Da qualche giorno i sysadmin che gestiscono la rete del mio posto di lavoro hanno dato una stretta ai filtri, e pertanto è più frequente il comparire dell'avviso "access denied".
Personalmente ho sempre pensato che i filtri fossero una gran sciocchezza, e difatti quando la gestivo io, la rete, mi sono sempre rifiutato di introdurne: ma ora evidentemente l'aria è cambiata.
Forse ho una visione un po' di parte, dal momento che per quanto mi concerne non ho speso più di qualche minuto a installare un proxy personale su un mio dominio e continuare a fare esattamente quel che facevo prima; ma in effetti mi rendo conto che si tratta di competenze che vanno ben al di là della capacità dell'utente medio e di molti di coloro che si definiscono "avanzati".
Se quindi c'è forse una logica nel concetto del filtrare il traffico, questa si perde del tutto andando a vedere cosa viene filtrato.
Per fare un esempio, non passa Macchianera, ma passa Rivoluzione Italiana, e tutti noi sappiamo che il rapporto di serietà tra queste due risorse è di 100 a 1.
Non passano né The Pirate Bay né Torrentreactor, ma in compenso passa IsoHunt (per quanto il tutto non serva a nulla dal momento che, per fortuna, il client Torrent si trova le porte inesorabilmente bloccate).
Ma quello che mi lascia veramente dubbioso e mi fa grattare la pera è: con quale logica mai qualcuno avrà deciso di bloccare Flickr e di lasciar passere YouTube, FaceBook, FriendFeed e Twitter?!?
lunedì 29 dicembre 2008
domenica 28 dicembre 2008
SMS di Natale
Ci sono già abbastanza VIBs che hanno scritto sufficientemente male (qui e qui due esempi) di chi fa gli auguri di massa via SMS o mail, scrivendo un banale messaggio natalizio e spedendolo a tutta la propria rubrica. In sintesi il concetto è: concordiamo tutti sul fatto che non c'è niente di male a fare gli auguri anche via SMS, purché siano auguri da persona a persona, e non da persona a rubrica di indirizzi indistinti: perché altrimenti non sono auguri, ma un mero obbligo sociale da sbrigare nel modo più veloce e meno impegnativo possibile.
Io ho una storia diversa da raccontare: quella di un SMS che ho ricevuto, più o meno verso la mezzanotte della vigilia, e che era indubitabilmente ben meditato e inequivocabilmente diretto a me e solo a me. Proveniva da una signora con la quale mi accompagno (o forse mi accompagnavo[1]), e conteneva una lunga sequenza di insulti. Tenete conto che la mittente è una poetessa, e capirete che si trattava di un messaggio composito e articolato, mica un semplice "sei un grandissimo stronz...".
Non voglio ovviamente addentrarmi nei motivi per i quali costei ha ritenuto di indirizzarmi tali considerazioni: diciamo che come sempre la ragione sta un po' nel mezzo.
Vi basti sapere che nel testo erano contenute un discreto numero di parole che il T9 del cellulare mittente non ha potuto o voluto risolvere, e così -per fare solo un esempio- la parte terminale dell'apparato digerente è divenuta culm.
Evidentemente le mie contromosse non hanno sortito l'effetto sperato; e pertanto la mittente è rimasta in cattivi rapporti con il sottoscritto, tanto che il giorno dopo ha ritenuto di ritrasmettermi la medesima comunicazione: ma questa volta sul telefono fisso.
Sapevo vagamente, pur non avendolo mai provato, che c'è questa possibilità: di inviare un SMS a un apparecchio fisso, presso il quale verrà recapitato mediante una telefonata operata da una voce sintetizzata, che legge il testo del messaggio.
Ed infatti così è successo: mentre sto per andare al pranzo di Natale (non ci facciamo mancare niente, qui), ad un certo punto ricevo una telefonata da un numero non riconoscibile, e una voce femminile mi racconta, con disarmante lentezza, che ho ricevuto un messaggio, mi spiega quale numero telefonico l'ha inviato e mi dice come posso fare a sentirlo.
Io riconosco il numero, e un po' stupito schiaccio il tasto di ascolto.
Ed ora immaginatemi lì, il giorno di Natale, con in mano il sacchetto delle vettovaglie e quello dei regali, un po' chino verso il telefono, appoggiato sul pavimento, ad ascoltare una voce metallica che mi recita con tono impersonale la stessa valanga di insulti che avevo letto la sera prima, impappinandosi ogni tanto di fronte alle parole che, per essere state composte frettolosamente, non rientrano nelle proprie regole di pronuncia e pertanto vengono sillabate, come per darvi maggiore enfasi. Alla fine del messaggio, la voce mi ha detto quale tasto dovevo premere per cancellare tutto: ed io l'ho premuto senza pensarci su troppo.
[1] giusto per fugare eventuali dubbi, vi segnalo che io non ho grandi pretese, in fatto di donne: le caratteristiche essenziali sono che non mi vogliano far fare figli e che non abbiano sospetto dell'esistenza di questo blog.
Io ho una storia diversa da raccontare: quella di un SMS che ho ricevuto, più o meno verso la mezzanotte della vigilia, e che era indubitabilmente ben meditato e inequivocabilmente diretto a me e solo a me. Proveniva da una signora con la quale mi accompagno (o forse mi accompagnavo[1]), e conteneva una lunga sequenza di insulti. Tenete conto che la mittente è una poetessa, e capirete che si trattava di un messaggio composito e articolato, mica un semplice "sei un grandissimo stronz...".
Non voglio ovviamente addentrarmi nei motivi per i quali costei ha ritenuto di indirizzarmi tali considerazioni: diciamo che come sempre la ragione sta un po' nel mezzo.
Vi basti sapere che nel testo erano contenute un discreto numero di parole che il T9 del cellulare mittente non ha potuto o voluto risolvere, e così -per fare solo un esempio- la parte terminale dell'apparato digerente è divenuta culm.
Evidentemente le mie contromosse non hanno sortito l'effetto sperato; e pertanto la mittente è rimasta in cattivi rapporti con il sottoscritto, tanto che il giorno dopo ha ritenuto di ritrasmettermi la medesima comunicazione: ma questa volta sul telefono fisso.
Sapevo vagamente, pur non avendolo mai provato, che c'è questa possibilità: di inviare un SMS a un apparecchio fisso, presso il quale verrà recapitato mediante una telefonata operata da una voce sintetizzata, che legge il testo del messaggio.
Ed infatti così è successo: mentre sto per andare al pranzo di Natale (non ci facciamo mancare niente, qui), ad un certo punto ricevo una telefonata da un numero non riconoscibile, e una voce femminile mi racconta, con disarmante lentezza, che ho ricevuto un messaggio, mi spiega quale numero telefonico l'ha inviato e mi dice come posso fare a sentirlo.
Io riconosco il numero, e un po' stupito schiaccio il tasto di ascolto.
Ed ora immaginatemi lì, il giorno di Natale, con in mano il sacchetto delle vettovaglie e quello dei regali, un po' chino verso il telefono, appoggiato sul pavimento, ad ascoltare una voce metallica che mi recita con tono impersonale la stessa valanga di insulti che avevo letto la sera prima, impappinandosi ogni tanto di fronte alle parole che, per essere state composte frettolosamente, non rientrano nelle proprie regole di pronuncia e pertanto vengono sillabate, come per darvi maggiore enfasi. Alla fine del messaggio, la voce mi ha detto quale tasto dovevo premere per cancellare tutto: ed io l'ho premuto senza pensarci su troppo.
[1] giusto per fugare eventuali dubbi, vi segnalo che io non ho grandi pretese, in fatto di donne: le caratteristiche essenziali sono che non mi vogliano far fare figli e che non abbiano sospetto dell'esistenza di questo blog.
Case popolari
C'è una bella mostra alla Triennale, e anche ad ingresso gratuito, il che non guasta. Si intitola 100 Anni di Edilizia Residenziale Pubblica a Milano, ed è stata organizzata dall'ALER (ex IACP) per celebrare i cent'anni dall'erezione (si dice così, ahimé) in ente morale.
Per chi è milanese di nascita, la mostra consente un giro nella memoria di tanti luoghi vissuti o visitati nel tempo. A me, che ho sempre vissuto nella stessa via ma ho frequentato, ho dormito e ho fatto spese in tanti quartieri diversi, ha consentito di rendermi meglio consapevole di paesaggi e organizzazioni urbane che avevo sfiorato tante volte ma di cui non mi ero mai reso veramente conto.
Per chi milanese lo è d'adozione, la mostra è fondamentale per capire come si è creato il tessuto di questa città, che è segnata fortissimamente e ubiquitariamente dall'edilizia popolare, sia dell'epoca fascista che del secondo dopoguerra.
Per tutti, la visita consente di comprendere come la mano pubblica consentisse di costruire le città, un tempo, e di contro come l'attuale assetto urbanistico, interamente affidato ai privati, sia totalmente inadeguato rispetto alle esigenze di svuluppo -e anche di mera sussistenza - di una comunità cittadina.
Certo, l'organizzazione della mostra e i testi sono dell'ALER, e quindi di parte; ma non mi sembra che il valore degli stessi ne sia inficiato più di tanto. Intendiamoci: dell'ALER si parla male o malissimo, e forse a ragione, anche se non so esprimere un'opinione in merito perché non conosco abbastanza approfonditamente i problemi di coloro che oggi sono in cerca di case popolari o vi abitano. Sta di fatto che solo negli ultimi anni casa popolare è divenuto sinonimo di degrado urbano: la mostra evidenzia (e chi ha vissuto a Milano prima degli anni Ottanta ben lo ricorda) che le case di edilizia pubblica erano case civili nel senso etimologico del termine, e che solo dagli Ottanta in poi è iniziato il declino dalla mano pubblica in favore dellaspeculazione iniziativa privata. Dai testi, per quanto un po' (troppo) fra le righe, si colgono le responsabilità delle amministrazioni locali e centrali e la speranza (probabilmente destinata a rimaner tale, vista l'aria che tira) di un riavvio dell'iniziativa pubblica.
Consiglio di accompagnare la visita alla lettura delle Meraviglie d'Italia, del Gran Lombardo, che contiene pagine splendide sulla Milano degli anni Venti e Trenta e sulla crescita del tessuto urbano di questa città.
Per chi è milanese di nascita, la mostra consente un giro nella memoria di tanti luoghi vissuti o visitati nel tempo. A me, che ho sempre vissuto nella stessa via ma ho frequentato, ho dormito e ho fatto spese in tanti quartieri diversi, ha consentito di rendermi meglio consapevole di paesaggi e organizzazioni urbane che avevo sfiorato tante volte ma di cui non mi ero mai reso veramente conto.
Per chi milanese lo è d'adozione, la mostra è fondamentale per capire come si è creato il tessuto di questa città, che è segnata fortissimamente e ubiquitariamente dall'edilizia popolare, sia dell'epoca fascista che del secondo dopoguerra.
Per tutti, la visita consente di comprendere come la mano pubblica consentisse di costruire le città, un tempo, e di contro come l'attuale assetto urbanistico, interamente affidato ai privati, sia totalmente inadeguato rispetto alle esigenze di svuluppo -e anche di mera sussistenza - di una comunità cittadina.
Certo, l'organizzazione della mostra e i testi sono dell'ALER, e quindi di parte; ma non mi sembra che il valore degli stessi ne sia inficiato più di tanto. Intendiamoci: dell'ALER si parla male o malissimo, e forse a ragione, anche se non so esprimere un'opinione in merito perché non conosco abbastanza approfonditamente i problemi di coloro che oggi sono in cerca di case popolari o vi abitano. Sta di fatto che solo negli ultimi anni casa popolare è divenuto sinonimo di degrado urbano: la mostra evidenzia (e chi ha vissuto a Milano prima degli anni Ottanta ben lo ricorda) che le case di edilizia pubblica erano case civili nel senso etimologico del termine, e che solo dagli Ottanta in poi è iniziato il declino dalla mano pubblica in favore della
Consiglio di accompagnare la visita alla lettura delle Meraviglie d'Italia, del Gran Lombardo, che contiene pagine splendide sulla Milano degli anni Venti e Trenta e sulla crescita del tessuto urbano di questa città.
sabato 27 dicembre 2008
Perché preferisco leggere il Corriere online piuttosto che guardare un bel film porno
Perché nel porno si vede che recitano, mentre sul Corriere riescono a scrivere articoli come questo restando seri.
Pasto solitario
Mangiare da solo è una di quelle cose che possono apprezzare solo coloro che lo possono fare raramente.
E in queste occasioni di solito non mi metto a cucinare cose particolarmente prelibate o complesse (anche perché cucinare per uno richiede ascetica semplicità), ma apparecchio la tavola con più cura: la riempio di piatti e accessori che probabilmente non userò, ma che tanto verranno lavate dalla lavastoviglie; dispongo tutti gli stuzzichini nei loro piattini o scodelline. Mi dimostro di volermi bene.
E in queste occasioni di solito non mi metto a cucinare cose particolarmente prelibate o complesse (anche perché cucinare per uno richiede ascetica semplicità), ma apparecchio la tavola con più cura: la riempio di piatti e accessori che probabilmente non userò, ma che tanto verranno lavate dalla lavastoviglie; dispongo tutti gli stuzzichini nei loro piattini o scodelline. Mi dimostro di volermi bene.
venerdì 26 dicembre 2008
Italiani nel mondo
Alcuni di voi, girando per le vie e le piazze del nostro bel Paese, avranno avuto modo di scorgere, appesi ai muri o sospesi in cielo tramite futuribili strutture, taluni lenzuoloni rappresentanti cinque signori tutti nerovestiti, schiacciati tra due strisce azzurre che immediatamente li identificano come correlati al partito del nostro Presidente del Consiglio.
Questi signori, che probabilmente ambivano essere raffigurati con un incedere audace e deciso, si sono purtroppo affidati alle magie di un fotografo che non ha saputo adeguatamente rappresentare il preteso senso di dinamicità.
In effetti non solo il centro della composizione è occupato dal meno atletico dei cinque (per non dire francamente tracagnotto): il che si potrebbe spiegare con l'esigenza di informare il passante dell'essere, il medesimo, il più importante della brigata; ma anche gli altri particolari ad un esame attento denunciano fiera approssimazione.
L'attento esegeta noterà qualcosa di innaturale nel passo dei cinque: e in effetti pensandoci bene, sarebbe stato difficile prendere i nostri e metterli a passeggiare fischiettando per una strada di Roma, a passo cadenzato onde coglierli tutti nel medesimo istante della falcata (e avrebbe avuto un sapore un po' troppo militaresco, perdipiù). No, il nostro novello Avedon ha preso i cinque, insieme o separatamente, e li ha posti su un comune fondale bianco, facendoli posare in equilibrio instabile su un solo piede, l'altro sospeso a guisa di infortunato in attesa al traumatologico.
Ne ha fatto le spese anzitutto il primo della serie, riuscito tutto scoliotico con una spalla più bassa dell'altra di una buona spanna; e l'occupante il centro del quintetto, la cui figura, complice la costituzionale carenza di leggiadria, risulta tutta irrigidita, quasi congelata se non fosse per quelle braccine che si distanziano dal voluminoso corpo, cercando invano una precaria stabilità.
Non fanno miglior figura i due a lui vicini: l'uno dal pallore cadaverico, sull'orlo di un collasso cardiocircolatorio, e l'altro -peraltro il più umano del quintetto, se non altro per la nota di colore della cravatta gialla- le cui labbra sottili sono contratte nello sforzo di non cadere. Nulla da dire sul quinto, non fosse per il ghigno sardonico, reso mefistofelico dall'incorniciatura di baffi e pizzetto.
Se questi signori si fossero riuniti in occasione delle esequie di un caro congiunto si potrebbe spiegare l'uniformità del vestire funereo; ma dato che evidentemente l'occasione è altra, il destinatario del messaggio ha, prima di ogni altra cosa, l'istinto primordiale del toccarsi quanto egli abbia di più caro.
Il secondo istinto, invece, è di profonda inquietudine dacché noi altri positivisti magari cediamo al facile sollievo del gesto apotropaico, ma poi ci vien naturale di analizzare e non possiamo fare a meno di chiedersi che mai siano, questi minacciosi che ci vengono all'incontro.
E qui ci soccorre la lettura del manifesto, che pomposo ci notizia della nascita della Fondazione Italiani nel Mondo - sottotitolo "Insieme nasce il PDL nel mondo, insieme rilanciamo il made in Italy nel mondo".
Ohibò, vien naturale di pensare: ma con tutti gli italiani che ci sono, in patria e nel mondo, proprio cinque raffazzonati, scalcagnati e soprattutto sconosciuti signorotti di mezza età, bisognava andare a pescare?
Per fortuna il grafico non si è fatto -e non ci ha fatto- mancare nulla, e sotto a ciascuna delle figurine ha piazzato la sua brava didascalia. Scopriamo così che abbiamo di fronte nientepopodimeno che quattro senatori e un onorevole, e che il principale, per autorevolezza, centralità della posizione e costituzione fisica, risponde al nome di Sergio De Gregorio, che possiamo ammirare meglio con altre due vecchie glorie nostrane in una foto della sua galleria. Già, De gregorio! Quel simpatico napoletano che dopo essere stato socialista, forzista e democristiano, si è fatto eleggere senatore con Di Pietro cambiando poi bandiera un solo giorno dopo essere stato eletto alla presidenza della commissione Difesa, nel 2006 (si vede che l'aria del golfo ispira questi tuffi carpiati, tanto che anche il buon Riccardo Villari è suo concittadino). Per maggiori informazioni sulla sua vita e le sue opere, comunque, consiglio caldamente la lettura della voce su wikipedia nonché degli articoli di giornale ivi richiamati.
Degli altri, solo il buon vecchio oracolo ci può dir qualcosa: e scopriamo che si tratta di quattro dei nostri parlamentari eletti nelle circoscrizioni estere. Certo, per uno di loro la Giunta per le elezioni ha chiesto di pronunciare la decadenza dalla carica, in quanto per presentarsi alle elezioni ha dichiarato di essere residente in Belgio, e precisamente in un appartamento che avrebbe condiviso con tre studenti (studenti!) che non lo avevano mai visto. Un'altro di loro, già ambasciatore argentino presso la Santa Sede, viene accusato da Domingo Cavallo, già ministro per l'economia argentino, di essere nientemeno che un trafficante di armi!
Ma la domanda che mi assilla è: quanto costeranno, tutti quei manifestoni? e chi li paga? e perché?
giovedì 25 dicembre 2008
Canto di Natale (postmoderno)
Da quando è morto mio padre, la cena della vigilia di Natale viene fatta in strettissima intimità. Quest'anno c'eravamo solo io, Nichita e le rispettive madri (la mia e la sua, insomma).
La cena l'ho preparata io, e risparmio il menù per non perdere la stima della piccola cuoca. Due cose ha portato mia madre (la piovra e il capitone) ed entrambe erano francamente immangiabili, ma tant'è.
Comunque non è questo il tema del post, bensì l'esistenza di Babbo Natale.
Ai loro figli Odifreddi o Ferraris avranno sicuramente detto che è fisicamente impossibile che un vecchietto porti contemporaneamente regali anche solo a un milionesimo dei bambini del mondo. E' un atteggiamento comprensibile, e del resto ho volutamente preso l'esempio di due persone che stimo (tanto che le loro foto su wikipedia erano mie, e quella di Ferraris lo è ancora mentre quella di Odifreddi, che era anche molto più bella, è stata cancellata per le complesse beghe di laggiù), ma a me ha sempre fatto piacere, e tuttora me ne fa, che mio figlio creda nell'esistenza di qualcuno tanto buono da portare i doni per la sola gioia del farlo.
Pertanto Nichita, che ormai ha quasi dieci anni, può desiderare di continuare a credere a Babbo Natale sebbene le evidenze e parte degli amichetti provino il contrario; ma il tarlo del dubbio lo rosica. Qualche settimana fa mi ha preso a tu per tu, serio serio, e mi ha domandato "Papà, ma dimmi VERAMENTE la verità: Babbo Natale esiste o sono i genitori che mi comprano i regali?".
Io, che per mestiere ho dovuto imparare a mentire senza dire il falso, gli ho risposto che "Babbo Natale esiste per i bambini che vi credono, ma quando un bambino smette di credervi probabilmente i genitori sono costretti a comprarli loro, i regali". E pensavo di essermela cavata abbastanza bene.
Quanto alla scelta dei regali, quest'anno non aveva scritto la letterina. Io, preso dalla stronza due diligence che mi aveva fatto momentaneamente dimenticare uno dei principi a cui qualche anno fa avevo giurato di attenermi sempiternamente (prima la vita, poi il lavoro), non me ne ero preoccupato più di tanto, anche perché mi aveva detto più o meno cosa desiderava: un mitra, un certo gioco per la playstation (che usa da mia madre, che non possiede un PC), e un grande Lego. A questo dovevo aggiungere gli sci (che un bambino non considera propriamente un regalo, bensì qualcosa alla stregua dei vestiti) e il contachilometri per la bici, dato che qualche settimana fa quello che aveva gli era stato strappato via dalla sua, parcheggiata a Villapizzone, da un grandissimo figlio di zoccola (come si fa a strappare il contachilometri dalla bici di un bambino, lasciandogli il filo penzolante?) che sicuramente da allora sarà seduto sulla comoda con una diarrea cronica e sanguinolenta, tra atroci dolori.
L'incombenza del grande Lego era stata assolta da mia madre, che aveva preso un camion con tanti pezzi, che mi aveva fatto vedere di sfuggita, carbonaramente. Io avevo registrato la cosa nella casella "fatto" e non me ne ero più peritato.
Ieri sera, a un tratto Nichita, forse perché qualcuno aveva pronunciato la parola "letterina", o forse di suo così, a un certo punto se ne salta su e dice "adesso scrivo la letterina a Babbo Natale, ma non la deve vedere nessuno".
Si mette all'opera, compie il suo lavoretto e poi, una volta finito, tutto tronfio esclama: "così voglio vedere se Babbo Natale esiste davvero o sono i genitori, che mi comprano i regali".
Io, con un brivido nella schiena, gli chiedo di spiegarmi meglio la cosa e lui, candido, ci spiega che lui vuole tantissimo un solo regalo, che non ha detto a nessuno e che è difficilissimo da trovare, così quando Babbo Natale leggerà la letterina se ce l'avrà lo tirerà fuori dal sacco, mentre se fossero i genitori a prendere i regali, non potrebbero sapere che cosa desiderava e quindi non troverebbe qual regalo.
Io, ovviamente, mi raggelo, e comincio a far leva sull'unico spiraglio lasciatomi aperto, vale a dire che dato che la letterina va spedita prima, Babbo Natale potrebbe non avere dietro il regalo in questione: ma sento che si tratta di una linea di difesa deboluccia. Contemporaneamente mia madre, che a rigore non può rientrare nella categoria di "genitore", lo convince a dire solo a lei di che si tratta. Si appartano ed emerge così che l'oggetto del desiderio è "Lego Agents Mission 6"; dopodiché tornano e Nichita bel bello appende la sua letterina all'albero.
Noi ci guardiamo dubbiosi e timorosi. Nessuno dei tre ha la più pallida idea di cosa sia Lego Agents Mission 6, e nessuno ha idea di cosa ci sia nella scatola incartata giù in cantina, ma è ovvio che la probabilità che il contenuto coincida con il desiderio sono infinitesime, e comunque ogni possibilità di cambiare il regalo è ormai definitivamente sfumata.
Nottetempo mi alzo, vado in cantina a prendere tutta la roba e la piazzo sotto l'albero; poi prendo la letterina e, cercando di assumere una scrittura da Babbo Natale, gli scrivo che avrebbe dovuto spedirla prima, la letterina, e che adesso ho un altro Lego pure molto bello, e anche il mitra, etc. etc., dopodiché gliela piazzo sul tavolo, insieme agli avanzi della cena del simpatico vecchione.
La mattina, alle sette e pochi minuti, il pupo si alza e va a vedere se ci sono i regali. Io pure mi alzo per avviare il rito dell'apertura, e lui subito punta sulla scatola del Lego, riconoscendone la natura semplicemente dalla forma e dalla dimensione, senza nemmeno scuoterla.
Comincia a scartarla prima che io abbia la prontezza di spirito di fargli vedere se ci sia scritto qualcosa sulla letterina, e pochi secondi dopo comuncia a fare versi di gioia e cenni di vittoria con i pugni alzati: per quanto del tutto improbabile, la confezione era esattamente quella di Lego Agents Mission 6.
Immaginatevi come mi sono sentito 8-). A questo punto non mi è rimasto che fare un trucco bacucco e far sparire con destrezza sotto il divano la letterina, che poi ho recuperato e archiviato: a riprova del fatto che Natale e il suo Babbo, anche se non ci si crede più, c'è anche per i grandi.
La cena l'ho preparata io, e risparmio il menù per non perdere la stima della piccola cuoca. Due cose ha portato mia madre (la piovra e il capitone) ed entrambe erano francamente immangiabili, ma tant'è.
Comunque non è questo il tema del post, bensì l'esistenza di Babbo Natale.
Ai loro figli Odifreddi o Ferraris avranno sicuramente detto che è fisicamente impossibile che un vecchietto porti contemporaneamente regali anche solo a un milionesimo dei bambini del mondo. E' un atteggiamento comprensibile, e del resto ho volutamente preso l'esempio di due persone che stimo (tanto che le loro foto su wikipedia erano mie, e quella di Ferraris lo è ancora mentre quella di Odifreddi, che era anche molto più bella, è stata cancellata per le complesse beghe di laggiù), ma a me ha sempre fatto piacere, e tuttora me ne fa, che mio figlio creda nell'esistenza di qualcuno tanto buono da portare i doni per la sola gioia del farlo.
Pertanto Nichita, che ormai ha quasi dieci anni, può desiderare di continuare a credere a Babbo Natale sebbene le evidenze e parte degli amichetti provino il contrario; ma il tarlo del dubbio lo rosica. Qualche settimana fa mi ha preso a tu per tu, serio serio, e mi ha domandato "Papà, ma dimmi VERAMENTE la verità: Babbo Natale esiste o sono i genitori che mi comprano i regali?".
Io, che per mestiere ho dovuto imparare a mentire senza dire il falso, gli ho risposto che "Babbo Natale esiste per i bambini che vi credono, ma quando un bambino smette di credervi probabilmente i genitori sono costretti a comprarli loro, i regali". E pensavo di essermela cavata abbastanza bene.
Quanto alla scelta dei regali, quest'anno non aveva scritto la letterina. Io, preso dalla stronza due diligence che mi aveva fatto momentaneamente dimenticare uno dei principi a cui qualche anno fa avevo giurato di attenermi sempiternamente (prima la vita, poi il lavoro), non me ne ero preoccupato più di tanto, anche perché mi aveva detto più o meno cosa desiderava: un mitra, un certo gioco per la playstation (che usa da mia madre, che non possiede un PC), e un grande Lego. A questo dovevo aggiungere gli sci (che un bambino non considera propriamente un regalo, bensì qualcosa alla stregua dei vestiti) e il contachilometri per la bici, dato che qualche settimana fa quello che aveva gli era stato strappato via dalla sua, parcheggiata a Villapizzone, da un grandissimo figlio di zoccola (come si fa a strappare il contachilometri dalla bici di un bambino, lasciandogli il filo penzolante?) che sicuramente da allora sarà seduto sulla comoda con una diarrea cronica e sanguinolenta, tra atroci dolori.
L'incombenza del grande Lego era stata assolta da mia madre, che aveva preso un camion con tanti pezzi, che mi aveva fatto vedere di sfuggita, carbonaramente. Io avevo registrato la cosa nella casella "fatto" e non me ne ero più peritato.
Ieri sera, a un tratto Nichita, forse perché qualcuno aveva pronunciato la parola "letterina", o forse di suo così, a un certo punto se ne salta su e dice "adesso scrivo la letterina a Babbo Natale, ma non la deve vedere nessuno".
Si mette all'opera, compie il suo lavoretto e poi, una volta finito, tutto tronfio esclama: "così voglio vedere se Babbo Natale esiste davvero o sono i genitori, che mi comprano i regali".
Io, con un brivido nella schiena, gli chiedo di spiegarmi meglio la cosa e lui, candido, ci spiega che lui vuole tantissimo un solo regalo, che non ha detto a nessuno e che è difficilissimo da trovare, così quando Babbo Natale leggerà la letterina se ce l'avrà lo tirerà fuori dal sacco, mentre se fossero i genitori a prendere i regali, non potrebbero sapere che cosa desiderava e quindi non troverebbe qual regalo.
Io, ovviamente, mi raggelo, e comincio a far leva sull'unico spiraglio lasciatomi aperto, vale a dire che dato che la letterina va spedita prima, Babbo Natale potrebbe non avere dietro il regalo in questione: ma sento che si tratta di una linea di difesa deboluccia. Contemporaneamente mia madre, che a rigore non può rientrare nella categoria di "genitore", lo convince a dire solo a lei di che si tratta. Si appartano ed emerge così che l'oggetto del desiderio è "Lego Agents Mission 6"; dopodiché tornano e Nichita bel bello appende la sua letterina all'albero.
Noi ci guardiamo dubbiosi e timorosi. Nessuno dei tre ha la più pallida idea di cosa sia Lego Agents Mission 6, e nessuno ha idea di cosa ci sia nella scatola incartata giù in cantina, ma è ovvio che la probabilità che il contenuto coincida con il desiderio sono infinitesime, e comunque ogni possibilità di cambiare il regalo è ormai definitivamente sfumata.
Nottetempo mi alzo, vado in cantina a prendere tutta la roba e la piazzo sotto l'albero; poi prendo la letterina e, cercando di assumere una scrittura da Babbo Natale, gli scrivo che avrebbe dovuto spedirla prima, la letterina, e che adesso ho un altro Lego pure molto bello, e anche il mitra, etc. etc., dopodiché gliela piazzo sul tavolo, insieme agli avanzi della cena del simpatico vecchione.
La mattina, alle sette e pochi minuti, il pupo si alza e va a vedere se ci sono i regali. Io pure mi alzo per avviare il rito dell'apertura, e lui subito punta sulla scatola del Lego, riconoscendone la natura semplicemente dalla forma e dalla dimensione, senza nemmeno scuoterla.
Comincia a scartarla prima che io abbia la prontezza di spirito di fargli vedere se ci sia scritto qualcosa sulla letterina, e pochi secondi dopo comuncia a fare versi di gioia e cenni di vittoria con i pugni alzati: per quanto del tutto improbabile, la confezione era esattamente quella di Lego Agents Mission 6.
Immaginatevi come mi sono sentito 8-). A questo punto non mi è rimasto che fare un trucco bacucco e far sparire con destrezza sotto il divano la letterina, che poi ho recuperato e archiviato: a riprova del fatto che Natale e il suo Babbo, anche se non ci si crede più, c'è anche per i grandi.
mercoledì 24 dicembre 2008
E' Natale
Anche quest'anno è arrivato Natale; anche quest'anno sono giunto all'ultimo momento per completare tutto ciò che dovevo completare.
Complice la gitarella a Roma di settimana scorsa e i suoi postumi milanesi; assediato dalla febbriciattola e dai mali stagionali, sono riuscito solo ieri a prendere i regali per Nichita, stupendomi io stesso per essere riuscito a trovare tutto. Solo ieri sera poi ho deciso dove si farà la cena e chi ci sarà, per cui stamane sono andato al mercato e mi sono comperato i pesci e i molluschi.
Tra poco, dopo aver fatto atto di presenza qui in banca, me ne andrò alla Slunga a prendere vini e quisquilie varie.
Anno dopo anno mi sembra sempre incredibile il fatto che alla fine tutti i pezzi si incastrino l'uno con l'altro e che, arrivata la sera della vigilia, possa essere in grado di offrire a me, a mio figlio e a chi pro-tempore mi sta vicino la gioia del Natale. E lo dico senza ironia, gioia. Anch'io ero uno di quelli che quando arrivavano le feste non vedeva l'ora di passarci attraverso indenne ed arrivare intero al 7 gennaio; ma da quando sono padre (e ormai ne è passato un bel po' di tempo: quasi dieci anni) ho recuperato le atmosfere e le tradizioni.
E con il passare del tempo ho anche imparato ad apprezzare il mio, di padre, e ho capito, seppur in ritardo, tutto quello che aveva fatto per me e quanto teneva alla sua famiglia; mi spiace solo di non averlo compreso prima.
Buon Natale a tutti!
Complice la gitarella a Roma di settimana scorsa e i suoi postumi milanesi; assediato dalla febbriciattola e dai mali stagionali, sono riuscito solo ieri a prendere i regali per Nichita, stupendomi io stesso per essere riuscito a trovare tutto. Solo ieri sera poi ho deciso dove si farà la cena e chi ci sarà, per cui stamane sono andato al mercato e mi sono comperato i pesci e i molluschi.
Tra poco, dopo aver fatto atto di presenza qui in banca, me ne andrò alla Slunga a prendere vini e quisquilie varie.
Anno dopo anno mi sembra sempre incredibile il fatto che alla fine tutti i pezzi si incastrino l'uno con l'altro e che, arrivata la sera della vigilia, possa essere in grado di offrire a me, a mio figlio e a chi pro-tempore mi sta vicino la gioia del Natale. E lo dico senza ironia, gioia. Anch'io ero uno di quelli che quando arrivavano le feste non vedeva l'ora di passarci attraverso indenne ed arrivare intero al 7 gennaio; ma da quando sono padre (e ormai ne è passato un bel po' di tempo: quasi dieci anni) ho recuperato le atmosfere e le tradizioni.
E con il passare del tempo ho anche imparato ad apprezzare il mio, di padre, e ho capito, seppur in ritardo, tutto quello che aveva fatto per me e quanto teneva alla sua famiglia; mi spiace solo di non averlo compreso prima.
Buon Natale a tutti!
domenica 21 dicembre 2008
Fuori i capibastone /2
Ieri, complici la fretta e la febbre, ho buttato giù un post che -lo ammetto- non era di adamantina chiarezza. Ora la febbre è un po' scesa, e provo a raccontare meglio le cose.
Ieri Veltroni, forte del risultato (?) ottenuto alla direzione nazionale del Piddì, ha rilasciato una criptica dichiarazione, che viene riportata da tutti i giornali nello stesso modo (si veda ad esempio Repubblica e il Corriere, come pure il Giornale o il Messaggero).
Cosa dice Veltroni? dice "fuori i capibastone dal PD".
Ora, se c'è una cosa che Veltroni sa far bene (forse l'unica cosa che sa far bene, ma questa è una mia cattiveria) è quella di usare le parole. Lo si è visto al Lingotto, alle lezioni di "bella politica", al Circo Massimo. Alle sue parole non segue mai nulla, ma è innegabile che abbia un uso del linguaggio studiatissimo e di grande efficacia.
Cosa intendeva quindi dire Veltroni con quel "fuori i capibastone"? Un'interpretazione potrebbe essere quella di identificare i capibastone con i mazzettari e corrotti, ma si tratta di un'interpretazione semplicistica: anzitutto perché la pulizia del partito non è certo un tema nuovo, e quindi non avrebbe senso ribattere sulla questione morale dopo la direzione (come se fosse possibile immaginare che un altro esito della direzione avrebbe potuto dar il via libera a corruttela e mazzettarismo!); e in secondo luogo perché il messaggio sarebbe stato più chiaro parlando di corrotti, manigoldi, ladri o quant'altro.
No: il capobastone è il capo di una famiglia mafiosa; non è quello che si sporca le mani bensì quello che comanda sul suo territorio. comanda un'organizzazione criminale, ma pur sempre comanda.
E allora l'interpretazione che io do, a quel termine, e che sono certo sia il messaggio che Veltroni abbia voluto far comprendere a chi doveva intendere, è che "fuori i capibastone" significhi "fuori i capi delle correnti".
Non si tratta di un'interpretazione forzata, dato che, guarda caso, tutti, ma proprio tutti, i giornali che riportano la notizia associano nello stesso paragrafo al virgolettato sui capibastone un ulteriore passaggio che suona: "Il correntismo è una malattia che deve essere sconfitta". Se con capibastone Veltroni avesse inteso "corrotti", che ci azzeccherebbe il richiamo alle correnti?
Per me la cosa è chiara: utilizzando un termine volutamente dispregiativo, Veltroni ha fatto passare il chiaro messaggio "qui comando io e si fa quel che dico io". E questo a me non sta bene per un cazzo.
Perché io non ho problemi a riconoscere il fatto che un partito politico, che è un'organizzazione privata, possa organizzarsi come meglio crede, strutturarsi in modo da dare spazio alle più disparate correnti, come la DC di un tempo, o identificarsi nel pensiero unico del suo fondatore o del suo padrone, come Forza Italia.
Ma non posso accettare che quello stesso partito propugni, avendo tra l'altro la forza per imporlo, il concetto che nel Paese debbano avere agilità politica solo due soggetti rappresentanti la volontà autocratica di solo due persone.
E non mi si venga, per cortesia, a tirare in ballo per l'ennesima volta il discorso delle primarie: sappiamo bene tutti (e chi non lo sa è uno sciocco) che sia le primarie di Prodi sia quelle di Veltroni erano elezioni in cui ciascheduno (eletto, trombati, elettori e gente che stava a guardare) sapeva in anticipo che avrebbe vinto, e l'unica suspence era la percentuale più o meno bulgara di successi.
Le primarie, signori miei, sono una farsa messa in scena per chi ci vuole credere: nella cittadine minori magari si lascia che i candidati si confrontino tra loro, ma a livello nazionale o nelle realtà che contano il vincitore è scritto sul marmo molto prima del voto tanto che a Firenze, di punto in bianco, per non far correre rischi al vincitore designato ecco che ci si sono inventate dall'oggi al domani le "primarie di coalizione".
E comunque, quand'anche le primarie dovessero essere elezioni vere e non un simulacro di quelle del 1924, sarebbero comunque inaccettabili: ma vi sembra possibile che la guida di uno dei due partiti unici sia decisa con una procedura aperta a qualunque tipo di broglio e forzatura, con la quale non si potrebbe neppur decidere il nome del presidente del circolo scacchistico di Roccacannuccia? (e stendiamo un velo pietoso sull'altro partito unico, in cui il capo è semplicemente il padrone).
Ma, si dirà, in America funziona così. Già, e in America i corrotti vanno in galera; e c'è la pena di morte; e c'è il burro d'arachidi; e si usano i galloni. Guardate: lo dico in grassetto per essere chiari: qui non siamo in America: siamo in Italia. E, sia detto per inciso, nei partiti americani ci sono le correnti.
Insomma: il progetto del Partito Democratico fino a poco fa mi stava, semplicemente, indifferente. ora invece lo riconosco come un pericolo per la democrazia, analogamente al pericolo0 costituito da Berlusconi e il berlusconismo. Ma il PD è un pericolo molto più subdolo: perchè per Berlusconi la verità emerge, adamantina al primo sguardo; mentre con il veltronismo bisogna scrutare a fondo, togliere di mezzo la patina del buonismo, la garza dei discorsi paternalistici e demagocici e il grande teatrino delle marionette delle primarie, prima di arrivare al nocciolo duro, che è poi semplicemente l'enorme presunzione e sete di potere dell'Uomo Più Buono d'Italia.
Ieri Veltroni, forte del risultato (?) ottenuto alla direzione nazionale del Piddì, ha rilasciato una criptica dichiarazione, che viene riportata da tutti i giornali nello stesso modo (si veda ad esempio Repubblica e il Corriere, come pure il Giornale o il Messaggero).
Cosa dice Veltroni? dice "fuori i capibastone dal PD".
Ora, se c'è una cosa che Veltroni sa far bene (forse l'unica cosa che sa far bene, ma questa è una mia cattiveria) è quella di usare le parole. Lo si è visto al Lingotto, alle lezioni di "bella politica", al Circo Massimo. Alle sue parole non segue mai nulla, ma è innegabile che abbia un uso del linguaggio studiatissimo e di grande efficacia.
Cosa intendeva quindi dire Veltroni con quel "fuori i capibastone"? Un'interpretazione potrebbe essere quella di identificare i capibastone con i mazzettari e corrotti, ma si tratta di un'interpretazione semplicistica: anzitutto perché la pulizia del partito non è certo un tema nuovo, e quindi non avrebbe senso ribattere sulla questione morale dopo la direzione (come se fosse possibile immaginare che un altro esito della direzione avrebbe potuto dar il via libera a corruttela e mazzettarismo!); e in secondo luogo perché il messaggio sarebbe stato più chiaro parlando di corrotti, manigoldi, ladri o quant'altro.
No: il capobastone è il capo di una famiglia mafiosa; non è quello che si sporca le mani bensì quello che comanda sul suo territorio. comanda un'organizzazione criminale, ma pur sempre comanda.
E allora l'interpretazione che io do, a quel termine, e che sono certo sia il messaggio che Veltroni abbia voluto far comprendere a chi doveva intendere, è che "fuori i capibastone" significhi "fuori i capi delle correnti".
Non si tratta di un'interpretazione forzata, dato che, guarda caso, tutti, ma proprio tutti, i giornali che riportano la notizia associano nello stesso paragrafo al virgolettato sui capibastone un ulteriore passaggio che suona: "Il correntismo è una malattia che deve essere sconfitta". Se con capibastone Veltroni avesse inteso "corrotti", che ci azzeccherebbe il richiamo alle correnti?
Per me la cosa è chiara: utilizzando un termine volutamente dispregiativo, Veltroni ha fatto passare il chiaro messaggio "qui comando io e si fa quel che dico io". E questo a me non sta bene per un cazzo.
Perché io non ho problemi a riconoscere il fatto che un partito politico, che è un'organizzazione privata, possa organizzarsi come meglio crede, strutturarsi in modo da dare spazio alle più disparate correnti, come la DC di un tempo, o identificarsi nel pensiero unico del suo fondatore o del suo padrone, come Forza Italia.
Ma non posso accettare che quello stesso partito propugni, avendo tra l'altro la forza per imporlo, il concetto che nel Paese debbano avere agilità politica solo due soggetti rappresentanti la volontà autocratica di solo due persone.
E non mi si venga, per cortesia, a tirare in ballo per l'ennesima volta il discorso delle primarie: sappiamo bene tutti (e chi non lo sa è uno sciocco) che sia le primarie di Prodi sia quelle di Veltroni erano elezioni in cui ciascheduno (eletto, trombati, elettori e gente che stava a guardare) sapeva in anticipo che avrebbe vinto, e l'unica suspence era la percentuale più o meno bulgara di successi.
Le primarie, signori miei, sono una farsa messa in scena per chi ci vuole credere: nella cittadine minori magari si lascia che i candidati si confrontino tra loro, ma a livello nazionale o nelle realtà che contano il vincitore è scritto sul marmo molto prima del voto tanto che a Firenze, di punto in bianco, per non far correre rischi al vincitore designato ecco che ci si sono inventate dall'oggi al domani le "primarie di coalizione".
E comunque, quand'anche le primarie dovessero essere elezioni vere e non un simulacro di quelle del 1924, sarebbero comunque inaccettabili: ma vi sembra possibile che la guida di uno dei due partiti unici sia decisa con una procedura aperta a qualunque tipo di broglio e forzatura, con la quale non si potrebbe neppur decidere il nome del presidente del circolo scacchistico di Roccacannuccia? (e stendiamo un velo pietoso sull'altro partito unico, in cui il capo è semplicemente il padrone).
Ma, si dirà, in America funziona così. Già, e in America i corrotti vanno in galera; e c'è la pena di morte; e c'è il burro d'arachidi; e si usano i galloni. Guardate: lo dico in grassetto per essere chiari: qui non siamo in America: siamo in Italia. E, sia detto per inciso, nei partiti americani ci sono le correnti.
Insomma: il progetto del Partito Democratico fino a poco fa mi stava, semplicemente, indifferente. ora invece lo riconosco come un pericolo per la democrazia, analogamente al pericolo0 costituito da Berlusconi e il berlusconismo. Ma il PD è un pericolo molto più subdolo: perchè per Berlusconi la verità emerge, adamantina al primo sguardo; mentre con il veltronismo bisogna scrutare a fondo, togliere di mezzo la patina del buonismo, la garza dei discorsi paternalistici e demagocici e il grande teatrino delle marionette delle primarie, prima di arrivare al nocciolo duro, che è poi semplicemente l'enorme presunzione e sete di potere dell'Uomo Più Buono d'Italia.
sabato 20 dicembre 2008
Fuori i capibastone
(questo post è stato buttato giù così, di fretta. Una versione più lunga e meditata si trova qui)
Fuori i capibastone, è la sintesi veltroniana di quanto emerso alla direzione del PD di ieri.
Io mi sono ripromesso di scrivere il meno possibile di quel partito; e condividevo i dubbi di Mantellini che qui si domandava perché mai continuasse a interessarsene. Bene, quel titolo mi ha vatto vedere la risposta.
Io credo che il capo di un partito che contemporaneamente aspira:
E che sia mio dovere combatterlo con tutte le armi.
Fuori i capibastone, è la sintesi veltroniana di quanto emerso alla direzione del PD di ieri.
Io mi sono ripromesso di scrivere il meno possibile di quel partito; e condividevo i dubbi di Mantellini che qui si domandava perché mai continuasse a interessarsene. Bene, quel titolo mi ha vatto vedere la risposta.
Io credo che il capo di un partito che contemporaneamente aspira:
A) ad essere il padrone assoluto del suo un partito allontanando tutti coloro che la pensano diversamente;bene, io credo che tale capo sia un manigoldo. Anzi, un fascista. Ecco, l'ho detto, finalmente.
B) a che il suo partito sia uno dei soli due partiti possibili nel paese,
E che sia mio dovere combatterlo con tutte le armi.
venerdì 19 dicembre 2008
Manifesto (di carta)
Sto finalmente leggendo gli arretrati lasciati su Google reader al termine di questa settimana stakanovista, dimostratasi micidiale per il mio fancazzismo.
Ero arrivato a Leonardo, che lascio abitualmente per penultimo, richiedendo sempre uno sforzo di concentrazione e una certa calma per essere apprezzato, ed ecco il post che mi ricorda che oggi il Manifesto costava cinquanta euri.
Io non l'ho comprato, questa volta: per distrazione e non per scelta meditata; ma alla fine se me ne fossi ricordato per tempo non credo che sarei andato all'edicola.
Tempo addietro (e non parlo di tanto tempo addietro), il Manifesto era l'unico quotidiano che leggevo, praticamente da cima a fondo; e non riuscivo a capire come si potessero comperare quotidiani ben più corposi, che quando mi capitavano fra le mani sfogliavo distrattamente senza riuscire ad appassionarmi ad alcun articolo.
Poi qualcosa è cambiato.
Credo che il limine sia costituito dal cambio di direzione, quando Barenghi è stato sostituito da Gabriele Polo e Mariuccia Ciotta. A me poi Polo sta anche simpatico, quando lo vedo in tivvù; ma la linea che hanno dato al quotidiano -che peraltro è esattamente quella che avevano promesso di dare nell'articolo programmatico scritto al momento dell'insediamento- non riesco a sopportarla.
Oggi, le rare volte che ormai lo compro, mi trovo tra le mani un foglio di carta che non mi offre alcuno stimolo, alcuna emozione. Vi ritrovo dentro la stessa demagogia delle trasmissioni del Piero Marrazzo che fu, della Falcetti antelucana: un populismo diretto all'operaio incattivito e all'operatore di call center sfruttato.
E io sono perfettamente d'accordo con il fatto che l'operaio si incattivisca e il precario si incazzi per lo sfruttamento, ma non mi pare che un giornale debba girare il coltello nella piaga.
Il Manifesto che mi piaceva dava strumenti per superare cattiveria e frustrazione; quello di oggi mi sembra invece che le alimenti, fornendo ai lettori meno fortunati -seppur ne son rimasti- il conforto di una visione eroica del proprio stato. Quanto ai lettori più fortunati, credo si siano ridotti al lumicino per consunzione e noia mortale. Molti probabilmente continuano ad acquistare all'edicola, così come si lavano i denti la mattina: per istinto: ma con sempre meno convinzione.
Passando dal generale al personale, c'è poi un momento ben preciso in cui ho io iniziato a diradare gli acquisti: il giorno in cui il sabato il prezzo con Alias è passato a due euri e mezzo.
Io so di non essee un intellettuale, e quindi non mi vergogno molto a confessare che per me il pretenzioso Alias era, oltre che una gabella, un fastidio per il doverlo trasportare dall'edicola al più vicino cestino della differenziata. E così ho smesso di comprare il giornale il sabato, accorgendomi non solo che vivevo lo stesso, ma che forse addirittura vivevo meglio.
Ero arrivato a Leonardo, che lascio abitualmente per penultimo, richiedendo sempre uno sforzo di concentrazione e una certa calma per essere apprezzato, ed ecco il post che mi ricorda che oggi il Manifesto costava cinquanta euri.
Io non l'ho comprato, questa volta: per distrazione e non per scelta meditata; ma alla fine se me ne fossi ricordato per tempo non credo che sarei andato all'edicola.
Tempo addietro (e non parlo di tanto tempo addietro), il Manifesto era l'unico quotidiano che leggevo, praticamente da cima a fondo; e non riuscivo a capire come si potessero comperare quotidiani ben più corposi, che quando mi capitavano fra le mani sfogliavo distrattamente senza riuscire ad appassionarmi ad alcun articolo.
Poi qualcosa è cambiato.
Credo che il limine sia costituito dal cambio di direzione, quando Barenghi è stato sostituito da Gabriele Polo e Mariuccia Ciotta. A me poi Polo sta anche simpatico, quando lo vedo in tivvù; ma la linea che hanno dato al quotidiano -che peraltro è esattamente quella che avevano promesso di dare nell'articolo programmatico scritto al momento dell'insediamento- non riesco a sopportarla.
Oggi, le rare volte che ormai lo compro, mi trovo tra le mani un foglio di carta che non mi offre alcuno stimolo, alcuna emozione. Vi ritrovo dentro la stessa demagogia delle trasmissioni del Piero Marrazzo che fu, della Falcetti antelucana: un populismo diretto all'operaio incattivito e all'operatore di call center sfruttato.
E io sono perfettamente d'accordo con il fatto che l'operaio si incattivisca e il precario si incazzi per lo sfruttamento, ma non mi pare che un giornale debba girare il coltello nella piaga.
Il Manifesto che mi piaceva dava strumenti per superare cattiveria e frustrazione; quello di oggi mi sembra invece che le alimenti, fornendo ai lettori meno fortunati -seppur ne son rimasti- il conforto di una visione eroica del proprio stato. Quanto ai lettori più fortunati, credo si siano ridotti al lumicino per consunzione e noia mortale. Molti probabilmente continuano ad acquistare all'edicola, così come si lavano i denti la mattina: per istinto: ma con sempre meno convinzione.
Passando dal generale al personale, c'è poi un momento ben preciso in cui ho io iniziato a diradare gli acquisti: il giorno in cui il sabato il prezzo con Alias è passato a due euri e mezzo.
Io so di non essee un intellettuale, e quindi non mi vergogno molto a confessare che per me il pretenzioso Alias era, oltre che una gabella, un fastidio per il doverlo trasportare dall'edicola al più vicino cestino della differenziata. E così ho smesso di comprare il giornale il sabato, accorgendomi non solo che vivevo lo stesso, ma che forse addirittura vivevo meglio.
giovedì 18 dicembre 2008
Piccolo spazio pubblicità
Chi si trovasse a passare da Roma dalle parti della Garbatella (via di Tor Marancia e, per la precisione precisa, in Via dei Lincei al civico n. 43), farebbe bene a pranzare al Cantuccio.
Non ha alcuna pretesa ma vi ho mangiato a strafottere cose romane buonissime spendendo cifre ridicolmente basse (il che non va bene, perché in trasferta bisogna per principio spender molto, ma lì era proprio comodo).
Gentili, cordiali, abbondanti... ottimo, insomma.
Non ha alcuna pretesa ma vi ho mangiato a strafottere cose romane buonissime spendendo cifre ridicolmente basse (il che non va bene, perché in trasferta bisogna per principio spender molto, ma lì era proprio comodo).
Gentili, cordiali, abbondanti... ottimo, insomma.
Sì, viaggiare?
Giusto per rassicurare i miei diciannove lettori, segnalo loro che or ora sono nell'aereo che dovrebbe riportarmi dalla capitale legale alla capitale morale (?).
Dato che avrei dovuto partire ieri ma sono stato costreto a trattenermi, stamane verso mezzodì ho preso la mia fid(g)a assistente e le ho cortesissimamente richiesto di fare il 06/2222 per prenotare il volo; io nel frattempo sarei andato a fare il giro di conclusione e i saluti, e dopo una mezz'oretta sarei tornato. Le ho anche preannunciato che con tutta probabilità al mio ritorno lei sarebbe stata ancora attaccata al telefono ad ascoltare la voce registrata.
La cosa è andata un po' per le lunghe, io ci ho messo 40 minuti e lei, al ritorno, era ovviamente ancora lì. Ora mi odia e mi tira le gomitate nella pancia.
Già, ma come mai sto scrivendo dall'aereo AZ2070? Semplice: prima ci hanno fatto imbarcare, poi ci hanno detto che l'aereo è ancora pieno dei bagagli di Francoforte. Devono scaricarli, se e quando arriverà una squadra tanto gentile da farlo, e poi caricheranno i nostri e infine, forse, decolleremo.
Il comandante ha detto che metterà le marce lunghe per recuperare qualche minuto, ma sappiamo bene che è una pietosa bugia.
Intanto io faccio burp, che sto digerendo l'abbacchio con patate. Ma di questo vi parlerò un'altra volta.
Dato che avrei dovuto partire ieri ma sono stato costreto a trattenermi, stamane verso mezzodì ho preso la mia fid(g)a assistente e le ho cortesissimamente richiesto di fare il 06/2222 per prenotare il volo; io nel frattempo sarei andato a fare il giro di conclusione e i saluti, e dopo una mezz'oretta sarei tornato. Le ho anche preannunciato che con tutta probabilità al mio ritorno lei sarebbe stata ancora attaccata al telefono ad ascoltare la voce registrata.
La cosa è andata un po' per le lunghe, io ci ho messo 40 minuti e lei, al ritorno, era ovviamente ancora lì. Ora mi odia e mi tira le gomitate nella pancia.
Già, ma come mai sto scrivendo dall'aereo AZ2070? Semplice: prima ci hanno fatto imbarcare, poi ci hanno detto che l'aereo è ancora pieno dei bagagli di Francoforte. Devono scaricarli, se e quando arriverà una squadra tanto gentile da farlo, e poi caricheranno i nostri e infine, forse, decolleremo.
Il comandante ha detto che metterà le marce lunghe per recuperare qualche minuto, ma sappiamo bene che è una pietosa bugia.
Intanto io faccio burp, che sto digerendo l'abbacchio con patate. Ma di questo vi parlerò un'altra volta.
lunedì 15 dicembre 2008
Sì, viaggiare
E' da stamattina che giro come una trottola in una gabbia di criceti impazziti.
Devo fare una due diligence. Devo andare a Roma. Tre giorni. A una settimana da Natale e ancora devo prendere i regali per Nichita.
Piove, il governo è ladro. Nella data room prenderò un sacco di polvere. Probabilmente covo anche l'influenza.
La signora dell'ufficio viaggi mi ha d'ufficio modificato la prenotazione del volo: fortuna che mi ha fatto i biglietti a data aperta.
Alle 16:00 precise ho telefonato all'Alitalia per spostare la prenotazione. Alle 16:20 ho messo giù il telefono, dopo aver sentito per circa 60 volte che gli operatori sono impegnati.
Sicuramente ci saranno due operatori in tutto, dall'altro lato del filo: e uno sarà già stato considerato in esubero dalla CAI nel proprio piano industriale. Del resto già adesso la mia scelta è solo tra Alitalia (cioè CAI) e Air One (cioè CAI); domani non dovrò neppure tirare a sorte, per cui per quale diavolo di motivo Colaninno e soci dovrebbero darmi un servizio migliore di quello che mi sta dando oggi Fantozzi?
Devo fare una due diligence. Devo andare a Roma. Tre giorni. A una settimana da Natale e ancora devo prendere i regali per Nichita.
Piove, il governo è ladro. Nella data room prenderò un sacco di polvere. Probabilmente covo anche l'influenza.
La signora dell'ufficio viaggi mi ha d'ufficio modificato la prenotazione del volo: fortuna che mi ha fatto i biglietti a data aperta.
Alle 16:00 precise ho telefonato all'Alitalia per spostare la prenotazione. Alle 16:20 ho messo giù il telefono, dopo aver sentito per circa 60 volte che gli operatori sono impegnati.
Sicuramente ci saranno due operatori in tutto, dall'altro lato del filo: e uno sarà già stato considerato in esubero dalla CAI nel proprio piano industriale. Del resto già adesso la mia scelta è solo tra Alitalia (cioè CAI) e Air One (cioè CAI); domani non dovrò neppure tirare a sorte, per cui per quale diavolo di motivo Colaninno e soci dovrebbero darmi un servizio migliore di quello che mi sta dando oggi Fantozzi?
venerdì 12 dicembre 2008
Lessico e nuvole
Non è che da un giornalista economico si pretenda una raffinata analisi giuridica, ma titoli così fanno proprio cascare le palle..
Bankruptcy, in inglese, è il diritto fallimentare. Bancarotta, in italiano, è un reato. Sono cose completamente diverse.
Persino tradurre "Bankruptcy" con "fallimento" è una forzatura: sarebbe più corretto parlare di "concordato preventivo", ma posso ben capire che quest'ultima locuzione non sia alla portata di chiunque e quindi io stesso, qualche post fa, ho utilizzato il termine "fallimento" con riferimento ai vari Chapters previsti dal codice federale USA: ero consapevole di dare una sfumatura di significato fuorviante, ma ho preferito fare così per utilizzare un termine meno tecnico.
Vediamo di chiarire la cosa un po' più in dettaglio: il termine Bancarotta evoca rumor di sbarre battute e ferri ai polsi: giustamente, dato che si tratta del reato commesso da chi, fallito, abbia tenuto, prima o dopo il fallimento, una serie di comportamenti malandrini. Si va dalla bancarotta semplice, che è un reato tutto sommato poco grave, alla bancarotta fraudolenta, che invece è una cosa seria assai, dal momento che prevede una pena massima di dieci anni, che aggravati diventano facilmente quindici.
Il termine Bankruptcy, nel diritto statunitense, indica qualcosa di completamente diverso. Mentre il nostro procedimento fallimentare è teso a tutelare i creditori garantendo che ciascuno sia pagato nel rispetto della par condicio, il procedimento di Bankruptcy americano è teso a consentire al debitore di ripartire daccapo (fresh start): tant'è che è quasi sempre è il debitore che chiede il proprio fallimento, non il creditore: tanto che la locuzione inglese per la richiesta di fallimento suona: "Seeking relief under the Bankruptcy Code": cercare riparo.
Pensate ai casi di cui abbiam parlato poc'anzi: quelli in cui l'imprenditore italiano si è comportato talmente male da dar luogo al reato di bancarotta. Bene: proprio in quei casi il codice statunitense prevede che la richiesta di fallimento sia, molto semplicemente, respinta; e sono volatili per diabetici, dato che in questo caso i creditori tornano liberi di far polpette del debitore e togliergli le mutande.
Spero di avervi dato un'idea sommarissima -anche per motivi di mia carenza di tempo- di cosa sia un "fallimento" negli USA e una "bancarotta" in Italia: sarebbe bello che anche qualche articolista si documentasse un pochetto, prima di titolare a vanvera.
Bankruptcy, in inglese, è il diritto fallimentare. Bancarotta, in italiano, è un reato. Sono cose completamente diverse.
Persino tradurre "Bankruptcy" con "fallimento" è una forzatura: sarebbe più corretto parlare di "concordato preventivo", ma posso ben capire che quest'ultima locuzione non sia alla portata di chiunque e quindi io stesso, qualche post fa, ho utilizzato il termine "fallimento" con riferimento ai vari Chapters previsti dal codice federale USA: ero consapevole di dare una sfumatura di significato fuorviante, ma ho preferito fare così per utilizzare un termine meno tecnico.
Vediamo di chiarire la cosa un po' più in dettaglio: il termine Bancarotta evoca rumor di sbarre battute e ferri ai polsi: giustamente, dato che si tratta del reato commesso da chi, fallito, abbia tenuto, prima o dopo il fallimento, una serie di comportamenti malandrini. Si va dalla bancarotta semplice, che è un reato tutto sommato poco grave, alla bancarotta fraudolenta, che invece è una cosa seria assai, dal momento che prevede una pena massima di dieci anni, che aggravati diventano facilmente quindici.
Il termine Bankruptcy, nel diritto statunitense, indica qualcosa di completamente diverso. Mentre il nostro procedimento fallimentare è teso a tutelare i creditori garantendo che ciascuno sia pagato nel rispetto della par condicio, il procedimento di Bankruptcy americano è teso a consentire al debitore di ripartire daccapo (fresh start): tant'è che è quasi sempre è il debitore che chiede il proprio fallimento, non il creditore: tanto che la locuzione inglese per la richiesta di fallimento suona: "Seeking relief under the Bankruptcy Code": cercare riparo.
Pensate ai casi di cui abbiam parlato poc'anzi: quelli in cui l'imprenditore italiano si è comportato talmente male da dar luogo al reato di bancarotta. Bene: proprio in quei casi il codice statunitense prevede che la richiesta di fallimento sia, molto semplicemente, respinta; e sono volatili per diabetici, dato che in questo caso i creditori tornano liberi di far polpette del debitore e togliergli le mutande.
Spero di avervi dato un'idea sommarissima -anche per motivi di mia carenza di tempo- di cosa sia un "fallimento" negli USA e una "bancarotta" in Italia: sarebbe bello che anche qualche articolista si documentasse un pochetto, prima di titolare a vanvera.
giovedì 11 dicembre 2008
Sapore d'Europa
Il solito Krugman segnala e spiega il contenuto di un'intervista di Newsweek al ministro delle finanze tedesco, Herr Steinbrück.
Vero è che Krugman tende per sua natura al pessimismo, ma il pezzo è da leggere perché spiega, con la consueta chiarezza, quanto la posizione tedesca, contraria a una politica di incentivi pubblici, sia nefasta.
In estrema sintesi, il concetto è che ormai la politica monetaria non ha alcuno strumento per agevolare l'uscita dalla crisi, dato che i tassi di interesse sono ormai prossimi allo zero (in USA) o stanno per raggiungere lo zero (in Europa): ciò significa che l'unica leva che rimane è quella fiscale.
Ma l'integrazione delle economie europee fa sì che, in mancanza di un coordinamento tra tutti gli attori, una politica espansionista adottata da un paese andrebbe a diluirsi in buona parte (Krugman stima il 40%) verso gli altri paesi, vanificando l'effetto moltiplicatore della politica espansiva.
In effetti ci sono altre due variabili che Krugman non cita e forse, con i suoi occhi da statunitense, non riesce neppure a cogliere appieno.
La prima è la circostanza che l'unione europea assomiglia molto più a un condominio che ad una federazione di stati, e quindi nessuno andrebbe a investire una lira sapendo che qualche centesimo potrebbe andare a vantaggio del vicino (specie se il vicino in questione si chiama Germania, perché se fosse il Lussemburgo, ovviamente, se ne fregherebbero tutti). Il problema quindi non è la diluizione dell'effetto moltiplicatore, bensì la sindrome del portoghese.
La seconda è che non è del tutto vero che i tassi reali in Europa stanno tendendo allo zero, e questo per effetto della politica non più miope bensì cieca della BCE, istituzione tecnocratica se mai ne sia esistita una, che libera di non dover rispondere ad alcun potere politico delle proprie azioni continua a allargare i cordoni della borsa molto meno di quanto sarebbe necessario. E' vero che il problema sta nel manico, dato che il mandato della BCE è istituzionalmente solo quello di controllare l'inflazione, e non vi è dubbio che ci sia riuscita, dato che andiamo verso un'inflazione negativa.
Vero è che Krugman tende per sua natura al pessimismo, ma il pezzo è da leggere perché spiega, con la consueta chiarezza, quanto la posizione tedesca, contraria a una politica di incentivi pubblici, sia nefasta.
In estrema sintesi, il concetto è che ormai la politica monetaria non ha alcuno strumento per agevolare l'uscita dalla crisi, dato che i tassi di interesse sono ormai prossimi allo zero (in USA) o stanno per raggiungere lo zero (in Europa): ciò significa che l'unica leva che rimane è quella fiscale.
Ma l'integrazione delle economie europee fa sì che, in mancanza di un coordinamento tra tutti gli attori, una politica espansionista adottata da un paese andrebbe a diluirsi in buona parte (Krugman stima il 40%) verso gli altri paesi, vanificando l'effetto moltiplicatore della politica espansiva.
In effetti ci sono altre due variabili che Krugman non cita e forse, con i suoi occhi da statunitense, non riesce neppure a cogliere appieno.
La prima è la circostanza che l'unione europea assomiglia molto più a un condominio che ad una federazione di stati, e quindi nessuno andrebbe a investire una lira sapendo che qualche centesimo potrebbe andare a vantaggio del vicino (specie se il vicino in questione si chiama Germania, perché se fosse il Lussemburgo, ovviamente, se ne fregherebbero tutti). Il problema quindi non è la diluizione dell'effetto moltiplicatore, bensì la sindrome del portoghese.
La seconda è che non è del tutto vero che i tassi reali in Europa stanno tendendo allo zero, e questo per effetto della politica non più miope bensì cieca della BCE, istituzione tecnocratica se mai ne sia esistita una, che libera di non dover rispondere ad alcun potere politico delle proprie azioni continua a allargare i cordoni della borsa molto meno di quanto sarebbe necessario. E' vero che il problema sta nel manico, dato che il mandato della BCE è istituzionalmente solo quello di controllare l'inflazione, e non vi è dubbio che ci sia riuscita, dato che andiamo verso un'inflazione negativa.
mercoledì 10 dicembre 2008
Taste of USA
In questi giorni sto lavorando molto, e il futuro si prospetta tutt'altro che roseo; del resto il mio è un lavoro squisitamente anticiclico, per cui io e i miei colleghi ci stiamo preparando a un 2009 di pena e sudore. E non essendo pagati a cottimo, non ce ne viene neppur nulla in tasca.
In particolare nella scorsa settimana mi sono studiato a fondo la pratica relativa a un credito che la banca per cui lavoro vanta nei confronti di Lehman Brothers, o per meglio dire di una delle varie consociate che hanno chiesto il fallimento negli Stati Uniti. Ho dovuto affrontare una serie di problemi giuridici di una certa complessità dei quali non parlerò qui: non tanto per una questione di riservatezza quanto perché al profano apparirebbero astrusamente incomprensibili e mortalmente noiosi.
Sta di fatto che ho dovuto rinfrescare le mie reminescenze di diritto anglo-americano (che peraltro era l'esame che più mi era piaciuto, ai tempi), studiare certi aspetti del diritto fallimentare, che fortunatamente è disciplinato a livello federale per cui è il medesimo in tutti i cinquanta stati, e tentare di farmi un'idea sull'andamento della procedura.
Ne sono originate una serie di considerazioni che vado a esporre, così come mi sono venute alla mente e senza pretesa di trarne una morale.
La prima cosa che mi ha colpito (e certo io non sono un Ferrara accecato di filoamericanesimo) è la straordinaria differenza intercorrente tra una procedura italiana e quella di Lehman Brothers dal punto di vista della trasparenza e disponibilità di documentazione. Non posso generalizzare il caso di Lehman a tutti i fallimenti USA, e neppure a tutti i Chapter 11 (che è uno dei vari tipi di fallimento nel diritto statunitense, e tipicamente quello cui si sottopongono le grandi corporation); sta di fatto che per la procedura Lehman (così come per una quantità di altre procedure analoghe) chiunque può consultare ogni singolo documento prodotto o depositato, leggere ogni singola dichiarazione di credito, accedere al verbale di trascrizione stenografica delle udienze e così via.
In pratica, questo vuol dire che riesco a conoscere infinitamente meglio e in tempo reale quel che accade davanti al giudice Peck, nel suo ufficio al sesto piano di One Bowling Green, rispetto a quello che fa uno qualsiasi dei giudici delegati del Tribunale di Milano, i quali hanno i loro uffici e le loro cancellerie qui, a 200 metri dalla mia stanza.
Ma non solo la procedura Lehman, e molte altre analoghe, mettono a disposizione del pubblico qualunque minuscolo frammento di carta; è lo stesso sistema che fornisce una incredibile messe di informazioni.
Il sito del sistema delle corti federali spiega come si fa a chiedere il proprio fallimento, quali sono i tipi di procedure disponibili, come si presenta la dichiarazione di un credito e così via. E non sono solo regole organizzative o moduli: ci sono vere e proprie lezioni che raccontano al profano, in maniera semplice, quel che dice il codice: volete sapere cos'è un chapter 11? Ecco qui: semplice ed ufficiale, garantito dalla stessa magistratura federale, che si è assunta la responsabilità di semplificare (e quindi necessariamente travisare: per questo parlo di responsabilità) il contenuto della legge.
In Italia per sapere come funziona una procedura fallimentare le uniche risorse disponibili e gratuite sono le sezioni a consultazione libera di siti commerciali, i siti amatoriali, o addirittura wikipedia e il grande cono dei blogger. Tutte realtà degnissime, e tutte accumunate dal non essere minimamente ufficiali. Certo, ci sono materie dove potrete imparare molto più da wikipedia o da un post su un blog autorevole che da un manuale, ma sappiamo bene che vi è una probabilità non infinitesima che in quel particolare momento la pagina di wikipedia sia stata riempita di minchiate o che io abbia scritto sotto gli influssi di qualche sostanza particolarmente buona e ricreativa.
E se la cosa è ancora ancora comprensibile per quanto riguarda la spiegazione della legge, diventa francamente inaccettabile per quanto concerne il testo della legge. Voi certo non lo sapete, ma la Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, che non è certo un ente a fini di lucro, mette a disposizione gratuitamente solo gli ultimi 60 giorni, che come ciascun può capire non servono assolutamente a nulla: per conoscere il testo, chessò, della legge fallimentare, il cittadino deve andare nuovamente su risorse private. E per conoscere il testo aggiornato di norme un po' meno usuali della legge fallimentare, l'unica soluzione sono risorse a pagamento (e non a buon mercato!).
E' proprio il caso di dire che la House of Representatives mette a disposizione tutto lo U.S. Code commentato, o lo avevate già sospettato da soli?
In particolare nella scorsa settimana mi sono studiato a fondo la pratica relativa a un credito che la banca per cui lavoro vanta nei confronti di Lehman Brothers, o per meglio dire di una delle varie consociate che hanno chiesto il fallimento negli Stati Uniti. Ho dovuto affrontare una serie di problemi giuridici di una certa complessità dei quali non parlerò qui: non tanto per una questione di riservatezza quanto perché al profano apparirebbero astrusamente incomprensibili e mortalmente noiosi.
Sta di fatto che ho dovuto rinfrescare le mie reminescenze di diritto anglo-americano (che peraltro era l'esame che più mi era piaciuto, ai tempi), studiare certi aspetti del diritto fallimentare, che fortunatamente è disciplinato a livello federale per cui è il medesimo in tutti i cinquanta stati, e tentare di farmi un'idea sull'andamento della procedura.
Ne sono originate una serie di considerazioni che vado a esporre, così come mi sono venute alla mente e senza pretesa di trarne una morale.
La prima cosa che mi ha colpito (e certo io non sono un Ferrara accecato di filoamericanesimo) è la straordinaria differenza intercorrente tra una procedura italiana e quella di Lehman Brothers dal punto di vista della trasparenza e disponibilità di documentazione. Non posso generalizzare il caso di Lehman a tutti i fallimenti USA, e neppure a tutti i Chapter 11 (che è uno dei vari tipi di fallimento nel diritto statunitense, e tipicamente quello cui si sottopongono le grandi corporation); sta di fatto che per la procedura Lehman (così come per una quantità di altre procedure analoghe) chiunque può consultare ogni singolo documento prodotto o depositato, leggere ogni singola dichiarazione di credito, accedere al verbale di trascrizione stenografica delle udienze e così via.
In pratica, questo vuol dire che riesco a conoscere infinitamente meglio e in tempo reale quel che accade davanti al giudice Peck, nel suo ufficio al sesto piano di One Bowling Green, rispetto a quello che fa uno qualsiasi dei giudici delegati del Tribunale di Milano, i quali hanno i loro uffici e le loro cancellerie qui, a 200 metri dalla mia stanza.
Ma non solo la procedura Lehman, e molte altre analoghe, mettono a disposizione del pubblico qualunque minuscolo frammento di carta; è lo stesso sistema che fornisce una incredibile messe di informazioni.
Il sito del sistema delle corti federali spiega come si fa a chiedere il proprio fallimento, quali sono i tipi di procedure disponibili, come si presenta la dichiarazione di un credito e così via. E non sono solo regole organizzative o moduli: ci sono vere e proprie lezioni che raccontano al profano, in maniera semplice, quel che dice il codice: volete sapere cos'è un chapter 11? Ecco qui: semplice ed ufficiale, garantito dalla stessa magistratura federale, che si è assunta la responsabilità di semplificare (e quindi necessariamente travisare: per questo parlo di responsabilità) il contenuto della legge.
In Italia per sapere come funziona una procedura fallimentare le uniche risorse disponibili e gratuite sono le sezioni a consultazione libera di siti commerciali, i siti amatoriali, o addirittura wikipedia e il grande cono dei blogger. Tutte realtà degnissime, e tutte accumunate dal non essere minimamente ufficiali. Certo, ci sono materie dove potrete imparare molto più da wikipedia o da un post su un blog autorevole che da un manuale, ma sappiamo bene che vi è una probabilità non infinitesima che in quel particolare momento la pagina di wikipedia sia stata riempita di minchiate o che io abbia scritto sotto gli influssi di qualche sostanza particolarmente buona e ricreativa.
E se la cosa è ancora ancora comprensibile per quanto riguarda la spiegazione della legge, diventa francamente inaccettabile per quanto concerne il testo della legge. Voi certo non lo sapete, ma la Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, che non è certo un ente a fini di lucro, mette a disposizione gratuitamente solo gli ultimi 60 giorni, che come ciascun può capire non servono assolutamente a nulla: per conoscere il testo, chessò, della legge fallimentare, il cittadino deve andare nuovamente su risorse private. E per conoscere il testo aggiornato di norme un po' meno usuali della legge fallimentare, l'unica soluzione sono risorse a pagamento (e non a buon mercato!).
E' proprio il caso di dire che la House of Representatives mette a disposizione tutto lo U.S. Code commentato, o lo avevate già sospettato da soli?
martedì 9 dicembre 2008
E' la stampa, bellezza.
Come riporta Credit Slips, The Tribune Company ha depositato la domanda per l'ammissione al Chapter 11: insomma ha chiesto il fallimento.
The Tribune Company è un editore, ma non uno dei minori: possiede fra gli altri il Chicago Tribune e il Los Angeles Times, cioè i più antichi e autorevoli quotidiani di due delle più importanti città degli U.S.A.
Lo stesso L.A. Times apre la notizia del fallimento del proprio editore andando a guardare in casa d'altri, e raccontando come il New York Times abbia ipotecato l'edificio della propria sede a garanzia di un prestito stipulato non già per finanziare investimenti, bensì per coprire costi correnti (il che, in termini imprenditoriali, equivale a vendere i gioielli di famiglia prima di andare sul lastrico).
Non sono bei tempi per la carta stampata; aspettiamo di vedere che accadrà qui da noi.
The Tribune Company è un editore, ma non uno dei minori: possiede fra gli altri il Chicago Tribune e il Los Angeles Times, cioè i più antichi e autorevoli quotidiani di due delle più importanti città degli U.S.A.
Lo stesso L.A. Times apre la notizia del fallimento del proprio editore andando a guardare in casa d'altri, e raccontando come il New York Times abbia ipotecato l'edificio della propria sede a garanzia di un prestito stipulato non già per finanziare investimenti, bensì per coprire costi correnti (il che, in termini imprenditoriali, equivale a vendere i gioielli di famiglia prima di andare sul lastrico).
Non sono bei tempi per la carta stampata; aspettiamo di vedere che accadrà qui da noi.
venerdì 5 dicembre 2008
Province
Gian Antonio Stella oggi sul Corrierone perla, nel suo modo suggestivo (potrei anche dire subdolamente suggestivo, anche se non come Travaglio) dell'abolizione delle province, promessa elettorale presto rimangiata.
Nei commenti a un post poco sotto avevo dato conto agli affezionati lettori di come, circa venti secondi dopo aver sostenuto l'esame di diritto amministrativo, avessi completamente scordato il migliaio e mezzo di noioserrime pagine del Sandulli.
In effetti non è proprio così: qualcosa mi è rimasto attaccato nella memoria proprio riguardo alle province.
Non prendetemi in parola perché si tratta di roba di più di vent'anni fa, ma ricordo distintamente che alla fin fine l'unica autonomia normativa che avevano le province era in materia di transito di greggi e armenti. C'era poi un qualcosa in tema di viabilità e segnaletica stradale, e anche qualche cosina di edlizia scolastica, ma solo per certe scuole.
Insomma, non credo proprio che ci perderemmo granché, cancellandole con un tratto di penna.
Nei commenti a un post poco sotto avevo dato conto agli affezionati lettori di come, circa venti secondi dopo aver sostenuto l'esame di diritto amministrativo, avessi completamente scordato il migliaio e mezzo di noioserrime pagine del Sandulli.
In effetti non è proprio così: qualcosa mi è rimasto attaccato nella memoria proprio riguardo alle province.
Non prendetemi in parola perché si tratta di roba di più di vent'anni fa, ma ricordo distintamente che alla fin fine l'unica autonomia normativa che avevano le province era in materia di transito di greggi e armenti. C'era poi un qualcosa in tema di viabilità e segnaletica stradale, e anche qualche cosina di edlizia scolastica, ma solo per certe scuole.
Insomma, non credo proprio che ci perderemmo granché, cancellandole con un tratto di penna.
giovedì 4 dicembre 2008
BikeMi - aggiornamento
Giusto due parole per integrare quanto scritto qui.
Stamattina e in pausa pranzo, complice il fatto di non aver dormito a casa mia ed essendo quindi a piedi, ho fatto alcuni utilizzi: il sistema mi ha sempre riconosciuto immediatamente senza farmi aspettare neanche un po'.
Da quel che ho visto ci sono bici in tutte le stazioni, e in tutte le stazioni ci sono stalli liberi per la riconsegna.
Ho anche esaminato un po' meglio le macchine, anzitutto il sistema di illuminazione: le biciclette sono dotate di fanale e luce posteriore, azionati con una dinamo sempre connessa (dev'essere integrata da qualche parte internamente: comunque da fuori non è visibile); il che significa che l'utente è obbligato a girare con le luci accese, il che non è un male, considerata la disciplina del ciclista medio. Le lampade non sono ad incandescenza, bensì di qualche tipo elettronico (credo a LED, anche se non si capisce), e hanno una specie di riserva di carica.
Il fanale anteriore quindi, pedalando fa una bella luce intensa; una volta fermi al semaforo rimane comunque accesa una luce, diciamo di posizione, che rende la bici visibile anche da ferma. Non è che sia stato a fare la prova, ma direi che la durata di questa riserva è di almeno un minuto, quindi abbondantemente superiore al tempo medio di un semaforo.
Per quanto riguarda il sistema di chiusura, c'è un cavo d'acciaio che termina con un gancio che va inserito in un alloggiamento sotto il cestello; così facendo si libera una chiave che si può portarsi dietro. La furbata è che quando la bici è parcheggiata l'alloggiamento per il gancio è irraggiungibile, essendo coperto dalla balaustra; e così lo scemo di turno non può legare la bici allo stallo e/o portarsi via la chiave.
Anche il sito ha ripreso a funzionare: ti dice in tempo reali anche i tuoi utilizzi, così puoi verificare che il sistema abbia registrato correttamente i passaggi e le restituzioni.
Stamattina e in pausa pranzo, complice il fatto di non aver dormito a casa mia ed essendo quindi a piedi, ho fatto alcuni utilizzi: il sistema mi ha sempre riconosciuto immediatamente senza farmi aspettare neanche un po'.
Da quel che ho visto ci sono bici in tutte le stazioni, e in tutte le stazioni ci sono stalli liberi per la riconsegna.
Ho anche esaminato un po' meglio le macchine, anzitutto il sistema di illuminazione: le biciclette sono dotate di fanale e luce posteriore, azionati con una dinamo sempre connessa (dev'essere integrata da qualche parte internamente: comunque da fuori non è visibile); il che significa che l'utente è obbligato a girare con le luci accese, il che non è un male, considerata la disciplina del ciclista medio. Le lampade non sono ad incandescenza, bensì di qualche tipo elettronico (credo a LED, anche se non si capisce), e hanno una specie di riserva di carica.
Il fanale anteriore quindi, pedalando fa una bella luce intensa; una volta fermi al semaforo rimane comunque accesa una luce, diciamo di posizione, che rende la bici visibile anche da ferma. Non è che sia stato a fare la prova, ma direi che la durata di questa riserva è di almeno un minuto, quindi abbondantemente superiore al tempo medio di un semaforo.
Per quanto riguarda il sistema di chiusura, c'è un cavo d'acciaio che termina con un gancio che va inserito in un alloggiamento sotto il cestello; così facendo si libera una chiave che si può portarsi dietro. La furbata è che quando la bici è parcheggiata l'alloggiamento per il gancio è irraggiungibile, essendo coperto dalla balaustra; e così lo scemo di turno non può legare la bici allo stallo e/o portarsi via la chiave.
Anche il sito ha ripreso a funzionare: ti dice in tempo reali anche i tuoi utilizzi, così puoi verificare che il sistema abbia registrato correttamente i passaggi e le restituzioni.
Blade Runner
Quando è uscito Blade Runner al cinema, io avevo diciassette o diciott'anni, e rammento ancora quale emozione fu.
Ancor oggi mi rimangono vivide le impressioni suscitate, più che dalla trama, da quelle architetture e da quel modello di società decadente, con dei bassifondi luridi e umidi ove un'umanità composta di un po' tutte le razze arrancava tra chioschi di cibo cotto e bordelli.
Tra i ricordi brilla in particolare il fastidio viscerale per quel megaschermo pubblicitario, dove doveva esserci una cinese o giù di lì che ripeteva ossessivamente uno slogan. Era un incubo, nel 1983, l'idea stessa che uno camminando pacifico in istrada potesse essere disturbato da qualcosa di così dannatamente invasivo: bombardato da luci e suoni non voluti, non cercati, imposti dalla ricerca del profitto altrui senza possibilità di sfuggirvi; e però forse il mio fastidio era anche dovuto al retropensiero che magari, ormai vecchierello, quell'incubo avrebbe potuto anche avverarsi, ed io fatto in tempo a viverlo.
Bene: ieri sera, sul tardi, ho preso la metrò gialla, in Duomo; e mi sono accorto che l'incubo è avverato; e io non son neppure ancora vecchierello.
Ancor oggi mi rimangono vivide le impressioni suscitate, più che dalla trama, da quelle architetture e da quel modello di società decadente, con dei bassifondi luridi e umidi ove un'umanità composta di un po' tutte le razze arrancava tra chioschi di cibo cotto e bordelli.
Tra i ricordi brilla in particolare il fastidio viscerale per quel megaschermo pubblicitario, dove doveva esserci una cinese o giù di lì che ripeteva ossessivamente uno slogan. Era un incubo, nel 1983, l'idea stessa che uno camminando pacifico in istrada potesse essere disturbato da qualcosa di così dannatamente invasivo: bombardato da luci e suoni non voluti, non cercati, imposti dalla ricerca del profitto altrui senza possibilità di sfuggirvi; e però forse il mio fastidio era anche dovuto al retropensiero che magari, ormai vecchierello, quell'incubo avrebbe potuto anche avverarsi, ed io fatto in tempo a viverlo.
Bene: ieri sera, sul tardi, ho preso la metrò gialla, in Duomo; e mi sono accorto che l'incubo è avverato; e io non son neppure ancora vecchierello.
Pinocchio
Ammesso che si possa dar retta ai virgolettati di Repubblica, mi chiedo se quel Veltroni che oggi dichiara:
Ma l'intervista è una ricca messe di spunti. Si va dal
E cos' via; provate anche voi: meglio dei passatempi matematici!
"Sono pronto a mettermi in gioco, se questa si rivelerà la soluzione più condivisa"; "per sollevare il problema e per trovare serenamente le forme per risolverlo, se serve anche attraverso un congresso straordinario da fare subito."sia lo stesso Veltroni che una settimana fa dichiarava
"Il partito è giovane e i sondaggi ci danno in crescita, non è il momento di farlo [il congresso]. In più siamo in piena crisi economica, i cittadini non capirebbero"".
Ma l'intervista è una ricca messe di spunti. Si va dal
È inimmaginabile che nel cuore di una crisi economica gravissima e di una crisi di consenso del governo, il centrosinistra riformista ricada nel suo solito vizio autolesionista: quello di segare l'albero su cui sta sedutoal
trad.: non rompete i coglioni al pilota
In meno di un anno i risultati sono stati straordinari. La Summer School è stata un successo. La nostra tv sta andando benissimo. Il Circo Massimo è stato un trionfo. Abbiamo vinto le elezioni in Trentino e in Alto Adigeal
trad: non è vero che non abbiamo fatto un cazzo: ma quel poco che abbiamo fatto non conta un cazzo
Abbiamo gioito per la vittoria di Obama, perché qui qualcuno aveva intuito che era uno straordinario seme di futuro.al
trad.: non siamo riusciti a scoparci la più bella della classe, però abbiamo applaudito forte quando ci è riuscito il nostro amico Marione
Alcune possono essere persino delle opportunità, come la disponibilità di alcuni dirigenti a contribuire al progetto Pdal
trad.: quel velista non ha mai fatto una minchia e proprio adesso viene a rompermi il cazzo, ma si schianterà le corna anche lui
un anonimo mi rimproverava di gestire il partito con metodi addirittura dittatorialial
trad.: anonimo per forza, che se lo becco me lo impalo
(mentre se ho un difetto è quello di essere troppo tollerante)
trad.: ah, ma mi sto correggendo, sapete? praticamente ora sono privo, di difetti
senza avere l'onestà di Bush, che ha chiesto scusa al suo paese per la guerra in Iraqal
trad.: ma perché sotto questo pizzino c'è scritto Gino&Michele? Non è che Bettini mi ha passato l'appunto sbagliato?
"Sono dell'idea che si debba creare un grande campo democratico progressista. Penso che il partito del socialismo europeo sbaglierebbe a coltivare l'autoreferenzialità, e penso che noi dobbiamo essere il soggetto attivo di un nuovo campo, capaci però di evitare ogni isolamento. Le forme attraverso le quali questo doppio movimento potrà realizzarsi le vedremo insieme".
trad.: voglio vedere se Bertinotti riesce a battermi, stavolta
E cos' via; provate anche voi: meglio dei passatempi matematici!
mercoledì 3 dicembre 2008
Bonus, retroattività, fondi
Solo per una colpevole distrazione ho passato un po' di tempo a sproloquiare sull'IVA di Sky senza accorgermi che la manovrina anticrisi aveva tolto o perlomeno grandemente penalizzato le agevolazioni in tema di risparmio energetico. Fortuna che ci sono persone che sono sempre sul pezzo e che ci aiutano a vedere anche al di là della nostra frettolosità.
Intervengo ora perché leggo che Tremonti avrebbe deciso di far macchina indietro e rendere non retroattiva la disposizione in questione, salvando il portafoglio di chi aveva consapevolmente investito danari facendo conto sul ritorno di un determinato flusso di cassa.
Non voglio commentare il fatto che sia grave, e antistorico, revocare un'agevolazione che non può non avere indubbi benefici sul futuro del Paese per una questione di finanza a breve. Io sono radicalmente contrario al benaltrismo, ma questo è uno dei casi in cui si può ben dire che c'è ben altro da tagliare: nonostante la crisi.
Scopo del mio intervento è tuttavia un altro: quello di commentare l'affermazione decondo cui (il virgolettato è di Repubblica) "Per il futuro voglio ribadire un criterio: i crediti di imposta non sono e non possono essere un bancomat. Troppe volte sono stati utilizzati come bancomat"..
Qui non ci capiamo proprio. Non è che uno metta i pannelli solari per guadagnarci: non è che ne escano dei soldi. Uno paga tot e lo Stato gli restituisce una parte di quel tot.
Lo capirebbe anche un bimbo delle elementari; sicuramente lo capisce anche Tremonti, il quale però oltre che intelligente è anche molto ma molto bravo nel trovare frasi a effetto che nascondano il senso del suo pensiero.
Un'altra osservazione: non si capisce bene dall'articolo, ma sembrerebbe di capire che per il futuro il MEF intenda strutturare una specie di fondo. In poche parole: ti riconosco il beneficio fiscale, ma solo se la spesa complessiva non supera X milioni.
Questi fondi sono una colossale sciocchezza, perchè introducono nel mercato un fattore di incertezza tale che gli operatori non possono più tenere conto della loro esistenza. Mi spiego.
Può essere che il fondo venga strutturato in modo che il cittadino prima fa l'investimento e dopo fa la domanda di agevolazione, che viene accolta se ci sono ancora soldi nel fondo. Voi lo fareste l'investimento, con tale incertezza? Ecco, appunto: e quindi il fondo è come se non ci fosse.
Ma c'è di peggio: può essere che il fondo invece funzioni in modo che prima si fa la domanda e poi si fa l'investimento. In tal caso se la domanda non viene accettata siete sempre in tempo a ripensare e rimandare l'investimento al futuro; ma provate a guardarlo dal punto di vista degli operatori di mercato: come fanno a fare un piano industriale espansivo in un settore la cui espansione è bloccata per legge?
Finisce che tutto il settore si limita a vivacchiare con gli operatori che si mangiano l'uno con l'altro (e ovviamente gli stranieri, che hanno più capitale, si mangiano le aziende italiane, più indebitate).
E così l'agevolazione ha prodotto danni anziché benefici.
Intervengo ora perché leggo che Tremonti avrebbe deciso di far macchina indietro e rendere non retroattiva la disposizione in questione, salvando il portafoglio di chi aveva consapevolmente investito danari facendo conto sul ritorno di un determinato flusso di cassa.
Non voglio commentare il fatto che sia grave, e antistorico, revocare un'agevolazione che non può non avere indubbi benefici sul futuro del Paese per una questione di finanza a breve. Io sono radicalmente contrario al benaltrismo, ma questo è uno dei casi in cui si può ben dire che c'è ben altro da tagliare: nonostante la crisi.
Scopo del mio intervento è tuttavia un altro: quello di commentare l'affermazione decondo cui (il virgolettato è di Repubblica) "Per il futuro voglio ribadire un criterio: i crediti di imposta non sono e non possono essere un bancomat. Troppe volte sono stati utilizzati come bancomat"..
Qui non ci capiamo proprio. Non è che uno metta i pannelli solari per guadagnarci: non è che ne escano dei soldi. Uno paga tot e lo Stato gli restituisce una parte di quel tot.
Lo capirebbe anche un bimbo delle elementari; sicuramente lo capisce anche Tremonti, il quale però oltre che intelligente è anche molto ma molto bravo nel trovare frasi a effetto che nascondano il senso del suo pensiero.
Un'altra osservazione: non si capisce bene dall'articolo, ma sembrerebbe di capire che per il futuro il MEF intenda strutturare una specie di fondo. In poche parole: ti riconosco il beneficio fiscale, ma solo se la spesa complessiva non supera X milioni.
Questi fondi sono una colossale sciocchezza, perchè introducono nel mercato un fattore di incertezza tale che gli operatori non possono più tenere conto della loro esistenza. Mi spiego.
Può essere che il fondo venga strutturato in modo che il cittadino prima fa l'investimento e dopo fa la domanda di agevolazione, che viene accolta se ci sono ancora soldi nel fondo. Voi lo fareste l'investimento, con tale incertezza? Ecco, appunto: e quindi il fondo è come se non ci fosse.
Ma c'è di peggio: può essere che il fondo invece funzioni in modo che prima si fa la domanda e poi si fa l'investimento. In tal caso se la domanda non viene accettata siete sempre in tempo a ripensare e rimandare l'investimento al futuro; ma provate a guardarlo dal punto di vista degli operatori di mercato: come fanno a fare un piano industriale espansivo in un settore la cui espansione è bloccata per legge?
Finisce che tutto il settore si limita a vivacchiare con gli operatori che si mangiano l'uno con l'altro (e ovviamente gli stranieri, che hanno più capitale, si mangiano le aziende italiane, più indebitate).
E così l'agevolazione ha prodotto danni anziché benefici.
BikeMi - recensione
Per la gioia di grandi e piccini, e per tronfiarmi con la mia tesserina fresca fresca di stampa, nell'intervallo del pranzo ho pensato bene di fare un viaggio da P.za San Babila a P.za Beccaria, passando per il Castello.
Vado al pilone in San Babila e trovo un tipo che era molto ma molto più tronfio di me: io me ne stavo a guardare la colonnina cercando di far leggere il chippino attraverso il giubbotto, mentre costui, di malagrazia, mi dice in inglese (in INGLESE?) che senza tessera ciccia. Io lo guardo tra il dubbioso e lo sprezzante, e lui me lo ripete in brianzolo: forse mi aveva preso per un curioso turista e voleva marcare il territorio.
Comunque: estraggo la tesserina dal portafoglio e dopo un po' di tentativi la colonnina si accorge di me e del mio documento di viaggio (forse la prima volta deve scaldarsi un po'!); e mi consegna una bella bici nuova fiammante.
La macchina dà subito una bella impressione di solidità; corroborata da una notevole pesantezza (del resto ci vuole, no? Altrimenti tra due giorni ne vedremmo i rottami sparsi in giro). Basti dire che il cestino ufficialmente dovrebbe reggere 12 chili, ma secondo me ci sta una signorina intiera, e non delle più fini.
La trasmissione è -intelligentemente, dato l'utilizzo intenso e l'esposizione al pubblico- a cardano, ed è presente un cambio a tre marce, azionato al manubrio, tramite una demoltiplica direttamente accrocchiata dentro il pignone (non sono un ingegnere, si vede?)
Abituato alla mia Doniselli, che al confronto sembra una ballerina della Scala, ho fatto inizialmente un po' di fatica a ritrovarmici, ma alla fine il suo scopo -trasportarmi- la bici l'ha svolto.
Il freno è a piede: nel senso che praticamente la bici non frena se non grattando le scarpe sul terreno o esercitando una forza sovrumana sui comandi; ma devo ammettere che anche in questo caso forse sono io ad esere abituato troppo bene con i miei freni sempre registratissimi e potenti.
E presente anche un sistema di antifurto con un cavo metallico, che confesso di non aver osservato bene: comunque il concetto dev'essere che ogni bici ha anche il cavo e la chiave, per cui è possibile agganciarla momentaneamente ai pali.
Comunque, me ne vado in giro, prendo confidenza, ed arrivo al Castello, dove pensavo di depositare la macchina per andare a vedere degli sci a poco prezzo per Nichita. E qui si presenta il primo, inquietante, problema:
Già, perché la consegna delle bici avviene infilando due perni presenti sotto il cestello della bici nei corrispondenti buchi della balaustra, che subitaneamente blocca la macchina. Nelle stazioni "normali" le bici stanno tutte dalla stessa parte e quindi possono essere restituite in qualunque postazione libera; ma quella di Piazza Cairoli è una stazione "alternata", con le bici che possono stare dall'uno o dall'altro lato della balaustra.
Peccato che in questo caso i "buchi" siano più ravvicinati tra loro, per cui le bici debbono essere necessariamente inserite in serie alternata: in quanto due bicliclette contigue non hanno lo spazio necessario tra manubrio e manubrio. Non ho ancora capito, dal punto di vista topologico, come funzionava la storia: sta di fatto che la circostanza che un utente avesse restituito la propria bici mettendola dalla parte sbagliata della balaustra ha fatto sì che ci fossero un fottìo di buchi liberi ma nessuna possibilità di agganciare la macchina.
C'era peraltro un signore, assai gentile ed evidentemente in qualche modo connesso all'organizzazione, che mi ha detto che potevo lasciar lì l'affare e ci avrebbero pensato loro con l'assistenza; ma tanto io in fondo ero a spasso, e quindi me ne son tornato verso casa.
Alla fine sono arrivato in Piazza Beccaria, ho riagganciato la mia bici, ho ripassato just in case la tesserina sulla colonnina, la quale mi ha detto che aveva preso atto della mia restituzione e avrei dovuto aspettar dieci minuti prima di prendere un'altra macchina, come da regolamento.
Rispetto alla bici di proprietà, che parcheggi davanti al punto che vuoi raggiungere senza preoccuparti di buchi, orari e tesserine, il sistema è evidentemente perdente: già il fatto che il posteggio di Piazza Castello non sia davanti al negozio di articoli sportivi fa innervosire. Ma evidentemente il servizio non intende sostituire il mezzo di proprietà, bensì il mezzo pubblico, rispetto al quale ha una quantità di evidenti vantaggi: il costo; l'immediatezza; la capillarità (almeno nel centro storico; la flessibilità del tragitto.
Aggiornamento: mi sembrava che le cose andassero un po' troppo bene. ho provato a loggarmi al sistema (che mi dovrebbe dire come e quando ho usato la bici), e quiesti afferma che non mi ha mai conosciuto né ha mai sentito parlare del mio indirizzo e-mail, al quale peraltro aveva mandato i più cordiali saluti. La stessa storia dell'Ecopass, insomma.
Ulteriore aggiornamento: qui.
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Vado al pilone in San Babila e trovo un tipo che era molto ma molto più tronfio di me: io me ne stavo a guardare la colonnina cercando di far leggere il chippino attraverso il giubbotto, mentre costui, di malagrazia, mi dice in inglese (in INGLESE?) che senza tessera ciccia. Io lo guardo tra il dubbioso e lo sprezzante, e lui me lo ripete in brianzolo: forse mi aveva preso per un curioso turista e voleva marcare il territorio.
Comunque: estraggo la tesserina dal portafoglio e dopo un po' di tentativi la colonnina si accorge di me e del mio documento di viaggio (forse la prima volta deve scaldarsi un po'!); e mi consegna una bella bici nuova fiammante.
La macchina dà subito una bella impressione di solidità; corroborata da una notevole pesantezza (del resto ci vuole, no? Altrimenti tra due giorni ne vedremmo i rottami sparsi in giro). Basti dire che il cestino ufficialmente dovrebbe reggere 12 chili, ma secondo me ci sta una signorina intiera, e non delle più fini.
La trasmissione è -intelligentemente, dato l'utilizzo intenso e l'esposizione al pubblico- a cardano, ed è presente un cambio a tre marce, azionato al manubrio, tramite una demoltiplica direttamente accrocchiata dentro il pignone (non sono un ingegnere, si vede?)
Abituato alla mia Doniselli, che al confronto sembra una ballerina della Scala, ho fatto inizialmente un po' di fatica a ritrovarmici, ma alla fine il suo scopo -trasportarmi- la bici l'ha svolto.
Il freno è a piede: nel senso che praticamente la bici non frena se non grattando le scarpe sul terreno o esercitando una forza sovrumana sui comandi; ma devo ammettere che anche in questo caso forse sono io ad esere abituato troppo bene con i miei freni sempre registratissimi e potenti.
E presente anche un sistema di antifurto con un cavo metallico, che confesso di non aver osservato bene: comunque il concetto dev'essere che ogni bici ha anche il cavo e la chiave, per cui è possibile agganciarla momentaneamente ai pali.
Comunque, me ne vado in giro, prendo confidenza, ed arrivo al Castello, dove pensavo di depositare la macchina per andare a vedere degli sci a poco prezzo per Nichita. E qui si presenta il primo, inquietante, problema:
Già, perché la consegna delle bici avviene infilando due perni presenti sotto il cestello della bici nei corrispondenti buchi della balaustra, che subitaneamente blocca la macchina. Nelle stazioni "normali" le bici stanno tutte dalla stessa parte e quindi possono essere restituite in qualunque postazione libera; ma quella di Piazza Cairoli è una stazione "alternata", con le bici che possono stare dall'uno o dall'altro lato della balaustra.
Peccato che in questo caso i "buchi" siano più ravvicinati tra loro, per cui le bici debbono essere necessariamente inserite in serie alternata: in quanto due bicliclette contigue non hanno lo spazio necessario tra manubrio e manubrio. Non ho ancora capito, dal punto di vista topologico, come funzionava la storia: sta di fatto che la circostanza che un utente avesse restituito la propria bici mettendola dalla parte sbagliata della balaustra ha fatto sì che ci fossero un fottìo di buchi liberi ma nessuna possibilità di agganciare la macchina.
C'era peraltro un signore, assai gentile ed evidentemente in qualche modo connesso all'organizzazione, che mi ha detto che potevo lasciar lì l'affare e ci avrebbero pensato loro con l'assistenza; ma tanto io in fondo ero a spasso, e quindi me ne son tornato verso casa.
Alla fine sono arrivato in Piazza Beccaria, ho riagganciato la mia bici, ho ripassato just in case la tesserina sulla colonnina, la quale mi ha detto che aveva preso atto della mia restituzione e avrei dovuto aspettar dieci minuti prima di prendere un'altra macchina, come da regolamento.
Rispetto alla bici di proprietà, che parcheggi davanti al punto che vuoi raggiungere senza preoccuparti di buchi, orari e tesserine, il sistema è evidentemente perdente: già il fatto che il posteggio di Piazza Castello non sia davanti al negozio di articoli sportivi fa innervosire. Ma evidentemente il servizio non intende sostituire il mezzo di proprietà, bensì il mezzo pubblico, rispetto al quale ha una quantità di evidenti vantaggi: il costo; l'immediatezza; la capillarità (almeno nel centro storico; la flessibilità del tragitto.
Aggiornamento: mi sembrava che le cose andassero un po' troppo bene. ho provato a loggarmi al sistema (che mi dovrebbe dire come e quando ho usato la bici), e quiesti afferma che non mi ha mai conosciuto né ha mai sentito parlare del mio indirizzo e-mail, al quale peraltro aveva mandato i più cordiali saluti. La stessa storia dell'Ecopass, insomma.
Ulteriore aggiornamento: qui.
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Ritrattazione
(sta cominciando a diventare un'abitudine; ero anche uscito con una nuova preda dotata di camino, ma non ci siamo pigliati)
Devo nuovamente tornare sui miei passi, anzi sui miei post. La cosa grave è che stavolta devo scusarmi non tanto con i lettori, quanto con la signora Moratti, e ciò mi duole.
Solo ieri avevo scritto una veemente articolessa sul fatto che la mia sindaca oggi avrebbe inaugurato il servizio BikeMi del quale io, pur avendo sottoscritto l'abbonamento più di dieci giorni fa, non avrei potuto usufruire non avendo ancora ricevuto la tessera.
Bè: comè, come non è, ieri sera mi sono trovato nella posta la mia bella tesserina nuova (eccola qui a fianco); e stamattina venendo al lavoro ho trovato le rastrelliere magicamente riempite, nottetempo, di fiammanti biciclettine.
Ne dovevo dare atto; e in fondo mi fa anche piacere, per una volta.
Devo nuovamente tornare sui miei passi, anzi sui miei post. La cosa grave è che stavolta devo scusarmi non tanto con i lettori, quanto con la signora Moratti, e ciò mi duole.
Solo ieri avevo scritto una veemente articolessa sul fatto che la mia sindaca oggi avrebbe inaugurato il servizio BikeMi del quale io, pur avendo sottoscritto l'abbonamento più di dieci giorni fa, non avrei potuto usufruire non avendo ancora ricevuto la tessera.
Bè: comè, come non è, ieri sera mi sono trovato nella posta la mia bella tesserina nuova (eccola qui a fianco); e stamattina venendo al lavoro ho trovato le rastrelliere magicamente riempite, nottetempo, di fiammanti biciclettine.
Ne dovevo dare atto; e in fondo mi fa anche piacere, per una volta.
martedì 2 dicembre 2008
Notizie dalla capitale morale
Ricevo nella mia mail questo volantino con il faccione della mia sindaca che tutta tronfia mi dice che domani mattina lei sarà qui, sotto il mio ufficio, e sgancerà la prima bici, inaugurando così il servizio di condivisione biciclette.
Nello stesso momento potranno essere sganciate altre 900 biciclette da 62 stazioni strategicamente collocate nel cuore della città.
Io non sgancerò una beata cippa, dato che in 10 giorni questa efficiente macchina organizzativa è stata in grado di stampare il volantino, ma non di spedirmi a casa un pezzo di plastica con un chippino dentro, che ho già pagato.
Sempre oggi, comunque, la mia sfortunata collega che prende la linea 2 ci ha messo una vita, per arrivare al lavoro: e ciò perché un binario del metrò è franato.
Il pezzo del Corriere è un capolavoro di ipocrisia: ad una prima lettura frettolosa sembra che la causa sia il maltempo e che subito l'ATM abbia messo in atto le riparazioni con un fondo apposito. Solo leggendo più attentamente si capisce che il binario è franato perché lì c'era un cantiere per l'ammodernamento dei binari. E anche questa volta la colpa sarà dell'errore umano.
Nel frattempo con la mia bici (quella di proprietà, non la fantomatica in bike sharing) passo le giornate a fare slalom tra le sempre più numerose buche nel manto stradale. Una volta il pericolo era il pavé; ora anche l'asfalto, ci si mette.
Nelle mie reminiscenze delle scuole elementari ricordo che la pioggia cade, poi gela, il ghiaccio si espande e rompe il manto stradale. E' per questo che a febbraio ci sono le buche in terra.
Febbraio, mica dicembre.
Inbound links
Quando ho visto i log dell'articolo sull'IVA e su Sky sono sobbalzato sulla sedia in quanto il numero di contatti è stato dieci volte l'usuale; dopodiché sono andato ad approfondire e mi sono accorto che l'articolo era stato linkato anche dal TG di Sky stessa, qui.
La cosa mi imbarazza non poco, però non posso farci niente perché, come ho scritto nelle note legalesi in fondo alla pagina,
E io, come dimostra il post incriminato, sono uno di principi, tant'è che ritengo che Sky debba godere di un'IVA agevolata, come dovrebbero goderne tutti coloro che vendono cultura.
Sia però ben chiaro, a scanso di ulteriori equivoci, che io per il modello di business di Sky, per l'insieme della programmazione che offre; per il tipo di tariffazione e anche per la persona del direttore del suo telegiornale nutro la più profonda antipatia, e un sommo disinteresse che rasenta il disprezzo.
Sia anche chiaro che il mio inserire Sky nel novero degli "operatori culturali" è dovuto al fatto che le norme giuridiche e in particolare fiscali, per essere efficaci ed applicabili, debbono riferirsi a parametri obiettivi e non soggettivi; e non sarebbe pertanto possibile far dipendere l'agevolazione da un giudizio di qualità. In tal senso, sempre seguendo i principi, anche Italia 1 non può non essere definita "operatore culturale". Una cultura lontana svariati parsec dalla mia, ma sempre cultura, per taluni che hanno gli stessi miei diritti di fruire di ciò che a loro più aggrada.
Sia chiaro questo, dopodiché il TG di Sky mi linki pure, se ci tiene.
La cosa mi imbarazza non poco, però non posso farci niente perché, come ho scritto nelle note legalesi in fondo alla pagina,
Il contenuto di questo sito è rilasciato con la seguente licenza:Dato che siamo in Italia e non negli Stati Uniti d'America, questa affermazione è una licenza vera e propria, giuridicamente vincolante (in effetti questa è un'anticipazione di un post che sto preparando sul fallimento di Lehman Brothers); ma è anche una dichiarazione di principio.
- ognuno può farne quel che gli pare
E io, come dimostra il post incriminato, sono uno di principi, tant'è che ritengo che Sky debba godere di un'IVA agevolata, come dovrebbero goderne tutti coloro che vendono cultura.
Sia però ben chiaro, a scanso di ulteriori equivoci, che io per il modello di business di Sky, per l'insieme della programmazione che offre; per il tipo di tariffazione e anche per la persona del direttore del suo telegiornale nutro la più profonda antipatia, e un sommo disinteresse che rasenta il disprezzo.
Sia anche chiaro che il mio inserire Sky nel novero degli "operatori culturali" è dovuto al fatto che le norme giuridiche e in particolare fiscali, per essere efficaci ed applicabili, debbono riferirsi a parametri obiettivi e non soggettivi; e non sarebbe pertanto possibile far dipendere l'agevolazione da un giudizio di qualità. In tal senso, sempre seguendo i principi, anche Italia 1 non può non essere definita "operatore culturale". Una cultura lontana svariati parsec dalla mia, ma sempre cultura, per taluni che hanno gli stessi miei diritti di fruire di ciò che a loro più aggrada.
Sia chiaro questo, dopodiché il TG di Sky mi linki pure, se ci tiene.
lunedì 1 dicembre 2008
Un paese normale /4
Oggi è accaduta una cosa di inaudita gravità
Non mi riferisco alle tasse su Sky, su cui Veltroni ha banfato ripetutamente: mi riferisco a una cosa molto ma molto seria che è riuscita a schifarmi, e voi sapete che ce ne vuole per colpirmi anche alla pancia, oltre che alla testa.
La cosa è questa: Rama Yade, che è questa signora qui a fianco, è il sottosegretario agli esteri del governo Sarkozy. Rama Yade ha dichiarato che il Governo francese intende avanzare all'Assemblea Generale dell'ONU una proposta per la depenalizzazione universale dell'omosessualità.
Depenalizzazione dell'omosessualità non vuol dire che i culattoni possano sposarsi. Non vuol dire che i finocchi possano ereditare dai compagni. Non vuol neppur dire che i froci possano avere le case popolari o andare a trovare i propri ganzi in ospedale.
No, cari miei, questa è roba rivoluzionaria, che andava bene per la campagna elettorale di Prodi (ma non per il suo governo).
La proposta della Francia non è così da pervertiti: la dichiarazione si limiterebbe a impegnare gli Stati a non mandare in galera gli omosessuali. NON MANDARE IN GALERA GLI OMOSESSUALI.
Si tratta di un obiettivo talmente minimale che -secondo Repubblica e Corriere- è stata firmata da tutti gli Stati membri UE: tra cui ci sono dei notori modelli di tolleranza quali la Polonia o la Lituania.
Bene: il Vaticano (o meglio: la Santa Sede: sono cose ben diverse per i tecnici, ma sempre da B16 dipendono) cosa fa? Per bocca di Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l'ONU (rammentiamo che la S.S. non è paese membro, quindi non ha un ambasciatore bensì un osservatore), boccia la proposta.
La cosa per chi abbia un minimo di reminiscenze del catechismo è semplicemente fantastica e da non crederci: avete presente "Beati gli afflitti; beati i perseguitati"? Ecco, proprio così.
Ma da commedia dell'Arte è la motivazione che, non riesco a non sorridere ma dovrei digrignare i denti, viene virgolettata così:
Questo grandissimo figlio di sua madre si inventa di sana pianta una solenne cazzata, mentendo spudoratamente. E osa mettere sullo stesso piano coloro che vengono perseguitati dalle leggi del proprio paese per il loro orientamento sessuale, e i paesi che li perseguitano e che, poverini (i paesi) sarebbero discriminati nel consesso internazionale.
E che siano cazzate, quelle che dice il presule, non lo dico io: basta leggersi questo intervento della Yade per vedere quanto minime sono le intenzioni della Francia. Ancor più minuscole se pensiamo che l'intervento non era rivolto al Sant'Uffizio, bensì alle associazioni GLBT, per dimostrare che il governo Sarkozy non è omofobo, e quindi avrebbe anche potuto spingersi un po' più in là; e invece se ne è stata schiscissima, come si dice quassù.
Ciliegina sulla torta, il Vaticano in persona (il Vaticano, non la Santa Sede) interviene nella persona di tal Padre Federico Lombardi (che non è un cretino qualsiasi, bensì il direttore della Sala Stampa del Vaticano: uno che pensa, prima di parlare), il quale ha l'ardire di precisare che "nessuno vuole difendere la pena di morte per i gay".
E cara grazia! No, dico: vi rendete conto? Non ha detto "Nessuno vuol difendere la galera per i gay". Ha proprio parlato di pena di morte: quindi la galera è ammissibile, nella testa del Vaticano e del suo portavoce: NO quindi quegli stati cattivi che impiccano due poveretti come questi qui a fianco (grazie a Totentanz - e wikipedia- per la foto); ma lasciarli marcire in galera va bene, perché lo Stato che li sbatte in galera sarebbe altrimenti discriminato nel consesso internazionale; verrebbe MESSO ALLA GOGNA; sarebbe FATTO OGGETTO DI PRESSIONI.
Non sono schifato: di più. E non voglio parlare di Veltroni. Ma tutti sappiamo che c'è un partito che non si può permettere di dire apertamente quel che pensa il 95% dei suoi elettori; e tutti sappiamo che in quel partito vi sono persone che pensano che i culattoni magari in galera no, ma un po' di ospedale psichiatrico male non farebbe. Cosa faranno questi soggetti? E cosa farà il loro partito?
Non mi riferisco alle tasse su Sky, su cui Veltroni ha banfato ripetutamente: mi riferisco a una cosa molto ma molto seria che è riuscita a schifarmi, e voi sapete che ce ne vuole per colpirmi anche alla pancia, oltre che alla testa.
La cosa è questa: Rama Yade, che è questa signora qui a fianco, è il sottosegretario agli esteri del governo Sarkozy. Rama Yade ha dichiarato che il Governo francese intende avanzare all'Assemblea Generale dell'ONU una proposta per la depenalizzazione universale dell'omosessualità.
Depenalizzazione dell'omosessualità non vuol dire che i culattoni possano sposarsi. Non vuol dire che i finocchi possano ereditare dai compagni. Non vuol neppur dire che i froci possano avere le case popolari o andare a trovare i propri ganzi in ospedale.
No, cari miei, questa è roba rivoluzionaria, che andava bene per la campagna elettorale di Prodi (ma non per il suo governo).
La proposta della Francia non è così da pervertiti: la dichiarazione si limiterebbe a impegnare gli Stati a non mandare in galera gli omosessuali. NON MANDARE IN GALERA GLI OMOSESSUALI.
Si tratta di un obiettivo talmente minimale che -secondo Repubblica e Corriere- è stata firmata da tutti gli Stati membri UE: tra cui ci sono dei notori modelli di tolleranza quali la Polonia o la Lituania.
Bene: il Vaticano (o meglio: la Santa Sede: sono cose ben diverse per i tecnici, ma sempre da B16 dipendono) cosa fa? Per bocca di Celestino Migliore, osservatore permanente della Santa Sede presso l'ONU (rammentiamo che la S.S. non è paese membro, quindi non ha un ambasciatore bensì un osservatore), boccia la proposta.
La cosa per chi abbia un minimo di reminiscenze del catechismo è semplicemente fantastica e da non crederci: avete presente "Beati gli afflitti; beati i perseguitati"? Ecco, proprio così.
Ma da commedia dell'Arte è la motivazione che, non riesco a non sorridere ma dovrei digrignare i denti, viene virgolettata così:
Gli stati che non riconoscono l'unione tra persone dello stesso sesso come 'matrimonio' verranno messi alla gogna e fatti oggetto di pressioni"
Questo grandissimo figlio di sua madre si inventa di sana pianta una solenne cazzata, mentendo spudoratamente. E osa mettere sullo stesso piano coloro che vengono perseguitati dalle leggi del proprio paese per il loro orientamento sessuale, e i paesi che li perseguitano e che, poverini (i paesi) sarebbero discriminati nel consesso internazionale.
E che siano cazzate, quelle che dice il presule, non lo dico io: basta leggersi questo intervento della Yade per vedere quanto minime sono le intenzioni della Francia. Ancor più minuscole se pensiamo che l'intervento non era rivolto al Sant'Uffizio, bensì alle associazioni GLBT, per dimostrare che il governo Sarkozy non è omofobo, e quindi avrebbe anche potuto spingersi un po' più in là; e invece se ne è stata schiscissima, come si dice quassù.
Ciliegina sulla torta, il Vaticano in persona (il Vaticano, non la Santa Sede) interviene nella persona di tal Padre Federico Lombardi (che non è un cretino qualsiasi, bensì il direttore della Sala Stampa del Vaticano: uno che pensa, prima di parlare), il quale ha l'ardire di precisare che "nessuno vuole difendere la pena di morte per i gay".
E cara grazia! No, dico: vi rendete conto? Non ha detto "Nessuno vuol difendere la galera per i gay". Ha proprio parlato di pena di morte: quindi la galera è ammissibile, nella testa del Vaticano e del suo portavoce: NO quindi quegli stati cattivi che impiccano due poveretti come questi qui a fianco (grazie a Totentanz - e wikipedia- per la foto); ma lasciarli marcire in galera va bene, perché lo Stato che li sbatte in galera sarebbe altrimenti discriminato nel consesso internazionale; verrebbe MESSO ALLA GOGNA; sarebbe FATTO OGGETTO DI PRESSIONI.
Non sono schifato: di più. E non voglio parlare di Veltroni. Ma tutti sappiamo che c'è un partito che non si può permettere di dire apertamente quel che pensa il 95% dei suoi elettori; e tutti sappiamo che in quel partito vi sono persone che pensano che i culattoni magari in galera no, ma un po' di ospedale psichiatrico male non farebbe. Cosa faranno questi soggetti? E cosa farà il loro partito?
Emigrantes
Sul sito del Corriere compare un articolo in cui si dice che BeppeGrillo(tm) ha comprato casa in Isvizzera.
Tanti stanno commentando la cosa, io non intendo farlo perché della cosa me ne cale poco.
Quello che mi lascia basito è che l'articolo dedichi una decina di righe (e corte, che c'è la foto) alla notizia, e una quindicina di righe ai commenti dei politici.
Surreali, a mio mod di vedere, i commenti di Giorgio Merlo, un signore che fra l'altro fa parte della Commissione di Vigilanza RAI (forse che ci sia qualcosa nelle macchinette del caffé, laggiù?), secondo il quale, almeno a detta del virgolettato del Corriere: non credo sia possibile chiudere un blog senza motivazioni previste dalla legge". E anche: "Se uno minaccia di espatriare deve anche spiegare le ragioni"
Le motivazioni previste dalla legge? Spiegare le ragioni?
Chi mi segue da un po' sa cosa ne penso di BeppeGrillo(tm), ma pensare che un privato cittadino debba giustificare qualcosa a Merlo è veramente assurdo.
Pensasse, Merlo, a trovare le giustificazioni per i suoi compagni di lista, tipo questa o questo.
Tanti stanno commentando la cosa, io non intendo farlo perché della cosa me ne cale poco.
Quello che mi lascia basito è che l'articolo dedichi una decina di righe (e corte, che c'è la foto) alla notizia, e una quindicina di righe ai commenti dei politici.
Surreali, a mio mod di vedere, i commenti di Giorgio Merlo, un signore che fra l'altro fa parte della Commissione di Vigilanza RAI (forse che ci sia qualcosa nelle macchinette del caffé, laggiù?), secondo il quale, almeno a detta del virgolettato del Corriere: non credo sia possibile chiudere un blog senza motivazioni previste dalla legge". E anche: "Se uno minaccia di espatriare deve anche spiegare le ragioni"
Le motivazioni previste dalla legge? Spiegare le ragioni?
Chi mi segue da un po' sa cosa ne penso di BeppeGrillo(tm), ma pensare che un privato cittadino debba giustificare qualcosa a Merlo è veramente assurdo.
Pensasse, Merlo, a trovare le giustificazioni per i suoi compagni di lista, tipo questa o questo.
Iva, Sky, Cavaliere
Si fa un gran parlare su giornali, televisioni e blog della questione dell'abrogazione del n.123-ter della parte III della tabella A del DPR del 26/10/1972 n. 633. Cioè, detto in parole semplici, l'IVA al 20% per la TV a pagamento.
La questione è tutt'altro che semplice, e francamente d'istinto io non so da che parte stare: come pure, per fare uno solo dei tanti esempi, Mantellini, il quale pure si trova un po' nel mezzo in quanto ritiene che questa novità rispecchi il conflitto d'interessi del Cavaliere, ma anche che l'IVA agevolata sulla TV a pagamento sia una sciocchezza.
Io vorrei limitarmi a elencare gli argomenti pro e contro, poi ciascuno tragga una conclusione.
Diciamo anzitutto che l'aliquota normale dell'IVA è il 20%, ma sono previsti tre regimi di aliquote agevolate, contenuti nella parti I, II e III della citata Tabella A: il primo regime si riferisce a prodotti agricoli e ittici, e lo saltiamo a piè pari, perché vi corrispondono una quantità di pseudo-aliquote diverse.
Il secondo regime (parte II della tabella) corrisponde all'aliquota IVA del 4%, mentre il terzo regime (parte III della tabella) corrisponde all'aliquota IVA del 10%.
Esiste infine una Tabella B contenente prodotti che, pur rientrando come genus in una delle voci della Tabella A sono considerati, quali species, prodotti di lusso; e ad essi si applica l'aliquota del 20%.
La maggior parte delle voci della Tabella A si riferiscono a prodotti alimentari, ma vi sonbo notevoli eccezioni riguardanti beni e servizi essenziali o che comunque si ritiene di dover sottoporre a trattamenti particolarmente favorevoli: così ad esempio, è fissata al 4% l'IVA sugli alimentari di prima necessità, sulla prima casa (se applicabile); sulle protesi; sulle prestazioni sanitarie ad anziani e handicappati; etc. etc.
Il regime dell'IVA al 10% si applica invece, fra l'altro, a quasi tutti gli altri alimentari; all'energia e prodotti energetici, alle auto non sopra i 2000 cc; ai farmaci; etc. etc.
Ci interessa qui, in particolare, il fatto che l'aliquota del 4% si applichi a:
E quindi evidente l'intento del legislatore fiscale di agevolare almeno uno dei settori della produzione culturale, vale a dire quello di libri, periodici e stampa in genere, e che analogo trattamento è riservato agli abbonamenti alle emissioni radiotelevisive in chiaro (e quindi di fatto solo al canone RAI).
Anche per l'aliquota del 10% sono previste delle agevolazioni di natura "culturale"; infatti si applica a:
Su questo tema però si obietta (in tal senso richiamavo Mantellini, in principio) che essendo la pay-TV un lusso non necessario, è giusto che non vi si applilchi alcuna agevolazione e pertanto, prescindendo dal problema del conflitto d'interessi, bene avrebbe fatto il governo ad abrogare il n. 123-ter della tabella.
L'argomento è suggestivo, ma non mi sembra che tenga, per due motivi: il primo è che Sky può anche essere un lusso per me (e infatti non sono abbonato), che abitando in una grande città del Nord ho una discreta quantità di modi per passare le mie serate senza incollarmi al televisore; ma basta uscire di qualche decina di chilometri dalla circonvallazione, ed ecco che l'offerta culturale si riduce alle balere, Internet e Sky.
Il secondo argomento, invero più solido, emerge leggendo il contenuto della Tabella B (ricordate? sono i famosi generi di lusso:
- gioielli in platino;
- pellicce pregiate;
- spumanti e champagne;
- moto sopra 350 cc.;
- tappeti persiani.
Salvo il fatto che le moto c'entrano un po' poco, e fors'anche gli spumanti, resta il fatto che le eccezioni del lusso sono proprio eccezionali, e non mi sembra proprio che si possa affermare che l'abbonamento alla pay-TV per vedere la partita dell'Inter possa essere assimilato all'acquisto di un tappeto persiano.
In conclusione, quindi, mi sembra di poter affermare che il regime di IVA agevolata applicato a Sky fosse ben giustificato dal punto di vista sistemico, e di conseguenza non si può, sempre a mio parere, ritenere che l'abrogazione del n.123-ter sia l'abolizione di un ingiusto privilegio.
Che tale decisione sia stata assunta per far cassa è sicuro; che però tra tutte le fonti di gettito si sia andati a prendere proprio quella; bé ciò francamente appare un po' sospetto, e dà da pensare.
Anche se poi a pensar male si fa peccato, si sa.
PS: c'è un seguito: leggi anche qui
aggiornamento: come giustamente fa notare .mau., Mediaset Premium non è trasmessa via satellite o via cavo, e pertanto ad essa avrebbe dovuto anche in precedenza applicarsi l'IVA al 20%, secondo la lettera del 123-ter. In tal senso quindi la nuova norma sarebbe la perequazione dei due prodotti (digitale satellitare e digitale terrestre).
aggiornamento bis: merita anche dare un occhio al blog di cattivamaestra, che ha scovato un brano di Otto e mezzo in cui già si può cogliere un accenno di timore da parte del Cavaliere rispetto al successo di Sky
La questione è tutt'altro che semplice, e francamente d'istinto io non so da che parte stare: come pure, per fare uno solo dei tanti esempi, Mantellini, il quale pure si trova un po' nel mezzo in quanto ritiene che questa novità rispecchi il conflitto d'interessi del Cavaliere, ma anche che l'IVA agevolata sulla TV a pagamento sia una sciocchezza.
Io vorrei limitarmi a elencare gli argomenti pro e contro, poi ciascuno tragga una conclusione.
Diciamo anzitutto che l'aliquota normale dell'IVA è il 20%, ma sono previsti tre regimi di aliquote agevolate, contenuti nella parti I, II e III della citata Tabella A: il primo regime si riferisce a prodotti agricoli e ittici, e lo saltiamo a piè pari, perché vi corrispondono una quantità di pseudo-aliquote diverse.
Il secondo regime (parte II della tabella) corrisponde all'aliquota IVA del 4%, mentre il terzo regime (parte III della tabella) corrisponde all'aliquota IVA del 10%.
Esiste infine una Tabella B contenente prodotti che, pur rientrando come genus in una delle voci della Tabella A sono considerati, quali species, prodotti di lusso; e ad essi si applica l'aliquota del 20%.
La maggior parte delle voci della Tabella A si riferiscono a prodotti alimentari, ma vi sonbo notevoli eccezioni riguardanti beni e servizi essenziali o che comunque si ritiene di dover sottoporre a trattamenti particolarmente favorevoli: così ad esempio, è fissata al 4% l'IVA sugli alimentari di prima necessità, sulla prima casa (se applicabile); sulle protesi; sulle prestazioni sanitarie ad anziani e handicappati; etc. etc.
Il regime dell'IVA al 10% si applica invece, fra l'altro, a quasi tutti gli altri alimentari; all'energia e prodotti energetici, alle auto non sopra i 2000 cc; ai farmaci; etc. etc.
Ci interessa qui, in particolare, il fatto che l'aliquota del 4% si applichi a:
18) giornali e notiziari quotidiani, dispacci delle agenzie di stampa, libri, periodici, anche in scrittura braille e su supporti audio-magnetici per non vedenti e ipovedenti, ad esclusione dei giornali e periodici pornografici e dei cataloghi diversi da quelli di informazione libraria, edizioni musicali a stampa e carte geografiche, compresi i globi stampati; carta occorrente per la stampa degli stessi e degli atti e pubblicazioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; materiale tipografico e simile attinente alle campagne elettorali se commissionato dai candidati o dalle liste degli stessi o dai partiti o dai movimenti di opinione politica;
36) canoni di abbonamento alle radiodiffusioni circolari con esclusione di quelle trasmesse in forma codificata; prestazioni di servizi delle radiodiffussioni con esclusione di quelle trasmesse in forma codificata aventi carattere prevalentemente politico, sindacale, culturale, religioso, sportivo, didattico o ricreativo effettuate ai sensi dell'art. 19, lettere b) e c), della legge 14 aprile 1975, n. 103;
E quindi evidente l'intento del legislatore fiscale di agevolare almeno uno dei settori della produzione culturale, vale a dire quello di libri, periodici e stampa in genere, e che analogo trattamento è riservato agli abbonamenti alle emissioni radiotelevisive in chiaro (e quindi di fatto solo al canone RAI).
Anche per l'aliquota del 10% sono previste delle agevolazioni di natura "culturale"; infatti si applica a:
123) spettacoli teatrali di qualsiasi tipo, compresi opere liriche, balletto, prosa, operetta, commedia musicale, rivista; concerti vocali e strumentali; attivita' circensi e dello spettacolo viaggiante, spettacoli di burattini, marionette e maschere, compresi corsi mascherati e in costume, ovunque tenuti;Ecco che il legislatore ha inteso agevolare un altro settore, quello degli spettacoli teatrali, applicandovi l'IVA al 10%. Si noti poi che analoga agevolazione viene concessa dall'art. 6 c. 11 della L. L. 13-5-1999 n. 133 secondo cui
A decorrere dal 1° gennaio 2000, per tutti gli spettacoli cinematografici e per gli spettacoli sportivi per ingressi di prezzo fino a lire 25.000 nette, l'aliquota dell'IVA è fissata nella misura del 10 per cento.Abbiamo quindi agevolazioni per i settori dell'editoria, del teatro, dello sport e della cinematografia: sembra quindi del tutto congruente, dal punto di vista sistematico, che nella parte III della Tabella A sia (rectius: fosse sino ad oggi) prevista l'IVA al 10% per:
123-ter) canoni di abbonamento alle radiodiffusioni circolari trasmesse in forma codificata, nonche' alla diffusione radiotelevisiva con accesso condizionato effettuata in forma digitale a mezzo di reti via cavo o via satellite ivi comprese le trasmissioni televisive punto-punto, con esclusione dei corrispettivi dovuti per la ricezione di programmi di contenuto pornografico;Il problema, se vogliamo approfondire la cosa da un punto di vista generale, è che sia esclusa l'applicabilità dell'IVA agevolata sui prodotti musicali (cosa della quale, e giustamente, sono molti a chiedere un'applicazione); non certo che tale aliquota venga applicata alle televisioni a pagamento.
Su questo tema però si obietta (in tal senso richiamavo Mantellini, in principio) che essendo la pay-TV un lusso non necessario, è giusto che non vi si applilchi alcuna agevolazione e pertanto, prescindendo dal problema del conflitto d'interessi, bene avrebbe fatto il governo ad abrogare il n. 123-ter della tabella.
L'argomento è suggestivo, ma non mi sembra che tenga, per due motivi: il primo è che Sky può anche essere un lusso per me (e infatti non sono abbonato), che abitando in una grande città del Nord ho una discreta quantità di modi per passare le mie serate senza incollarmi al televisore; ma basta uscire di qualche decina di chilometri dalla circonvallazione, ed ecco che l'offerta culturale si riduce alle balere, Internet e Sky.
Il secondo argomento, invero più solido, emerge leggendo il contenuto della Tabella B (ricordate? sono i famosi generi di lusso:
- gioielli in platino;
- pellicce pregiate;
- spumanti e champagne;
- moto sopra 350 cc.;
- tappeti persiani.
Salvo il fatto che le moto c'entrano un po' poco, e fors'anche gli spumanti, resta il fatto che le eccezioni del lusso sono proprio eccezionali, e non mi sembra proprio che si possa affermare che l'abbonamento alla pay-TV per vedere la partita dell'Inter possa essere assimilato all'acquisto di un tappeto persiano.
In conclusione, quindi, mi sembra di poter affermare che il regime di IVA agevolata applicato a Sky fosse ben giustificato dal punto di vista sistemico, e di conseguenza non si può, sempre a mio parere, ritenere che l'abrogazione del n.123-ter sia l'abolizione di un ingiusto privilegio.
Che tale decisione sia stata assunta per far cassa è sicuro; che però tra tutte le fonti di gettito si sia andati a prendere proprio quella; bé ciò francamente appare un po' sospetto, e dà da pensare.
Anche se poi a pensar male si fa peccato, si sa.
PS: c'è un seguito: leggi anche qui
aggiornamento: come giustamente fa notare .mau., Mediaset Premium non è trasmessa via satellite o via cavo, e pertanto ad essa avrebbe dovuto anche in precedenza applicarsi l'IVA al 20%, secondo la lettera del 123-ter. In tal senso quindi la nuova norma sarebbe la perequazione dei due prodotti (digitale satellitare e digitale terrestre).
aggiornamento bis: merita anche dare un occhio al blog di cattivamaestra, che ha scovato un brano di Otto e mezzo in cui già si può cogliere un accenno di timore da parte del Cavaliere rispetto al successo di Sky