martedì 24 febbraio 2009

Le ultime parole famose


Non posso certo invidiare il nuovo segretario del PD, che il primo giorno di lavoro già si trova una grana, e bella grossa.
Certo, fa specie vedere che a distanza di pochi giorni le dichiarazioni rilasciate all'indomani dell'avvicendamento di Ignazio Marino siano utili solo per incartare il pesce.
Ma la domanda che mi pongo è un'altra: che diavolo spera di ottenere Rutelli? E' ovvio che non potrà mai trasformare il PD nell'UDC di Buttiglione (dico Buttiglione perché Casini è già più avanti di lui sulla strada della modernità). Per quanto, come scrivevo ieri, il sistema maggioritario amplifichi la forza ricattatoriacontrattuale dei soggetti contigui al centro (Binetti, ad esempio) è chiaro che tale forza non può essere utilizzata per trascinare un partito intero, ma al più solo per condizionarne alcune scelte (in tal senso prego coloro che hanno commentato criticamente il mio post di fare un'ulteriore riflessione su queste dinamiche).
Ma Rutelli è ormai del tutto isolato dentro quello scatolone chiamato partito, e quindi l'unica logica spiegazione a questa accelerazione è che stia cercando di serrare le fila di alcuni seguaci per portarseli dietro nella nuova casa degli italiani di centro e d'oltre Tevere.
Mi domando se sia saggio il suo comportamento: se cioé rompere il giocattolo costruito anche da lui possa davvero giovergli un giorno, o se al contrario gli farà rimanere addosso un marchio d'infamia. Io sono più propenso alla seconda che ho detto, non foss'altro perché nella mia vita lavorativa ho cambiato tanti incarichi ma non ho mai fatto o detto niente contro i precedenti colleghi, e ciò mi è servito tantissimo, nel corso del tempo, in quanto quei moedesimi colleghi quando ho avuto bisogno non mi hanno lesinato il loro appoggio.
Ma quello che mi domando con ancora più curiosità è cosa diavolo aspetti il resto del PD a cacciare via lui e i suoi venti accoliti. Hanno paura della scissione? Hanno paura di perdere venti parlamentari e un tre percento di voti?
Forse non si rendono conto che nei rapporti di forza che ci sono oggi alla Camera e al Senato, venti parlamentari contano come due o duecento, dato che la destrà ha comunque da sola una schiacciante maggioranza.
E forse non si rendono conto che per tenere quel tre percento ne hanno già perso un dieci abbondante; e continuano a perderne giorno dopo giorno (il che, si badi, mi farebbe un immenso piacere, se solo a sinistra ci si riuscisse a mettere d'accordo per una forza che riuscisse a intercettarli, quei voti perduti).

lunedì 23 febbraio 2009

Liberali

Grazie a Scorfano, apprendo con vivo interesse da questo articolo della (ri)nascita del Partito Liberale Italiano.
Interesse vieppiù ravvivato dalla circostanza che vicesegretario è nientepopodimeno che Paolo Guzzanti, e che il nuovo soggetto politico si è già diviso in correnti, l'una facente capo a De Luca e Guzzanti e l'altra a Taradash e Diaconale. Completa il quadro idiliaco un sopravvissuto a sé stesso come Carlo Scognamiglio.

Simili notizie, una volta smesso di sorridere, dovrebbero secondo la comune vulgata incrinare la convinzione che in Italia serva, e presto, un ritorno al proporzionale. E invece no, e vi spiego il perché.
Un "partito" forte dello 0,3% dei voti rappresenta lo 0,3% dei cittadini, e dovrebbe avere in Parlamento lo 0,3% dei seggi, in un sistema proporzionale puro.
Diciamo pure che raddoppi i consensi grazie a Guzzanti, arrivando allo 0,6%: dato che secondo la Costituzione vigente vi sono circa 1000 parlamentari (630 deputati e 315 senatori elettivi), ciò corrisponderebbe a 6 parlamentari, 4 alla Camera e 2 al Senato. In teoria, dato che in effetti su cifre così ridicole anche il sistema elettorale della prima repubblica non era veramente proporzionale, e se tanto mi dà tanto avrebbe attribuito al più un paio di deputati e zero senatori.

Ma facciamo anche conto che il sistema sia purissimamente proporzionale e, per semplificare, facciamo finta che ci sia una camera sola con 1000 persone dentro. Questo partito conterebbe, guarda caso, esattamente quanto conto io in un'assemblea condominiale: il condominio dove vivo infatti è molto grande, ed io possiedo giusto giusto i sei millesimi.
Il mio voto, quindi, conta meno di un due di spade quando è briscola coppe; ciò non toglie però che a volte le mie idee siano state seguite dai condomini; ma non in forza di veti o ricatti: semplicemente perché in certe questioni (quali, ad esempio, se coltivare o meno una causa nei confronti di una ditta fornitrice) ho una certa esperienza e so dire cose di buon senso che vengono colte come tali dagli altri partecipanti.
Quella è la mia forza: non certo l'espressione del mio voto, che -preso isolatamente- non è mai stato in grado di spostare di qua o di là una delibera.

Ben diverso è il peso in un sistema bipolare: quel prefisso telefonico può far la differenza, e quindi il peso di chi lo apporta ad una coalizione è molto incrementato dalla funzione di "ago della bilancia". E se non mi credete e vi sembrano vaneggiamenti senili, forse dovreste rinfrescarvi la memoria con nomi come Mastella o Binetti. Due parlamentari che, soli o con due-tre sodali, hanno tenuto in scacco il governo Prodi, costringendolo l'una a rinunciare a punti qualificanti del programma, l'altro addirittura ad andare a casa.
Notate poi che anche in un'ottica bipartitica le cose non cambiano, anzi! Teoricamente, se fosse passato l'ultimo dei referendum di Mariotto Segni, l'alleanza PD-IDV (e correlativamente PdL-Lega) non avrebbe avuto ragion d'essere (il premio di maggioranza sarebbe stato preso dal solo PdL); ma ci vuol poco a comprendere che le cose sarebbero andate ben diversamente: gli alleati, sia pur alleati a fini meramente eletorali, sarebbero stati inglobati nelle liste del partito maggiore, esattamente come successe con i Radicali nelle liste PD.
In conclusione: guardiamo con simpatia al buon Guzzanti, e preoccupiamoci del fatto che grazie all'attuale legge elettorale tale buffo personaggio (ne avete mai letto il blog?) possa inopinatamente acquisire un'importanza superiore allo zero virgola poco.

giovedì 19 febbraio 2009

Facebook cambia le condizioni di utilizzo

Tutti voi sapete già benissimo che Facebook ha cambiato le condizioni d'utilizzo, e così prima possedeva i contenuti da voi messi se non cancellavate l'accaunt ma poi se lo cancellavate non li possedeva più, e poi possedeva i contenuti anche se cancellavate l'accaunt, e poi (ma poi-poi) possiede contenuti se non li cancellate ma comunque, sia che cancellate o meno l'accaunt continua a tenere i contenuti ma senza possederli, e comunque quel signore lì col nome difficile da scrivere ha scritto che poi (poi-poi-poi) scriverà tutto meglio per farsi capire anche da chi non riesce a capirci nulla.

Quello che non ho capito io è: ma come fanno "contenuti" e "facebook" a stare insieme in una frase di senso compiuto?

mercoledì 18 febbraio 2009

Svegliatevi!

No, non mi sono convertito a Geova.
Da tempo cerco di trovare un supporto dottrinale alla mia opinione secondo la quale il Partito Democratico è nato tutto sbagliato.
Mai avrei sperato di trovarne uno autorevole come questo (a proposito: scusami, Mog, ma è una tua omonima)!
Riporto qui il testo dell'appello: leggetelo con attenzione e poi ne parliamo
NON TORNIAMO INDIETRO
Il Partito Democratico è nato per cambiare l’Italia. Non è solo, ne’ innanzitutto, la sintesi di due tradizioni politiche del secolo scorso, gloriose ma storicamente esaurite. E’ il progetto di portare il nostro paese nella contemporaneità, nel mondo che cambia. Innovazione, mobilità sociale, trasparenza ed equità in un paese che appare invece sempre più bloccato, diviso e chiuso nelle proprie paure e nel proprio passato. Quella missione di cambiamento è oggi non solo valida, ma necessaria ed urgente. E’ un progetto culturale prima ancora che politico. La sua realizzazione richiede coraggio, coerenza, coesione ed uno sguardo puntato con fermezza sul futuro. Sarà un lavoro lungo, che avrà bisogno di energia, senso di responsabilità e spirito di squadra. Noi siamo pronti a continuare a lavorare per realizzarlo.

le lettere accentate le ho messe a posto io

Bene, l'avete letto? Cosa vi fa venire in mente?
A me viene in mente una parola: velleitarismo.
    velleitario [vel-lei-tà-rio] agg., s. (pl.m. -ri)
    1 Irrealizzabile: progetto v.
    2 Che ha ambizioni superiori alla capacità di realizzarle: un giovane v.

E' un progetto culturale prima ancora che politico.
Ragazzi: di là c'è Gasparri, Tremonti, Maroni. Calderoli. e questi sono i migliori.
Poi c'è gente come Sergio Di Gregorio, Renato Farina, Mauro Pili, Raffaele Fitto, Esteban Caselli, Giuseppe Ciarrapico, Luigi Grillo. Una classe di accaparratori che guardano anzitutto al proprio tornaconto personale, e solo poi alla cosa pubblica.
Ecco: sono questi. E di qua (o perlomeno: in questa direzione), c'è un progetto culturale.
Svegliatevi, ragazzi!

Testamento biologico

Non si sorprenderanno i miei affezionati lettori nell'apprendere che aderisco all'appello di Ignazio Marino a favore di una legge sul testamento biologico che "confermi il diritto alla salute ma non il dovere alle terapie".
A tal punto, aderisco, che in questi giorni mi sono chiesto se avrei aderito anche all'eventuale proposta di referendum abrogativo laddove questa fosse stata presentata.

Rammentavo certo di aver scritto della mia contrarietà all'istituto del referendum allorquando una simile eventualità era stata proposta da Di Pietro sul Lodo Alfano; ma mi sono chiesto se tale posizione non meritasse di essere rivista in relazione a materie che riguardano la sfera delle libertà civili individuali, in linea peraltro con la buona tradizione dei referenda su divorzio e aborto degli anni '70 e primi '80: quando i Radicali facevano cosa di sinistra, insomma.
Poi sono andato a rileggermi quanto avevo scritto qui e mi sono accorto che le mie ragioni espresse pochi mesi fa valgono (almeno ciò è quanto io ravviso) anche ora e su questo tema.
Parlare di diritto alla vita o alla morte rende certamente la causa molto più nobile che parlare di galera, e perfino di galera per il PresConsMin; ma ciò non toglie il problema strutturale derivante dalla sovrapposizione di astensionismo fisiologico e astensionismo orientato al non-raggiungimento del quorum: il che ha come effetto non solo una artificiosa amplificazione dei fautori del "no" a qualsiasi proposta abrogativa ma anche, e soprattutto, una presunzione di orientamento contrario da parte della maggioranza del corpo elettorale che va ad inficiare qualunque successivo dibattito sul tema.
La batosta subita da coloro che ritenevano di dover cambiare la legge sulla procreazione assistita tramite referendum comporta che oggi sia praticamente impossibile rimettere in discussione i fondamenti di tale norma (e non solo perché oggi al Governo c'è la stessa maggioranza che ebbe ad approvarla a suo tempo).
Del resto, se ci pensiamo bene, il successo ai referendum su divorzio e aborto fu un successo dei NO, non dei SI'. Il vero successo fu l'approvazione delle leggi su divorzio e aborto, non la loro abrogazione.
E' quindi più che mai importante firmare adesso la petizione di Marino e partecipare a ogni iniziativa che vada in tale direzione, sperando (ma sappiamo già quanto conto ci si possa fare) che ciò possa in qualche misura orientare il dibattito parlamentare.
Altrimenti, possiamo sempre aspettare delle elezioni in cui cambi la maggioranza...

Chi è causa del suo mal...

Un ringraziamento al Corriere della Sera per aver riesumato questa foto d'archivio che rappresenta efficacemente ciò che, a nostro avviso, ci ha condotto al punto in cui siamo.
L'anno successivo a questa fotografia, scattata poco prima della celebrazione del referendum elettorale del 2000 (per fortuna una sonora batosta per i due figuri), Veltroni riuscì a portare il PDS all'ambito traguardo del 16 e mezzo percento (un italiano su sei!!!), e come oggi ebbe il buongusto di dimettersi.
Questa parola, buongusto, io la uso evidentemente con ironia: ma leggendo qui e là sembra quasi che WV abbia fatto una graziosa concessione, ad andarsene: una cosa da gentiluomo inglese d'altri tempi. E tutta la sua conferenza stampa è stata improntata al lancio di questo messaggio.
Tutte le volte che lo abbiamo sentito dire "me ne assumo la responsabilità" abbiamo anche visto e sentito il birignao di chi sta fra le righe facendo intendere che lui sa benissimo di non avere alcuna responsabilità, ma si deve prendere il fardello solo perché è il capo; e i capi si prendono fardelli.
Provo a esprimere meglio il concetto. Quando ho fatto catechismo, mi avevano insegnato che per la Confessione occorre a) il pentimento e b) il proposito di non peccare più. Io non so se quest'uomo si sia pentito del male che ha fatto; ma sono certo che non ha imparato niente da questa lezione, perché è tuttora autisticamente convinto di essere nel giusto. Come Mariotto Segni, del resto.

Il lupo perde il pelo

Walter Veltroni, nella conferenza stampa, non sta facendo quello che sarebbe legittimo aspettarsi da lui a questo punto: dire "ho sbagliato".

Sta invece dicendo: "ho ragione io, ma gli altri sono tutti stronzi".

Bé, lasciatemelo dire: quando uno fa così, vale la filastrocca dei bambini: chi lo dice sa di esserlo mille volte più di me

11:27: tira fuora la scuola di Cortona
11:28: tira fuori il Circo Massimo
11:31: "c'è bisogno che ci si senta una squadra"
(purtroppo mi pagano per fare altro; ma se andata da Francesco Costa trovate paro paro il succo di qual che stavo iniziando a scrivere)

martedì 17 febbraio 2009

Continua così, fatti del male.

C'è un signore, di cui non faccio il nome perché lo cito troppo spesso, che ha scritto questa cosa:
Da ieri spiego agli scettici cosa penso della vittoria di Matteo Renzi: penso di non condividere con lui molte cose che pensa e che dice, che lui sia un giovane rutelliano cattolico (cattolico in politica, non come fede privata), e che di certo mi troverei molto più d’accordo sui contenuti con uno come Bersani, per esempio.
Ma per come stanno le cose in Italia e nel PD, oggi conta molto di più un ricambio del metodo che non la condivisione dei contenuti: e l’eventualità che il futuro del PD sia nelle mani di Bersani - persona esperta e capace - mi pare quindi catastrofica. Mentre la vittoria di Renzi mi pare una buona cosa. Dovrebbero pensarci i giovani del PD che stanno acquattati attorno al vecchio aspettando il loro turno.

Bene: io penso che continuare a concentrarsi sul metodo e non sul merito delle cose sia una colossale cazzata.
La politica si fa prima mettendo dei contenuti e poi trovando il modo per farli passare.
La politica del prima trovare lo spallone e poi decidere cosa mettergli nello zaino è esattamente la politica che ha portato il centro-sinistra italiano al più totale e assoluto fallimento della storia della nostra democrazia.

Dimissioni /2

Non è una cosa della quale si debba abusare, ma talvolta autocitarsi può andar bene, se si crede ancora in quanto si è a suo tempo scritto:
Le dimissioni hanno uno straordinario effetto catartico per l'organizzazione il cui capo si dimette: salvo casi eccezionali non importa quanto le prime e le seconde linee della struttura (e quindi la struttura stessa, ontologicamente determinata) fossero coinvolte negli errori di valutazione del capo o addirittura nelle sue furfanterie: con la rimozione del vertice l'organizazione può ripartire a nuovo, o perlomeno sperare di farlo.
E la cosa più curiosa di tutte è che la catarsi coinvolge anche il capo che, finalmente, si decide a lasciare il posto. Non importa quanti svarioni o quante marachelle abbia commesso: con le dimissioni, magari seguite da un ritiro in campagna o su un'isoletta lontana dalle rotte più battute, il dimissionario riesce a costruirsi una nuova credibilità.
Non è che che le dimissioni possano rendere la verginità a una vecchia baldracca: ma sono comunque l'equivalente di un intervento di imenoplastica, che ben può ingannare gli utenti meno smaliziati.
E -questo è sorprendente- funzionano anche quando è perfettamente chiaro che colui che le ha rassegnate lo ha fatto solo perché non aveva alcuna altra scelta, in quanto un minuto dopo sarebbe stato cacciato a pedate.
Io non so se Veltroni creda nel Partito Democratico: credo che sia troppo arrogante ed egoriferito per credere in qualunque cosa che non sia sé medesimo. Ma se ci crede, l'unica cosa sensata che può fare è dimettersi. Subito.

Non l'ha fatto subito, ma alla fine Veltroni si è dimesso: lo ritroveremo tra un tre-quattro anni -o forse anche prima, dati i tempi- a darci lezioni su come si fa politica.
Ora la palla sta al PD. Questo blog non ha mai voluto bene al PD, fin dal suo primo post: e in questo crede di aver dimostrato un minimo di coerenza, anche se la coerenza non è un valore in sé, come dimostra la Storia.
Il suo autore si rende tuttavia conto che per la rinascita di un'idea di Sinistra in Italia sarà pur sempre necessario fare i conti con quella parte di popolazione che, in buona fede e tra molti tormenti interiori, costituisce la base di quello che, per dissennata scelta della propria dirigenza, è il partito del Centro italiano.
Noi non siamo così cinici da credere al tanto peggio tanto meglio e sperare che, attraverso la dispersione dell'apparato di partito, i suoi elettori emigrino verso formazioni più vicine al nostro -e forse per molti al loro- sentire.

E' quindi con sincerità che vogliamo esprimere i nostri auguri a chi prenderà le redini di quel carrozzone (certo una direzione collegiale, in un primo tempo, ma nella quale ci sarà certo un leader in pectore).
Attraverso lo sfrondamento di tutte quelle parti che sono state imbarcate a puro fine di conquistare questa o quella manciata di inutili voti vicini al Vaticano, alla Confindustria, ai sindacati gialli o neri.
Attraverso una nuova attenzione rivolta ai problemi del Paese anziché a quelli dell'arrivare a governare del Paese.
Attraverso la convocazione di iniziative tempestive e la formulazione di proposte concrete, abbandonando la politica fatta di metafore suggestive e proposte solide come castelli di sabbia.
Attraverso, soprattutto, una rinnovata attenzione alle idee di una Sinistra i cui valori in Italia hanno ancora molto di positivo da esprimere, e che pur dialetticamente può dialogare con un Centro illuminato che si rispecchi nei valori dell'eguaglianza sociale e delle libertà individuali, in contrapposizione a una Destra codina fautrice del liberismo in economia e del controllo pervasivo dell'individuo nel privato.

Buon lavoro, davvero.

Cincinnato

Naturalmente io non credo che Veltroni abbia davvero deciso di ritirarsi in campagna a scrivere best seller (che, se lui non fosse Veltroni, best seller non sarebbero certo).
Semplicemente, è perfettamente consapevole del fatto che in questo momento, a poca distanza dal disastro annunciato delle europee, la sua poltrona puzza di letame lontano miglia, e nessuno sarebbe così scemo da sedercisi sopra.
Confermerà le dimissioni e starà a divertirsi guardando (quel pollo di) Bersani sedercisi sopra dopo averci steso un telo di plastica?
O si farà firmare un mandato in bianco per fare qualsiasi cosa lui voglia e stoppando definitivamente le polemiche (che naturalmente riprenderebbero dopo poche ore?)
Sono le 15:30, aspettiamo curiosi.

Prendo a calci l'avversario inerme a terra

Sì, lo so: non è bello.
Ma forse c'è ancora qualcuno che, giorno per giorno, continua ostinatamente a chiedersi che senso ha creare un partito-pastone, che ha come unico motivo di esistere quello di accorpare una massa eterogenea di voti tale da raggiungere la massa critica necessaria a diventare uno dei due maggiori partiti italiani, e così aspirare a raggiungere il potere una volta riformata la legge elettorale e la Costituzione in modo tale da far esistere solo due partiti sulla scena politica, approfittando del fatto che prima o poi, in un quadro del genere, l'alternanza è fisiologica.

Bene: se qualcuno ancora se lo chiedesse, questa intervista gli fornirà formidabili argomenti per rafforzare la convinzione che di senso non ce ne sia neanche un po'.

A proposito: sarebbe magari ora che la squadra del segretario del Pd prendesse qualche lezione di recupero sulle fallacie logiche, e in particolare su quella denominata "Petizione di principio" (in inglese, icasticamente, "begging the question".
Veltroni e i suoi pretoriani potrebbero così accorgersi che continuare ad affermare apoditticamente che il Partito Democratico è qualcosa da cui non si può tornare indietro "perché tornare indietro non avrebbe più senso", come fa qui Tonini, o qui il suo capobastone, sempre bravissimo a trovare metafore suggestive che mascherano la pochezza o l'inesistenza di argomentazioni solide: bé, continuare ad affermare ciò non ha senso.

aggiornamento: questo post è stato scritto prima che su Repubblica comparisse l'intervista a Paola Binetti che attacca Ignazio Marino. Lo precisiamo perché non si dica che ci piace vincere facile.

Ora è tutto molto più semplice

Il Partito Democratico, come ricorderete, era nato con una "spiccata vocazione maggioritaria".
Poi, dopo la batosta delle elezioni politiche, è diventato il parito del 33%, quello che vota un italiano su tre.
Hanno fatto seguito alcune sconfitte e molti successi: la Summer School, il Circo Massimo, la vittoria in Trentino, la nascita della televisione, il formarsi del movimento dei gggiovani, l'elezione di Obama. Tutta roba che nasce dal confronto con gli elettori, come si vede. Specialmente per quanto riguarda le elezioni in Trentino Alto Adige, un grande successo con il candidato di Centro che ha sopravanzato quello del Centro-destra di ben 20 punti: ed è solo l'amara gelosia di Gasparri che gli ha fatto biascicare che in Trentino il candidato uscente aveva sì preso 20 punti in più, ma partiva con 30 punti di vantaggio!
Restava, tuttavia, quell'amarezza nel constatare che, anche se "L’Italia è un Paese migliore della destra che la governa." (cit.), gli italiani forse sono un po' meno simili all'Italia e un po' più alla destra che li governa: e difatti quel 33%, quell'italiano su tre, ogni tanto tendeva a nascondersi o perlomeno a distrarsi: a dimenticare a casa la tessera elettorale, come ad esempio in Abruzzo.

Ora è tutto molto più semplice: abbiamo capito che il Pd viene votato da un italiano su quattro, non un italiano su tre: in fondo la differenza tra tre e quattro è di un solo italiano, e cosa volete che conti un solo italiano?
Magari alle prossime europee si ammala anche. E se non si dovesse ammalare, vuoi mettere il successo, se raggiungono il 26%?

lunedì 16 febbraio 2009

Lezioni italoamericane - la cauzione /4

(prosegue da qui)
Avevamo lasciato Carlo I prestare il proprio assenso al Petition of rights, e quasi subito dopo sciogliere il Parlamento e avviare un periodo di quasi undici anni di governo personale. Nel 1649 gli fu tagliata la testa, e nel 1660 il figlio Carlo II riprese la corona.
E proprio Carlo II diede il proprio assenso all'Habeas Corpus Act 1679, un atto del parlamento con il quale si ribadivano ancora una volta le garanzie giudiziarie contro gli arresti arbitrari costituite, anzitutto,  dalla possibilità di emettere il writ of habeas corpus. L'atto del 1679 è così famoso che molti credono erroneamente che sia all'origine del principio stesso dell'Habeas Corpus, che invece come abbiamo visto è assai anteriore.
L'atto -si noti- ribadisce senza innovare, per quanto, considerati i tempi che correvano, lo stesso ribadire era per certi versi rivoluzionario: consideriamo infatti che in pieno periodo di restaurazione dell'assolutismo sovrano il Parlamento richiama le garanzie della Magna Carta, concesse in epoca feudale da un sovrano infinitamente meno potente e costretto quindi al compromesso con la nobiltà. Comunque, per quanto specificamente ci interessa, si statuisce che:
and thereupon within two days after the party shall be brought before them, the said lord chancellor or lord keeper, or such justice or baron before whom the prisoner shall be brought as aforesaid, shall discharge the said prisoner from his imprisonment, taking his or their recognizance, with one or more surety or sureties, in any sum according to their discretions, having regard to the quality of the prisoner and nature of the offence[...]
unless it shall appear... that the party so committed... for such matters or offences for the which by the law the prisoner is not bailable.

In pratica, quindi, l'Habeas Corpus Act 1679 ribadisce, con maggior chiarezza che nel passato, che il prigioniero condotto davanti al giudice in forza di un Writ of Habeas Corpus deve essere rilasciato entro due giorni, previa costituzione di una cauzione di qualunque importo, a discrezione del giudice e tenuto conto della condizione personale del prigioniero, salvo che sia detenuto per causa per le quali la legge esclude il rilascio su cauzione.
Come ricorderete, la legge da ultimo richiamata altro non era che lo Statute of Westminster I 1275, che ad oltre 400 anni di distanza è quindi ancor vivo e vegeto; e il tempo sembra proprio essersi fermato, se consideriamo che, ora come allora, la quantificazione della cauzione è rimessa all'arbitrio del giudice, che può vanificare tale garanzia con l'imposizione di una somma sproporzionata.

Ma se dal 1679 ci spostiamo al 1689, ecco che le cose cambiano moltissimo: vediamo perché.
Nel 1685 Carlo II muore, e la corona viene assunta dal fratello minore Giacomo II, il quale aveva un'enorme quantità di difetti: era anzitutto un fautore dell'assolutismo, anche se i tempi ormai stavano cambiando; ma fin qui non ci sarebbe stato granché di male.
Il problema è che Giacomo, durante l'esilio in Francia al tempo del Protettorato, si era convertito al cattolicesimo. Tuttavia le figlie del primo matrimonio erano state allevate come protestanti, su preciso ordine di Carlo II, e in particolare la maggiore, Mary, aveva sposato Guglielmo d'Orange, pure d'indiscussa fede protestante.
Dopo la morte della prima moglie Giacomo aveva sposato Maria d'Este, ovviamente cattolica anch'essa, ma finché il matrimonio era rimasto privo di discendenza la classe dirigente inglese non aveva sollevato troppi problemi, rassicurata dalla posizione di Mary quale erede al trono.
Tuttavia nel 1688 Giacomo e Maria diedero la luce a un figlio maschio (quindi primo in linea di successione), che sarebbe stato allevato nel cattolicesimo. Di fronte alla prospettiva che la Corona fosse assunta da una dinastia di papisti, i nobili protestanti invitarono Guglielmo d'Orange a sbarcare in Inghilterra e "salvare la religione protestante".
Guglielmo non si fece pregare; molti nobili inglesi si schierarono con lui e Giacomo, malgrado la superiorità numerica e l'appoggio della Francia di Luigi XIV (il cui aiuto aveva tuttavia rifiutato, nel timore di alienarsi ancor di più la nazione ingelse) fuggì.

Fu così che la "gloriosa rivoluzione" (anche se gli storici sono divisi tra considerarla una rivoluzione o un'invasione) si concluse con l'offerta del trono a Guglielmo e Maria (William and Mary), congiuntamente: e ciò per superare le divisioni tra chi riteneva che spettasse a Mary per diritto successorio o a William per conquista e per espressione della "sovranità popolare" (espressione troppo moderna, ma che rende l'idea).
E' chiaro che a questo punto tutte le teorie sull'assolutismo sovrano, la discendenza diretta del potere regale da Dio e la superiorità del Re alla Legge avevano una forza infinitamente inferiore a quanto ipotizzabile solo 10 anni prima, sotto Carlo II. E infatti uno dei primi atti dei due sovrani fu la promulgazione del Bill of Rights, specie di patto tra Corona e Parlamento di cui parleremo nella prossima puntata

(continua)

domenica 15 febbraio 2009

O di qua o di là

Vedere Clemente Mastella (ma non solo lui) che q.o.∀(convocazione dei comizi elettorali) saltabecca dall'uno all'altro schieramento politico è uno dei più formidabili argomenti da utilizzare contro i bi-polaristi, i bi-partitisti e in genere tutti i bi-immaginabili.

sabato 14 febbraio 2009

Lezioni italoamericane - la cauzione /3

(prosegue da qui)
Quando Carlo I sale al trono, nel 1625, l'Europa è dilaniata dalla Guerra dei Trent'Anni, un verminaio del quale riuscire a capire qualcosa è al di là della mia portata, anche se qualche buona lettura (in traduzione!) può dare l'atmosfera.
Sta di fatto non appena salito al trono Carlo ha la bella idea di imbarcarsi in una guerra contro la Spagna con l'obiettivo di far riconquistare al cognato il principato occupato dall'Imperatore. La guerra fu un disastro, soprattutto grazie alla rovinosa conduzione da parte del favorito del padre, il Duca di Buckingham, il quale nel 1627 condusse un'altra spedizione, altrettanto fallimentare, in soccorso degli Ugonotti assediati a La Rochelle (e ne avrebbe organizzata un'altra ancora, se non fosse stato ammazzato nell'agosto del 1628).

Le avventure guerresche costavano una fortuna, e Carlo doveva necessariamente passare dal Parlamento per farsi finanziare, anche perché le tasse erano raccolte dalla nobiltà e non da esattori reali, come altrove in Europa: quindi senza il concorso dei nobili la Corona non aveva granché di strumenti per raccogliere fondi. Dapprima il Parlamento concesse un finanziamento, ma per la prima volta da tempo immemorabile solo a termine, per un anno, e contestualmente all'apertura di un processo per alto tradimento contro Buckingham. Il Re piuttosto che mettere in discussione l'operato del suo protetto sciolse il Parlamento e si inventò delle tasse di assai dubbia legittimità destinate al finanziamento delle spedizioni navali.

Taluni nobili si rifiutarono di pagare e furono arrestati per convincerli a versare quanto voluto dal Re, ma senza un'accusa formale, dacché in effetti on avevano commesso alcun reato. La prigione convilse alcuni a più miti consigli, tuttavia cinque cavalieri (the Five Knights) resistettero alle pressioni ed adirono il King's Bench per l'emissione di un writ of habeas corpus. A seguito dell'emissione del writ sarebbe stato necessario formulare un'accusa o rilasciare i detenuti, ma l'Accusatore Generale affermò il diritto del Re di porre agli arresti chiunque senza essere soggetto al rispetto dell'habeas corpus.
La cosa non piacque per niente alla nobiltà, che trovò in Sir Edward Coke (uno dei maggiori giuristi inglesi di tutti i tempi) il proprio campione. Sarebbe troppo faticoso ora divagare raccontando il come e il perché, ma fidatevi se vi dico che Coke aveva il dente mortalmente avvelenato con la Corona, con il suo Cancelliere, e (scusate la tremenda semplificazione) tutti coloro che cercavano di sminuire l'efficacia della common law rispetto alla giurisdizione parallela di emanazione sovrana (equity) che si stava formando.

Torniamo a bomba: Carlo I convoca il nuovo Parlamento nel marzo 1628, introducendone i lavori con un discorso non molto dissimile da quello che pronuncerà un certo Cavaliere qualche secolo dopo: in pratica Carlo dice ai Comuni di votare i sussidi di cui ha bisogno e non perdere tempo con troppi discorsi noiosi.
I Comuni gli danno retta, e anziché perder tempo in noiosi discorsi si mettono a parlare dei five Knights, delle tasse illecite e così via. Dapprima Coke prepara una bozza di Bill (una legge, quindi); ma poi, non avendo il coraggio di scontrarsi apertamente contro il principio del potere assoluto del Sovrano, si risolsero per una mera Petition of Right.
La Petition passò faticosamente al vaglio dei Lord e fu approvata dal Re, che la approvò dichiarando contestualmente che essa non abrebbe potuto in nessun modo intaccare le sue prerogative.

In effetti la Petition si "limitava" a chiedere il ripristino dei principi di diritto del Regno dalla Magna Charta in poi, e tra gli altri il rispetto dell'habeas corpus e la protezione dagli arresti arbitrari e da tasse ingiuste.
Come abbiamo visto, il Petition of Rights non fu una rivoluzione: non tanto perché Carlo non aveva intenzione di rispettarlo, bensì perché il suo contenuto si limitava a ribadire i princìpi fondamentali del Regno. Ma quello che rileva veramente, è che il Petition sancisce il fatto che il diritto inglese, in origine utilizzato dal Re per contrastare le tendenze centrifughe della nobiltà, ora veniva utilizzato dalla nobiltà stessa contro le tendenze assolutistiche della Corona. Ancora i nobili erano troppo deboli e timorosi, ma già nel gennaio 1629 l'opposizione del Parlamento ad un nuovo arresto arbitrario del Re si risolse nell'approvazione di mozioni ben più dure verso il Re, che infatti sciolse seduta stante la Camera. Ne seguirono 11 anni di esercizio personale del potere, e successivamente la guerra civile che si risolse con il taglio della testa del Re, il 30 gennaio 1649. Ma questa è un'altra storia.

(continua)

venerdì 13 febbraio 2009

Biopalla

C'è questo articolo dello Scorfano che mi ha messo una profonda inquietudine (e non è una figura retorica: è proprio così).
Al primo momento, quando ho letto dell'esistenza di roba come le biopalle, mi sono detto "figata!"; poi, come lo Scorfano, mi sono posto il problema del peso della responsabilità di un piccolo universo, che mi è sembrato eccessivo per le mie spalle (sì, lo so, sembra che mi sia leccato un francobollo, ma credetemi: è così).

Questa storia mi ha ricordato sue racconti di fantascienza letti nella notte della mia adolescenza: chissà se qualcuno li conosce?
Nel primo, rammento che c'era un sottomarino affondato, con un carico di cibo in scatola e qualche pianta. I superstiti avevano creato un microcosmo nel quale producevano ossigeno tramite la fotosistesi, attivata dalle luci di lampadine azionate da un generatore a pedali. Via via i superstiti si erano riprodotti e ormai la popolazione del sottomarino era alla quarta o quinta generazione (c'era molto cibo, a bordo, costituita da poveri malformati con tutte lae malattie genetiche immaginabili. alla fine si salvavano, ma non rammento come.

Nel secondo racconto un narratore spiegava che tra una settimana ci sarà un professore seduto in poltrona che leggerà il giornale; una mosca gli ronzerà intorno e lo infastidirà, e a un certo punto il professore la ammazzerà e getterà nel fuoco. Il narratore dava anche conto dell'esistenza di un altro universo nel quale ci sarebbe stato il medesimo professore, la medesima poltrona e la medesima mosca, che avrebbe fatto la medesima fine. Per avventura l'altro universo è contenuto proprio in una delle zampe della mosca, un atomo delle quali è il sistema solare nel quale vive il secondo professore. Ovvio che nel secondo minuscolo sistema solare il tempo scorre a velocità infinitamente maggiore che nel primo, ma l'evoluzione dei due universi raggiungerà esattamente lo stesso momento nell'istante in cui la mosca sarà stata gettata nel fuoco. Il problema era che non non sappiamo in quale dei due universi ci troviamo da abitare.

giovedì 12 febbraio 2009

Lezioni italoamericane - la cauzione /2

(prosegue da qui)
Un (bel) po' di tempo fa eravamo rimasti verso la fine del 1200 con la stabilizzazione della forma del writ of habeas corpus, che serviva a tirar fuori dalle prigioni chi fosse stato imprigionato arbitrariamente dagli sceriffi, braccio armato dei signori locali.
Dobbiamo considerare che gli sceriffi non erano proprio degli stinchi di santi: disponevano di un potere praticamente assoluto sui sudditi appartenenti alla propria giurisdizione e non esitavano ad esercitarlo nella maniera più arbitraria possibile: non si può certo affermare che lo Sceriffo di Nottingham fosse molto peggio dei suoi colleghi!
Uno di questi poteri era quello di pretendere somme di denaro in cambio della libertà; ma gli sceriffi erano pur sempre organi esecutivi e non giurisdizionali, e quindi non avrebbero potuto, almeno formalmente, irrogare sanzioni; e comunque non erano tutti criminali incalliti dediti al sequestro di persona a scopo di estorsione: così la motivazione per farsi erogare una somma di denaro era quella di costituire un "pegno" (bail) in sostituzione della persona trattenuta.
Il concetto era che il deposito avrebbe sostituito l'imputato fino alla celebrazione del processo, se e quando questo si sarebbe effettivamente celebrato.
L'arbitrio degli sceriffi, e per essi dei loro signori, era duplice: da un lato in quanto avevano piena libertà di fissare l'ammontare che i malcapitati avrebbero dovuto sborsare, e dall'altra perché di regola le somme anziché restare in deposito finivano direttamente nelle tasche dei (pre)potenti di turno.

Questo del bail fu uno dei molti temi affrontati nello Statute of Westminster 1275 (the First): una delle prime leggi inglesi che voleva essere un vero e proprio tentativo di raccogliere organicamente, in una cinquantina di norme, lo stato della legislazione del regno. Una sorta di codificazione ante litteram!
Lo Statute of Westminster I 1275 (per distinguerlo dallo Statute of Westminster II 1285, pure fondamentale, e da quello che impropriamente viene chiamato Statute of Westminster III 1290) conteneva fra le altre (consentitemi la divagazione) una norma che definiva quale sia il limite temporale oltre il quale una consuetudine può definirsi "antica" e quindi fonte di diritto, fissandolo al 1189 (avvento al regno di Riccardo I). E il bello è che ancor oggi il 1189 costituisce il limite della "memoria d'uomo" che rende la consuetudine valida, per quanto il pragmatismo tipico della Common Law abbia alla fine invertito l'onere della prova, non essendo evidentemente possibile dimostrare pratiche di 800 anni fa.

Torniamo alla nostra cauzione: lo Statute definiva una lista di reati, distinguendo per quali di essi fosse concedibile la libertà dietro costituzione del bail e per quali invece non fosse concedibile. Permaneva ancora la potestà dello Sceriffo di determinare la misura della cauzione secondo la ponderazione di tutti i fattori che egli avrebbe potuto prendere in considerazione, ma comunque veniva espressamente statuito che il rilascio in attesa della celebrazione del giudizio era un vero e proprio diritto per il suddito.  Non un balzo in avanti, quindi, ma un bel passo sì.

Un balzo temporale dobbiamo però farlo noi ora, e proiettarci nel XVII secolo, e precisamente al 1628 sotto il regno di Carlo I. Siamo nel pieno dell'età dell'assolutismo: giusto per intenderci, è l'anno sul finire del quale don Abbondio incontra i bravi. In Ispagna Filippo III è morto da poco, lasciando il regno al figlio Filippo IV e per esso al Conte-Duca di Olivares, mentre in Francia regnava Luigi XIII e per esso il Cardinale Duca di Richelieu.
Carlo I non è da meno dei suoi colleghi, quanto a concezione personalistica dello Stato, e i rapporti con il Parlamento e le istituzioni inglesi non sono certo agevolate dal suo essere in fondo scozzese (e sposato con una cattolica), per quanto il padre avesse raccolto la corona inglese unendola a quella scozzese già dal 1603. Purtroppo per Carlo, tutti i monarchi assoluti avevano un'enorme bisogno di soldi, e i cordoni della borsa in Inghilterra erano in mano al Parlamento che era molto più geloso delle proprie prerogative rispetto alle assemblee analoghe del resto d'Europa.
(continua)

Consiglio per la lettura

Mi permetto di consigliare la lettura attenta e completa di questo articolo di Francesco Costa, uno con il quale sono quasi sempre poco d'accordo ma che questa volta ha scritto un piccolo capolavoro di chiarezza su come e perché il Centrosinistra andrà al governo, se ci andrà, solo nella seconda metà del millenniosecolo.

Della televisione che ci piace

Tanto perché siamo in periodo di grandi dichiarazioni, sappiate che se lunedì sera io fossi stato a casa anziché a bere come una spugna con gli amici, mai e poi mai avrei visto una trasmissione di informazione o sedicente tale che per alcune ore mi avrebbe ammannito un dibattito rifritto e ripassato (in senso gastronomico su una notizia inesistente quale il decesso di una persona che tutti si aspettavano prima o poi sarebbe deceduta.
Una volta preso atto della notizia (e sarebbe bastata una mera sovrimpressione) il mio unico problema sarebbe stato quello di decidere se incrementare lo share di X-Factor o quello del Grande Fratello.

Fra l'altro, perché sappiate anche questo, una volta chi aveva in casa un meter auditel poteva ingannarlo, facendogli credere che stava guardando antonello Piroso mentre invece si abbruttiva con Ciao Darwin; poi hanno cambiato i meter, e adesso non lo si può più fare.

Profili costituzionali dell'alimentazione forzata

Ieri sera, non avendo granché meglio da fare, mi sono letto con attenzione la sentenza Cass. Civ. 21748/2007 (la trovate ad esempio qui), facendoci sopra qualche ragionamento.
La prima cosa da notare è che il principio di diritto espresso dalla corte (che trovate come virgolettato, in fondo alla sentenza), definisce il sondino nasogastrico come un "presidio sanitario". E "presidio" viene definito anche nelle varie massime sviluppate dalla sezione del massimario, che tuttavia nel riassunto redatto per la stampa (questo) utilizza la diversa definizione di "trattamento sanitario".
La questione non è di lana caprina, dacché il "trattamento sanitario", a differenza del "presidio", è espressamente normato dall'art.32 Cost., il quale dice, come ormai tutti sanno, che "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana."
Il testo della sentenza, al punto 7.6, è molto chiaro in quanto, secondo la Cassazione,
Non v’è dubbio che l’idratazione e l’alimentazione artificiali con sondino nasogastrico costituiscono un trattamento sanitario. Esse, infatti, integrano un trattamento che sottende un sapere scientifico, che è posto in essere da medici, anche se poi proseguito da non medici, e consiste nella somministrazione di preparati come composto chimico implicanti procedure tecnologiche. Siffatta qualificazione è, del resto, convalidata dalla comunità scientifica internazionale; trova il sostegno della giurisprudenza nel caso Cruzan e nel caso Bland; si allinea, infine, agli orientamenti della giurisprudenza costituzionale...

Ora, una volta accertato che il sondino è un trattamento sanitario, ad esso si applica la riserva di legge costituzionale. Ciò non significa ancora che il trattamento con il sondino sia vietato, si badi. Ma è legittimo porsi il problema se tale trattamento forzato violi "i limiti imposti dal rispetto della persona umana".
Il nostro governo evidentemente ritiene che l'applicazione di un sondino a una persona "non in grado di provvedere a se stessa" non violi tale limite. Il che potrebbe anche avere un senso per una persona in stato vegetativo, ma comincia a pormi forti dubbi per una persona cosciente ma immobilizzata, quale un tetraplegico che esprima con chiarezza il proprio rifiuto a tale pratica.
Del resto i casi in cui una persona può essere sottoposta a trattamenti sanitari contro la propria volontà sono caratterizzati da uno stato di assoluta eccezionalità: vi rientrano infatti i casi di crisi psichiatriche acute, nelle quali il soggetto, sicuramente incapace di autodeterminarsi, può essere pericoloso per sé o per altri, e i casi in cui il rispetto della persona deve cedere nel confronto con la tutela della collettività: nessuno infatti potrebbe affermare che il rispetto della dignità umana possa consentire a un ammalato di Ebola di andare tranquillamente a spasso per Piazza del Duomo!
Inoltre, il trattamento sanitario obbligatorio è estrmamente circoscritto nel tempo (avendo una durata di 7 giorni), mentre qui parliamo di pratiche destinate a durare anche anni.

Si noti poi che la categoria del "non in grado di provvedere a sé stessa" è talmente ampia che potrebbe rientrarci anche quella mia amica che, qualche tempo addietro, si era rotta il bacino in un incidente stradale e che, vi assicuro, non poteva in alcun modo provvedere a sé stessa.
A questo punto si apre un indubbio problema di legittimità costituzionale: posto infatti che la dignità e il rispetto della persona umana , per costante giurisprudenza e comune buon senso, non possono in alcun modo essere fatte dipendere dalle condizioni di salute della medesima, ecco che si viene a porre una inaccettabile disparità di trattamento (contraria al principio di uguaglianza sancito nell'art.3 Cost) tra coloro in grado di provvedere a sé, che non possono essere forzati ad alimentarsi, e coloro che in grado di provvedere a sé non sono, che possono essere al limite immobilizzati, qualora immoobili non siano per sé, e alimentati forzatamente.
Ne consegue che, a mio parere, il decreto preparato dal Governo era incostituzionale. Perché allora il Presidente Napolitano non ha addotto questi profili di merito invece dei profili formali relativi all'assenza dei requisiti di necessità e urgenza?
Immagino che vi siano due possibili ragioni. Da un lato, il ragionamento che abbiamo svolto, pur limpido, entra profondamente nel merito della norma: probabilmente il Presidente ritiene che il suo compito di tutore della Costituzione non si estenda al sindacato sul merito se non eni casi di evidente e manifesta incostituzionalità, vale a dire nei casi in cui non sia necessario sviluppare ragionamenti articolati. Del resto, come già abbiamo accennato, il Presidente della Repubblica è un organo monocratico mantre la Corte Costituzionale collegiale, quindi il suo potere di scrutinio è da esercitarsi con molto maggiore cautela (gli stessi costituenti, del resto, hanno previsto che qualora il Parlamento reiteri una norma respinta, egli abbia il dovere di promulgarla).
In secondo luogo, discettando del merito anziché del metodo egli si sarebbe legato le mani da solo: una volta affermata l'incostituzionalità della norma e non del suo procedimento emanativo, egli non avrebbe potuto far altro che respingerla qualora il Parlamento l'avesse approvata: ed è probabile che Napolitano abbia voluto scrupolosamente evitare uno scontro con il Parlamento.

martedì 10 febbraio 2009

Le Pascal retrouvé

Lettera aperta di un Uomo comune al Senatore Rutelli Francesco
Egregio Senatore,
ho appreso dalla stampa che Ella ha presentato un emendamento in dissenso dal Gruppo parlamentare cui appartiene. Mentre il Gruppo, infatti, tramite un suo proprio emendamento, chiede che venga rispettata la volontà di ciascuno sull'essere fatto oggetto di alimentazione forzata, il Suo emendamento tende ad escludere che tale volontà sia presa in considerazione.
Più grave ancora il fatto che la Capogruppo del Suo Gruppo in Commissione Sanità non abbia firmato l'emendamento del Gruppo. Io ho come noto una vecchia ruggine verso il concetto del bipolarismo, dell'"o di qua o di là"; e ne ho ben donde, dato che in questo caso in Commissione abbiamo tutt'altro che il proliferare incontrastato di posizioni diverse e frazionate, bensì una sola, unica posizione, che guarda caso è proprio contraria al mio sentire e a quello di milioni di persone che come me la pensano.
Ma veniamo al merito del problema.
Lei è evidentemente convinto, per dirla con il suo sòdale Formigoni, che qualunque vita sia degna di essere vissuta. Io non la penso come Voi.

Credo che una persona ridotta allo stato vegetativo o assimilabile (vale a dire nelle stesse condizioni di una sfortunata donna che ha recentemente fatto scorrere fiumi d'inchiostro) sia del tutto incosciente e incapace di rendersi conto del proprio esistere. anzi: lo spero, per i motivi che dirò in seguito.

Io non credo che una volta morti esista qualcosa come il Paradiso, il Nirvana o chissà che; non lo credo ma non sono in grado ovviamente di escluderlo.Bene: se non esistesse una vita ultraterrena, la condizione dell'uomo ridotto a vegetale e quella del deceduto sarebbero del tutto assimilabili: e quindi potrebbe non importarmene nulla, del giacere attaccato a un sondino. Me ne importa ora, perché pavento il dolore e i sacrifici che i miei famigliari, se volessero accudirmi, dovrebbero sopportare; e sono tanto cinico dall'affermare che anche il bilancio pubblico ne soffrirebbe, del tenermi lì attaccato contro la mia volontà; ma -ripeto- una volta lì, non me ne fregherebbe nulla.

Certo, Lei crede che esista, un'altra vita. E non crede che costringere una persona incosciente in un letto per 17 anni, ritardando di altrettanti anni il suo ricongiungersi con il Dio, il Principio Universale, il Motore Immobile o qualunque altro nome voglia attribuirgli, sia una gran vigliaccata, da parte Sua?
Certo, di là c'è l'eternità, e 17 anni son ben poca cosa, al confronto; ma chi diavolo è Lei per deciderlo? Un Dio minore, forse?

Ma veniamo alla parte brutta. Immagini per un momento che in quello stato l'uomo non sia completamente incosciente. Immagini per un attimo che quella signora fosse in grado di percepire tutto quello che succedeva intorno a sé, ma che non fosse in grado di reagire. Immagini che quella signora, malgrado le indicazioni contrarie degli strumenti di misura (che come da Voi stessi affermati, non possono dirci tutta la verità sull'Uomo) fosse sveglia, o semisveglia in una sorta di nebbia.
Immagini, per fare un paragone, di essere immerso in un blocco di resina trasparente che la avvolga completamente, mascella compresa, e di ricevere aria e cibo attraverso due tubicini.
Si chieda quanto tempo impiegherebbe a impazzire. Lei è una persona colta, sa per certo che la paura dell'essere sepolti vivi è una delle più ancestrali paure dell'Uomo, mitigata solo dalla consapevolezza che quand'anche dovessimo subire tale sorte, sarebbe per un periodo brevissimo in quanto moriremmo per mancanza d'aria o al limite di cibo.
Immagini di essere sepolto vivo per un mese, per un anno, per un decennio. Non preferirebbe migliaia di volte il nulla, se nulla debba essere? E non preferirebbe milioni di volte il Paradiso, se Paradiso dovrà essere? O forse ha tanti peccati da scontare che teme le fiamme dell'Inferno? E forse proietta questa sua paura sul mondo che La circonda, e crede che la sua missione sia quella di salvare anche me dall'Inferno, ritardando il più possibile il mio incontro con il Demonio?

La ringrazio, ma desidero far fronte alle mie responsabilità da solo; e credo che, al di là di discorsi vuoti quali laicità dello Stato, Costituzione e pinzillacchere fuori moda di questo genere, che certo non Le interessano, il Suo e quello dei Suoi correligionari sia anzitutto un problema di mancanza di rispetto e di buona educazione nei miei confronti.
Le sarei grato se volesse dimenticarsi della mia esistenza e smettersi di preoccuparsi per me. Lo faccia, se non altro, per rispetto del buon vivere.

Senza vergogna


Secondo Repubblica questo signore qui a fianco, tale Rino Fisichella di professione monsignore, avrebbe dichiarato:
''Il mio rammarico'' che si aggiunge alla tristezza per la morte di Eluana Englaro ''è che è morta sola, completamente sola quando sarebbe bene che chi sta attraversando la soglia della vita lo potesse fare stringendo la mano di una persona cara
Sarebbe stato troppo aggiungere che chi avrebbe voluto stare lì a stringerla, quella mano, non poteva esserci perché ha dovuto portare la figlia a Udine, non potendo restare a Lecco per colpa del presidente della Regione Lombardia, al soldo dei datori di lavoro del Monsignore?

E che la predetta persona anziché restare a Udine, è dovuta tornare a Lecco perché i fanatici seguaci dei datori di lavoro del monsignore medesimo volevano togliere al padre la tutela della figlia, malgrado una sentenza definitiva affermasse che lui ne aveva pienamente rispettato le volontà?

A futura memoria

Tanto perché ne rimanga traccia, desidero far sapere a chiunque che se dovessi trovarmi in stato vegetativo, di minima coscienza, di coma irreversibile o come diavolo lo si voglia chiamare, gradirei moltissimo che mi sia risparmiato il permanere in quella situazione.
Se possibile, vorrei che ciò fosse fatto in tempo ragionevole, senza aspettare 17 anni.

Qualora invece dovessi perdere la vita in un incidente stradale, sarei infinitamente grato se tutti coloro che mi volessero ricordare evitassero con la massima cura di appendere fiori, veri o di plastica, al semaforo o al palo della luce contro il quale la mia vettura avesse avuto a schiantarsi.
Sarebbe il caso di evitare anche l'apposizione ai muri di lapidi, con o senza la mia fotografia, o bigliettini disegnati a mano o stampati con clipart di Word.
Sapevatelo.

Un'altra Eluana Englaro

Per solito cerco di scrivere su questo schermo cose non dico proprio originali, ma perlomeno non del tutto scontate: oggi quindi cerco di partire dalla morte della signora Englaro per cercare di ragionare sui meccanismi della nostra democrazia.

Nei post precedenti ho spiegato come e qualmente ritenessi che la mossa del Governo di risolvere il problema mediante l'emenazione di un decreto-legge fosse tanto formalmente corretta quanto maledettamente censurabile nel merito.
Oggi la situazione è mutata, il che comporta anche il venir meno di quel "tifo" cui accennavo, quel desiderio intimo che si è sviluppato in tutti noi acché la signora Englaro potesse morire in pace o potesse vivere ancora a lungo; e quindi questo ragionamento può essere seguito e forse apprezzato anche da parte di coloro che ritenevano giusto il comportamento del Governo, per fede o per intime convinzioni.

Qualunque opinione si possa avere sulla sacralità della vita, è importante, oggi, comprendere che c'è un'altra Eluana Englaro che giace in un letto d'ospedale alimentata artificialmente e incapace di alzarsi o riscuotersi dalla propria condizione. Questa signora Englaro bis è la democrazia italiana, quella nata dalla Resistenza e incarnata nella Costituzione.
La seconda parte della nostra Costituzione, quella che disciplina i rapporti tra i vari poteri dello Stato, è una costruzione mirabile quanto poche altre nel mondo. Ogni volta che per questo o quel motivo vado a leggere i lavori della Costituente rimango sbalordito dal vedere come un'accozzaglia di idee confuse sia passata attraverso il vaglio di una moltitudine di teste, ciascuna con i suoi pensieri e le sue ideologie, e attraverso lo strumento del dibattito e della votazione sia divenuta un piccolo capolavoro.
Il confronto tra i dibattiti di sessanta e passi anni fa e le dichiarazioni di voto stereotipate del Parlamento di oggi risulta una lettura del massimo interesse anche per chi non abbia una seppur minima infarinatura di diritto o di politica.

Emerge, anzitutto, la profonda e disinteressata passione di quegli uomini per il lavoro che stavano svolgendo. Ciascuno dei costituenti era lì perché credeva che la sua missione fosse di esser lì, non perché in tal modo si sarebbe assicurato una poltrona e una serie di prebende.
Emerge, inoltre, l'onestà intellettuale che si sostanziava nella capacità di cambiare idea. Quelle persone dibattevano, e attraverso il dibattito si convincevano l'un l'altro, e votavano ciò di cui si erano convinti.
Oggi l'attività del parlamentare consiste nel mettere a disposizione il proprio dito per schiacciare il pulsante che viene indicato dal capo del proprio gruppo parlamentare.

Di fatto il nostro Parlamento sta diventando un'assemblea condominiale, dove si contano non già le teste bensì i millesimi. Le teste sono i partiti, e i millesimi sono i parlamentari. E mi sia consentito di sottolineare che anche il proprietario di un piccolo box in un supercondominio ha diritto di partecipare e votare. Anche il possessore di una sola azione può partecipare all'assemblea di Telecom o Generali, e prendere la parola, e votare. Mentre in Parlamento no, bisogna avere almeno i 40 millesimi, per essere ammessi.
E' una sciocchezza la riduzione a 200 o a 100 del numero di parlamentari. Basterebbe ridurre il Parlamento a una sala riunioni, magari un po' elegante, nella quale si troverebbero settimanalmente i quattro o cinque attuali capigruppo, ciascuno con tanti voti quanti sono gli uomini che oggi siedono in aula.

Credo che neppure il più ingenuo dei miei 19 lettori creda davvero che un qualsiasi deputato possa alzarzi, pronunciare un discorso il più veemente e trascinante che si sia mai sentito, e con ciò spostare un solo voto. E quelle volte in cui uno dei parlamentari decide di cambiare bandiera, subito si rimette con disciplina alle direttive del nuovo schieramento, ben consapevole che la punizione in caso di sgarro sarebbe la mancata possibilità di ripresentarsi alle elezioni.
Questo, signori miei, vuol dire svuotamento della funzione del Parlamento: e quando il Parlamento si svuota, è il Governo che prende le redini del potere. Mi ha fatto piacere constatare che nella sua ultima articolessa domenicale Eugenio Scalfari abbia ricordato quel discorso che avevo già citato qui: dimostra che l'odore di autoritarismo e di dittatura non sono il solo a sentirlo.

Il problema è che la nostra Costituzione, come tutte le cose di pregio, è molto fragile. E' stata pensata per funzionare in un regime parlamentare e proporzionale, non in una regime maggioritario. Il fatto è che il Parlamento è lento, ma ciò è stato voluto e costituisce una garanzia del fatto che le leggi siano fatte bene
Per scriverla, la nostra Costituzione, ci è voluto un anno e mezzo: non una settimana di montagna a Lorenzago: è tanto, un anno e mezzo, ma speso bene se consideriamo che quella Costituzione ha retto onorabilmente per sessant'anni.

Per compensare la lentezza del Parlamento, i costituenti hanno disegnato un sistema di equilibrio dei poteri che conferisse grande autonomia d'azione al Governo, ponendogli il vincolo della fiducia delle Camere.
Quando ci hanno raccontato che il Parlamento era inefficiente, e che ci sarebbe voluto una bella svolta maggioritaria e magari uno sfrondamento delle forze minori, non ci hanno raccontato questa parte della storia. E così oggi ci troviamo uin Parlamento estremamente efficiente e rapido, ma efficiente e rapido nel ratificare ciò che viene deciso altrove; e il vincolo della fiducia, che era il freno all'autonomia dell'azione governativa, è ormai svuotato di qualunque significato, dato che Governo e maggioranza parlamentare dipendono dalla stessa persona.

Pensiamoci, quando saremo chiamati a votare per il prossimo referendum elettorale. Pensiamo quale porcata stava per fare il governo Berlusconi, pensiamo quante altre ne ha portate a termine e cerchiamo di portare la nostra testimonianza dovunque possiamo per cercare di frenare la corsa verso il baratro. E rendiamoci conto che dobbiamo ripartire dal basso, in prima persona, perché in alto abbiamo solo Veltroni.

lunedì 9 febbraio 2009

Regole /2

Prescindendo dalla circostanza che uno possa o meno condividere l'analisi del post precedente, mi sembra necessario ora chiarire il perché profondo, di questa mia impuntatura sul rispetto delle regole.

Il primo motivo è preso detto: malgrado il presidente Napolitano goda di ottima salute, non possiamo nasconderci che si tratta di una persona di 83 anni, che alla scadenza naturale del mandato ne avrà 88. Se come tutti auguriamo egli godrà ancora di vita lunga e prosperosa, è probabile che, come in casi passati e specificamente nel 2006, il nuovo presidente sarà eletto nel 2013 dalle nuove Camere appena elette. E' possibile che in tali Camere la maggioranza sarà non di destra: del resto non c'è alcuna legge fisica che impedisca che la mia tastiera si vaporizzi istantaneamente: secondo il secondo principio della termidinamica ciò è possibilissimo, solo molto improbabile.
Qualora invece al Presidente dovesse venire qualche malanno prima del 2013, il nuovo Presidente sarebbe eletto dalle Camere attuali.
In ambo i casi, la probabilità che il nuovo Presidente sia il Cavalier Silvio Berlusconi è -come dire- elevata.

E' pure sommamente improbabile che il nuovo PresConsMin, l'onorevole Gasparri, si trovi mai in situazioni di conflitto con il PresRep, che gli passerà le veline da sottoporgli per la firma.
Ma, ipotizzando per assurdo che a seguito di una improvvisa mutazione genetica del popolo italiano si scateni una mezza rivoluzione e vada al potere un bolscevico, tipo Enrico Letta, bé, allora desidererei che le competenze fossero ben definite e che quel comunista potesse esercitare il suo potere controllato, ma non diretto, dal Cavalier Berlusconi.
Ogni forzatura delle regole crea un precedente che si ritorce contro chi l'ha esercitata: ricordate l'improvvida idea del Governo Prodi, di fare quel pateracchio di semiriforma costituzionale "federalista" a maggioranza, negli ultimi giorni del suo governo? Non raccolse un solo voto in più, alle elezioni; non servì a nulla, la riforma; in compenso da allora qualunque forzatura a maggioranza della Costituzione si trova sdoganata. Berl risultato, niente da dire.

Il secondo motivo è un po' più complesso.
Il sistema delle regole, il Diritto, è un po' come un reticolo sul quale si attaccano i contenuti. Il Diritto non deve specificare quali sono i contenuti, ma come funzionano le relazioni tra i medesimi e quali sono i limiti.
Dal punto di vista del Diritto, è lecita una presa di posizione nel merito se nell'organizzazione del sistema il merito va contro una norma di grado anteriore. Così, una legge che abolisse il voto per le donne sarebbe attaccabile, nel merito, in quanto contraria ai principi costituzionali che hanno forza superiore.
Ma se non c'è il cappello della Costituzione, allora la critica al merito delle leggi deve essere politica, non giuridica.
La responsabilità di una legge ingiusta non è dei giudici ordinari o della Corte Costituzionale e neppure del Presidente della Repubblica. La responsabilità di una legge ingiusta è del Parlamento, in via immediata; ma il Parlamento è solo un mandatario del Popolo che lo elegge.
La responsabilità di una legge ingiusta quindi è del Popolo ialiano; e finché tenderemo a delegare al Diritto la responsabilità di mettere una pezza alle porcate che si fanno a Montecitorio e a Palazzo Madama, continueremo ad obliterare il fatto che in quelle aule siedono un migliaio di persone la cui maggioranza rappresenta la maggioranza degli italiani, ci piaccia o meno.
La subalternità dello Stato alla Chiesa non è stata conquistata dal Vaticano a colpi di cannone: sono gli Italiani che hanno premiato Casini e punito Boselli (l'unico che alle scorse elezioni si sia presentato sotto la bandiera della laicità dello Stato, e che ha preso una bastonata sonorissima).
Se questo è uno stato clerical-fascista ciò non deriva dal fatto che le regole sono sbagliate, o che le regole sono giuste ma non vengono applicate. Se questo è uno Stato clerical-fascista dipende dal fatto che gli italiani sono un popolo che sta diventando sempre più clerical-fascista.

I nostri parlamentari pensano che si possa costringere la signora Englaro a vivere, e contemporaneamente allontanano dalle cure un padre immigrato, che prima di portare in ospedale un figlio gravemente sofferente deve porsi il dubbio se ne potrà o meno uscire libero o sarà trasportato in un lagerCPT.
Ma i nostri parlamentari, bene o male, sono solo lo specchio dei nostri concittadini. E se sul caso Englaro è possibile che la maggioranza del Paese la pensi diversamente dalla maggioranza del Palazzo, sul caso delle cure ai clandestini la maggioranza del Paese la pensa esattamente come la maggioranza del Palazzo.

E' per questo che non dobbiamo richiamarci alle regole, ma al merito delle cose: per renderci conto che il Palazzo fa schifo, ma se a decidere dovesse essere non l'aula, ma il vagone della metropolitana sul quale state viaggiando, bé il risultato forse sarebbe il medesimo, e probabilmente sarebbe ancora peggiore.

E' per questo che vado al lavoro in bici ;-)!

domenica 8 febbraio 2009

Regole

Questo non è un post sulla signora Englaro o sul diritto alla vita o alla morte, bensì sulle regole. E' solo a scanso di equivoci che ci tengo a precisare nuovamente che io tifo perché quella povera donna possa finalmente liberarsi e andare in Paradiso, se esiste, o nel nulla.
Ho usato il termine tifo perché questa vicenda tocca profondamente ciascuno di noi, e credo che ciascuno abbia assunto un'opinione ben precisa da una o dall'altra parte, e speri ardentemente che la situazione abbia uno o un'altro esito.
Al tifoso interessa che la squadra vinca: anche se il rigore era rubato; e anch'io sono contento che la situazione della paziente si stia evolvendo nella direzione che auspico. Nondimeno ritengo che sia stato fischiato un rigore che non c'era, e sento di doverlo scrivere e motivare, anche se non sono né un direttore di giornale né un'insigne costituzionalista, ma solo uno che al tempo ha dato qualche esame con buoni voti.
L'art. 77 della Costituzione recita:
Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.
Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni.
Quello su cui ci troviamo a dibattere in questo momento nel Paese è la portata e il significato di questa norma: c'è chi ritiene che nel caso specifico, quello del decreto sull'alimentazione forzata, manchi il requisito della necessità, dato che finora non se ne era sentito il bisogno; c'è chi ritiene che manchi il requisito dell'urgenza, dato che l'urgenza sarebbe costituita dalla signora Englaro, ma riconoscendolo si farebbe una legge ad personam il che sarebbe vietato; chi poi ritiene che un decreto violerebbe il principio di separazione dei poteri andando contro il principio della cosa giudicata (tesi che avevamo confutato qui) o dell'autonomia del Parlamento perché alle Camere è già in discussione una legge sul tema (tesi del Presidente della Repubblica).

Lasciamo perdere i discorsi sui principi astratti quali la separazione dei poteri, ché quattro ore spese disputando sull'entelechia darebbero frutti maggiori, e vediamo di concentrarci sull'inciso in casi straordinari di necessità e d'urgenza.
Nel diritto in generale, e nel diritto pubblico in particolare, spesso le parole hanno un significato diverso dal comune. Chessò: se presto una macchina a un amico perché vado in America, giuridicamente sono io ad averne il possesso; ma nella vita comune tutti diranno che è lui, che la possiede.
Lo stesso vale in questo caso per "straordinarietà", "necessità" e "urgenza".

Partiamo da "necessità", che può avere due aspetti: uno sostanziale e uno formale. Dal punto di vista sostanziale, una cosa necessaria è una cosa della quale si senta un indefettibile bisogno; il problema è che al mondo vi sono tante teste e ciascuna ragiona a modo suo, così ciò che per me è necessario (il diritto ad andarsene in pace) è completamente diverso da ciò che è necessario per il Cardinale Ruini (il diritto a tenere in vita un paziente). Poi c'è un aspetto formale, che consiste nel verificare che -una volta determinato il risultato cui si vuole arrivare- l'ordinamento giuridico non offra mezzi diversi per giungervi. Se ad esempio fosse possibile definire una norma per via regolamentare, anziché per legge, la decretazione d'urgenza mancherebbe del requisito formale della necessità, pur restando impregiudicata la questione della necessità sostanziale.

Per quanto riguarda l'"urgenza" vale un analogo discorso: l'urgenza dipende dalle circostanze, non è scritta nel marmo; e le circostanze dipendono in gran parte dall'occhio di chi le osserva. Io posso pensare che sia urgente modificare l'ordinamento scolastico, altri che sia urgente disciplinare il matrimonio tra omosessuali; quello che è certo è che nella prassi repubblicana lo strumento del decreto-legge non è stato riservato solo ai casi di calamità naturali: il governo Prodi, per dire, emanò decreto-legge in tema di lotta all'evasione fiscale, intercettazioni telefoniche o tutela dei consumatori (il mitico decreto Bersani): tutte cose che certo in Italia non erano saltate fuori così, all'improvviso!

Insomma: chi è che decide la "straordinaria necessità e urgenza"? Semplice: le decide il Governo. Non lo dico io: lo dice la Costituzione, con quell'inciso "sotto la sua responsabilità". E' interessante la storia di quell'inciso, in quanto non fu votato in Assemblea Costituente durante la discussione dell'articolato, ma fu introdotto dal Comitato di redazione, incaricato di coordinare il testo uscito dall'Assemblea, al fine di chiarire al di là di ogni dubbio che la responsabilità politica non pertiene al Presidente della Repubblica, che in questo campo è mero Notaio.
La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza 171/2007, ha chiarito che la formula "in casi straordinari di necessità e d'urgenza" "comporta l'inevitabile conseguenza di dare alla disposizione un largo margine di elasticità. Infatti, la straordinarietà del caso, tale da imporre la necessità di dettare con urgenza una disciplina in proposito, può essere dovuta ad una pluralità di situazioni (eventi naturali, comportamenti umani e anche atti e provvedimenti di pubblici poteri) in relazione alle quali non sono configurabili rigidi parametri, valevoli per ogni ipotesi." E la Corte stessa nella medesima sentenza ha dichiarato la propria competenza a giudicare ex post la sussistenza dei requisiti di necessità e urgenza, ma che "il suo esercizio non sostituisce e non si sovrappone a quello iniziale del Governo e a quello successivo del Parlamento in sede di conversione – in cui le valutazioni politiche potrebbero essere prevalenti – ma deve svolgersi su un piano diverso, con la funzione di preservare l'assetto delle fonti normative e, con esso, il rispetto dei valori a tutela dei quali detto compito è predisposto", talché "Ciò spiega perché questa Corte abbia ritenuto che il difetto dei presupposti di legittimità della decretazione d'urgenza, in sede di scrutinio di costituzionalità, debba risultare evidente e perchè sia intervenuta positivamente soltanto una volta in presenza dello specifico fenomeno, divenuto cronico, della reiterazione dei decreti-legge non convertiti".
In buona sostanza, con quell'"evidente" la Corte sta dicendo che il suo sindacato sulla sussistenza della straordinaria necessità e urgenza non può spingersi alla valutazione del merito del provvedimento, bensì solo alla coerenza dei presupposti nel sistema delle fonti. Infatti nel 1995 ha dichiarato l'incostituzionelaità di un decreto-legge a seguito della sua continua reiterazione, senza entrare nel merito; e nel 2007 ha dichiarato l'incostituzionalità di una norma contenuta in un decreto-legge ancora senza entrare nel merito, ma sulla base della constatazione che nella premessa al dl non era stato dato conto della necessità e urgenza di quella norma: verifiche del tutto formali, pertanto!

Il Presidente della Repubblica, che non è un organo politico bensì di garanzia, non può che limitare il suo vaglio nei limiti che la stessa Corte Costituzionale si è data, e quindi rifiutare la firma di un decreto legge in due casi: o perché contiene norme incostituzionali (come per una legge ordinaria), o perché il procedimento emanativo risulta evidentemente in spregio al dettato dell'art. 77, inteso come lo intende la Corte Costituzionale.

All'esito di questa -fin troppo lunga- analisi, la mia personale opinione è che sulla vicenda di cui stiamo trattando abbia ragione Berlusconi e torto Napolitano. Se mi ostino a dichiararlo, pur andando contro il mio sentimento riguardo al destino della signora Englaro, è perché al di là dei singoli casi è comunque sempre fondamentale: a) la comprensione e b) il rispetto delle regole. Le regole sono la barriera tra la civiltà e il diritto, da un lato, e la barbarie e l'autoritarismo, dall'altro. Le regole sono anzitutto l'arma dei deboli, dato che chi è forte ha i mezzi per conseguire i propri interessi in altro modo, mentre chi è debole ha spesso come unico mezzo l'appigliarsi al rispetto della regola.
La stessa Costituente non voleva inserire in Costituzione l'istituto del decreto-legge: ed è ben comprensibile, essendo l'Italia uscita da un ventennio in cui le leggi le faceva il Governo anziché il Parlamento. L'istituto del decreto-legge fu introdotto perché si riconobbe che, in caso di necessità, il Governo comunque avrebbe comunque agito precedendo le Camere, e quindi sarebbe stato meglio dare delle regole che non darne per niente, lasciando spazio all'arbitrio:
"Meglio quindi fare in modo che un simile potere del Governo venga esattamente e precisamente delimitato. Quando l'esperienza storica dimostra che anche negando tale potere nelle Costituzioni, come quella anglosassone in cui praticamente è escluso, si finisce per far uso della potestà di ordinanza, è molto meglio mostrarsi aderenti alla realtà nel riconoscere simile potere al Governo, disciplinandolo in maniera sicura.

(continua)

sabato 7 febbraio 2009

Mi sento solo

L'altro ieri ho scritto questa frase, che era ambigua, ed infatti le è stato dato un significato del tutto diverso da quanto intendevo: ora vorrei spiegare perché mi sento solo.
Il 18 aprile 1993 il 77% degli italiani (praticamente l'intero corpo elettorale, data la fisiologica astensione del 20-25% di cui parlavo qui e qui) è andato a votare su invito di Mariotto segni, e in misura plebiscitaria (l'82 e rotti percento) si è espresso per introdurre un sistema elettorale maggioritario. Io ero ferocemente contrario, e venivo guardato come un marziano.

Il 18 aprile del 1999 il 49,6% degli italiani è andato a votare, e di costoro il 91,5% si è espresso per eliminare la residua quta proporzionale dalla legge elettorale della Camera dei Deputati. Come ognun sa, il referendum deve raggiungere il quorum del 50% e quindi la proposta non passò; sta di fatto che, al netto dell'astensionismo fisiologico, la maggioranza degli italiani era schierata in tal senso e il mancato raggiungimento del quorum un puro colpo di culo.

Nel corso del 2007 circa 800.000 cittadini hanno depositato la propria firma per sostenere altri referendum elettorali al cui esito, in caso di raggiungimento del quorum e vittoria dei sì, la legge elettorale sarebbe stata riformata in senso non più semplicemente bipolare ma addirittura bipartitico. I più attenti tra i politici italiani hanno immediatamente capito che lo spirito del tempo andava nel senso di una facile vittoria dei sì e, complice anche un'improvvida e -mi sia consentito- stupida presa di posizione del segretario di una forza politica di recente formazione che riteneva di poter fruttuosamente cavalcare l'onda di tale riforma, hanno ritenuto di potersi salvare almeno momentaneamente facendo mancare il proprio appoggio -necessario, dati i numeri in Senato- al Governo. La manovra è stata condotta con grande sapienza, tanto che ancor oggi due italiani su tre sono convinti che la caduta di quel governo sia da attribuirsi alle forze politiche della cosiddetta sinistra radicale.

Nel 2009, salvo sorprese, si terrà il referendum elettorale di cui sopra, la cui celebrazione era stata sospesa in conseguenza dello scioglimento delle Camere. Tutto fa pensare che il quorum sarà raggiunto, e di un bel botto. Nel frattempo un accordo tra i due maggiori partiti presenti in Parlamento ha modificato la legge elettorale delle elezioni europee, introducendo una soglia di sbarramento che, considerata la vunzione dell'Assemblea comunitaria, non ha alcuna ragion d'essere se non nella volontà di sfrondare le forze di minor dimensione nell'attesa di raccoglierne i voti.

In tutto questo tempo gli organi di stampa hanno, con ammirabile coerenza, indottrinato i cittadini italiani sui mali della frammentazione della rappresentanza parlamentare, facendo passare come dimostrata l'equazione frammentazione=corruzione, grazie al collegamento temporale tra il fenomeno del multipartitismo e l'involuzione criminale della politica italiana tra i tardi '80 e i primi anni '90, sfociata nel fenomeno colloquialmente conosciuto come "tangentopoli". Si tratta di una fallacia logica del tipo cum hoc ergo propter hoc che si è stabilmente affermata come vera nell'opinione di una stragrande maggioranza di concittadini.

Io affermo che quale conseguenza di questi fenomeni attualmente la rappresentanza politica parlamentare è la più dequalificata, incapace e ignorante che questo paese abbia mai avuto. Che la seconda proposizione sia vera, lo dimostrano fuor di ogni dubbio i fatti della settimana; che ciò dipenda dalla deriva maggioritaria è una mia opinione che so essere assolutamente minoritaria e che non ho gli strumenti per dimostrare logicamente.

Oggi peraltro Enzo Mauro in un lungo articolo scrive:
Quirinale e Parlamento devono capire che il governo assumerà il potere legislativo attraverso i decreti legge, della cui ammissibilità sarà l'unico giudice, con le Camere chiamate ad una ratifica automatica di maggioranza e il Capo dello Stato costretto ad una firma cieca e meccanica.
A legger bene queste righe, mi sembra che sia evidente la connessione tra la deriva bonapartista di cui viene accusato il PresConsMin e la riduzione delle Camere a mera rappresentanza formale di una sovranità che ormai è stata -dal punto di vista reale- attratta dalle segreterie dei partiti e specificamente dai designatori delle candidature.

Ma so di essere solo, nel pensare ciò; e so che gli italiani voteranno l'ennesimo referendum di quel Segni che propugna il sistema maggioritario pur essendo in grado al più di raccogliere un consenso da prefisso telefonico internazionale.

venerdì 6 febbraio 2009

Procreazione assistita

E' in vigore in Italia una legge che pone vincoli rigidissimi alla possibilità di accedere alle tecniche di procreazione assistita: tanto che una coppia omosessuale o non sposata deve andare all'estero se vuole avere un figlio con questi metodi.
Il nostro PresConsMin oggi ha detto che la signora Englaro potrebbe avere dei figli.
Ma non è possibile che la predetta si sposi, non essendo evidentemente in grado di esprimere il necessario consenso; né potrebbe avere rapporti sessuali leciti (il futuro padre sarebbe infatti imputabile per stupro, per lo stesso motivo dell'assenza di consenso).
Forse che il PrensConsMin voglia cambiare la legge sulla procreazione assistita, magari tramite decreto?

Compiacimento

Ci sono anche delle cose che fanno piacere. Ad esempio questa intervista a Valerio Onida, che oltre che della mia commissione di laurea fu Presidente anche della Corte Costituzionale, per cui è uno che se ne intende.

E che dice, con una chiarezza che certo io non ho, quello che anticipavo qui, vale a dire che -dal punto di vista costituzionale- il decreto-legge del Governo che vorrebbe imporre l'alimentazione della Signora Englaro sarebbe perfettamente legittimo per quanto concerne il metodo (prescindendo quindi dal merito del contenuto della norma). Certo, si tratta di roba molto tecnica, da giurista: tanto che anche Enzo Mauro, che di solito è accorto e preciso, prende un abbaglio e scrive fischi per fiaschi asserendo che il decreto lederebbe l'intangibilità della cosa giudicata. Non è vero.

A parte la soddisfazione per non aver passato del tutto invano del tempo sui libri, questa notizia è interessante anche perché pone in diversa luce l'atteggiamento del Presidente della Repubblica: Napolitano infatti fin'oggi è stato forse il più notarile tra i Presidenti succedutisi negli ultimi 30 anni (da Pertini in poi, diciamo). Il suo intervento a gamba tesa e senza il paracadute di un difetto formale nella proposta del Governo può forse farci meglio sperare per il futuro?

Aggiornamento: Dunque il CdM ha voluto andare alla prova di forza con il Quirinale e approvare il decreto. Io dico che alla fine Napolitano firma, voi che ne pensate?

Aggiornamento/2: Sembra che non firmi... mah, speriamo in bene!

Sfoghetto

Passata la sorpresa per aver letto inaspettate manifestazioni d'affetto (e non è un artificio retorico) vado a ridefinire ciò che ho scritto ieri sera preso dallo sconforto dopo aver letto dei risultati di una giornata all'esito della quale il nostro è divenuto un paese peggiore.

Anzitutto partiamo da una dichiarazione di metodo: chi scrive lo fa anzitutto per sé stesso, anche se il fatto di essere letti e apprezzati non guasta. Come ben sa Giovanna, uno può nutrirsi di spaghetti Barilla con il pesto della Slunga, o di trofie tirate a mano con il pesto del mortaio; e in antrambi i casi non morirà di fame, ma vuoi mettere la differenza?
No, lo sfogo non riguardava questa finestra, bensì l'incapacità -mia e non solo mia- di far transitare messaggi che siano in grado di modificare, anche infinitesimamente, qualche visione del mondo.
Quando scrivo che il comportamento di Sacconi grida vendetta e che questo è un paese di merda, lo scrivo per me e in subordine per i trenta lettori, ma sono perfettamente consapevole che non convincerò nessuno, che già non ne sia convinto, che questo E' un paese di merda.

Perché il messaggio che scrivo si perde nel rumore dei milioni di messaggi che vengono scritti e che perlopiù non verranno mai letti, salvo taluno, sporadico, che verrà letto frettolosamente come passatempo tra un integrale e un 700, secondo il mestiere di ognuno (quello del rumore è un tema cui accennavamo, nella settimana dei Commentatori Ufficiali ;-), parlando di Wikipedia, in particolare qui nota di colore: pensavo di essermi rincoglionito, che ricordavo di averla già tirata fuori dal cappello la Comune, ed eccola qui, finalmente la ritrovo!).
La facilità con cui si possono scrivere e pubblicare cose fa sì che il nostro universo informativo si stia evolvendo nella direzione della mappa di Borges: ognuno crea la sua opinione e diviene sordo a quelle altrui, esattamente come succede nel 90% delle discussioni su it-wiki.

Il bello è che non è che ci tenga molto a convincerlo, il prossimo: ho smesso di fare politica uscito dal liceo; sono stato iscritto a un partito per un anno (ma in effetti per due riunioni sole, all'esito della cui seconda non mi son più appalesato); ho fatto anche il sindacalista allontanandomi disgustato anche dal sindacato, e sono giunto, all'esito di questo percorso personale, a considerare che il mondo può andare anche a rotoli mentre io lo guardo da fuori e mi occupo di me, di mio figlio e di quei pochi amici di una vita.
L'ultima volta che ho lottato è stato per oppormi alla deriva maggioritaria di Mariotto Segni, deriva che ci ha portato a quel che siamo oggi, un paese costretto a scegliere tra un furfante e un inetto. Ambedue ostaggi della conta dei voti e costretti ad appellarsi ai peggiori istinti dell'uomo: il bastone; l'unità identitaria; la furbizia.

Me ne sono stato alla finestra, mentre questo paese diveniva un pessimo paese. Ieri sera per un attimo la misura si è colmata, e mi sono trovato assalito dallo schifo, a rimettere in discussione il mio cinico disinteresse verso i miei connazionali. Oggi è un altro giorno, piove a dirotto e devo anche inventarmi una simulazione di Monte Carlo da zero; per cui chiudo qui questo post che non riuscirebbe ad avere un senso compiuto neppure se ci lavorassi tutto il giorno.

giovedì 5 febbraio 2009

Sfogo

Non ce la faccio più. In giornate come questa, che senso ha continuare a scrivere il proprio pensiero per trenta lettori che sono già d'accordo con te? Mi chiedo in che diavolo di posto sono finito a vivere, cosa ne è degli ideali che avevo al liceo.
Non riconosco più il sistema di regole che ho studiato all'Università e del quale mi sono appassionato ritenendolo -pur tra tanti difetti- un distillato di civiltà.
Sono stufo e so di essere solo.

PS: questo post è stato interpretato come un lamento per mancanza di lettori, ma così non è (colpa mia, peraltro, che non so scrivere breve). Qui la decodifica.

Paradossalmente...

(segue da qui)
Paradossalmente, l'idea del Governo di emanare un decreto-legge per imporre l'alimentazione alla signora Englaro è, dal punto di vista strettamente ed esclusivamente costituzionale, la cosa più corretta che finora sia stata messa in campo.
Infatti, vero è quanto si diceva nel post precedente, vale a dire che l'azione dell'esecutivo è sottoposta alla legge e all'interpretazione che della legge viene data nei casi concreti dalla magistratura; ma vero anche che il potere legislativo ha la potestà per legiferare e quindi cambiare le carte in tavola.
Come accennavamo nel post richiamato, il potere legislativo pertiene al Parlamento, ma tuttavia il Governo ne partecipa, in particolare grazie alla facoltà di emanare decreti-legge che hanno forza di legge ordinaria ed entrano in vigore immediatamente, ma che entro 60 giorni debbono essere approvati dal Parlamento, in quanto altrimenti decadono.

Dal punto di vista costituzionale, quindi, la mossa di Berlusconi è corretta (e anzi l'unica perseguibile). Chi scrive tiene comunque a precisare ai propri lettori che considera una vera porcata l'accanimento su questa vicenda del Governo, del Vaticano, dei movimenti per la vita e via discorrendo.

mercoledì 4 febbraio 2009

Contro Sacconi (Appunti di diritto pubblico)

necessaria premessa: questo post è scritto un po' di getto ed utilizza espressioni semplici e colloquiali, come se fossimo al bar. Se quanto segue facesse parte di una tesina di uno studente al primo anno di giurisprudenza gli direi di darsi all'informatica; ma l'importante per me è solo par passare i concetti generali

Tutti sanno fin dalle elementari che nello Stato di diritto vige il principio di separazione dei poteri, anche se per molti questa sembra solo una vaga formula, e talvolta riesce difficile comprenderne appieno il significato.
In un ente politico (una comunità di persone legate a un territorio, che sia un consiglio di quartiere o un impero non conta) possono talvolta essere esercitate liberamente e indipendentemente alcune funzioni pubbliche apicali: e in questo caso siamo di fronte a un ente sovrano.
In particolare stiamo parlando:
  • della funzione legislativa, vale a dire lo stabilire norme (regole generali ed astratte) che regolino i rapporti tra i consociati;
  • della funzione esecutiva o amministrativa, vale a dire la concreta messa in atto di quanto disposto dalle norme;
  • della funzione giurisdizionale, vale a dire la risoluzione delle controversie originatesi nell'applicazione e nell'interpretazione delle norme

  • E così, per fare un esempio, il potere legislativo è quello che stabilisce che i bambini a sei anni debbano andare a scuola; il potere esecutivo bada a che vengano costruite le scuole, nonimati gli insegnanti, stabiliti i programmi di studio e via discorrendo; il potere giudiziario punisce i genitori che non mandano i figli a scuola, dirime le controversie riguardanti le graduatorie relative agli insegnanti di ruolo e decide se uno studente che asserisce di essere stato ingiustamente bocciato abbia ragione o torto.

    La separazione dei poteri non è ontologicamente necessaria: anzi si tratta di una conquista relativamente recente e tutto fuorché stabilmente acquisita. Nella Francia di Luigi XIV tutti i poteri appartenevano al Sovrano, e lo stesso valeva per la Francia di Luigi XVII (mi si passi la battuta), dove tutti i poteri erano concentrati nella Convenzione, o per la Germania hitleriana. Per quanto concerne l'Italia del 1922, basta l'incipit del Discorso del Bivacco per comprendere cosa ne pensasse il Capo del Governo, del Parlamento: "Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto"
    In altre parole: le tre funzioni sono sempre riconoscibili in un ente politico sovrano; ma non è per nulla scontato che esse facciano capo ad enti diversi tra loro: e quindi che siano separate.
    Sta di fatto che -malgrado taluno possa auspicare il ritorno ai fasti dell'ormai non più tanto recente passato- l'Italia del 2009 è uno Stato di Diritto, ed ha una Costituzione che statuisce il principio della separazione dei poteri.

    Per comprendere meglio tale principio, è importante sviluppare un paio di approfondimenti.
    Anzitutto, la tradizionale formula che si trova sui sussidiari (il legislativo fa le leggi; l'esecutivo applica la legge e il giudiziario punisce chi non rispetta la legge) è fuorviante: io perlomeno da piccolo non riuscivo proprio a comprendere la differenza tra esecutivo e giudiziario; e più grandicello ho scoperto anche che esistevano i tribunali civili dove non si punisce nessuno, bensì si applica la legge.
    In secondo luogo, va rilevato che non esiste una separazione piena ed assoluta. Il Governo ha il potere di emanare norme generali ed astratte, quali i Regolamenti, e quindi partecipa della funzione legislativa seppur in via subordinata al Parlamento (in quanto i Regolamenti sono posposti alla Legge nella gerarchia delle fonti). D'altro canto il Parlamento stesso, e per la precisione ciascuna delle due Camere, si amministra da sola, e quindi esercita nei confronti di sé stessa e dei suoi interlocutori anche il potere esecutivo e persino quello giudiziario.

    Una bella confusione, no? Che tuttavia può essere chiarita, se si pensa che l'esecutivo è un esecutore della legge, il suo braccio armato, mentre il giudiziario ne è l'interprete.
    Il giudiziario ti condanna a dieci anni, ma è l'esecutivo quello che manda i carabinieri ad arrestarti; il giudiziario riconosce che hai diritto a un risarcimento di 10.000 euri, ma è dall'esecutivo che dipende l'ufficiale giudiziario che pignora il conto del debitore. In estrema sintesi: l'esecutivo ha la forza, il giudiziario esercita un controllo sul suo uso. E con forza non si intende solo il carabiniere con la pistola: anche la concessione di un'autorizzazione ministeriale è forza, seppur di natura economica anziché bruta.

    L'esercizio del potere esecutivo richiede rapidità e coerenza nell'azione. Come sul campo di battaglia, occorre che le decisioni siano prese in maniera pronta e coerente, altrimenti si finisce come i comunardi parigini, che votavano per decidere dove piazzare i cannoni mentre le truppe di MacMahon avanzavano: ed è per questo che al Governo c'è una maggioranza (che si suppone concorde nelle decisioni) mentre in Parlamento ci sono tutte le forze politiche (sic!). Ma l'uso della forza senza controllo dà luogo all'assolutismo, all'arbitrio, alla dittatura. Ed ecco perché in uno stato di diritto il potere giudiziario è separato e l'esecutivo deve sottostare alla legge e rispettare l'interpretazione della legge che il potere giudiziario pronuncia.
    Se l'esecutivo potesse agire fuori del controllo del potere giudiziario non sarebbe più sottoposto alla legge. Se l'esecutivo potesse anche una sola volta stabilire che una sentenza è ingiusta, nulla gli impedirebbe di stabilirlo una seconda, una terza e così via. Da qui al discorso del 3 gennaio 1925 il passo sembra enorme, ma è solo questione di scala: è un problema quantitativo, non più qualitativo.

    L'indipendenza e l'autonomia della Magistratura sono elementi fondativi della nostra forma di Stato. Indipendenza ed autonomia che finora sono sempre state interpretate come guarentigie tese a far sì che il singolo giudice non si possa trovare costretto o sospinto, per pavidità o interesse di carriera, a prendere una decisione in un senso piuttosto che nell'altro al fine di compiacere il Governo. Ed è per questo che avanzamenti di carriera e punizioni disciplinari sono decisi dal CSM, non dal Ministro della Giustizia.
    Era ovvio, ma ora non lo è più: perché in passato abbiamo visto governanti che cercavano di indirizzare le decisioni dei giudici prima che fossero prese; abbiamo visto governanti criticare anche aspramente sentenze e promettere riforme contro le toghe verdi, rosse o blu. Ma non avevamo ancora visto governanti che, senza porsi minimamente il problema di andare contro la Costituzione, semplicemente se ne fregano di una sentenza passata in giudicato e agiscono esattamente al contrario rispetto a quanto stabilito dal potere giudiziario.

    Per quanto assurdo possa essere, il problema dell'indipendenza del potere giudiziario ha ora trovato una soluzione alla quale non si era ancora pensato: si lascia ai giudici la libertà di pronunciare la propria interpretazione della legge, dopodiché la si ignora o addirittura la si contrasta con azioni e parole.
    Un Ministro che agisce in modo contrario rispetto a quanto disposto da una sentenza definitiva viola il giuramento di rispettare la Costituzione e le leggi della Repubblica, e dovrebbe essere immediatamente rimosso dal proprio incarico: dal Capo del Governo stesso. E, qualora il Capo del Governo non vi provvedesse, l'opposizione parlamentare non dovrebbe perdere un minuto soltanto e chiederne la rimozione. Perché l'opposizione, in Parlamento, ci sta proprio per quello: per controllare il Governo, non per tentare di condividerne e indirizzarne l'operato.

    (segue qui)