprare.
Certo, nell'esempio che abbiamo fatto le nostre due mogli non potranno più godere del vigore dei nostri lombi per tre notti la settimana (domenica riposo), bensì solo per due; allo stesso modo con, l'ingresso dei "nuovi" soci i "vecchi" soci possiedono un po' meno di società, cosa chiara se consideriamo che il controllo della società intera non può che valere il 100% delle azioni: è un tetto da cui non si può prescindere. Immaginiamo che una società abbia un capitale formato da 100 azioni, che sono distribuite tra 10 soci ciascuno dei quali possiede 10 azioni. Se la società emette altre 50 azioni, ciascun "vecchio" socio non possiede più il 10%, bensì solo il 6,66%.
Quest'ultimo punto merita di essere sviluppato un po' più in profondità. Rammentiamo che stiamo parlando di banche, non di opere caritatevoli. I soci delle banche negli anni passati hanno potuto contare su utili più che discreti: qualcuno se li sarà spesi in ristoranti, qualcuno si sarà comprato la casa per i figli e qualcuno li avrà giocati al casinò. Qualcuno li avrà anche messi da parte. Ora la situazione è diversa e le banche hanno bisogno di aumentare il capitale? Bene, chiediamolo ai soci: chi ha da parte i soldi lo potrà fare, chi li ha spesi non potrà farlo.
Se poi conveniamo tutti che c'è un interesse pubblico a far sì che le banche non tracollino (e quest'interesse c'è, fidatevi, anche se non è questo il post giusto per dimostrarlo), bé, vorrà dire che le azioni che i soci spendaccioni non sottoscriveranno verranno sottoscritte dallo Stato, che diventerà socio. Ma questa, signori miei, è una strada irragionevole, è COMUNISMO.
Strana, vero? Questa paura del comunismo che vien sempre fuori quando lo Stato deve acquisire dei diritti, mentre non emerge mai quando deve pagare dei conti. Che fa sì che lo Stato metta i soldi per pagare i conti di Alitalia, e che allo stesso tempo Alitalia non diventi di proprietà pubblica, come sarebbe ovvio, bensì di proprietà privata. Ma i tempi sono questi, e non sarà certo la stizzita reazione di due o tre blogghér che cambierà l'ideologia imperante.

I Tremonti Bond (di questo, in fondo, stavamo parlando) sono una risposta ai problemi che abbiamo visto qui sopra; e se mi è consentita una valutazione prettamente tecnica, svestita dell'ideologia da sinistra massimalista e illiberale che trasudava dalle ultime righe, neppur pessima. Ne parleremo nella prossima puntata.

(continua)

domenica 8 marzo 2009

Tremonti Bond /5

(continua da qui)

Ci eravamo lasciati con un quizzino riguardante i coefficienti di ponderazione di talune poste dell'attivo. L'elenco completo dei criteri (ricordiamo che ragioniamo secondo la normativa Basilea I, ora non più in vigore, ma i cui principi ci servono a comprendere le dinamiche generali) si trova nella circolare di Bankitalia del 1999 che avevamo richiamato, alle pagine 252 e seguenti; per quanto riguarda i nostri esempi, i coefficienti applicabili sono:
Coefficienti di ponderazione per taluni attivi di bilancio
crediti garantiti da deposito in contanti 0%
cred. gar. da titoli di stato italiani
cred. gar. da una Banca tedesca 20%
cred. gar. da ipoteca su un bilocale in zona semicentrale a Milano 50%
cred. gar. da ipoteca su una centrale di cogenerazione elettro-termica a biogas 100%
cred. gar. da una Banca della Namibia
crediti in bianco (non garantiti)

Come vedete, l'ipoteca su un bilocale è ritenuta più sicura dell'ipoteca su una centrale di cogenerazione: anzi questa garanzia "vale", in termini di assorbimento patrimoniale, quanto la garanzia di una banca namibiana o quanto nessuna garanzia. E c'è una logica in tutto ciò: infatti quando "salta" un finanziamento alla centrale di cogenerazione, spesso vuol dire che c'è qualcosa che non funziona nel modello di business della centrale, e quindi sarà ben difficile venderla; mentre se "salta" un mutuo casa, il problema non è nell'appartamento, bensì nel fatto che il proprietario ha perso il lavoro, oppure ha problemi con donne, gioco, droghe o salute.

Ma abbiamo divagato fin troppo: torniamo sulla strada che ci consentirà di capire questi Tremonti Bond.
Un brevissimo ripasso: abbiamo imparato che l'Autorità di Vigilanza vigila (tò!) affinché i creditori delle Banche possano aver la tranquillità di recuperare i loro crediti; che il principale strumento è il controllo del coefficiente di solvibilità, vale a dire il rapporto tra patrimonio e attivo ponderato, e che tale rapporto deve essere superiore all'8%.
Nei nostri esempi abbiamo parlato solo di crediti, ma ricordiamo che nell'attivo ci sono tante cose (titoli, immobili, partecipazioni...). Cosa succede se l'attivo perde valore, cosa che di questi tempi non sarebbe così bizzarra? Dato che l'attivo sta al denominatore, una sua riduzione sembrerebbe dover incrementare il valore del coefficiente di solvibilità; ma rammentiamo che la medesima riduzione si ripercuote interamente sul patrimonio, che è molto minore dell'attivo: ne consegue che una diminuzione dell'attivo decrementa il coefficiente di solvibilità. Facciamo un esempio, ipotizzando che il coefficiente di ponderazione medio applicabile al portafoglio sia del 70%:
Esercizio 2007
Attivo Passivo
attività 3.000.000patrimonio200.000
debiti2.800.000
coeff. ponderazione medio70%
attivo ponderato2.100.000
coefficiente solvibilità
(200/2.100)
9,52%
 .

Esercizio 2008
Attivo Passivo
attività 2.950.000patrimonio150.000
debiti2.800.000
coeff. ponderazione medio70%
attivo ponderato2.065.000
coefficiente solvibilità
(150/2.065)
7,26%

Ecco come in un momento di crisi una banca con un buon coefficiente di solvibilità può trovarsi a scendere al di sotto del requisito minimo patrimoniale dell'8%, e quindi passare seri guai.

Che cosa si può fare per scongiurare tale possibilità? Una via è quella di diminuire il coefficiente di ponderazione dell'attivo, in modo tale che il denominatore della frazione diminuisca senza influenzare il numeratore.
Un esempio:
Esercizio 2007
Attivo Passivo
attività 3.000.000patrimonio200.000
debiti2.800.000
coeff. ponderazione medio70%
attivo ponderato2.100.000
coefficiente solvibilità
(200/2.100)
9,52%

Esercizio 2008
Attivo Passivo
attività 2.950.000patrimonio150.000
debiti2.800.000
coeff. ponderazione medio60%
attivo ponderato1.770.000
coefficiente solvibilità
(150/1.770)
8,47%

Questa operazione può essere fatta in tanti modi: acquisendo maggiori garanzie o spostando l'operatività su operazioni di natura intrinsecamente più sicura; è ricordate cos'è l'attivo intrinsecamente più sicuro di tutti? I contanti.
Questo significa che uno dei modi per rispondere alla crisi, per la Banca, è quello di smettere di erogare credito e attendere che i crediti erogati vengano ripagati: tali somme infatti "spariscono" dall'attivo ponderato (i contanti sono ponderati allo 0%); fanno diminuire il denominatore senza intaccare il numeratore.
C'è un solo problema: che questa operazione si chiama, nel linguaggio comune, stretta creditizia: le imprese vanno in banca e la banca non dà loro il denaro.

(continua)

sabato 7 marzo 2009

Tremonti Bond /4

(continua da qui; nel frattempo ho fatto qualche importante modifica alla terza puntata, per cui sarebbe il caso di darvi una rilettura, verso il fondo)

Nella scorsa puntata avevamo detto che l'Autorità di Vigilanza stabilisce che il requisito minimo di patrimonializzazione (cioé il valore minimo del coefficiente di solvibilità) è pari all'8%: vale a dire che per ogni 100 euri all'attivo devono esserci almeno 8 euri di patrimonio al passivo. Ci eravamo lasciati anche con un esempio da studiare, che ora sviluppiamo ulteriormente.
Prendiamo queste tre banche qui esemplificate (rammentate sempre che ragioniamo solo sullo stato patrimoniale, vale a dire su una fotografia della situazione, e quindi non ci interessa il fatto che i crediti o i debiti siano fruttiferi di interessi).
Banca 1
Attivo Passivo
clienti 2.000.000patrimonio100.000
debiti1.900.000
Banca 2
Attivo Passivo
clienti2.000.000patrimonio100.000
contanti1.000.000debiti2.900.000

Banca 3
Attivo Passivo
clienti 3.000.000patrimonio100.000
debiti2.900.000
Come potete vedere, la Banca 1 ha una leva (debito/patrimonio) di 19, mentre le Banche 2 e 3 hanno una leva di 29, e pertanto dovrebbero essere molto più rischiose. Dal punto di vista di vigilanza poi dovrebbero essere tutte immediatamente commissariate, dato che la prima ha un coefficiente di solvibilità (patrimonio/attivo) del 5% e le altre due del 3,33%! Ma, se ci pensiamo bene (e sempre tralasciando il discorso interessi), l'amministratore della Banca 2 non avrebbe alcun problema a prendere il milione di contanti in cassa e pagare un milione di debito, trovandosi quindi nella stessa identica situazione della Banca 1

E' quindi possibile affermare che i contanti non dovrebbero entrare nel computo del coefficiente di solvibilità? In effetti sì, e difatti tale coefficiente viene calcolato non già come mero rapporto tra patrimonio e attivo, bensì (è un'ulteriore approssimazione, ma via via ci stiamo avvicinando) come rapporto tra patrimonio e attivo ponderato: ciascuna delle poste dell'attivo viene pesata in una certa percentuale, e quindi entra in tutto o in parte nella determinazione del coefficiente di solvibilità.Per quanto concerne nello specifico i crediti, possiamo dire che un credito "normale" viene ponderato al 100%, e quindi 100 euri di credito assorbono 8 euri di capitale; ma un credito verso un'altra Banca viene ponderato al 20%: ciò significa che un credito di 100 euri, ai fini del calcolo del coefficiente di solvibilità, "vale" solo 20 euri, e quindi assorbe solo 1,6 euri di capitale.
Apriamo una parentesi per dire che le regole di pesatura si sono enormemente complicate con l'introduzione dei criteri dettati dal Nuovo Accordo di Basilea, detto anche (ne avrete sentito parlare spesso) Basilea II. Dato che stiamo cercando di capire i principi base, facciamo finta di essere ancora nel 2005, e che quindi sia vigente la normativa di Basilea I


Vi propongo ancora un piccolo esercizio: non occorre aver fatto vent'anni di recupero crediti per capire che la rischiosità degli attivi (qui di seguito elencati in ordine rigorosamente alfabetico) non è omogenea:
  1. crediti garantiti da deposito in contanti
  2. crediti garantiti da ipoteca su un bilocale in zona semicentrale a Milano
  3. crediti garantiti da ipoteca su una centrale di cogenerazione elettro-termica a biogas
  4. crediti garantiti da titoli di stato italiani
  5. crediti garantiti da una Banca della Namibia
  6. crediti garantiti da una Banca tedesca
Sapreste ordinare le voci dalla più sicura alla più rischiosa? L'esercizio non è così scontato come sembra!

(continua)

martedì 3 marzo 2009

Tremonti Bond /3

(segue da qui)
Ora che abbiamo cominciato a capire un pochino come funziona lo stato patrimoniale, riprendiamo l'esempio della Banca Aggressiva che avevamo fatto nella prima puntata.
Se ben ricordate, avevamo visto l'andamento delle cose dal punto di vista economico, vale a dire analizzando costi e ricavi per vedere se avevamo creato o perso ricchezza. Anche in questo caso possiamo disegnare una tabella, che in termini bilancistici si chiama conto economico: compiliamo i due esempi, sia nel caso in cui le cose vadano bene che in quello in cui vadano male.

Conto economico
ricavi (interessi attivi)100.000
costi (interessi passivi)-76.000
utile24.000
Conto economico
ricavi (interessi attivi)100.000
costi (interessi passivi)-76.000
perdite su crediti-40.000
utile-16.000
Notate che nell'esempio della prima puntata avevamo detto che i ricavi erano di € 60.000, ma in effetti era una semplificazione, in quanto con tutta probabilità avremmo dovuto incassare € 100.000 di interessi (o magari un po' meno, dato che il cliente saltato certo non ci ha pagato gli interessi), mentre gli €40.000 persi sono di capitale. Nel secondo modello di conto economico ciò viene evidenziato.
A questo punto proviamo a vedere come questo si riflette dal punto di vista patrimoniale anziché economico: preoccupiamoci cioé di analizzare la situazione non tanto per come creiamo valore, bensì per come varia il nostro patrimonio. La situazione di partenza è la seguente:
AttivoPassivo
denaro prestato
(crediti verso clienti)
2.000.000patrimonio100.000
denaro preso in prestito
(debiti verso terzi)
1.900.000
Vediamo ora cosa succede quando ci salta il cliente dei 40.000 euro: per non complicarci la vita con gli interessi, supponiamo che ciò succeda il 1° gennaio, quando ancora non sono maturati né interessi attivi né passivi:
AttivoPassivo
denaro prestato
(crediti verso clienti)
1.960.000patrimonio60.000
denaro preso in prestito
(debiti verso terzi)
1.900.000
Da questo esempio capiamo (o perlomeno si dovrebbe capire, se fosse spiegato decorosamente ;-) che il rischio è contenuto nell'attivo, e che tale rischio al passivo si ripercuote tutto sul patrimonio, che fa da un po' da cuscinetto: lo "assorbe" prima che si ripercuota sul debito. Proviamo un po' ad immaginare cosa succederebbe se le cose andassero *veramente* male, e anziché saltarci un cliente da € 40.000 ce ne saltassero quattro tutti insieme, per complessivi € 160.000:
AttivoPassivo
denaro prestato
(crediti verso clienti)
1.840.000patrimonio0
denaro preso in prestito
(debiti verso terzi)
1.840.000
Ma se ci pensiamo non è possibile, dato che i nostri correntisti i soldi li vogliono indietro, e tutti! Quindi lo schema corretto è:
AttivoPassivo
denaro prestato
(crediti verso clienti)
1.840.000patrimonio-60.000
denaro preso in prestito
(debiti verso terzi)
1.900.000

Abbiamo un patrimonio negativo, situazione che ha due vie d'uscita: o i soci (gli azionisti) mettono mano al portafoglio e tirano fuori altri soldi, o si portano i libri contabili in Tribunale e ci penserà il curatore fallimentare a pagare i creditori.

Rammenterete che nella prima puntata avevamo detto che la leva finanziaria (vale a dire il rapporto tra debito e patrimonio) aumentava il rendimento del patrimonio ma anche i rischi. Dall'esempio abbiamo però visto che quello che è rischioso è l'attivo, non il passivo: pagare i debiti infatti è una triste certezza, mentre essere pagati dai nostri creditori è un mero auspicio.
Possiamo quindi dire che la solidità della struttura patrimoniale (l'inverso del rischio, quindi) può essere misurata dal rapporto tra patrimonio e attivo: nel caso della nostra Banca Aggressiva, all'inizio tale coefficiente era pari al 5% [100.000/2.000.000]; successivamente scende a poco più del 3% [60.000/1.960.000], e successivamente diventa addirittura negativo.
Come avevamo visto, l'Autorità di Vigilanza (la Banca d'Italia) vigila sulle Banche non tanto per salvaguardare gli azionisti (a ciò avrebbe dovuto pensare la CONSOB, prima delle ultime riforme) bensì per salvaguardare i creditori delle Banche stesse: pertanto quello che interessa alla Banca d'Italia non è tanto la leva finanziaria, che d'ora in poi dimenticheremo, quanto il rapporto che abbiamo appena visto tra patrimonio e (semplifichiamo, per ora) attivo, che non a caso viene detto coefficiente di solvibilità: e infatti la normativa di Vigilanza prevede che ciascuna banca debba mantanere costantemente un requisito minimo di patrimonializzazione, facendo sì che il coefficiente di solvibilità non scenda mai al di sotto dell'8%.

Proviamo ora a complicare un po' le cose: Qual è la banca più rischiosa, tra queste due (o, se preferite, qual è la più solida?

Banca Prima
AttivoPassivo
crediti verso clienti2.000.000patrimonio100.000
denaro preso in prestito
(debiti verso terzi)
1.900.000
Banca Seconda
AttivoPassivo
crediti verso clienti2.000.000patrimonio100.000
contanti1.000.000debiti verso terzi2.900.000


(continua)

lunedì 2 marzo 2009

Tremonti Bond /2

(Segue da qui)
Dopo aver visto il concetto di leva finanziaria ora saltiamo un po' di palo in frasca e facciamo un'altra ipotesi di scuola per spiegare sommarissimamente come funziona un bilancio: chiunque abbia un'infarinatura di ragioneria potrà arrabbiarsi per le castronerie che leggerà, ma per gli altri può essere interessante.

Supponiamo di aver scritto nei ritagli di tempo un libro di successo stampato in Times New Roman 18 interlinea 2,5 che ci ha fruttato $500.000, e di aver messo gli occhi su un appartamento a New York che ci costerebbe $1.000.000: che facciamo?
Semplice: andiamo in banca e chiediamo un prestito di $500.000! A questo punto abbiamo $1.000.000 e compriamo la casa, come sintetizzato dal seguente schema:
Costi sostenutiFonti finanziarie
appartamento1.000.000vendita libri500.000
prestito banca500.000

Siamo ora felici proprietari di una casa che vale $1.000.000, ma quant'è la nostra ricchezza? Non certo un milione di dollari, dato che non abbiamo guadagnato nulla da un giorno all'altro! Facciamo uno schema molto simile al precedente:
Valore dei beniDi chi sono i soldi?
appartamento1.000.000nostri500.000
della banca500.000

Ecco: dallo schema si capisce bene (lo spero, almeno) che quel nostri è la nostra ricchezza.
Immaginiamo ora che da un giorno all'altro si diffonda la notizia che sotto il nostro appartamento verrà sviluppata un'area di urbanizzazione pregiata con un parco sontuoso, servizi d'eccellenza e parcheggi gratuiti per residenti: probabilmente il valore del nostro appartamento schizzerà a $1.100.000, non credete? E allora vediamo il nostro schema, tenenedo presente che alla banca di questo schizzamento di valore non gliene deve importare nulla: sempre $500.000 le dobbiamo:
Valore dei beniDi chi sono i soldi?
appartamento1.100.000nostri600.000
della banca500.000

L'appartamento è aumentato di valore di $100.000 e allo stesso tempo la nostra ricchezza è aumentata di $100.000: ed è normale, dato che il debito non muta (notate, per inciso, che anche qui vale il concetto di leva finanziaria: l'appartamento è aumentato di valore del 10% [100.000/1.000.000], e la nostra ricchezza del 20% [100.000/500.000]).
Allo stesso modo, se il sindaco anziché un giardino di delizie decidesse di costruire davanti alle nostre finestre una fonderia, probabilmente il valore dell'appartamento crollerebbe del 20% passando a $800.000, e la nostra ricchezza sprofonderebbe del 40%:
Valore dei beniDi chi sono i soldi?
appartamento800.000nostri300.000
della banca500.000

Da questi esempi si evince abbastanza chiaramente che la nostra ricchezza, o per meglio dire il nostro patrimonio, altro non è che il valore dei nostri beni meno il valore dei nostri debiti.
Dato che i debiti, nel nostro esempio, non sono minimamente influenzati dal valore dei nostri beni, tutte le variazioni di valore dei beni si ripercuotono interamente sulla nostra ricchezza; possiamo dire quindi che il rischio è interamente a nostro carico, il che può essere un bene se il valore sale, ma un male se il valore scende. Oltretutto per effetto della leva, che rende minore il denominatore della frazione, la percentuale con cui tali variazioni di valore si ripercuotono sulla nostra ricchezza aumenta con l'aumentare della leva.

Immaginiamo ora di non essere un famoso(?) scrittore(???) bensì una piccola società, lo schemino diventerebbe un pezzo del bilancio, e precisamente lo stato patrimoniale
AttivoPassivo
immobile1.000.000patrimonio500.000
debiti verso banche500.000

Notate le differenze: il nostri è diventato patrimonio, come avevamo raccontato prima; ma soprattutto il "Di chi sono i soldi?" è diventato "Passivo".
E' molto importante capire questo: chi non si occupa di bilanci tende a credere che il passivo siano i debiti, ma non è così: il passivo è formato da debiti e patrimonio, o ricchezza che dir si voglia, che concettualmente è proprio il contrario dei debiti! In effetti una ragione c'è, se ci pensiamo bene: la società in fondo esiste solo perché ci sono dei soci che ne possiedono le quote o le azioni: e quella che oggi è ricchezza, il giorno in cui la società dovesse essere sciolta non si volatilizzerà: saranno soldi che torneranno ai soci. Da questo punto di vista quindi anche il patrimonio è un debito della società, verso i suoi soci.

(continua)

Tremonti Bond

Molti si sono chiesti cosa diavolo siano questi Tremonti Bond.
In particolare, appare oscuro ai più come sia possibile che il Tesoro presti del danaro alle Banche a tassi attorno all'8%, nel momento in cui l'EURIBOR viaggia sotto il 2%. In pratica il Tesoro starebbe prestando soldi a strozzo, con uno spread di oltre 600 bps (dove bps è la sigla di basis points, e 1 BPS significa in termini finanziari uno spread del 0,01%).
Oltretutto questi bond dovrebbero servire ad aiutare le piccole imprese, ma a logica si direbbe che, se le banche prendono denaro all'8%, minimo minimo lo presteranno al 10%, e quindi lo spread per l'imprenditore andrebbe oltre gli 800 bps!
In realtà le cose non stanno così, ma per capirlo è necessario anzitutto addentrarsi nei meccanismi finanziari del funzionamento di una banca.

Ammettiamo di essere uno strozzino che ha messo da parte una certa sommetta, diciamo 2 milioni di euro. Decidiamo di prestarli a un po' di imprese, diciamo al 5%: alla fine dell'anno quindi ci verranno restituiti €2.100.000, e sottraendo i due milioni investiti, che andiamo a recuperare, avremo fatto 100.000 euro di interessi, che saranno il nostro utile.
(notate che se li avessimo investiti in titoli di stato al 3% il nostro utile -sempre tralasciando il capitale di due milioni restituito alla scadenza- sarebbe stato di €60.000; quindi possiamo dire che prestare denaro a privati invece che allo stato ci ha fruttato €40.000, che non è poi 'sto granché, se consideriamo il rischio che qualcuno non ci restituisca i soldi: questo, tra parentesi, spiega perché gli strozzini pratichino tassi da strozzini.)

Ammettiamo ora di avere una maggiore rispettabilità, e di fondare una banca, nella quale mettiamo solo €1.000.000, mentre €1.000.000 ce lo facciamo prestare da altre banche o addirittura ce lo ritroviamo in casa, versatici dai nostri correntisti; ipotizziamo infine che il costo di questo milione che ci viene prestato sia il 4%.
Alla fine dell'anno avremo sempre i nostri 100.000 euro di ricavi, da cui dovremo togliere €40.000 di interessi che dovremo pagare sul milione che abbiamo preso in prestito. La differenza è di €60.000, che rispetto al milione che abbiamo impiegato ci dà un utile del 6%.
Ricorrere all'indebitamento quindi ha incrementato i nostri utili!

Ammettiamo adesso di essere *molto* aggressivi e mettere solo €100.000 nostri, e €1.900.000 presi in prestito o comunque raccolti, che ci costino sempre il 4%.
a fine anno avremo i soliti €100.000 di ricavi, cui dovremo sottrarre €76.000 per gli interessi sul debito. La differenza è di €24.000, che rispetto ai 100.000 che abbiamo investito ci dà un rendimento del 24%!

E' quindi evidente che meno soldi mettiamo rispetto a quelli che prendiamo in prestito, più il nostro investimento renderà; e dato che quel rendimento è quello con cui si pagano i dividendi agli azionisti, è chiaro che sulla base di questo ragionamento qualunque banchiere vorrebbe ridurre al minimo il rapporto tra il patrimonio (i soldi degli azionisti) e il debito o, il che è lo stesso, massimizzare il rapporto tra debito e patrimonio: rapporto che comunemente è chiamato leva finanziaria.
Il problema è che aumentando la leva aumentano i rendimenti, ma aumentano anche i rischi. Ipotizziamo infatti che uno dei clienti ai quali abbiamo prestato il denaro, diciamo €40.000, non ce lo renda più, e quindi i nostri ricavi alla fine dell'anno non siano i famosi €2.100.000 (di cui 2 milioni di rimborso del capitale) bensì solo €2.060.000.
Se siamo lo strozzino (leva = 0), il nostro utile si è ridotto a €60.000, vale a dire il 3% di due milioni.
Se siamo il banchiere prudente (leva = 1), dobbiamo sottrarre ai €60.000 di ricavi gli €40.000 di interessi sul debito (non possiamo mica dire che non li paghiamo perché uno dei nostri clienti ci è saltato!), e quindi il nostro utile scende a €20.000, vale a dire il 2% (meno dei famosi titoli di stato di cui si era ipotizzato).
Se siamo il banchiere aggressivo (leva = 19), dobbiamo sottrarre ai €60.000 di ricavi addirittura €76.000 di interessi: ne risulta che abbiamo una perdita secca di €16.000, pari al 16%: non solo non abbiamo guadagnato, ma addirittura abbiamo perso.

Ecco il motivo per cui il banchiere prudente non può permettersi una leva troppo elevata: perché è troppo rischiosa.
Ma come sappiamo viviamo in un mondo di squali avidi, e anche i banchieri debbono rispondere agli azionisti, che vogliono vedere i dividendi e non ci mettono poi molto a vendere le azioni della Banca Prudente e acquistare quelle della Banca Aggressiva: certo rischiano, ma finché le cose vanno bene chi se ne importa? Basta pensare alla saga dei bond argentini: ci saranno anche state tante vecchiette truffate, tra i compratori; ma c'erano anche tantissimi che hanno visto solo il tasso di rendimento fregandosene del fatto che fossero rischiosi, e pensando che a loro non sarebbe capitato, di perderci.
Ma la leva elevata non è un rischio solo per il banchiere e gli azionisti: lo è anche per l'economia in generale: infatti come abbiamo visto il banchiere aggressivo ha perso dei soldi; e se ne avesse persi troppi, non avrebbe avuto di che ripagare i debiti. Detto in modo spiccio: di che restituire i soldi ai correntisti.

E' per questo che in tutti i sistemi bancari sono previste delle regole di vigilanza, che definiscono esattamente quanto dev'essere il valore massimo della leva ammissibile o, che è lo stesso, la percentuale minima di patrimonio che la banca deve avere a copertura del rischio che taluni crediti diventino inesigibili.
In Italia l'autorità di vigilanza è la Banca d'Italia, e la relativa normativa è pubblicata sul suo sito in forma di due circolari (prima che corriate a leggervele, vi avverto, sono un 1.200 pagine circa), una del 1999, più volte aggiornata, e una del 2006 che recepisce la normativa cosiddetta "Basilea II".

Ma torniamo al nostro esempio: abbiamo visto che se le cose vanno bene, o perlomeno vanno non troppo male, il patrimonio ha un rendimento superiore rispetto al debito: e ciò è ben comprensibile, in quanto chi investe in patrimonio affronta un rischio ben superiore a chi presta i soldi a debito.
Chi fa controllo di gestione considera infatti che il costo "standard" per il patrimonio sia attorno al 9%: vale a dire che considera che i soldi che sono "di proprietà" della banca (e che in effetti sono dei suoi azionisti) debbano produrre un interesse del 9%: che beninteso non sarà un vero e proprio interesse, bensì quanto sarà distribuito a fine anno in forma di dividendi agli azionisti.
Cominciamo quindi a vedere che i "Tremonti Bond" hanno un tasso ben superiore rispetto al debito (Euribor+spread), ma inferiore rispetto al costo del capitale.

(continua)

martedì 13 gennaio 2009

Notizie false e tendenziose /2

Tralasciamo per un secondo il normale consumatore, che ha tutti i diritti di non capire una mazza di economia e finanza, e proprio per questo spende giornalmente il proprio euro per comperare un quotidiano e/o paga il canone alla RAI per vedere uno dei TG (RAI o privati, non importa).
Concentriamoci su coloro che, tramite quegli euri, ricevono un più o meno lauto stipendio: i giornalisti. Bene: solo un cretino, o uno sprovveduto, poteva pensare che la norma di cui all'art. 2 c.4 del DL 185/2008, che prevede che le Banche dall'1/1/2009 debbano offrire alla clientela mutui indicizzati anche al tasso BCE oltre che al classico Euribor, potesse tradursi in un vantaggio economico per la clientela.
Si tratta di una di quelle norme puramente demagogiche, fatte solo per passare in qualche telegiornale e far passare le feste tranquilli.

Anzitutto, la semplice lettura della norma dovrebbe chiarire le cose, in quanto recita:
A partire dal 1° gennaio 2009, le banche che offrono alla clientela mutui garantiti da ipoteca per l'acquisto dell'abitazione principale devono assicurare ai medesimi clienti la possibilità di stipulare tali contratti a tasso variabile indicizzato al tasso sulle operazioni di rifinanziamento principale della Banca centrale europea. Il tasso complessivo applicato in tali contratti e' in linea con quello praticato per le altre forme di indicizzazione offerte.
Il che è già ben comprensibile, ma può essere banalizzato ancor di più dicendo: se il tasso BCE è più basso dell'Euribor, lo spread applicato è necessariamente più alto.
Poi va considerato che, come avevo a suo tempo raccontato in un vecchio post, le banche comprano il denaro all'Euribor e non al tasso BCE. Vendere denaro ancorandosi al tasso BCE introduce quindi un rischio di tasso non indifferente, in quanto l'Euribor è estremamente volatile (non importa la direzione), mentre il tasso BCE è intrinsecamente molto più stabile.
Chiunque ne capisse qualcosa poteva quindi spiegare ai lettori che quella dei mutui ancorati al tasso BCE era solo una sòla.

Intendiamoci: non mi sono stupito che quotidiani vicini alle posizioni governative (chessò: posseduti da congiunti del PresConsMin, oppure organi di partiti nella compagine governativa) avessero contribuito ad amplificare la sòla.
Ma che adesso Repubblica scopra il trucco con stupore, bé questo mi fa cadere i gioielli di famiglia sotto il tavolo.

mercoledì 3 dicembre 2008

Bonus, retroattività, fondi

Solo per una colpevole distrazione ho passato un po' di tempo a sproloquiare sull'IVA di Sky senza accorgermi che la manovrina anticrisi aveva tolto o perlomeno grandemente penalizzato le agevolazioni in tema di risparmio energetico. Fortuna che ci sono persone che sono sempre sul pezzo e che ci aiutano a vedere anche al di là della nostra frettolosità.
Intervengo ora perché leggo che Tremonti avrebbe deciso di far macchina indietro e rendere non retroattiva la disposizione in questione, salvando il portafoglio di chi aveva consapevolmente investito danari facendo conto sul ritorno di un determinato flusso di cassa.
Non voglio commentare il fatto che sia grave, e antistorico, revocare un'agevolazione che non può non avere indubbi benefici sul futuro del Paese per una questione di finanza a breve. Io sono radicalmente contrario al benaltrismo, ma questo è uno dei casi in cui si può ben dire che c'è ben altro da tagliare: nonostante la crisi.

Scopo del mio intervento è tuttavia un altro: quello di commentare l'affermazione decondo cui (il virgolettato è di Repubblica) "Per il futuro voglio ribadire un criterio: i crediti di imposta non sono e non possono essere un bancomat. Troppe volte sono stati utilizzati come bancomat"..
Qui non ci capiamo proprio. Non è che uno metta i pannelli solari per guadagnarci: non è che ne escano dei soldi. Uno paga tot e lo Stato gli restituisce una parte di quel tot.
Lo capirebbe anche un bimbo delle elementari; sicuramente lo capisce anche Tremonti, il quale però oltre che intelligente è anche molto ma molto bravo nel trovare frasi a effetto che nascondano il senso del suo pensiero.

Un'altra osservazione: non si capisce bene dall'articolo, ma sembrerebbe di capire che per il futuro il MEF intenda strutturare una specie di fondo. In poche parole: ti riconosco il beneficio fiscale, ma solo se la spesa complessiva non supera X milioni.
Questi fondi sono una colossale sciocchezza, perchè introducono nel mercato un fattore di incertezza tale che gli operatori non possono più tenere conto della loro esistenza. Mi spiego.
Può essere che il fondo venga strutturato in modo che il cittadino prima fa l'investimento e dopo fa la domanda di agevolazione, che viene accolta se ci sono ancora soldi nel fondo. Voi lo fareste l'investimento, con tale incertezza? Ecco, appunto: e quindi il fondo è come se non ci fosse.

Ma c'è di peggio: può essere che il fondo invece funzioni in modo che prima si fa la domanda e poi si fa l'investimento. In tal caso se la domanda non viene accettata siete sempre in tempo a ripensare e rimandare l'investimento al futuro; ma provate a guardarlo dal punto di vista degli operatori di mercato: come fanno a fare un piano industriale espansivo in un settore la cui espansione è bloccata per legge?
Finisce che tutto il settore si limita a vivacchiare con gli operatori che si mangiano l'uno con l'altro (e ovviamente gli stranieri, che hanno più capitale, si mangiano le aziende italiane, più indebitate).
E così l'agevolazione ha prodotto danni anziché benefici.

mercoledì 1 ottobre 2008

Interludio /2

Ho visto per qualche momento una trasmissione su La 7, dedicata alla crisi dei mutui.
C'è Bersani, c'è Gasparri, c'è anche il pessimo Lanutti, quello a cui mi riferivo in primis quando parlavo male delle associazioni dei consumatori.
Riesco, per la seconda volta, ad apprezzare Gasparri, che difende l'accordo ABI-Tremonti mentre Bersani ripete come un disco rotto "surroga" e "portabilità". Dicevo non più tardi di ieri che queste parole sembrano diventate la panacea per tutti i mali, ed eccone la riprova.
Avrete ormai capito che io alla portabilità ci credo poco, mentre la tremontata mi piace. E non perché mi piaccia Tremonti o il Cavaliere, anzi! E non perché sia dalla parte delle banche. Dato che, come spiegherò, la tremontata alle banche non piace per niente. Ma questo è un interludio: non voglio inserirmi nella serie sui mutui ma fare solo due osservazioni laterali.

La prima: nessuno in televisione ha ancora capito che il problema non sono i mutui ma i prezzi delle case? O semplicemente non lo si vuole spiegare?
Nessun giornalista ha capito che se un appartemento di 60 metri viene venduto a 250.000 euro, e uno stipendio medio è di 1.500 euro, una volta tolti 500 euro per mangiare pane e mortadella, ci vorrebbero 21 anni solo per pagare il capitale senza interessi?
E la colpa di ciò di chi è: delle banche o delle politiche abitative degli ultimi 30 anni? Mi ricordo che quando ero piccolo c'erano le case popolari: mia nonna ci abitava, mio padre ci era vissuto: e non erano dei disgraziati, bensì gente normalissima che lavorava e studiava.
Perché oggi la casa popolare è un privilegio di chi è talmente in disgrazia da potersi conquistare il diritto di abitarci? Perché edilizia pubblica sembra ormai un sinonimo di kolchoz?
Non è forse che si punta l'attenzione sui mutui per distoglierla dal mercato abitativo e dai guasti della speculazione edilizia? Speculazione edilizia: locuzione che odora di anni '60. Ma se abitate a Milano e riflettete un attimo su parcheggi interrati, quartiere Isola, Expo, riqualificazione delle aree dismesse e via discorrendo, vi accorgete che oggi la speculazione c'è davvero, e quella di 30 anni fa era un gioco da bambini dell'oratorio. E nelle altre città, è forse diverso?

La seconda osservazione è metodologica: riguarda il fatto che la realtà è complessa. Mi sembra di aver già detto la medesima cosa riguardo ad alitalia, forse mi ripeto ma ne sento il bisogno.
Io sto consumando svariate serate a scrivere migliaia di parole per cercare di spiegare un problema e dare una chiave interpretativa utile a chi mi legge. Capisco di essere noioso e talvolta pedante, ma vi assicuro che sto semplificando moltissimo, al limite del travisamento: più corto o più semplice non potrei perché non ne sarei capace e non sarei obiettivo.
Mi rendo conto benissimo che talvolta sono troppo involuto, uso termini complessi, salto passaggi logici che dò per scontati: perché non ho tempo a sufficienza, ma anche perché non posso trattare i miei pochi lettori come dei cretini. Poi vedo i dibattiti in televisione e vedo che il pubblico è trattato peggio che all'asilo infantile.
Questo da un lato mi disgusta, ma allo stesso tempo mi rendo conto che non si può chiedere a una persona normale di interessarsi di tutto e di approfondire tutto: io per esempio non mi interesso minimamente al delitto di Perugia, che probabilmente è fondamentale per altri; e quindi mi chiedo se abbia senso il mio lavoro.

Comunque ormai siamo alla fine: tra poco avrò raccontato tutto quello che so sulle rinegoziazioni, e ognuno sarà libero di scegliere il da farsi con la propria testa.

 

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