lunedì 17 dicembre 2012

Vous ne mangeriez pas ici des cédrats confits

Il post di qualche giorno fa ha suscitato una piccola serie di commenti tra qualche amico e conoscente della rete che si è preso la briga di leggerlo.
Io ho commentato molto di sfuggita, dato che le sensibilità personali sono, per l'appunto, personali, e che non mi sento ancora rivestito dello spirito del missionario né, tanto meno, del domenicano che cerca di far convertire l'eretico prima di abbruciarlo.

E' però forse opportuno spendere una parola per chiarire un piccolo equivoco nel quale, complice la mia esposizione non del tutto perspicua, sembra siano caduti alcuni lettori.
Taluno, infatti, ha ritenuto soprattutto l'ultima parte della mia esposizione; e così facendo si è convinto che la mia conversione (o presa di coscienza, o come la si voglia chiamare) sia stata dettata dal fatto che abbracciando (o comportandomi come se avessi abbracciato) un certo credo avrei avuto la possibilità di migliorare me stesso e il modo con cui mi relaziono al mondo. E costoro si chiedono, logicamente, perché mai io abbia dovuto cercare ristoro nei conforti di una religione e non abbia saputo trovare in me stesso la forza d'animo necessaria a migliorarmi o, in subordine, se non avrei potuto scegliere una qualsiasi delle altre religioni che circolano per il globo.
Ecco: si tratta di una visione sbagliata, frutto, come dicevo, anche della mia fatica nello scrivere quelle righe e nel dare contezza del mio percorso.

In realtà non è che io abbia sentito un richiamo etico e mi sia rivolto a una religione per rafforzare questo sentimento, quasi che il Paradiso fosse la lepre da far correre dinanzi alla mia morale: è proprio il contrario.
Io, a un certo punto della mia vita, ho deciso che non ero più soddisfatto dei libri che ti spiegano come e qualmente per fare un occhio bastino un po' di cellule e alcuni miliardi di mutazioni casuali; e ho avvertito pure che, quand'anche ciò fosse vero, non riuscivo più a sopportare di essere il frutto di quei miliardi di mutazioni casuali, dato che ciò avrebbe fatto della mia vita (perlomeno di quel che ormai ne resta) qualcosa di faticoso e opprimente.
Ho sentito che non volevo più vedere me stesso come un oggetto con un suo ciclo di vita, e ho pensato che cambiare un femore, ad esempio, sia qualcosa di diverso dal cambiare le pastiglie dei freni della Twingo: non solo qualitativamente bensì proprio sostanzialmente.
Ne è dipeso un mio avvicinamento al Cristianesimo: avvicinamento che immaginavo mi sarebbe costato caro; ma si trattava di un prezzo che volevo provare a pagare pur di smettere di sbirciarmi il contachilometri interiore.
Poi -non prima- ho scoperto che quell'avvicinamento non solo non mi è costato caro, ma ci ho anche guadagnato: per cui adesso mi sento meglio (che era lo scopo principale della conversione) e credo si essere migliore (il che non era lo scopo, ma è stata una gradita sorpresa).

giovedì 13 dicembre 2012

C'est la faute à Pascal

L'altro giorno, mentre il Paese Reale si struggeva sul tema il foglio di dimissioni dal pronto soccorso in arresto cardiaco è o non è giustificazione sufficiente per poter votare al secondo turno delle primarie?, il sottoscritto bel bello prendeva la bicicletta, se ne andava alla chiesa di via Caboto e, ivi giunto, si confessava, assisteva alla messa feriale e si comunicava.

La cosa è nota a pochi; e quei pochi sono solo taluni amici del socialino sul quale ho annunciato l'evento. Non l'ho ancora detto a nessun altro, e del resto temo che se ne informassi mia madre senza un'adeguata preparazione mi troverei ben presto in un pronto soccorso, con lei in arresto cardiaco; per cui mi faccio le ossa qui, sapendo che la massima reazione del lettore sarà un'alzata di sopracciglio.

Ma, anzitutto, perché raccontare di questo passo? Non certo per voglia di stupire o per peccato d'orgoglio: semplicemente perché scriverne è in un certo modo già rispondere alla prima supplica del Padre Nostro, quella che invocando la santificazione del nome di Dio impegna gli uomini a testimoniare le proprie inclinazioni e le proprie opere in tal senso. Se il racconto di ciò che ho passato potrà essere d'interesse e magari d'aiuto per coloro che si trovassero ad affrontare un percorso simile a quello che ho passato io, allora il tempo speso per scrivere queste righe sarà servito a qualcosa.
aggiornamento in corso d'opera questo post non è stato scritto tutto in una volta. Nel frattempo c'è anche stata la sciocca polemica sulla comunione di Ilona Staller; magari il post potrebbe essere utile anche a chi si è scandalizzato di ciò.

E allora raccontiamoci: e iniziamo da un annetto fa, quando eravamo in quella stessa chiesa io e un po' di coloro che leggeranno questo post, davanti a una cassa di legno.
Proprio pochi minuti prima avevo decliato al parroco la mia più totale agnosticità ed egli, sornione (o sarcastico?!?) aveva risposto «se voi non credete va bene: vorrà dire che saremo noi che crediamo a pregare per lei».

Poi, mentre ero lì sull'ambone a leggere quegli appunti che mi ero preparato, effettivamente ho sentito qualcosa: ho avvertito, in qualche modo, che non tutto poteva finire lì, o quantomeno che se tutto fosse finito lì, allora quel tutto non avrebbe avuto molto senso.
Sono cose che si provano, quando si viene colpiti da un lutto, una malattia o qualcosa di grave: ci si rivolge a Dio, anche se non si crede; e scommetto che perfino il buon Odifreddi, se dovesse trovarsi a 3000 metri d'altezza, fuor d'aereoplano e senza paracadute, forse forse un pensiero in tal senso lo formulerebbe. Ma sono cose che passano: i lutti si elaborano, i matematici si sfracellano al suolo, e tutto ritorna pian piano come prima.
Per me invece non era tornato tutto come prima. Mi ripeto: io sono sempre stato agnostico, mai ateo, e quindi il dubbio in fondo in fondo me lo ponevo, ma più come problema di indecidibilità, non di effettiva realtà di un Dio: esistenza suffragata al più da pochi frammenti di libri vecchi di secoli, e da una serie di pratiche superstiziose. Da quel giorno, invece, ho cominciato a pormelo più seriamente, il problema, e soprattutto ho iniziato a considerare quanto orgoglio ci fosse nel pretendere di aver ragione, nel non credere, considerato che la stragrande maggioranza dell'umanità in qualche essere supremo ci crede, a prescindere dal nome che gli attribuisce.

Il fatto vero è che quando uno arriva alla mia età, comincia a convincersi che -pur se non sempre- spesso se uno solo dice verde e cento altri dicono rosso, il problema non è che i cento sono cretini, bensì che l'uno è daltonico.
E' davvero possibile, mi chiedevo, che l'intero mondo vada a inseguire idoli frutto della fantasia e dell'oppio dei popoli, e che solo uno sparuto gruppo di Illuminati conosca la verità rivelata, vale a dire che non c'è nessuna Rivelazione?

La cosa avrebbe potuto andare avanti per un po' e morire lì, senonché una sera sono andato a bussare a casa di quel prete, gli ho parlato dei miei dubbi, sperando che lui mi tirasse fuori un picciol discorso all'esito del quale avrei potuto avere una risposta chiara e definitiva.
Il drudo invece si limitò ad ascoltarmi, assentire, scambiare due chiacchiere e suggerirmi di leggere il Vangelo di Marco («è piccolino, può bastare anche una mezza giornata...») invitandomi a tornare quando l'avessi fatto.
Mi sono letto quello di Marco, e anche gli altri tre; poi gli Atti, poi un po' di roba sparpagliata.

Nel frattempo mi era successa un'altra cosa poco gradevole: una di quelle che può cambiarti la vita. Sapevo che per uscirne con le ossa intere avrei potuto contare solo su me stesso, e ho fatto tutto ciò che potevo; nel frattempo -non foss'altro per non lasciar nulla d'intentato, e dato che oramai ero già nella giusta disposizione d'animo- me ne sono anche andato a Messa.
Vi risparmio le varie fasi della presa di coscienza; sta di fatto che a un certo punto, a pericolo forse non definitivamente scampato ma certo reso più distante, mi sono reso conto che in effetti il Dio cristiano non è una slot machine alla quale chiedere miracoli o grazie: Cristo parla della vita eterna e del Regno dei Cieli, e di questo mondo si occupa solo per spiegare come arrivare a quell'altro.

Ma, contemporaneamente a questa presa di coscienza (coscienza, mi ripeto, della perfetta inutilità dell'andare in Chiesa a pregare per scampare da un pericolo terreno incombente), cominciava a macerare dentro un po' di quel messaggio cristiano che non parla solo del divieto di andare a letto con chi ci pare, ma di tante altre cose ben più incisive nella vita di una persona.
Dà un futuro, o perlomeno la speranza di un futuro, e con esso un senso a ciò che facciamo nel presente. E impone una serie di regole che, se lette con attenzione, magari provando a lasciare per un attimo da parte il sesto comandamento, non sono altro che manifestazioni di buon senso.
Non uccidere, non rubare, non mentire: sono precetti universali; e lo sono anche quando si riferiscono ad argomenti controversi come l'aborto, che per quanto permesso dalla legge civile (e io credo fermamente che debba rimanere permesso dalla legge civile), resta pur sempre un atto che drammatico anzitutto per la donna che lo subisce.
E così anche per comandamenti meno chiaramente logici: santificare le feste non vuol dire andare passivamente alla Messa, bensì trovare il tempo per ricrearsi dalle fatiche quotidiane e per pensare a qualcosa di più elevato rispetto alla quotidianità che ci assilla; rispettare i genitori nella nostra società odierna dovrebbe essere posto quale primo articolo del Codice civile, non foss'altro per ricambiare tutto ciò che ci ha fatti quelli che siamo da adulti.
Ma, soprattutto, quei comandamenti sono fatti per fare stare meglio chi li segue, indipendentemente dal fatto che si creda o meno in un premio finale.

Nella mia vita sono sempre stato un po' leggero. In un recente periodo vivevo con una ex-moglie, avevo una fidanzata, coltivavo un'amante e non mi facevo mancare qualche occasionale scappatella. Ciò era fonte di un certo stress, come potrete bene immaginare: e non solo fisico, ma soprattutto dal lato del senso di colpa che provavo verso le persone che mi volevano bene e del cui amore mi sentivo indegno.
Poi un giorno, mentre continuavo ad arrovellarmi, a casa di quella famosa amante (che nel frattempo ha disdetto l'abbonamento a Sky, e quindi niente più Megastrutture), mi capita in mano Pascal.

Tutti conoscono la scommessa di Pascal come precorritrice della teoria dei giochi: tanto infinito è il premio finale, che qualunque cosa si debba mettere come posta, ne vale la pena anche se le probabilità di vittoria fossero minime. Un ragionamento che, in fede mia, non credo abbia mai convinto nessuno.
Ma non basta la lettura à la Odifreddi, per comprendere Pascal. Perché dopo il brano famoso, quello che recita
«Vous avez deux choses à perdre : le vrai et le bien, et deux choses à engager : votre raison et votre volonté, votre connaissance et votre béatitude ; et votre nature a deux choses à fuir : l'erreur et la misère. Votre raison n'est pas plus blessée, en choisissant l'un que l'autre, puisqu'il faut nécessairement choisir. Voilà un point vidé. Mais votre béatitude ? Pesons le gain et la perte, en prenant croix que Dieu est. Estimons ces deux cas : si vous gagnez, vous gagnez tout ; si vous perdez, vous ne perdez rien. Gagez donc qu'il est, sans hésiter. »(1)
, Pascal aggiunge qualcosa.

Anzitutto, che non siamo nella situazione di un giocatore di sala corse: noi non possiamo decidere di non scommettere: per il fatto stesso di essere vivi, e quindi destinati a morire, una scelta la dobbiamo fare su come affrontare questa certezza. Possiamo scegliere di credere in un futuro, o che tutto finisca lì; ma non possiamo permetterci di passare la mano: la fiche o sul nero o sul rosso dobbiamo comunque puntarla.
Ma, ed è il punto qualificante, Pascal aggiunge (umilmente, quasi un post scriptum) in coda al frammento della scommessa:
«Or quel mal vous arrivera‑t‑il en prenant ce parti ? Vous serez fidèle, honnête, humble, reconnaissant, bienfaisant, ami sincère, veritable... A la vérité vous ne serez point dans les plaisirs empestés, dans la gloire, dans les délices, mais n’en aurez‑vous point d’autres ?
Je vous dis que vous y gagnerez en cette vie, et qu’à chaque pas que vous ferez dans ce chemin, vous verrez, tant de certitude de gain, et tant de néant de ce que vous hasardez, que vous connaîtrez à la fin que vous avez parié pour une chose certaine, infinie, pour laquelle vous n’avez rien donné.»(2)

Ed è proprio questo il punto. Chi crede (o chi, non riuscendo a credere veramente, perlomeno si comporta come se credesse), vive meglio questa vita.
In questo anno, tentando di seguire i precetti dettati dall'oppio dei popoli, sono stato più attento a mio figlio; sono stato più impegnato sul lavoro; ho evitato di infilarmi nell'ennesimo triangolo o pentagono che avrebbe fatto soffrire un paio di brave ragazze che avevano avuto già modo di soffrire abbastanza in passato, e che non avevano certo bisogno di incontrare l'ennesimo prenditore in giro.
La sera vado a letto e mi sento meglio dopo aver detto le mie preghierine: non tanto per il fatto di averle dette, ma perché so che quell'atto è la conclusione di un giorno in cui sono stato migliore di quanto sarei stato un paio d'anni fa. E al contempo mi cruccio di non fare abbastanza di quello che potrei: dovrei impegnarmi ancora di più per Nichita; dovrei fare quella telefonata ad A., per sapere se quella certa cosa sta andando verso il bene; ma non ho coraggio di farlo temendo che la risposta possa essere il contrario; dovrei preoccuparmi di più della salute di mia madre, che rischia di diventare cieca, ma non riesco ancora a dimostrarle quanto la cosa mi tocchi. Ma mentre prima non mi ponevo il problema, né verso Nichita né verso A. né verso mia madre, oggi ogni giorno cerco di fare un passettino in più per migliorarmi.
Insomma: la scommessa in un certo modo l'ho già vinta, e ancora l'estrazione non c'è stata.

(1) Avete due cose da perdere: la verità e il bene, e due cose da mettere in gioco: la vostra ragione e la vostra volontà [cioè] la vosttra conoscenza e la vostra felicità; e la vostra natura ha due cose da fuggire: l'errore e la miseria. La vostra ragione non è toccata scegliendo l'una o l'altra possibilità, perché bisogna necessariamente operare una scelta. E questo punto è risolto. Ma la vostra felicità? Pesiamo il guadagno da una parte e dall'altra, e scommettiamo che Dio sia: se vincete, vincete tutto; se perdete, non perdete niente. Scommettete dunque che sia, senza esitazione.

(2) Orbene, che male può venirvi prendendo questo partito? Sarete fedele, onesto, umile, riconoscente, benefacente, amico sincero e vero... In verità non sarete in mezzo ai piaceri tribolati, alla gloria e alle delizie mondane, ma non avrete forse altri piaceri?
Vi dico che ci guadagnerete, in questa vita, e che a ogni passo che farete in questo cammino vedrete tanta certezza di guadagno e tanta nullità in ciò che mettete in gioco, che alla fine capirete di aver scommesso per una vittoria certa e infinita senza mettere in gioco nulla.

Nessuno è più modesto di me

Vedo con dispiacere che c'è tanta gente che disquisisce sulla frase con cui il noto comico genovese ha rotto i ponti con alcuni suoi seguaci, e che si compiace per la clamorosa caduta di stile con la quale il reuccio ((tm), anche se altrui) è divenuto improvvisamente nudo.
Con dispiacere, dicevo, perché la mia già scarsa fiducia nella sinderesi media dei miei concittadini subisce di giorno in giorno sempre maggiori erosioni, tanto che medito di divenire ben presto stilita (del resto mi sono già convertito, quindi il più è fatto)

Orbene: una frase come "chi pensa che non sono democratico se ne va fuori dalle palle" è, evidentemente, una frase costruita a tavolino, esattamente come quella che dà il titolo a questo post.
Non sono cose che escano dalla bocca per errore. Non uscirebbe neppure a uno studentello di seconda liceo che parli per la prima volta davanti a un'assemblea d'istituto; figuriamoci se può scappare a un tipo con quarant'anni di esperienza su palchi e palcoscenici, e che si è legato a doppio filo a un copywriter di esperienza altrettanto quarantennale.

Chi gode di questa cosiddetta gaffe, chi pensa che sia la prima di una serie di cazzate che ridurranno il movimento dei pirla a percentuali da prefisso telefonico, dovrebbe invece interrogarsi su come stiano veramente le cose.
Per una (rara) volta non sono d'accordo con Uriel: anche se condivido le linee di fondo della sua analisi sulla base grillina, credo che il comportamento del capobastone non sia il tentativo di ricompattare una truppa di fedelissimi per garantire la purezza ideologica del branco, bensì qualcosa di un po' più furbo.

Grillo e Casaleggio non sono dei coglioni: son gente scafata che ha costruito del nulla un mezzo impero mediatico e comunicativo; i loro comportamenti devono quindi essere razionali.

Ora, immaginate di essere quei due che si trovano per una riunione di lavoro con la mazzetta dei giornali e si accorgono che con tutto il casino che hanno fatto stanno guadagnando una marea di consensi.
- Ma ti rendi conto? siamo al 20%
- Eh, che ti avevo detto?
- Sì, ma non potevo credere che ce ne fossero davvero così tanti!
- Di cretini? in Italia?!? Svegliaaaaa!!!
- Belin, e adesso che facciamo?
- Certo non possiamo pensare di esercitare il potere con un branco di ritardati mentali da manuale psichiatrico...
- Eh!
- Oltretutto questi sono talmente rappresentativi della società italiana che come arrivano a toccare una poltrona si arraffano subito qualcosa...
- Belin!
- Tempo un anno e finiscono tutti in galera, e noi due pure, se non linciati.
- Appunto.
- Senza contare il lato economico...
- ?
- Finché stiamo a urlare dal blog riusciamo a vendere cazzate, organizzare spettacoli, muovere cose e diventare ancor più ricchi di quanto già non siamo. Nel momento in cui dovessimo arrivare al potere... non son più i tempi di una volta. Non solo il peculato è più difficile, ma soprattutto bisogna farlo con attenzione. Con il branco di dementi che ci troviamo, per il 90% rubano loro direttamente, e a noi non viene in tasca niente; il restante 10% sono troppo scemi o troppo onesti per farlo, e a noi non arriva niente lo stesso.
- E allora che minchia facciamo?
- Devi fare il pirla.
- Più di così?!?
- Sì, devi fare una grande cazzata, che ci faccia perdere un bel po' di consenso. Ricompattiamo i coglioni puri e allontaniamo quelli arrivati solo perché sentono odore di grana; allo stesso tempo possiamo continuare tranquilli a fare l'opposizione urlante e vendere il merchandising, senza alcuna altra responsablità che verificare i conti in banca.
- Eh, ma con tutte le cazzate che ho già sparato... e aumentano sempre. Che cosa possiamo inventarci stavolta?
- Pensiamoci un attimo... ci servirebbe qualcosa cha appaia idiota anche a un bambino di terza elementare... aspetta... forse ho una mezza idea...


sabato 27 ottobre 2012

Pi = 3

In questi giorni ho letto molti interventi che mettevano in ridicolo la sentenza che ha condannato i componenti della Commissione Grandi Rischi: interventi scritti da persone di scienza, in senso stretto o lato, i quali discettavano su un tema squisitamente giuridico.
Spesso, quando si vuole mettere in ridicolo il mondo delle scienze umane, si cita l'esempio di quello Stato unito (non ricordo quale), il cui Parlamento decretò per legge essere il Pi greco uguale a tre: una evidente sciocchezza di fronte alla quale lo scienziato si sente pervaso da sdegno verso coloro che considera appartenere a una razza e a una cultura inferiori.
Questo sdegno, questa superbia, sono le medesime che spingono gli uomini di scienza ad addentrarsi in campi che non sono loro propri, credendo che i loro modelli di interpretazione della realtà valgano universalmente.
E il bello è che la logica dello scienziato è esattamente la stessa logica del giurista, solo che lo scienziato non lo sa perché diversi sono gli argomenti ai quali gli operatori logici si applicano: e questo alla scienziato sfugge.
E valga il vero: la prima regola, quando si studia un fenomeno, è che bisogna poterlo misurare; e per poterlo misurare bisogna che il fenomeno si sia già manifestato.
Commentare un fenomeno che ancora non esiste (e tale è una sentenza non ancora scritta) è una sciocchezza. Certo, abbiamo già il dispositivo, ma questo è solo una manifestazione anticipata di un fenomeno (la motivazione), non il fenomeno stesso. E' un po' come se un fisico del suono volesse di studiare lo spettro armonico di un tuono, ma per far prima pretendesse di utilizzare solo i dati ricavati dallo spettro elettromagnetico del lampo: in effetti dal lampo sappiamo che di lì a poco arriverà il rombo del tuono, ma finché il suono non avrà compiuto il suo viaggio, non avremo nulla da misurare.
Sfugge alla logica dello scienziato che debba necessariamente esistere un lasso di tempo tra il momento della decisione del giudice (il dispositivo della sentenza) e la stesura per iscritto del ragionamento logico che lo ha sotteso (la motivazione): e ciò perché nell'ambito scientifico prima si scrive (o si dovrebbe scrivere) il ragionamento logico, e poi si danno gli annunci; ma questo metodo, in un procedimento penale, sarebbe inumano, perché lascerebbe tutte le parti processuali in un'incertezza che sconfinerebbe con la tortura. Rammentate quegli ultimi due-tre giorni di scuola, quando gli scrutini erano già stati fatti ma i quadri ancora non erano usciti? Ecco, immaginate un imputato che dovesse passare un paio di mesi ad attendere di conoscere il suo destino già deciso, e capirete cosa intendo.

Se questo discorso è valido per qualunque sentenza, lo è ancor di più nel caso specifico, dato il tipo di reato contestato.
Commentare il dispositivo di una sentenza che ha condannato la Franzoni (per riprendere il caso di cui si parla nel colonnino lì a destra) è relativamente facile: la condanna vuol dire che il giudice ha ritenuto che lei avesse ammazzato il figlio, punto. Poi servono le motivazioni per capire perché le prove a discarico siano state ritenute inconcludenti; ma una qualche certezza ce l'abbiamo.
Ma l'omicidio è un reato commissivo e doloso: si tratta cioè di una fattispecie in cui qualcuno ha fatto volutamente qualcosa.

La Commissione grandi rischi è stata imputata di un reato omissivo e colposo, vale a dire di non aver fatto qualcosa che era suo dovere fare, e di non averlo fatto non volutamente, bensì per negligenza, imprudenza o imperizia.
Per la Franzoni, era chiaro che qualcuno aveva volontariamente spaccato la testa del piccolo: si trattava solo di decidere se fosse stata la madre o qualcun altro.
Per la CGR, si trattava di capire:
- cosa avrebbe dovuto fare;
- cosa avrebbe potuto fare;
- cosa in effetti abbia fatto e che avrebbe dovuto evitare di fare;
- cosa in effetti non abbia fatto, e che avrebbe potuto fare;
- se avrebbe dovuto fare ciò che non aveva fatto pur avendolo potuto;
- se tutto ciò, dipenda da un errore scusabile, o se invece sia da ricondurre a imprudenza, negligenza o imperizia (sciatteria, sbadataggine, menefreghismo);
- se l'omissione (il non aver fatto ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare) abbia o meno una relazione di causa-effetto con l'evento (la morte di una o più persone).

Vedete bene che le cose si sono complicate, e molto. E la memoria del PM (grazie a .mau. per il link) queste cose le affronta, con ragionamenti che seguiono una logica formale precisa e puntuale, tanto che potrebbe essere riscritta in simboli. Ma la memoria del PM, ancora, non è la sentenza.

Certezze che affondano

Uno pensa di avere quella minima infarinatura per scrivere una-frase-una in inglese, usando il pronome personale adeguato, e poi scopre che le navi sono di genere femminile.

martedì 4 settembre 2012

A.M.

I lettori che furono abituali potranno bene immaginare che la morte di Alessandro Marzi mi abbia colpito. Lo ha fatto però in un modo particolare, che da ieri cerco di esprimere senza riuscirci, tanto che volevo buttarlo via questo post, dopo una serie di tentativi mentali che non erano arrivati da nessuna parte. Alla fine ho deciso di scrivere di getto senza pensarci troppo, ché pensar troppo è male.
Di Alessandro lessi quando cominciò a stare male davvero, quando cioé aveva perso la speranza di farcela e si preparava a morire. Non entrai mai in relazione con lui: dapprima, perché ciò sarebbe stato di cattivo presagio per M., che a differenza sua era convinta di poter campare a lungo, e dopo perché sarebbe stato di cattivo presagio per lui, che certo non aveva bisogno di esempi di esiti nefasti ulteriori rispetto a quelli che già vedeva negli ospedali che frequentava.
Non conoscendolo, non posso certo dire i suoi pensieri, ma posso raccontare ciò che io mi sono figurato. Da qui in poi, quindi, saranno solo considerazioni personali: probabilmente tutte sbagliate, ma che spero non offenderanno nessuno (se poi ciò dovesse accadere, pronto a cancellare tutto).
Cominciamo a dire che c'erano due Alessandro: uno è quello dell'intervista di Biccio: uno forte, tosto, che parla con la malattia a tu per tu e sembra ignorare la morte, o perlomeno sfidarla a scacchi; l'altro è quello dei post clinici, da cui emerge tutta la disperazione per essere impotente di fronte al cancro. Scriveva di come stava giorno per giorno, di tutti i peggioramenti della sua malattia, tutti i piccoli fallimenti quotidiani che lo portavano passo dopo passo verso la tomba.
Poi c'erano i commenti che lo invitavano a star su, a resistere, a farsi forza. Ecco: quei commenti io non riuscivo proprio a reggerli, perché mi figuravo (ribadisco: sto scrivendo sulla base della mia, di esperienza: non immagino lontanamente di sapere cosa passasse nella sua, di testa) che più che forza non potessero dargli altro che rabbia e sconforto.
Quando si sta per morire, questa è la mia convinzione -che certo sarà sbagliata- non contano le parole del prossimo, bensì le azioni. Tanto contano le piccole cose di ogni giorno, quali il trovare la colazione pronta al risveglio, comperare una nuova pianta, iniziare a vedere una serie TV, trovare un uovo di merlo in un vaso sul balcone; tanto poco di contro contano le parole. Anche perché le parole, alla fin fine, son sempre quelle: possono variare un poco, ma al terzo giro di giostra non si può far altro che ripetersi.
Naturalmente questo vale per le parole spese sulla malattia: per quelle spese sulle passioni (la Vespa, le chitarre...) è tutto un altro discorso, e immagino che quelle, di parole, gli siano state di grande conforto.

La morte è una cosa difficile da affrontare; e la propria morte, quando non si è passata la soglia della vecchiaia (e forse anche dopo) lo è oltre misura. Spero di cuore che il modo trovato da Alessandro per gestirsela lo abbia aiutato, tanto quanto il modo -opposto- che M. aveva trovato per conto suo, e che arrivato al dunque abbia avuto la stessa serenità nel passare di là.

giovedì 30 agosto 2012

Strano carattere /2

Dato che mi costava assai poco, e tenuto conto del fatto che oggi pomeriggio devo far tedesco con il pupo a casa, dove ho una tastiera italiana standard, ho fatto un layoyt con i dead keys anche per quel tipo di modello.
L'assegnazione dei tasti resta la medesima illustrata nel precedente post, salvo che per la tilde (il relativo tasto è già occupato dalla parentesi quadra), che pertanto slitta sul trattino (-).
Il file, per chi lo vuole, sta qui.

mercoledì 29 agosto 2012

Strano carattere

Di solito io scrivo in italiano, e talvolta in inglese: tutti compiti che possono essere egregiamente svolti da una tastiera italiana. Certo, il Vero Nerd dovrebbe usare una US-international e farsi tutti gli accenti a mano, ma dato che io non sono un Vero Nerd non me ne preoccupo troppo.
Talvolta però mi capita di dover passare al francese, o anche di compitare qualche frase smozzicata in tedesco o spagnolo: e qui cominciano i dolori, perché scrivere même, Señor o Ürdingerstraße non è mica tanto facile, per uno che ha passato la quarantina e non riesce a ricordare a memoria tutti i codici ASCII.
Ho provato a passare, alla bisogna, al layout US-international, ma le mie esigenze non sono così frequenti da permettermi di memorizzare efficacemente la posizione di tutti i tasti modificatori (che vorrebbe essere una traduzione di dead keys, sperando che Licia non mi faccia un cazziatone), e quindi ogni volta che avvio una corrispondenza con qualcuno di quei paesi devo ricominciare a riapprendere daccapo.
Alla fine quindi mi sono adattato la mia tastiera (che di base è una IT-142, quella con la @ sulla Q) aggiungendo delle funzioni secondo un certo mio buon senso che vado a illustrare:
* accento acuto - AltGr-apostrofo;
* accento grave - AltGr-ù (va a sostituire il carattere ` della IT-142);
* dieresi/Umlaut - AltGr-2 (al maiuscolo corrisponde a ", che ricorda la dieresi)
* accento circonflesso - AltGr-ì (al maiuscolo corrisponde a ^)
* tilde - Shift-AltGr-~
* ¿ - Shift-AltGr-?
* ß - AltGr-s
* caporali - AltGr-maggiore e AltGr-minore;
* ® - AltGr-r
* © - AltGr-c

Dato che oramai la fatica l'ho fatta, e magari la cosa può servire a qualcun altro, ho pensato di condividere il programma di installazione, che potete trovare qui.

Se fossi un avvocato ben pagato qui dovrei mettere una decina di paginate per dire tutta una serie di cose astruse scopiazzate e mal tradotte dall'inglese, ma dato che sono quel che sono mi limito a dire che io questa cosa l'ho fatta per me, ve la offro a gratis senza alcuna garanzia e se doveste avere dei problemi poi non venitemi a rompere i marroni.




mercoledì 1 agosto 2012

Didattica

Ognuno ci ha le sue piccole manie, e certo non è che io sia da meno: e quindi mi leggo sempre con attenzione Uriel, ché spesso sono d'accordo e quando non sono d'accordo comunque ho degli spunti per riflettere.
Ma dopo aver letto il post* di oggi ho pensato che magari non lo proporrei al posto di Monti come Presidente del Consiglio, però come rettore di un'università economica ci starebbe bene.


* N.B. meglio non aprire il link da un socialcoso

mercoledì 25 luglio 2012

La fantasia al potere

Oggi il fatto quotidiano, meglio conosciuto come la bocca della verità, si inventa di sana pianta che nel Parco olimpico «sarà ammesso solo un sandwich a persona perché lo sponsor (MacDonald’s) non vuole».

lunedì 23 luglio 2012

Capitan Fracassa

Chi avesse ancora qualche dubbio sul fatto che la 27esima ora non è il luogo di ricreazione delle più svitate pennivendole milanesi, bensì un esperimento mentale paragonabile al carcere di Stanford, può leggere questo bel pezzo in cui Camilla Baresani si pone, tra altre, una domanda fondamentale:
Come mai a Jean Paul Sartre è dedicato uno spazio tre volte superiore a quello di Simone de Beauvoir?

mercoledì 18 luglio 2012

La moglie pregna e la botte ubriaca



«Il recente impianto normativo - ha detto Grilli - pur determinando rilevanti economie di spesa e dunque una corrispondente riduzione del fabbisogno sanitario, mantiene inalterato il livello, sia qualitativo che quantitativo, dei servizi sanitari erogati ai cittadini»

martedì 17 luglio 2012

Corrività

Marta Serafini (una giornalista che non solo scrive sulla 27esima ora, ma pure si vanta di essere corresponsabile di ciò che si dice alle Invasioni Barbariche) oggi scrive un pezzo lunghetto per stigmatizzare l'abitudine che i giocatori di videogiochi hanno di insultare pesantemente le femminucce in gara.
Chiunque abbia mai provato un videogioco, o anche solo abbia visto un gruppo di adolescenti farlo, sa benissimo che si tratta di un'esperienza del tutto avulsa dalla realtà: si commettono un tale numero di omicidi che avrebbero fatto venire una crisi di coscienza a Mengele; si usano trucchi bastardi e sotterfugi sleali; si tradiscono i compagni e gli amici; ci si tirano dietro insulti che farebbero impallidire un camallo ubriaco al quale una puttana abbia appena rubato il portafoglio.

Il glaucoma psicotico che colpisce la redazione di questo blog, cui siamo oramai affezionati come a un nipotino un po' ritardato, e che proprio per questo ci è caro, di questo fenomeno complesso e variegato riesce solo a vedere l'insulto che i maschi tirano alle femmine, bollandolo come sessista e dimostrando così di non aver neppure bene l'idea del significato del termine. Indignarsi per il genere del soggetto in questa citazione
“Sei una cicciona, metti le tue grasse chiappe sul divano e inizia a giocare”, è un altro dei complimenti ricevuti da Kate, 17 anni, giocatrice di Call of Duty 3.
dimostra ignoranza o malafede, dato che chiunque sa che le medesime frasi vengono pronunciate, assai più spesso, declinate al maschile.

E' come se queste brave signore che si guadagnano un immeritato pane digitando in via Solferino fossero dei geometri che, chiamati a eseguire i rilievi geodetici per tracciare il percorso di un'autostrada, siano dotati solo di un microscopio a effetto tunnel, e cerchino di arrangiarsi a misurare i chilometri con uno strumento per il quale persino i millimetri sono una grandezza incommensurabile.

lunedì 16 luglio 2012

Che non è mica acqua

Se c'è una cosa che proprio ammiro, di Lorella Zanardo, non è certo il documentario da lei prodotto, bensì la capacità di perdere con stile.

giovedì 12 luglio 2012

Genova per noi

Io nel mio lavoro di gente ricca ne incontro tanta. E quando intendo ricca, intendo ricca vera, quelli che il logaritmo dell'estratto conto sta a mezza strada tra l'otto e il nove.
Di genovesi invece ne incontro pochi, perché non è una piazza sulla quale il mio datore di lavoro lavori granché.
Però ultimamente ne sto incontrando un po' di più, e devo ammettere che la classe, la nonchalance, l'indifferenza -ma rispettosa- che hanno i genovesi ricchi nei confronti della propria ricchezza, ancora non l'avevo mai riscontrata da nessun altra parte.

Capcia

Dopo aver letto questa cosa da Livefast, ho fatto un esperimento e ho disattivato il captcha per autorizzare i commenti.
L'ho fatto verso le 2 e un quarto, e i primi due spam sono arrivati alle 15:17.
Non male.

#salvaiciclisti

Prima di chiudere definitivamente* questo blog ormai polveroso e ragnateloso, credo di potermi permettere di togliermi qualche sassolino.
Come qualcuno sa, io la bicicletta la uso abbastanza. Questa nuova, per esempio, da Natale a oggi ha fatto 2800 chilometri, tutti in città: per andare al lavoro, fare la spesa, passare da una delle varie case in cui dormo a un'altra, etc.
Dovrei quindi essere favorevole alle iniziative che tutelano la mia incolumità, e grato al sindaco Pisapia che nei pannelli luminosi sparsi per le vie chiosa i suoi consigli di buon senso con lo slogan salvaiciclisti. E invece no.

Uno dei motivi è che questo movimento, come tanti consimili (a partire da quelle anime belle di Critical Mass, che ogni giovedì mi fanno venir voglia di comperare un autoarticolato da sparar loro contro a 100 all'ora) ha sempre lo stesso fastidioso rumore di fondo: quello di coloro che, ritenendo di essere nel Giusto automaticamente sbattono nella Cayenna dell'Ingiusto tutti coloro che la pensano diversamente da loro.
Siam sempre lì: il Ciclista Militante crede che il suo apporto alla qualità della vita urbana gli conferisca il diritto di fregarsene delle regole; e così la sera occupa le strade in massa bloccando la circolazione, nascondendosi dietro all'anonimato del numero, mentre di giorno (quando rischierebbe la pelle, se facesse le stronzate serali) crede comunque legittimo passare col rosso, andare in velocità sui marciapiedi, girare a luci spente la sera, e via discorrendo.
In questo delirio messianico persino il buon senso va all'ammasso, e il Ciclista Militante ritiene che sia suo pieno diritto mettersi al fianco di un autotreno di 27 tonnellate, in prossimità di una curva, senza riflettere per un secondo sul fatto che dalla cabina di guida non si ha la stessa visuale che ha il ciclista, e che anche il più scrupoloso dei camionisti può avere un momento di stanchezza o di distrazione. Certo, non è che guidare un camion ti dia il permesso di ammazzare la gente, e difatti il camionista risponderà per omicidio colposo; ma se il Ciclista militante avesse il cervello nella scatola cranica anziché nel culo si renderebbe conto che aiutare il camionista a non ammazzarlo è una strategia più razionale che rischiare di crepare per l'affermazione di un principio.
Questa jattanza emerge con palmare evidenza fin dal manifesto della benemerita associazione di cicloamatori, con quel verbo "dovere" declinato all'indicativo che se possibile riesce a rendere ancor più antipatici gli estensori delle proposte.

Che poi non è che i ciclisti abbiano sempre ragione per il fatto che vanno in bici: quando io sono stato tirato sotto da una moto, e sono finito all'ospedale con un polso e una costola rotti, avevo fatto una cazzata. Certo il motociclista, se fosse stato scrupolosamente attento avrebbe potuto evitarmi, ma la cazzata l'ho fatta io, e gli ho pure pagato la riparazione della moto, come era giusto che fosse. Se -anche per un attimo- sei cretino o sbadato, rischi del tuo, e non è che il non inquinare la città ti dia l'immortalità, né la ragione. Il torto ce l'ha chi ha torto, non chi inquina di più.

Ciò detto, quella stringa #salvaiciclisti potrebbe essere semplicemente l'ennesima cialtronata nata su Twitter, e io potrei serenamente continuare a fregarmene; ma no, c'è qualcosa di più.
Il fatto è che lo slogan SALVAICICLISTI è, detto semplice semplice che lo possa capire anche un Ciclista Militante, oltre che inutile, dannoso.
Il perché è presto detto: da quando è nato questo ennesimo allarme, che forse sta per superare in popolarità il femminicidio, coloro che magari avrebbero voluto avvicinarsi all'uso della bicicletta, complice la bella stagione e il rincaro della benzina, non ci pensano neppure.
Il messaggio che veicola lo slogan SALVAICICLISTI -come tutte le campagne connesse- è che usare la bici in città è un rischio mortale. Il Ciclista Militante pensa che questo serva a salvargli la vita, ma la dura realtà è che quel 99% di popolazione che non fa parte della setta ogni volta che vede quel neologismo si convince che il ciclista, militante o generico, sia un pazzo scapestrato che si diverte a giocare con la propria pelle, alla stregua di un trapezista che si esibisce senza rete.
La conclusione è ovvia: col cazzo, che mi metto a girare in bici in città: continuo a usare la macchina, l'autobus o quel che uso di solito.
E quindi: più traffico, inquinamento e rischi. Sia per i Ciclisti Militanti sia per quelli che hanno l'unico desiderio di andare al lavoro, fare la spesa, passare da una casa all'altra, per il semplice fatto che hanno bisogno di lavorare, nutrirsi e dormire, senza che la soddisfazione di queste elementari esigenze debba diventare un fatto politico.

* da prendere in senso figurato, ché di definitivo c'è solo la Signora con la falce

Lennox è vivo e lotta insieme a noi

Enzo di Frenna -l'uomo il cui volto dischiude le porte del Sacrario della frenologia- ha preso a cuore la causa del cane Lennox, che dopo essere stato accalappiato a Belfast è stato soppresso in quanto la sua razza è illegale nell'Irlanda del Nord.
La questione viene ripresa da Repubblica, il foglio che da quando non c'è più Berlusconi si è talmente squalificato da non poterci neppure incartare il pesce*, con un articolo che pure cito, a dimostrazione dell'ubiquitarietà della cialtroneria dei giornalisti, della rete e soprattutto dei giornalisti che frequentano la rete.

Dunque, abbiamo un cane.
Secondo il Di Frenna, il cane somiglia a un Pit Bull. Secondo la Città di Belfast, che lo ha catturato, il cane è un Pit Bull.
"Lennox era innocuo, non aveva mai morso né aggredito nessuno", dice la Rete. "l'esperto del Consiglio ha descritto il cane come uno dei più imprevedibili e pericolosi cani mai incontrato", dice il Comune di Belfast.
"La Municipalità di Belfast si è coperta di vergogna e sarà da questo momento additata al disprezzo internazionale per avere assassinato una creatura innocente e indifesa, e per aver condannato con lui la bambina disabile che tanto lo amava e che con lui aveva instaurato una relazione speciale", dice l'Ente Nazionale per la Protezione Animali italiano, la cui presidenta con quel disabile tocca anche le corde dell'umana pietà**. Purtroppo -anzi per fortuna, a ben pensarci- non abbiamo la voce della mamma della bambina che il Pit Bull avrebbe potuto ammazzare se, come la squinternata animalista aveva chiesto, fosse stato portato in Italia e adottato da una tenera famigliuola.

Ora, di una cosa sono ragionevolmente certo: che né il Di Frenna né la presidenta dell'ENPA hanno visto il cane, mentre il perito della Municipalità di Belfast sì.
E quindi, se Belfast dice che quello è un Pit Bull, mentre Repubblica dice che il Di Frenna dice che l'ENPA dice che non lo è, ho il forte sospetto che risalendo alla fonte si scopra che tale affermazione provenga dalla padroncina disabile, che conoscerà pur bene il proprio cagnolino affettuoso, ma non è certo una veterinaria e comunque è, come dire, un testimone un po' troppo interessato e quindi poco fededegno rispetto all'esperto.
Ammettiamo quindi che quello sia effettivamente un Pit Bull, e chiediamoci cosa avrebbe dovuto pare una pubblica istituzione di uno Stato nel quale i Pit Bull sono, giustamente, *** banditi.
Secondo il Di Frenna e compagnia cantante, probabilmente il Sindaco di Belfast o chi per lui avrebbe dovuto dire qualcosa del tipo: «Sì, è vero, abbiamo una legge, ma vale solo per i padroni di cani che non sono su Facebook, per cui ora prendiamo il povero Lennox, che sta tanto simpatico a quei giustizialisti iperlegalitari (ma solo nell'ambito del diritto italiano) del Fatto Quotidiano e lo liberiamo con tante scuse. Anzi è l'occasione per imparare dagli italiani che le leggi non sono mica uguali per tutti».
Fortuna che a Belfast il Di Frenna e la Presidenta non andranno mai più. Fortuna per Belfast, naturalmente.


* immagino che De Benedetti stia seriamente pensando di vendere a qualche industriale francese: solo così riesco a spiegarmi la penosissima marchetta di ieri.
** a proposito, sono andato a vedere Hunger e mi sono sciolto alla voce della Thatcher: si vede proprio che sto invecchiando male.
*** secondo la tradizione del giornalismo anglosassone, in questo post le opinioni vendono evidenziate in viola per separarle dai fatti.

martedì 26 giugno 2012

Femmicidio

Se non fossi in vacanza potrei commentare adeguatamente questo post che parla dei deliri della signora di cui ho già parlato in questo post.
Purtroppo sono in vacanza, e quindi mi limito a invitarvi caldamente, con tutto me stesso, a leggerlo.
Per imparare la differenza tra femmicidio e femminicidio, sono crimini di Stato tollerati dalle pubbliche istituzioni per incapacità di prevenire, proteggere e tutelare la vita delle donne, che vivono diverse forme di discriminazioni e di violenza durante la loro vita.
Per sottolineare la questione della responsabilità dello Stato nella risposta data al contrasto della violenza.
Perché una donna su tre – in una età compresa tra i 16 e i 70 – è stata vittima di violenza.
Perché L’autorevole voce di Rashida Manjoo chiede che l’Italia si impegni «a eliminare gli atteggiamentistereotipati circa i ruoli e le responsabilità delle donne e degli uomini nella famiglia, nella società e nell’ambiente di lavoro».
Perché la situazione economica e politica in Italia non giustifica la mancanza di attenzione e la diminuzione delle risorse per combattere la violenza contro le donne», dice la rappresentante speciale, «particolarmente oggi in un contesto in cui il numero di violenze fondate sul genere sta aumentando.
Perché siamo seriamente preoccupati dalla sottostima del Governo italiano circa gli obblighi internazionali a proteggere le donne sopravvissute alla violenza nelle relazioni di intimità e di prevenire i femminicidi esito di questa violenza.
Perché
Trent'anni fa a un marito, un padre era consentito picchiare in quanto mezzo per “correggere” il comportamento delle donne, ricorda Ileana Aesso nel Quinto Stato: Storia di donne, leggi e conquiste. Dalla tutela alla democrazia paritaria. Glielo riconosceva il codice penale e civile a patto che non ne abusasse

Ma sono in vacanza, e sono sereno. Quindi mi limito a segnalare la vergogna di un quotidiano nazionale che dà spazio a una valanga di deliri e a talune marchiane falsità. Sì, falsità belle e buone, come l'ultima citata qui sopra, come ben sa chi abbia mai preso in mano una copia del codice penale.
Buon mare a tutti, e rammentate che per menare la vostra ganza è meglio un asciugamano bagnato.

venerdì 22 giugno 2012

Napoletonidianamente

Non è che Loretta Napoleoni sia una brutta donna: e se per soddisfare il suo bisogno di autostima bastassero le fotografie in primo piano di sé medesima che vengono pubblicate per ogni dove, potremmo essere contenti anche noi.
Ma la Napoleoni fa l'economista, e con i controcoglioni, in quanto economista grillina. Dal momento che al Sacro Verbo fa comodo di sparigliare le carte gridando «FUORI DALL'EURO!» quando tutta la Casta pietisce «dentro l'euro!», anche la Napoleoni si è dovuta adeguare. E quindi ripete per ogni dove che l'Italia fuori dall'Euro starebbe bene, anzi benone, anzi meravigliosamente.
Certo, per affermare questa castronerie servono dei supporti, non basta dire che dato che gianrobertogrillo(tm) dice così allora è giusto così.
E quindi la Napoleoni si inventa il caso dell'Islanda, uscita dall'Euro senza alcun trauma, e di Dubai, che ora prospera dopo la ristrutturazione del debito. Peccato che l'Islanda nell'Euro non ci sia mai entrata (del resto manco sta nella CE), e che il debito di Dubai fosse tutto men che il debito di Dubai, bensì il debito delle privatissime aziende della famiglia reale, e che adesso mezza Dubai sia diventata di proprietà degli emiri viciniori.

Poi c'è l'esempio dell'Argentina, e qui son dolori. Perché non solo ci sono le Gabanelli Girrls, che in recenti trasmissioni ci hanno raccontato di come è strafica l'Argentina di oggi dove ci sono le cooperative sociali che riaprono i teatri e la gente che reimpara a riparare le sedie e a farsi le torte in casa, ma -le disgrazie non vengono mai sole- anche qui la Napoleoni ha qualcosa da raccontarci:
Io quello che posso dire è quello che alcuni avvocati di questo team che stanno lavorando al possibile default mi hanno detto è che succederà un po' com'è successo in Argentina, potrebbero chiudere le banche per una settimana, i depositi potrebbero essere congelati, si potrà prelevare una certa quantità di denaro quotidianamente (in Argentina erano l'equivalente di 250 dollari) e in questa settimana di "congelamento" ci sarà la conversione dall'Euro alla moneta che si vuole scegliere, per esempio l'Italia potrebbe tornare alla lira. Però questo comporterà anche dei cambiamenti a livello pratico. Dopodiché i risparmiatori italiani chiaramente si ritroveranno le lire. Questo significa che se uno vive in Italia e non va all'estero non ha grossi problemi, al contrario la debolezza della moneta sarebbe un danno.
Insomma, nella vulgata della nostra economista il massimo dei problemi è che anziché andare a fare le vacanze a Parigi dovremo adattarci alle spiagge del Salento, ma a parte quello la svalutazione sarebbe una passeggiata di salute.
La stampa italiana, tradizionalmente attentissima alle notizie dall'estero e in particolare a quelle dall'America latina, tace, e quindi acconsente. E l'osservatore poco attento potrebbe anche credere che in Argentina oggi ci siano le strade lastricate d'oro, i prosciutti che crescono sugli alberi, e la gente passi la giornata ballando tango e mangiando affettati offerti gratuitamente dalla natura.

Ho una brutta notizia per voi: non è vero.
In Argentina è iniziato l'inverno, e con l'inverno uno sciopero degli autotrasportatori che ha lasciato l'intero Paese senza una goccia di carburante nelle pompe e per il riscaldamento. Il Governo segue la cosa come un'emergenza umanitaria, in quanto già 100.000 persone sarebbero senza combustibili e pure senza gas (dato che sono in sciopero anche i lavoratori della rete distributiva; questo ve lo dico io ché l'articolo non lo dice). Il motivo? semplice: i lavoratori vogliono un aumento del 30% dei salari, e non per avidità bensì solo per recuperare l'inflazione. Ma -è il caso delle compagnie distributive del gas- il Governo non concede i rialzi delle tariffe, e quindi le compagnie lavorano già in perdita (importano gas, il che sarebbe un assurdo, dato che il Paese ne è ricchissimo, ma gli impianti di estrazione non funzionano per carenza di personale e di manutenzione, sempre per carenza di soldi) e finché il Governo non concede le nuove tariffe non possono permettersi di aumentare gli stipendi: e il cane, e il morso, e la coda.
Ma non c'è solo questo sciopero: ce n'è appena stato uno dei produttori agricoli contro l'aumento delle imposte fondiarie, e ora ne stanno iniziando altri: quello dei controllori di volo e quello a macchia di leopardo dei commercianti che protestano contro il blocco delle importazioni deciso dal Governo per salvare un po' il valore della moneta (del resto, se l'industria nazionale non produce, e importare non si può, che diavolo può vendere un commerciante?)
In compenso chi ha da parte qualche peso teme di vederne dimezzato il valore in capo a 18 mesi, e quindi cerca di comprare valuta. Per evitare ciò il Governo aveva introdotto il divieto di comprare dollari per scopi diversi dall'acquisto di viveri, medicine, auto e esigenze di viaggio; ma dopo qualche giorno è stato frettolosamente costretto a revocare il divieto.

Insomma: in Argentina stanno tutti bene, noi li invidiamo tanto e speriamo che Napoletona ci porti presto in una situazione analoga alla loro.

Magnifiche sorti, e progressive

Paola Caruso, oggi, sul Sole 24 ore, scopre la concimazione dei terreni.

giovedì 21 giugno 2012

Ford transit

Come avevo già detto (cfr i commenti a questo post), la Corte Costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile il provvedimento del giudice spoletino che avave chiesto la dichiarazione di incostituzionalità della L. 194.

Che sia chiara una cosa: non, ripeto, non si tratta di una vittoria delle ilitanti che hanno scritto #save194 su twitter. E non c'è nulla da festeggiare, anzi abbiamo un grosso problema.
Il problema è l'esistenza di un giudice che aderire -e di fatto imporre- alle proprie convinzioni personali, convinzioni che sono in contrasto con l'ordinamento vigente, ha negato giustizia a un cittadino, pronunciando un'ordinanza che era un vero aborto giuridico.
Ma il problema non sono le donne, l'aborto, la libera scelta. Il problema vero sono i concorsi per l'accesso alla magistratura e l'impossibilità di sanzionare efficacemente questi abusi del diritto. Le donne, l'aborto, la libera scelta, non c'entrano una fava.

aggiornamento
E la Consulta, porco cazzo impestato, non è quella che mira a togliere i diritti, puttana troia.



mercoledì 20 giugno 2012

Coerenza trifasica

Marco Travaglio (l'uomo dalla memoria prodigiosa, colui che nel 2006* rammenta sul blog di beppegrillo(tm) che un tale nei primi anni 90 fu preso con le mani nel sacco di una brutta quanto miserevole vicenda di mazzette, scampò all’arresto solo per un grave incidente stradale, dovette dimettersi facendo cadere la giunta e alla fine patteggiò poi la pena per finanziamento illecito), oggi si chiede a proposito della sua non-intervista a beppegrillo(tm), quali domande avrebbe dovuto fare:
Più domande sul caso Tavolazzi? Più domande su Casaleggio? L’ennesima ricostruzione di un tragico incidente d’auto di venti e più anni fa? E magari anche di quella volta che Grillo copiò un compito a scuola o fregò la merendina al compagno di banco?



* non è che l'abbia fatto solo una volta; è il primo link che ho trovato.

Lupi intraprendenti

Riccardo Luna (l'ex direttore de Il Romanista) ci propina oggi su Repubblica un articolo talmente intriso dei più corrivi luoghi comuni che io vi consiglio caldamente di non leggere, se non volete rimanere impaniati.
Il grafico pubblicitario che si compra un computer (un iMac, ché se avesse preso una macchina con su windows l'umanità ancora starebbe aspettando la grande scoperta) e ti inventa la plastica completamente biodegradabile; e a chilometro zero, perdipiù, così anche Carlino Petrini è contento.
E senza soldi dalle banche, che altrimenti quelli di Occupyqualchecosa si mettevano di traverso.

Zang Tumb delle nascite

Noi, che siamo uomini (nel senso di maschi) abbiamo finora pensato che in Italia si facessero pochi figli perché le istituzioni funzionano di merda, perché i figli costano uno sproposito e quando hai bisogno nessuno ti aiuta, perché se non hai almeno un paio di nonni vicini rischi di passare una dozzina d'anni alla fine dei quali i genitori saranno stremati e poveri, perché chi vivacchia di contratti precari rinnovati di trimestre in trimestre se ha un po' di testa sulle spalle non prende impegni neppure per i prossimi nove mesi (figuriamoci per i prossimi 25 anni) etc. etc. etc.

Ma noi siamo uomini (nel senso di maschi) e quindi coglioni. Lea Melandri, che è uoma (nel senso di donna) ci spiega che i figli non si fanno perché nell’era del postmoderno – del “post” di tutto- nessuno fa più caso ai sentimenti.
«le ricadute di quella che è stata finora la divisione di ruoli e di potere tra un sesso e l’altro: confinamento della donna in figura idealizzata e al medesimo tempo svilita di moglie e madre, che attende da altri il suo completamento e il senso della propria vita; restrizione dei confini del mondo al rapporto duale col figlio/a; sacrificio di sé per la crescita e il benessere dell’individualità altrui; trasformazione dell’amore in possesso, della cura in dipendenza perenne di chi la riceve.»
«prolungamento di un vissuto infantile di unità a due, dipendenza da una figura materna creata dal desiderio di un uomo figlio e tenuta sotto il dominio di una società di padri»
«dicono ciò che è rimasto finora indicibile della originaria indistinzione e della successiva vicinanza, dai tratti fusionali, nella relazione madre-figlio/a; esprimono senza infingimenti il loro desiderio di avere interessi , passioni, tempi propri»

martedì 19 giugno 2012

Del perché i comunisti da grandi sembrano diventare reazionari

Un mio caro amico mi fa a volte notare che l'essere stato studente non dà sufficienti competenze per parlare di scuola (così come mettere la moka sul fuoco la mattina non abilita a pontificare sulla gestione delle reti di distribuzione del metano): quindi dovrei tacermi ma non lo faccio.

Volutamente non ho parlato di un post della Zanardo nel quale la fu candidata della Società civile al CdA della Rai affermava che fino ai 15 anni gli alunni non vanno bocciati. Giusto per vostra curiosità, vi confesso di aver scritto e poi cancellato ben tre post al riguardo, ma poi mi sono detto che alla fine chissenefrega, e poi io mica ci ho un pianeta con la suddetta, che ho già perculato fin troppo.

Oggi però sul Fatto (sempre lì!) compare un altro post di tale Alex Corlazzoli, il quale afferma la medesima cosa.
La situazione della scuola italiana non ci permette di poter ritenere utile dal punto di vista didattico e non solo, la bocciatura di un bambino della scuola primaria. Per poter usare questo estremo strumento dovremmo avere una scuola che assicura la continuità didattica, che garantisce ore di compresenza, che dedica maggior tempo al rapporto con la famiglia e i servizi sociali, che punta all’equità nei ragazzi.
vale a dire: «se la scuola fosse perfetta la bocciatura potremmo prenderla in considerazione, ma siccome fa schifo allora non bocciamo nessuno». Notate poi quel e non solo, che richiama un'osservazione fatta poco sopra:
Il ritardo di un anno a entrare nel mondo del lavoro, infatti, comporta un aggravio al sistema economico di una nazione”. Ogni bocciatura costa in media tra 10.000 e 15.000 dollari all’anno allo Stato (in Italia si parla di circa 8.000 euro)
Dunque il nostra insegnante afferma: dato che la scuola fa schifo, e il Paese sta con le pezze al culo, allora meglio promuovere tutti così vanno a lavorare presto e non dissanguano le casse dello Stato.

E' una prospettiva che certo può andare bene per un insegnante, che forse (ma qui è che io son malizioso) vede anche un altro problema nel bocciare: più ragazzi si bocciano più le classi si affollano e più fatica si fa nel proprio lavoro.
Per giustificare il rifiuto della bocciatura l'argomento, sia della Zanardo che del Corlazzoli, è il medesimo: non è colpa dell'alunno. «Aida lavora come cameriera in centro città, vive sola con la figlia di 11 anni che frequenta una scuola in zona. Abitano lontanissimo, la ragazzina è intelligente ha solo bisogno di un po’ di comprensione: bocciata», dice la Zanardo rattenendo la lagrimuccia. «Può essere che abbia problemi in famiglia o forse ne ha avuti a scuola con i compagni, magari a causa di qualche bullo», risponde il Corlazzoli, e via così in corrispondenza di pietosi sensi.
Ma di chi la colpa, allora? Semplice, della scuola e di chi l'ha distrutta! «La scuola ha fatto tutto il possibile per questi ragazzi? Ha messo a disposizione ore di compresenze? Ha davvero applicato l’art.3 della Costituzione, rimuovendo “gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana»; «E dunque una scuola deve accogliere, far crescere e accudire oltre che educare, almeno fino ai 15 anni. La valutazione sulle performance non la fanno più nemmeno le aziende, che hanno capito che ci vuole anche altro. Diciamo invece che la scuola è stata fatta a pezzi, che i tagli stanno dando i risultati che vediamo.»

Proviamo a vedere le cose da un altro punto di vista. Abbiamo due bei bambini, Lorella e Alex, che vanno male a scuola. Diciamo anzi che per un intero anno, in seconda media o in quarta elementare, non hanno fatto una beata cippa di nulla.
Lorella vive con la madre, vedova (il marito, tornitore, è morto investito da un pirata della strada), cassiera dell'Esselunga che lavora a venti chilometri da casa per 900 euri al mese, e sopravvive con i pacchi alimentari della parrocchia e qualche mancia allungatale dai genitori che risparmiano i centesimi sulla pensione. La madre di Lorella è in cura presso i servizi di igiene mentale per una grave depressione, ma riesce lo stesso a lavorare e nutrire la figlia, nulla più; e la figlia per reazione alla situazione di merda nella quale vive non fa nulla di nulla se non guardare Amici in TV.

Alex vive con la madre, separata, in una villetta del trevigiano. Il padre, piccolo industriale, se n'è andato da un paio d'anni con una russa, si fa vedere una volta al mese con un po' di pacchi di giocattoli e un assegnone per il mantenimento, ma sostanzialmente se ne frega del figlio, specie ora che gliene è nata un'altra dalla russa. La madre, già cocainomane e poi alcolista, passa da un ganzo all'altro, tutti almeno di quindici anni più giovani di lei; e lei allunga loro delle belle banconotone verdi e gialle, tanto ha un conto cifrato in Isvizzera dove il padre aveva esportato qualche decina di miliardi di lirette negli anni d'oro. Alex, per reazione alla situazione di merda nella quale vive, non fa nulla di nulla se non guardare Amici in TV.

E' avidente che né Alex né Lorella hanno alcuna colpa del fatto di vivere nelle famiglie in cui vivono. Possiamo avere più simpatia e comprensione umana per la mamma di Lorella o per la mamma di Alex, ma certo nessuno può pensare che i figli partecipino delle loro colpe.
Alex e Lorella vengono promossi, dato che non sanno nulla ma non è colpa loro. Entrambi arrivano in quinta elementare (o in terza media) ed entrambi non hanno la preparazione minima necessaria per seguire il programma (non Amici: quello scolastico). Diciamo chiaramente che non ci capiscono niente. Certo, in Isvezia o in Canada Lorella e Alex sarebbero seguiti da insegnanti di sostegno e avrebbero a disposizione corsi di ripetizione e ore di compresenza, ma i due pargoli hanno avuto la sfiga di nascere in Italia, e quindi ciccia: non hanno nessuna di queste opportunità, e questa nel nostro ragionamento è una costante assegnata, non una variabile dipendente.
Alex e Lorella iniziano il nuovo anno scolastico senza sapere una fava, e senza neppur capire quello si dice in classe. A un certo punto le rispettive madri vengono convocate a scuola, e vien detto loro che anche quell'anno i ragazzi sono in difficoltà (che scoperta!) e che la famiglia deve star loro più vicino. Con la preparazione che hanno ora non possono andare avanti: bisogna che recuperino le basi, altrimenti non sono in grado di trarre alcun profitto.
Già, le basi! Le basi che quegli stessi insegnanti insegnano ancora quotidianamente, ma nella classe precedente, quella che Alex e Lorella avrebbero potuto frequentare se fossero stati bocciati; tuttavia, essendo stati promossi nella classe che frequentano ora, quelle basi sono date per scontate (la promozione ha certificato che sono acquisite) anche se in effetti scontate non sono.
La madre di Alex fa il giro delle amiche, per ciascuna materia prende un ragazzo che faccia ripetizioni al pupo, che è intelligente (i suoi problemi derivano solo dalla vita di merda che fa in famiglia), e si riprende, fino alla sufficienza e anzi alla media del sette. Non che gliene freghi granché, dato che da grande avrà da scegliere tra la fabbrichetta del padre e quella dello zio materno, di cui ha ereditato una quota.
La madre di Lorella cerca di aiutare la figlia la sera dopo cena, quando al supermercato non ha il turno che finisce alle 21. Lorella ce la fa appena appena, e pur essendo ancora insufficiente viene buttata fuori dalla scuola dell'obbligo con voti di consiglio e la media del sei. Adesso non le resta che trovare un lavoro ma, sorpresa!, Lorella scopre che con la sua sfiga da scuola l'hanno buttata fuori per pietà, ma con la sua preparazione non c'è nessuno che l'assuma per pietà.

Auguri, Lorella.

Sic transit





Ora che sembra definitivamente tramontata la candidatura di quel patto di genere che da qualche mese si compatta ogni volta che c’è da schierarsi in nome delle donne, una vera e propria mobilitazione che, al di là dei frutti è stata la prima prova generale di democrazia e trasparenza della Rete; ora che la goccia ha portato la luce nelle oscure caverne delle nomine e delle spartizioni politiche; ora che la candidatura ha chiarito la profondità dell’enorme desiderio di partecipazione e ha delineato il profilo di un’idea diversa e più piena di cittadinanza, ci resta una domanda.

Quanto ci vorrà perché la Mandria della Rete dimentichi che non appena si abbandonano schermo e tastiera, e si scende dal prestinaio, le opinioni e le petizioni scambiate su Internet hanno sulla nostra società l'effetto di un rimedio omeopatico a trenta diluizioni?
Sarà stata sufficiente questa scoppola per obbligare a una sana resipiscenza quelli che ancora pensano che con Twitter si scalzino i governi e si ricostruiscano le case abbattute?
Probabilmente no. Oggi, se ben comprendo come gira il fumo, è la giornata di #save194, altra solenne puttanata che, montando dal nulla un caso inesistente, farà sì che domani tutti coloro che hanno twittato quegli otto caratteri possano sentirsi un po' salvatori della patria, rafforzando la loro convinzione di contare qualcosa più di zero.

venerdì 15 giugno 2012

Competitività internazionale

Il candidato analizzi la fotografia e dimostri come e qualmente il vero problema che tiene lontani gli investitori stranieri dall'Italia è quel cazzo di articolo 18, che se non ci fosse quello arriverebbero tutti a frotte a mettere palettate di soldi nelle infrastrutture del nostro bello e sano Paese, cosa che adesso gli stranieri non fanno perché è difficile licenziare quei fannulloni di lavoratori una volta che te li sei presi in carico.

Giornalismo anglosassone


Sul web in un mese e mezzo ha ricevuto oltre 1200 preferenze. Nello stallo delle nomine del Cda Rai, Lorella Zanardo sembra quella che meglio riesce a muovere le acque. Una corpo a corpo web e tv in cui il web si fa terreno di aggregazione e arma di cambiamento.

non dimentichiamo che la Rete è fatta di persone, è un meccanismo che oggi risponde alle nomine Rai. E che potrebbe diventare sistema dinamico rispetto a qualsiasi carica pubblica

Intorno a lei sta nascendo una vera e propria mobilitazione che, al di là dei frutti (la nomina al cdA Rai), è la prima prova generale di democrazia e trasparenza della Rete

Il nome più cinguettato e bloggato è stato appunto quello di Zanardo. Con tanto di hashtag: #zanardoinrai, creato da Marina Terragni sul suo blog Maschile/Femminile intitolava “Cda Rai: io sostengo Lorella”, dopo l’articolo in cui Paolo Conti sul Corriere analizzava i candidati dai partiti (e non).
E contemporaneamente rilanciato dai blog di Loredana Lipperini, Giovanna Cosenza, Giorgia Vezzoli in quel “patto di genere” che da qualche mese si compatta ogni volta che c’è da schierarsi in nome delle donne.

in effetti il “caso Zanardo” più che “femminile” è una goccia destinata a portare luce nelle oscure caverne delle nomine e delle spartizioni politiche

Un riconoscimento “dal basso” che la considera figura interessante perché abbraccia diversi ambiti». Il tam tam del movimento ha portato Zanardo fuori dalla Rete. Una notizia “dal basso”. Ripresa dal Corriere e dal Fatto.

Sul blog al femminile del Corriere della Sera una gentile signora ci racconta con toni pacati e obiettivi l'enorme ed epocale successo di una campagna lanciata dalla femministra del Corriere della Sera nel magazine del Corriere della Sera.

Peccato che sia tutto inventato.

mercoledì 13 giugno 2012

Profeti di sventura

Di questi tempi lo sport preferito dei giornali è diventato il procurare allarmismo e terrore. Non che non ci sia qualche ragione di stare preoccupati, ma nelle cose la misura è pur sempre importante, e oramai la stiamo perdendo insieme al suo senso.
Anche perché in Italia ci sono 60 milioni di commissari tecnici, ma non (o non ancora) altrettanti economisti: e pertanto la ggente, quella che una volta leggeva al bar la rosea Gazzetta e oggi sfoglia le pagine economiche dell'altro quotidiano di analogo colore(1) è costretta a bersi le opinioni dei commentatori senza aver la possibilità di distinguere le cazzate dalla verità.

E' esattamente l'atteggiamento della conduttora(2) di Uno Mattina, che si rivolge all'economisto(2) con il timore reverenziale che i comuni mortali hanno verso il Papo(2).
Il problema purtroppo sta nel manico, perché andare a chiedere a Seminerio un parere obiettivo è come andare a chiedere a me una critica costruttiva degli articoli della 27esima ora. Seminerio fa il suo gioco, e trova anche tanti personi(2)(3) che lo ascoltano e lo citano, e magari gli fanno guadagnare anche dei denari.
La cosa potrebbe essere dimostrata in due parole, segnalando semplicemente che Seminerio scrive anche sul Fatto Quotidiano. Ma sembrerebbe un argomento ad hominem; quindi proviamo ad analizzare un suo articolo per scoprire dove il catastrofista bara maldestramente.
Prendiamo un post breve breve, scritto per ribadire la tesi che le banche italiane devono essere ricapitalizzate (con il sottinteso che non ci sono soldi e quindi moriremo tutti).
Quali le premesse logiche che conducono alla tesi?
A) le banche hanno usato i soldi della BCE per comprare titoli di Stato; ma i titoli di Stato soffrono del rischio paese italiano e quindi le banche italiane sono a rischio.
B) il ROE delle banche è molto inferiore al ROE medio delle altre banche europee (un 4,3% contro un 9%).

Sono due sciocchezze, per non dir peggio.
Le banche italiane hanno preso soldi dalla BCE, certo, e hanno comperato titoli di Stato. I titoli di Stato sono l'investimento meno rischioso che avrebbero potuto porre in essere, dal momento che qualunque impiego a un soggetto privato avrebbe sommato al rischio Paese (il rischio che l'Italia vada a rotoli) il rischio di credito (il rischio che l'azienda prenditrice vada a rotoli). Il fatto che le banche abbiano comperato titoli di Stato, quindi, non ha nulla a che fare con la necessità di ricapitalizzazione, anzi! Se, come dice Seminario, non certo io, l'85% del patrimonio delle banche è in titoli pubblici, questo significa che quel patrimonio è molto più solido (e non meno solido) che se fosse costituito da crediti verso clientela o verso banche, o addirittura da attivi in derivati o roba simile, estremamente volatile.
Per quanto riguarda il discorso del ROE, è questo un indice che ha al numeratore l'utile dell'impresa, e al denominatore il patrimonio. "Ricapitalizzare" vuol dire "incrementare il capitale", il che significa aumentare il denominatore: pertanto quando si ricapitalizza un'impresa il ROE diminuisce.
Prendendo in esame il solo ROE, quindi, le banche italiane risulterebbero capitalizzate il doppio rispetto a quelle europee: e ciò dimostra che il ROE è l'ultimo degli indicatori che dovrebbero essere presi in considerazione per decidere se un'impresa sia o meno da ricapitalizzare.



(1) che, detto fra noi, io ho sempre pensato che il Sole fosse giallo e non rosa, ma io sono daltonico
(2) questo blog non vuole mai più essere sessista e quindi si impegna a non usare generismi maschilisti nella lingua
(3) i personi che si bevono Seminerio sono perlopiù maschi, cosa normale in quanto come noto i maschi sono più scemi delle femmine

martedì 12 giugno 2012

Provaci ancora, Vint!

Dopo lo scarso successo ottenuto con Quintarelli, il Popolo della Rete(tm) ora prova a mandare Lorella Zanardo nel cda della RAI. C'è addirittura un hashtag su twitter! #zanardoinrai che, ahinoi, non è ancora in cima alla lista ma certo lo diverrà presto.
Lavoriamo tutti insieme per ottenere questo importante risultato, perché gli italiani non chiedono solo intrattenimento con donne nude, ma programmi per imparare e che facciano divulgazione.

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E se poi, malauguratamente, anche la Zanardo non dovesse andare al CDA della RAI, sarà la prova del complotto dei soliti poteri forti che da una parte c’è la società civile, dall’altra la politica che continua a proporre nomi non condivisi dai cittadini.
Perché se non twitti, non pollicisù e non piùuni, che razza di cittadino sei?

lunedì 11 giugno 2012

Napoletoni

Loretta Napoleoni è una di quelle figure che vanno di moda oggi: una persona che ha prodotto dei lavori molto importanti su uno specifico tema (nello specifico, il riciclaggio), e che in forza di ciò è divenuta una sorta di guru dell'economia, interrogabile su tutto e da tutti; i quali tutti spesso dimenticano che abita a Londra e non a Delfi.
Qui sotto c'è il video di un'intervista rilasciata a Vloganza (un'altra storia un po' triste e un po' allegra, ma non divaghiamo) dove la nota economista spiega -alla vigilia della caduta del governo Berlusconi- che l'Italia avrebbe dovuto uscire dall'Euro e dichiarare default. si tratta di una tesi nota, propalata anche da gianrobertogrillo(tm), al quale la Napoleoni non a caso ha dimostrato d'esser assai vicina, specie a seguito del successo di M5S a Parma.


Qui invece c'è un ingegnere che spiega, con parole comprensibili perfino a un grillino, perché il default pilotato e la svalutazione competitiva siano immense cazzate.
E voi a chi credete: all'economista o all'ingegnere?

Recoaro

Un prete ci spiega che la Bibbia è all'origine dell'odio dei maschi contro le femmine, e che dove la Bibbia si legge meno l'odio dei maschi contro le femmine è maggiore.*
«Come si spiega l’odio di genere? Non ha altra origine di quella giudeocristiana, da quando Eva è la colpevole del peccato originale, ha la colpa di aver messo il male nel mondo… Sono uomini quelli che hanno scritto la Bibbia, sono uomini quelli che la interpretano… In tutto il mondo cristiano c’è questo pregiudizio contro la donna. In luoghi di maggiori istruzione e cultura come Europa e Stati Uniti, le vessazioni e gli insulti alle donne non sono consentiti. Ma in luoghi in cui si legge poco, la Bibbia si legge meno, i pregiudizi ecclesiastici hanno permeato la società… La maggior parte dei feminicidas sono cattolici, molto devoti alla Vergine di Guadalupe…»


* Sì, anche a me piace il tag <b>

Mezzo gaudio


Oggi il blog del Partito Democratico pubblica una galleria di immagini che dovrebbero ritrarre una secondaria esponente dello schieramento a loro avverso mentre fa la spesa con la scorta.
Solo che la scorta scorta, e la secondaria esponente fa la spesa, a differenza di quello che era successo qualche giorno fa con una delle principali esponenti dello schieramento a loro converso, allorquando la scorta spesava (il che è leggermente più grave, ma non per l'abuso del pubblico agente, bensì per il fatto che questi, mano al carrello, potrebbe aver difficoltà nell'estrazione del ferro qualora necessario).
Tutto ciò dimostra una sola cosa: che il blog del Partito Democratico sta somigliando sempre più all'Agenzia Stefani.

domenica 10 giugno 2012

Stare sulla notizia

Oggi la 27esima ora pubblica un post un po' diverso dal solito. Parla del "primo distributore automatico di sex toys", e (e in ciò è diverso dal solito) non ne denuncia il maschinismo sciovinista che tende a rendere la donna succuba dell'appetito del maschio violento; la Zangarini, che firma il pezzo, sembra quasi complice e divertita.
Il post in sé non è malaccio: c'è persino la domanda finale, che per l'occasione non è la solita e voi che ne pensate? bensì E voi che fate: comprate o state sulla porta?: segno di una certa applicazione dell'autrice.
Si fosse trattato d'altro si sarebbe sentito l'odore della marchetta, ma in questo caso, dato il tipo di oggetti venduti, non lo credo (benché l'indirizzo del punto vendita sia ben evidenziato).

E allora, mi direte? Anche questa volta riesci a fare le pulci alla tua rubrica preferita?.
Ebbene, sì.
PErché, vedete, quello stesso medesimo distributore io l'ho già visto. E' da almeno tre anni che c'è, con la stessa tendina, nel cortile del benzinaio dietro casa mia; e ci ho anche fatto degli acquisti. Quindi la 27esima ora arriva, per dir così, un po' in ritardo. Sarà l'effetto dei preservativi.

sabato 9 giugno 2012

Peraltri pesi, peraltre misure

Le stesse persone che ci hanno stracciato i coglioni per giorni, per il fatto che il Parlamento non aveva mandato un amichetto loro, di estrazione tecnica, a lavorare per un'autorità di controllo e garanzia, ora sembrano contente che il Governo mandi una signora che da trent'anni vigila le Banche a presiedere il Consiglio d'Amministrazione della maggiore azienda culturale del Paese.
Il candidato attribuisca il giusto peso ai seguenti fattori di mitigazione:
- Quintarelli era un blogger, mentre non ci erano blogger candidati alla RAI;
- l'AGCOM si deve occupare di Internet (insieme a una valanga di peraltro altre cose), mentre la RAI no, e quindi l'AGCOM è infinitamente più importante;
- le nomine all'AGCOM le ha fatte il Parlamento e quindi i partiti, sui quali è facile sparare con l'archibugio a sale, mentre le nomine alla RAI le ha fatte Monti, che non è così impallinabile;
- la RAI è pur sempre un'azienda che può dare lavoro a qualche giornalisto o giornalista in momentanea difficoltà, quindi meglio stare un po' schiacciati.

Perché studiare fisica al liceo è un buon investimento per il futuro

Ad esempio perché chi non lo fa rischia di bersi qualunque puttanata ecologista: la biowashball, le coccinelle per le onde del telefonino, l'auto ad aria compressa.
Specie se un giornale a tiratura nazionale ci monta sopra tutto una marchetta servizio.

mercoledì 6 giugno 2012

Cerco lavoro

Dunque, amici della internet, mi sono un po' stufato di lavorare in banca.
COme ben sapete, le Assicurazioni Generali in questi giorni stanno passando dei momenti un po' difficili, e avrebbero bisogno di un nuovo amministratore delegato, che sia veramente competente della materia.
Orbene, io ho:
- un'assicurazione sulla casa;
- un'assicurazione sulla macchina;
- un'assicurazione malattia;
- un'assicurazione sugli infortuni.

E' quindi chiaro che sono molto esperto del mondo delle assicurazioni, e pertanto ho mandato un curriculum. Confido che tutti voi mandiate una mail a Trieste supportando la mia candidatura.

Cane morde Uomo

Oggi il blog del Corriere, non quello del 27 bensì quello del 28, pubblica la lettera di un giovine 26enne che ha preso una laurea in Economia e Gestione dei Beni artistici e culturali discutendo una tesi sul Web FundRaising, e ciononostante fatica a trovar lavoro.


(i più smaliziati noteranno che il titolo del post -non questo, quello del Corriere- è stato cambiato in corsa. Forse forse la stessa redattrice è meno naive di quanto si potesse pensare)

martedì 5 giugno 2012

Quando il saggio indica la Luna

C'è anche chi vuole usare Twitter per la ricostruzione del Paese disastrato.

domenica 3 giugno 2012

Come abbiamo fatto ad arrivare dove siamo arrivati oggi?

Quando avevo tredici anni, l'età che oggi ha mio figlio, capitava che mio padre mi chiedesse di andargli a prendere le sigarette: io andavo e mi tenevo il resto. Ho iniziato a fumare passati i trent'anni.
Oggi se ho voglia di fumare e ho finito le sigarette non posso certo mandare Nichita a prenderle, dato che ciò è severamente proibito.

Fin da quando avevo sei anni mio nonno mi metteva un po' di vino nell'acqua, a tavola; e a tredici anni avevo già preso un bel paio di sbronze. Il vino ce lo avevamo in cantina e quindi mio padre non mi mandava a prenderlo, ma qualche volta in preparazione di una qualche serata mi mandava da Galli a prendere una bottiglia di wiskey o di gin per il Negroni. Bevo tuttora smodatamente rispetto agli standard, ma i miei esami del sangue possono essere incorniciati: e rammento con un certo divertimento quanto io e i miei amici, seduti a quel baretto di Milopotamos, ci divertissimo a prendere per il culo quegli svedesoni che si sfondavano metodicamente e che alle tre del pomeriggio rischiavano concretamente di affogare in un palmo d'acqua, qualora fossero caduti in mare inciampando sugli scogli.
Oggi se mettendo tavola mi accorgo di aver finito il vino non posso certo mandare mio figlio a prenderlo, dato che ciò è severamente proibito.

Qualche giorno fa dalla cantina di un amico è venuta fuori qualche cassa di libri. Tra questi c'era un manuale di educazione sessuale per adolescenti: l'edizione italiana di un tomo probabilmente olandese edito nel 1979, vale a dire quando io avevo più o meno l'età che Nichita ha oggi. Sfogliandolo, a un certo punto ho trovato una fotografia di due ragazzine, appena appena puberi, nude, che guardavano l'una il corpo dell'altra. C'erano i pubi che si stavano ricoprendo dei primi peli e le tettine che spuntavano: una delle due le aveva appena appena pronunciate, quasi solo i capezzoli ingrossati, mentre l'altra aveva qualche accenno di rotondità in più.
Si tratta di una fotografia che ho esaminato a lungo perché mi ha molto turbato: e non già per l'istinto pedofilo che è in me (tutti i maschi hanno un istinto da pedofili, da violentatori seriali o da entrambi, come ci insegnano quotidianamente le signore della ventisettesima ora), bensì per il sapore di madeleine che vi ho trovato. Quell'immagine mi ha rituffato in un'infanzia nella quale certe cose erano irraggiungibili (quanti anni sarebbero passati, prima che vedessi dal vivo quei pubi e quei seni!), ma non proibite bensì parte del nostro percorso di cresita: vedendo quelle immagini, toccando quei pacchetti di sigarette, assaporando il gusto acidulo del Barbera, diventavamo grandi senza accorgercene.
Oggi avere in casa quel libro mi potrebbe costare una condanna fino a tre anni di reclusione, e una multa non inferiore a € 1.549. E se fossi così stupido da pubblicare su questo blog quella fotografia, anche ripassata attraverso un qualche filtro grafico, rischierei una condanna da uno a cinque anni, e una multa fino a 50.000 euri. Non parliamo dell'editore, per il quale la pena sarebbe severa: la reclusione da sei a dodici anni.

Certo, il mondo di oggi è molto migliore di quello di ieri. Grazie a queste proibizioni non ci sono più giovani che fumano, il vizio dell'alcool è stato debellato e le donne possono passeggiare tranquillamente la sera sapendo che nessuno mai pensarebbe a violentarle. La costruzione dell'identità sessuale e di genere nei giovani è un percorso sereno e senza traumi, tanto che gli psicologi dell'età evolutiva sono orami un pallido ricordo di quell'era, triste e cupa, nella quale la mia generazione è cresciuta.
Insomma: abbiamo abdicato alla nostra libertà, ma ne valeva la pena per far crescere i nostri figli in un ambiente più sano e senza rischi.
Siete d'accordo, vero?

sabato 2 giugno 2012

Diffrazione ondulatoria


Che se proprio voleste sapere cosa ne penso della visita del Papa a Milano, ve lo racconto in due parole.
Ieri sera sono tornato a casa, come al solito, dopo una dura giornata di lavoro. Piazza Fontana era bloccata e transennata, e proprio mentre cercavo un varco è passata la papamobile, il che mi ha dato occasione di scattare la pregevole fotografia che vi ammannisco.
Essendo fisicamente impossibile passare da Piazza del Duomo, ho quindi dovuto ripiegare sulle viuzze dietro l'Arcivescovado, girare attorno a Piazza Diaz e arrivare in Corso Magenta da Santa Maria Fulcorina, laddove per solito percorro via Mercanti, Via Dante e via Giulini in contromano per arrivare in piazzale Cadorna e da lì prendere via Boccaccio. Sono quindi stato costretto a mutare le mie abitudini inveterate, il che ha pesantemente influito sul mio umore, costringendomi a consumare poco più tardi una birra, un mojito e un tampico-gin, laddove per solito mi sarei accontentato di birra e tampico soli.

Stamane poi ho preso la macchina per venire in montagna, nel ridente paesino dal bar dal cui tavolino sto scrivendo, e dato che il Papa ha avuto la bella pensata di passare proprio sotto casa mia, ho dovuto girare come un pirla per un tre quarti d'ora buoni prima di trovare il modo di arrivare all'autostrada. Certo, se avessi chiesto a uno dei vigili quello mi avrebbe detto come fare, ma dato che la mia religione mi impedisce di chiedere indicazioni ai vigili ho girato come un pirla, per scoprire solo alla fine della gimcana che sarebbe stato sufficiente che una volta imboccata via Osoppo prendessi la terza a destra invece che la seconda. Ma, certo, costringere la gente a chiedere ai vigili dov'è il varco è un'imposizione illiberale da parte della Chiesa e del Vaticano.

Il paesino nel quale ora sono conta circa quattrocento anime residenti. Sono abbastanza certo che nessun Papa (come pure nessun Presidente degli Stati Uniti, e nessun vincitore di Grammy Awards) verrà mai qui in visita ufficiale.
E credo per certo che tra una ventina o trentina d'anni il successore dell'attuale Pontefice verrà a Milano nuovamente, e io potrei rischiare di perdere mezz'ora nel traffico a cercare un varco tra le transenne: una prospettiva che mi sconvolge dato che si tratta di un vero e proprio attentato ai miei diritti civili di cittadino.
Quindi penso proprio che prenderò la residenza qui, nel paesino. Che fra l'altro offre dimolti svaghi, come si può vedere dalla foto che pure ammanisco, la quale dimostra che i paesini non hanno nulla da invidiare a una grande città. Di fronte a questa prova, solo un pirla resterebbe a vivere a Milano, sapendo che fra trent'anni potrebbe tornare un altro Papa.