La boutade di Beppe Grillo, che pretenderebbe di concorrere alla carica di segretario del PD, sembra già morta prima ancora di nascere, grazie al fatto che il noto comico avrebbe dovuto essere iscritto al partito già da qualche tempo, ai sensi dell'art. 9 c.3 dello Statuto.
Ma ammettiamo per un attimo che tale norma non vi fosse, e che quindi Grillo potesse chiedere l'iscrizione e partecipare alla corsa.
Secondo lo
Statuto (art. 2 c.2),
Per «iscritti/iscritte» si intendono le persone che, cittadine e cittadini italiani nonché cittadine e cittadini dell’Unione europea residenti ovvero cittadine e cittadini di altri Paesi in possesso di permesso di soggiorno, si iscrivono al partito sottoscrivendo il Manifesto dei valori, il presente Statuto, il Codice etico, e accettando di essere registrate nell’Anagrafe degli iscritti e delle iscritte oltre che nell’Albo pubblico delle elettrici e degli elettori.
Per quanto riguarda lo Statuto, è un documento assolutamente neutrale, in quanto disciplina le forme di organizzazione e i meccanismi di funzionamento del PD: sottoscrivibile tanto da Veltroni che Gianfranco Fini che da Pino Rauti.
Riguardo al
Codice Etico, si tratta di uno di quei bei documenti molto americani, che dicono che gli iscritti devono essere onesti, pluralisti, responsabili, onesti, sobri; rispettare la partecipazione delle donne e la laicità dello Stato, e lavorare un po' per il partito.
Anche qui, si tratta di cose che possono sottoscrivere Veltroni e Fini; magari Rauti e Bossi meno, dato che si parla di rispetto delle minoranze; ma in fondo sono parole nelle quali può star dentro tutto. Del resto c'è anche il richiamo alla laicità dello Stato, e salvo errori al PD sono iscritti Dorina Bianchi e la Binetti, no?
Veniamo al
Manifesto dei Valori. Io vi ho messo il link: ma se putacaso siete sul posto di lavoro, e non siete soli nella vostra stanza, state attenti, prima di aprirlo. Perché se doveste cominciare a leggerlo, in ben poco tempo il vostro vicino di scrivania comincerebbe a sentire un sordo rumore proveniente dall'impianto di condizionamento; e dopo aver provato più volte a spegnerlo e riaccenderlo, si volterebbe verso di voi e capirebbe che il disturbo altro non era che il profondo
ron ron del vostro sonno.
Insomma: questo
manifesto dei valori, che dovrebbe dare la
linea politica è per metà un'accozzaglia di frasi inutili e roboanti dichiarazioni di principi talmente universali da apparirne inutile la declamazione ("Ridare voce ai giovani"; "le energie del Paese sono grandi"; "riduzione dei privilegi"; "libertà delle donne"; "sviluppo sostenibile"; "diritti umani"; "etica pubblica condivisa"; "laicità dello Stato"), e per un'altra metà talmente generali da non costituire in alcun modo un discrimine politico verso alcuno ("sviluppo del Mezzogiorno"; "far ripartire lo sviluppo"; "offrire uguali opportunità"; "equità sociale"). Restano giusto un paio di cose "di sinistra", come direbbe Moretti, a proposito di dignità del lavoro, di integrazione degli immigrati e di "sistema scolastico pubblico integrato".
Insomma: in questi tre documenti vi si può riconoscere chiunque, con l'eccezione forse di Ratzinger e Kamenei; ma anche Mussolini, se solo espungessimo il riferimento al sistema bipolare, ci avrebbe potuto apporre la firma sopra; e così pure il padrone delle ferriere, che magari lascia morire di asbestosi il propri operai, ma nella propria carta dei valori aziendali state pur certi che avrà infilato dentro la tutela della
dignità dei lavoratori.
E allora? Allora, al PD ci si può iscrivere chi vuole: questo è il punto.
C'era un tempo in cui i partiti erano
partiti: organizzazioni dichiaratamente
di parte, portatori di ideologie ben precise e connotate, a cui aderiva chi si riconosceva in quella ideologia. Tutti insieme gli iscritti, attraverso i vari meccanismi interni che culminavano dei congressi, dettavano la linea politica, sempre però nel rispetto, sostanziale e non meramente formale, dell'ideologia.
Ora i partiti, quelli che sono rimasti, sono associazioni di persone che si connotano solo per essersi associate insieme, senza il collante di un'ideologia (o anche solamente di qualche idea) che indirizzi e in una certa misura giustifichi il loro stare insieme.
E così nascono iniziative, quali
quella di Luca Sofri, che si propone come punto di aggregazione dei desiderata di chi si riconosce nel PD, e che sarebbe meritoria, come iniziativa "dal basso", se non fosse che proprio il suo venire dal basso, e l'invilupparsi del dibattito in polemiche e polemicucce, evidenziano in pieno quanto l'
unica cosa che accumuni tra loro gli iscritti e i simpatizzanti del PD sia, per l'appunto, l'essere iscritti o l'essere simpatizzanti del PD.
Cosa questa, mi sia concesso di dirlo a posteriori, anche se sembra un facile e sterile esercizio, era evidente a chiunque al tempo del sorgere di tale soggetto politico si chiedeva cosa ci potessero azzeccare tra loro gli ex democristiani e gli ex comunisti.
Il fatto, lettori miei, è che questo Partito Democratico tutto è tranne che un
partito: perché un'organizzazione non può porsi come "di parte" e poi aprire le porte a tutti: è una banale questione di logica socratica. Tra le due istanze, l'essere di parte e l'essere aperto, il PD ha scelto l'essere aperto: ma così aperto che lo si potrebbe definire spalancato, nel puerile tentativo di attrarre i più possibili al fine di alimentare il proprio SuperIo maggioritario.
Tentativo miserrimo e destinato a fallire: perché, Giovanna correggimi se sbaglio, nella zuppa di pesce ci vanno tanti pesci diversi, e più sono tanti e diversi più e buona; ma se cominci a metterci dentro un petto di pollo, una coscia di gallina, una costina di maiale e una lombatina di agnello, la zuppa di pesce comincia a venir rifiutata dagli avventori; e se poi ci aggiungi melanzane, carote, latte, limone e scamorza a cubetti (per quanto di eccellente qualità), hai fatto solo una zozzeria buona per il pastone dei maiali.
Questo PD sconta questo peccato originale: di essere un pastone nel quale chiunque può entrare e pretendere di avere il proprio spazio di parola. Riflettiamoci sopra per un secondo, e rendiamoci conto di quanto sia assurda la situazione: un
partito che per statuto accetta chiunque, e in compenso propugna l'esclusione dalle
istituzioni dei portatori degli interessi di minoranza, tramite leggi elettorali, sbarramenti e quant'altro.
La logica, l'essenza stessa della democrazia, vorrebbe che nei partiti (che sono soggetti privati e di parte) vi fossero solo coloro che la pensano in maniera simile, mentre nelle istituzioni (che sono pubbliche e di tutti) vi fosse possibilità per tutti di partecipare, in proprio o tramite i propri rappresentanti.
Il PD, fin dalla nascita, ha confuso sé stesso con un'istituzione (del resto è un po' il modello del Democratic Party americano): ed è forse per questo che lo statuto ha la stessa adamantina semplicità di un regolamento di sottocommissione ministeriale.
Certo, adesso i nodi vengono al pettine: e se uno come Grillo si presenta alla porta della sezione, e si dichiara pronto a sottoscrivere quei tre documenti, come si fa a negargli la tessera? Secondo lo Statuto non si può: e non si potrebbe neppure se alla porta si presentasse Gasparri.
Fortuna che c'è la scappatoia, e Grillo quand'anche si iscrivesse non potrà concorrere alla segreteria: perché sarebbe stato l'ultimo atto di una farsa durata fin troppo a lungo.