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venerdì 17 dicembre 2010
La rottura dello stock
Una persona di medio buonsenso e con una normale conoscenza della lingua italiana leggendo questo pezzo del Corriere può farsi una e una sola idea: che negli USA le scorte di veleno per le condanne a morte vengano conservate in un negozio di cristallerie, e che in quel negozio sia malauguratamente entrato un elefante infuriato.
martedì 3 agosto 2010
Autorevolezza del quotidiano chic

Vittorio Zambardino (che già in passato avevamo avuto modo d'apprezzare) in questo articolo (ripreso nella home page con il lancio che riporto qui a fianco) attribuisce al Washington Post la tesi secondo cui il Presidente Obama dovrebbe «catturare Julian Assange e far fuori Wikileaks. Con le buone o le cattive».
Il nostro inizia il pezzo scrivendo: «In un primo momento si è indotti a pensare che a parlare sia un blogger. Ma Marc Thissen è un autorevolissimo commentatore, un OP Ed Columnist». E chi non abbia ben presente la struttura di un giornale americano (vale a dire il 90% dei lettori di Repubblica) non potrà che pensare: - "Minchia, un Op Ed Columnist! Dev'essere una carica importante assai nel giornale".
In realtà l'Op-Ed Columnist è uno che scrive sul giornale, ma che non condivide la linea del giornale né, di contro, il giornale sposa quanto viene scritto sull'OP-Ed.
Sarebbe bastato andare su wikipedia (e noi ben sappiamo che Repubblica non disdegna di attingere da lì l'ispirazione per i propri pezzi, quando non addirittura i propri pezzi tout-court) per vedere che OP-Ed è l'abbreviazione di "opposite the editorial page": vale a dire, letteralmente, pezzi che vengono ospitati nella pagina opposta a quella degli editoriali e che spesso esprimono opinioni differenti quando non francamente critiche con la linea editoriale del quotidiano.
Non che ci sia bisogno di sapere l'inglese, peraltro: lo spiega anche la wiki di lingua italiana.
Quindi, Repubblica non avrebbe dovuto titolare «Il WP: "Wikileaks, un sito di criminali"» bensì, correttamente: «Marc Thissen: "Wikileaks, un sito di criminali"».
Ma allora che notizia sarebbe stata?
lunedì 2 agosto 2010
Vuole un cachet, dottore?
Dopo aver letto il post di ieri, Licia ha sentito l'irrefrenabile bisogno di scendere in istrada e fotografare un altro cartello che, siamo certi, procurerà seri problemi all'incauto commerciante, ignaro del fatto che tutte le insegne esposte al pubblico debbono essere «in corretta lingua italiana».
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domenica 1 agosto 2010
Un italianissimo cialdino
Il vicesindaco di Milano, Riccardo De Corato, ha lanciato la campagna d'estate contro i cinesi di via Paolo Sarpi (che, per i non milanesi, sarebbe la chinatown di costì).
Questa volta fioccano le multe perché i commercianti hanno messo sui propri negozi le insegne in cinese, il che è illegale secondo il regolamento comunale, che prevede che le insegne debbano "essere in corretta lingua italiana", come riporta il Corriere.
Anzi: come spiega il Giornale, "le leggende devono essere in corretta lingua italiana", il che potrebbe dare qualche preoccupazione ai seguaci inglesi di Robin Hood, agli studiosi indiani del Mahabharata e ai rumeni che ancor oggi lucrano sui turisti che visitano il castello di Vlad Țepeș.
Comunque, se questa è la legge, va rispettata: che si tratti di leggende, di legende o di mere insegne.
E quindi fin da doman mattina il sottoscritto, come spero tanti altri onesti e volenterosi cittadini, si armerà di macchina fotografica per segnalare alle competenti autorità comunali, con tanto di documentazione fotografica, le insegne che non siano scritte nella più pura lingua di Dante.
Comincerò con PriceWaterhouseCoopers, Ernst & Young e Standards & Poor's. Poi credo opportuno fare un passaggio di fronte alla Piedra del Sol, al Tropico Latino e alla Cueva Maya. Penso poi di fotografare il Kaputziner Platz e la sede italiana di Commerzbank, per poi censurare lo spregio alla nostra bella lingua perpetrato da Omelette & Baguette e da Petit Bateau.
A quel punto sarò pronto per andare da High Tech e poi chiudere il giro con l'Hollywood Rythmoteque e il The Club. Ah, ma quelli li hanno già chiusi, accidenti.
Questa volta fioccano le multe perché i commercianti hanno messo sui propri negozi le insegne in cinese, il che è illegale secondo il regolamento comunale, che prevede che le insegne debbano "essere in corretta lingua italiana", come riporta il Corriere.
Anzi: come spiega il Giornale, "le leggende devono essere in corretta lingua italiana", il che potrebbe dare qualche preoccupazione ai seguaci inglesi di Robin Hood, agli studiosi indiani del Mahabharata e ai rumeni che ancor oggi lucrano sui turisti che visitano il castello di Vlad Țepeș.
Comunque, se questa è la legge, va rispettata: che si tratti di leggende, di legende o di mere insegne.
E quindi fin da doman mattina il sottoscritto, come spero tanti altri onesti e volenterosi cittadini, si armerà di macchina fotografica per segnalare alle competenti autorità comunali, con tanto di documentazione fotografica, le insegne che non siano scritte nella più pura lingua di Dante.
Comincerò con PriceWaterhouseCoopers, Ernst & Young e Standards & Poor's. Poi credo opportuno fare un passaggio di fronte alla Piedra del Sol, al Tropico Latino e alla Cueva Maya. Penso poi di fotografare il Kaputziner Platz e la sede italiana di Commerzbank, per poi censurare lo spregio alla nostra bella lingua perpetrato da Omelette & Baguette e da Petit Bateau.
A quel punto sarò pronto per andare da High Tech e poi chiudere il giro con l'Hollywood Rythmoteque e il The Club. Ah, ma quelli li hanno già chiusi, accidenti.
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venerdì 11 giugno 2010
Falsi amici
Se traduci Vernal equinox con Equinozio d'inverno, come ha fatto l'elboniano che ha messo mano a TWW S04E20, il tuo problema non è che non sai bene l'inglese, bensì che sei proprio un coglione.
lunedì 22 febbraio 2010
Fare (v.tr.)
Con la convocazione dei comizî elettorali la città si riempie di manifesti.
«La forza del fare», recita uno. «Per fare in Regione», evoca un altro. «Fare tanto, parlare poco», mi aspetto di vedere a breve; e non mi stupirebbe dacché già c'è un altro manifesto con un direttore d'orchestra (o, perlomeno, un signore vestito da direttore d'orchestra) il cui slogan è: «Fa,Re.»
Allo stesso tempo i giornali, primo fra tutti Repubblica, sono invasi di articoli sull'«Uomo del fare»: il prode Bertolaso che si trova in quel po' po' di guai che ben conosciamo, e che rischia di trascinare nella sua disgrazia anche il governo di cui è componente, che ben conosciamo per essere il «Governo del Fare». E giustamente in questo bailamme i giornali, primo fra tutti Repubblica, sottolineano come il Fare senza i controlli sia un gran rischio per il nostro Paese, sia dal punto di vista della gestione del potere che della tenuta dei conti pubblici.
C'è un fatto che sembra quasi sfuggire, o rimanere in secondo piano, ai molti commentatori che pure pongono l'accento sull'importanza di stabilire come fare prima di «fare».
Fare è verbo transitivo: l'azione compiuta dal soggetto transita al complemento oggetto: non rimane attaccata al soggetto, come nel caso, chessò, del dormire o dell'andare.
No! Per poter fare bisogna necessariamente fare qualcosa. e questo qualcosa non può essere sottinteso come nel caso del mangiare, verbo sì transitivo, che però diventa quasi intransitivo nell'espressione «Hai già mangiato?», nella quale il complemento oggetto è sottinteso, ma in fondo inutile: perché non c'importa nulla di sapere se il nostro interlocutore abbia pasteggiato a salsiccia e patate oppure a salmone con panna acida, bensì solo che egli non sia assalito dai morsi della fame.
Quando si parla di qualcuno che vuole o deve fare, è necessario sapere cosa egli farà: e difatti l'interlocutore spesso lo chiede. Il barbiere ci domanda: «Barba o capelli?»; il barista: «Negroni o Martini?»; e perfino l'agente delle pompe funebri ci chiede, compunto: «Cosa posso fare per Lei?».
Ecco: sembra che gli unici a non chiedersi cosa debbano fare sono proprio i politici di questa generazione secondorepubblicana: per essi l'agire fine a sé stesso sembra essere l'unico merito, indipendentemente dalla direzione verso la quale debba indirizzarsi lo sforzo.
E, al contempo, sembra che gli stessi elettori siano partecipi, consapevolmente o meno, di questo inganno: dato che coloro che mai darebbero la macchina in mano al carrozziere senza aver preteso di sapere cosa egli farà, e quanto poi ciò costerà loro, contrattando anche sui più minuti ritocchi di colore del sottoscocca, sono poi pronti a dare il proprio voto al primo faccione (dell'una o dell'altra parte politica, indifferentemente) che prometta loro di «FARE».
Ecco: io vi invito ad evitare come la peste di votare un qualsiasi politico che vi presenti il verbo «fare» in accezione intransitiva.
E non solo per motivi sintattici.
«La forza del fare», recita uno. «Per fare in Regione», evoca un altro. «Fare tanto, parlare poco», mi aspetto di vedere a breve; e non mi stupirebbe dacché già c'è un altro manifesto con un direttore d'orchestra (o, perlomeno, un signore vestito da direttore d'orchestra) il cui slogan è: «Fa,Re.»
Allo stesso tempo i giornali, primo fra tutti Repubblica, sono invasi di articoli sull'«Uomo del fare»: il prode Bertolaso che si trova in quel po' po' di guai che ben conosciamo, e che rischia di trascinare nella sua disgrazia anche il governo di cui è componente, che ben conosciamo per essere il «Governo del Fare». E giustamente in questo bailamme i giornali, primo fra tutti Repubblica, sottolineano come il Fare senza i controlli sia un gran rischio per il nostro Paese, sia dal punto di vista della gestione del potere che della tenuta dei conti pubblici.
C'è un fatto che sembra quasi sfuggire, o rimanere in secondo piano, ai molti commentatori che pure pongono l'accento sull'importanza di stabilire come fare prima di «fare».
Fare è verbo transitivo: l'azione compiuta dal soggetto transita al complemento oggetto: non rimane attaccata al soggetto, come nel caso, chessò, del dormire o dell'andare.
No! Per poter fare bisogna necessariamente fare qualcosa. e questo qualcosa non può essere sottinteso come nel caso del mangiare, verbo sì transitivo, che però diventa quasi intransitivo nell'espressione «Hai già mangiato?», nella quale il complemento oggetto è sottinteso, ma in fondo inutile: perché non c'importa nulla di sapere se il nostro interlocutore abbia pasteggiato a salsiccia e patate oppure a salmone con panna acida, bensì solo che egli non sia assalito dai morsi della fame.
Quando si parla di qualcuno che vuole o deve fare, è necessario sapere cosa egli farà: e difatti l'interlocutore spesso lo chiede. Il barbiere ci domanda: «Barba o capelli?»; il barista: «Negroni o Martini?»; e perfino l'agente delle pompe funebri ci chiede, compunto: «Cosa posso fare per Lei?».
Ecco: sembra che gli unici a non chiedersi cosa debbano fare sono proprio i politici di questa generazione secondorepubblicana: per essi l'agire fine a sé stesso sembra essere l'unico merito, indipendentemente dalla direzione verso la quale debba indirizzarsi lo sforzo.
E, al contempo, sembra che gli stessi elettori siano partecipi, consapevolmente o meno, di questo inganno: dato che coloro che mai darebbero la macchina in mano al carrozziere senza aver preteso di sapere cosa egli farà, e quanto poi ciò costerà loro, contrattando anche sui più minuti ritocchi di colore del sottoscocca, sono poi pronti a dare il proprio voto al primo faccione (dell'una o dell'altra parte politica, indifferentemente) che prometta loro di «FARE».
Ecco: io vi invito ad evitare come la peste di votare un qualsiasi politico che vi presenti il verbo «fare» in accezione intransitiva.
E non solo per motivi sintattici.
lunedì 7 dicembre 2009
Metriche trascendentali
Della bizzarra banda di elboniani cui hanno affidato il doppiaggio italiano di West Wing abbiamo detto abbastanza. a volte perfino abbiamo esagerato, addossando a loro colpe che in effetti sono solo il portato del nostro culturame borghese: come nel pippone a suo tempo affastellato per spiegare come si ordina un Martini degno di questo nome.
Qui, però, la cosa è differente. Il Presidente degli Stati Uniti viene eletto per quattro anni. Lo sanno anche i sassi. Lo sanno le troie, lo sanno i lenoni i cazzi lo sanno, lo sanno i coglioni!*. Lo sa anche chi ha creato la serie, dato che la campagna per rielezione avviene, to', proprio alla quarta serie annuale, il che dovrà pur avere un senso, o no?
E allora, razza di elboniani, come diavolo vi è venuto in mente di doppiare «Four more years! Four more years!» con «Altri otto anni! Altri otto anni»?
*trattasi di citazione colta, beninteso.
Qui, però, la cosa è differente. Il Presidente degli Stati Uniti viene eletto per quattro anni. Lo sanno anche i sassi. Lo sanno le troie, lo sanno i lenoni i cazzi lo sanno, lo sanno i coglioni!*. Lo sa anche chi ha creato la serie, dato che la campagna per rielezione avviene, to', proprio alla quarta serie annuale, il che dovrà pur avere un senso, o no?
E allora, razza di elboniani, come diavolo vi è venuto in mente di doppiare «Four more years! Four more years!» con «Altri otto anni! Altri otto anni»?
*trattasi di citazione colta, beninteso.
domenica 18 ottobre 2009
Se verza sciato verde per quadro
non avevo ancora approfondito bene questa buzzword dell'augmented reality, fino a quando ho pensato che questo woman fail potrebbe essere un'imperdibile opportunità per un car maker di creare un'applicazione iPhone
E mi chiedo: sarà una presa per il culo, o gli è proprio venuta così di getto, questa frase?
E mi chiedo: sarà una presa per il culo, o gli è proprio venuta così di getto, questa frase?
venerdì 9 ottobre 2009
La bocciofila del Ritz-Carlton

Ehi tu, elboniano:
so bene che nel tuo paese c'è solo fango. Non importano il Martini. Non importano la vodka. Non crescono gli ulivi.
Sono solidale con te, ti sono vicino, so che è una vita difficile.
Ma qui, in Italia, il Martini lo facciamo. Dalla Finlandia ci spediscono enormi quantitativi di liquore; e quanto alle olive, se tu avessi una connessione a internet potresti guardarti qualche foto della Puglia.
Quindi, pezzo d'idiota, quando hai tradotto in S03E09 la frase «Absolut martini on the rocks. Two olives», come ha potuto passarti anche solo per l'anticamera del cervello di metterci «Un aperitivo con ghiaccio, olive e salatini»? Ma lo fai apposta per farmi incazzare o sei proprio completamente, inguaribilmente e incommensurabilmente cretino?
Vedi, pezzo d'idiota, lascia che ti spieghi come funziona il mondo.
Josh ha appuntamento con Amy alle undici. Che non sono le undici del mattino, anzitutto perché Amy è appena andata a un balletto e poi, deficiente, perché fuori è buio. Anche in Elbonia alle 11 del mattino c'è la luce, per cui è un concetto al quale puoi arrivare.
E tu lo riesci a capire, minorato che non sei altro, che ordinare un "aperitivo" alle undici è quanto più fuor di luogo possa esistere?
Ma non solo: Josh non ordina un Martini. Non ordina un Vodka Martini. Non ordina neppure un Absolute Martini. Ordina un Absolute Martini on the rocks. Con due olive, per di più. Vuol dire che quel tipo lì è uno che sa cosa sta facendo, è uno che ne frequenta di bar, che ha dei gusti che possono essere giudicati o meno raffinati (un Absolute Martini on the rocks, santo cielo!, direi io; solo un ammmericano!), ma sono gusti precisi.
Egli è un uomo potente e un uomo di mondo. Gestisce affari di stato e fa ordinazioni da habitué del Ritz-Carlton.
Fargli ordinare un "aperitivo con ghiaccio, olive e salatini" lo trasforma completamente: neppure un quindicenne sceso dalla Val Trompia oggi sparerebbe fuori una simile cagata: ordinerebbe una Red Bull & Vodka.
Un aperitivo con ghiaccio, olive e salatini è l'ordinazione che avrebbe potuto fare Tom Hanks, se fosse stato sull'isola deserta di Cast Avay dieci anni anziché solo cinque.
C'era un film degli anni Cinquanta (o addirittura dei Trenta), e non ricordo proprio più quale, in cui a un certo punto il protagonista, in un locale, ordinava dello Champagne; poi mentre il cameriere si stava allontanando gli gridava «buona marca, mi raccomando!»
Nella colonna originale probabilmente il protagonista diceva «Dom Pérignon 1937»; ma giustamente il doppiaggio di allora tradusse «Buona marca», dato che nell'Italia di quel tempo dire Dom Pérignon sarebbe stato come spiegare a un convegno di allevatori il funzionamento di una nuova mungitrice meccanica ultrautomatica paragonandola a un DHCP server.
Ma l'Italia di oggi non è quella di allora, e il pubblico di West Wing oltretutto è un sottoinsieme particolare degli italiani, un filino più istruito, e fors'anche più modaiolo, della media.
Con quel dialogo, elboniano, hai preso Josh e dal bar Ritz-Carlton, dove stava, l'hai trasferito di peso in una bocciofila. E' una puttanata, te ne rendi conto?
martedì 6 ottobre 2009
Citare, puttana di quella grandissima zoccola di tua madre: citare!
(The West Wing, S03E07)
Tu, elboniano traduttore per avventura, mettitelo bene in quella minuscola appendice, e vuota, che porti in cima al collo.
To sue in italiano si traduce nel 99% dei casi con citare, non con denunciare, cazzo.
Tu, elboniano traduttore per avventura, mettitelo bene in quella minuscola appendice, e vuota, che porti in cima al collo.
To sue in italiano si traduce nel 99% dei casi con citare, non con denunciare, cazzo.
lunedì 5 ottobre 2009
giovedì 24 settembre 2009
Lost in communication
No, non ci sono solo i traduttori di West Wing a meritare cento frustate e una bella strofinata di sale grosso sulle ferite.
Anche chi ha scritto questo comunicato stampa dimostra di non aver fatto il liceo sul lago d'Iseo, o perlomeno di non averlo fatto con il professore che ho in mente io il quale, ne sono certo, gli avrebbe fatto fare per punizione la traversata a nuoto dalla sponda bergamasca a quella bresciana, una gelida mattina d'inizio febbraio.
Anche chi ha scritto questo comunicato stampa dimostra di non aver fatto il liceo sul lago d'Iseo, o perlomeno di non averlo fatto con il professore che ho in mente io il quale, ne sono certo, gli avrebbe fatto fare per punizione la traversata a nuoto dalla sponda bergamasca a quella bresciana, una gelida mattina d'inizio febbraio.
“XXXXXXXX Collection - afferma Mario Rossi, promotore del progetto - si configura come centro polifunzionale con attività eterogenee, un progetto innovativo, di grande portata e di elevata qualificazione per chi vorrà farne parte attivamente. Un luogo dove la cultura trascina fashion, retail, strutture congressuali e direzionali di livello qualitativo. Tutto in una condivisione all'insegna della filosofia - made in Italy. Non solo boutique, marchi, ma luogo di aggregazione e scambio per promuovere operazioni di business tra operatori di settore italiani ed europei e le controparti attive e qualificate provenienti principalmente dal bacino geografico di Russia, Medio Oriente, Asia e Oceania. Un luogo per sfilate, eventi fashion. L’identità del progetto, nonché i suoi elementi costitutivi sono quindi i fattori di distinguo che permettono a XXXXXXXXX Collections di caratterizzarsi e di essere un progetto in linea con i tempi e le necessità dei nostri imprenditori.”
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Internet 3.0: un anticipazione del futuro
(che poi riprende anche un discorso affrontato nel mio post "Trilioni di negri")
mercoledì 23 settembre 2009
Lost in translation /2
La mia professoressa di Inglese 2, ai tempi in cui imparavo faticosamente l'idioma nei corsi serali di Scienze Politiche, spiegava che per la prova d'esame (traduzione dall'inglese all'italiano) avrebbe messo a disposizione il vocabolario, ma d'italiano!
Qualche tempo dopo ho cominciato a capire il perché, leggendo certe castronerie scritte da persone che magari l'inglese lo sapevano comprendere meglio di me, ma dimostravano di avere una conoscenza pari a zero della propria lingua madre, e di conseguenza non riuscivano a esprimere i più banali concetti del testo straniero.
Il problema certo non tange i traduttori di West Wing: un gruppo di elboniani che non conoscendo né la lingua di partenza né quella di arrivo hanno sparato una ridda di parole a caso, e per puro culo sono riusciti a dar loro un senso compiuto.
Certo, il loro capocapanna sarà stato contento quando, arrancando nella mota, il drudo di turno gli avrà portato la traduzione di S02E16 (Somebody's going to Emergency, Somebody's going to Jail) facendogli notare, tronfio, di non essere caduto nel tranello del falso amico pardon, che un linguista meno scaltro avrebbe impropriamente trasformato in perdono, no!
Il bravo Elboniano*, andatosi a prendere un vocabolario e confrontatosi con il lontano cugino ***, l'assessore trezzanese di cui abbiamo parlato qualche tempo fa, ha pensato bene di usare il termine "indulto".
Ora, lo sanno anche i sassi che i Re concedono le grazie, e che tale privilegio sovrano spetta nelle repubbliche ai Presidenti. Ma senza voler andare così lontano, converrete che, d'istinto, il primo sostantivo che viene in mente a un qualsiasi cretino, con riferimento all'atto del graziare qualcuno è "grazia", non certo "amnistia" né "indulto". Bisogna quindi pensarci su con molta attenzione, per sbagliarsi.
Si vede che una volta deciso di sbagliarsi, l'Elboniano si è detto: -"fatto 30, facciamo 31", e quindi dei due termini rimanenti ha scelto "indulto". Che non ha il minimo senso, dato che il graziando, nella finzione del telefilm, era morto una cinquantina d'anni addietro, e quindi in galera non poteva più starci, per evidenti ragioni. Fosse stato italiano, il traduttore avrebbe saputo dalle reminiscenze di educazione civica delle elementari che l'indulto estingue la pena mentre l'amnistia estingue il reato; e che ad un morto l'estinguere la pena non può servire a una fava, a differenza dell'estinzione del reato, che smacchia l'onta della condanna. Ma l'elboniano no, testardo, ha deciso di far l'Elboniano fino in fondo.
Qualche tempo prima suo cognato era stato incaricato di tradurre S01E20 (Mandatory Minimum): letteralmente "minimo obbligatorio". Il cognato, furbo anch'esso come un cervo, si dev'essere messo nei panni del poco smaliziato spettatore italiano quarantenne, nel quale la parola "minimo" nuda e cruda avrebbe evocato la vite zigrinata di regolazione del carburatore del Ciao (del Garelli quattro marce per i più abbienti): e ha deciso di specificargli di che cosa si stesse trattando rititolando "il minimo della pena".
E così, in tutto l'episodio sentiamo dire che applicare "il minimo della pena" per i consumatori di crack è razzista perché la maggior parte di essi sono neri, mentre i consumatori di cocaina sono bianchi.
E io stavo lì ad arrovellarmi: perché il presidente di WW, per chi non lo sapesse, non è mica abbronzato: né lo è alcun membro dello staff: e allora di che diavolo di razzismo stiamo a parlare, se si parla di applicare il minimo della pena alla droga consumata dai neri e non a quella consumata dai bianchi?
Fortunatamente in rete si trovano le trascrizioni delle puntate, e così vengo a scoprire che nel testo in realtà si parlava di pena minima obbligatoria, non di minimo della pena: che sono espressioni che sembrano simili solo ad un evisceratore di polli al termine di una dura giornata di lavoro**.
Vale comunque la pena, tutto ciò: perché finisce che alcune puntate me le vedo due volte: la prima senza capire una mazza, e la seconda capendola.
* trattasi di maiuscola da superfetazione, casomai qualcuno volesse eccepire
** se non avete idea di come sia la giornata di lavoro di un evisceratore di polli, non avete idea di cosa sia un lavoro duro
Qualche tempo dopo ho cominciato a capire il perché, leggendo certe castronerie scritte da persone che magari l'inglese lo sapevano comprendere meglio di me, ma dimostravano di avere una conoscenza pari a zero della propria lingua madre, e di conseguenza non riuscivano a esprimere i più banali concetti del testo straniero.

Certo, il loro capocapanna sarà stato contento quando, arrancando nella mota, il drudo di turno gli avrà portato la traduzione di S02E16 (Somebody's going to Emergency, Somebody's going to Jail) facendogli notare, tronfio, di non essere caduto nel tranello del falso amico pardon, che un linguista meno scaltro avrebbe impropriamente trasformato in perdono, no!
Il bravo Elboniano*, andatosi a prendere un vocabolario e confrontatosi con il lontano cugino ***, l'assessore trezzanese di cui abbiamo parlato qualche tempo fa, ha pensato bene di usare il termine "indulto".
Ora, lo sanno anche i sassi che i Re concedono le grazie, e che tale privilegio sovrano spetta nelle repubbliche ai Presidenti. Ma senza voler andare così lontano, converrete che, d'istinto, il primo sostantivo che viene in mente a un qualsiasi cretino, con riferimento all'atto del graziare qualcuno è "grazia", non certo "amnistia" né "indulto". Bisogna quindi pensarci su con molta attenzione, per sbagliarsi.
Si vede che una volta deciso di sbagliarsi, l'Elboniano si è detto: -"fatto 30, facciamo 31", e quindi dei due termini rimanenti ha scelto "indulto". Che non ha il minimo senso, dato che il graziando, nella finzione del telefilm, era morto una cinquantina d'anni addietro, e quindi in galera non poteva più starci, per evidenti ragioni. Fosse stato italiano, il traduttore avrebbe saputo dalle reminiscenze di educazione civica delle elementari che l'indulto estingue la pena mentre l'amnistia estingue il reato; e che ad un morto l'estinguere la pena non può servire a una fava, a differenza dell'estinzione del reato, che smacchia l'onta della condanna. Ma l'elboniano no, testardo, ha deciso di far l'Elboniano fino in fondo.
Qualche tempo prima suo cognato era stato incaricato di tradurre S01E20 (Mandatory Minimum): letteralmente "minimo obbligatorio". Il cognato, furbo anch'esso come un cervo, si dev'essere messo nei panni del poco smaliziato spettatore italiano quarantenne, nel quale la parola "minimo" nuda e cruda avrebbe evocato la vite zigrinata di regolazione del carburatore del Ciao (del Garelli quattro marce per i più abbienti): e ha deciso di specificargli di che cosa si stesse trattando rititolando "il minimo della pena".
E così, in tutto l'episodio sentiamo dire che applicare "il minimo della pena" per i consumatori di crack è razzista perché la maggior parte di essi sono neri, mentre i consumatori di cocaina sono bianchi.
E io stavo lì ad arrovellarmi: perché il presidente di WW, per chi non lo sapesse, non è mica abbronzato: né lo è alcun membro dello staff: e allora di che diavolo di razzismo stiamo a parlare, se si parla di applicare il minimo della pena alla droga consumata dai neri e non a quella consumata dai bianchi?
Fortunatamente in rete si trovano le trascrizioni delle puntate, e così vengo a scoprire che nel testo in realtà si parlava di pena minima obbligatoria, non di minimo della pena: che sono espressioni che sembrano simili solo ad un evisceratore di polli al termine di una dura giornata di lavoro**.
Vale comunque la pena, tutto ciò: perché finisce che alcune puntate me le vedo due volte: la prima senza capire una mazza, e la seconda capendola.
* trattasi di maiuscola da superfetazione, casomai qualcuno volesse eccepire
** se non avete idea di come sia la giornata di lavoro di un evisceratore di polli, non avete idea di cosa sia un lavoro duro
martedì 22 settembre 2009
Note to self: no more dubbed movies!
Premessa:
Fatta questa lunga premessa, potete ben capire come io sia tutt'altro che pregiudizialmente contrario al tradurre il più possibile dei termini inglesi quando si doppia un film: e tradurli nel vero senso della parola, che non significa scimmiottare.
I traduttori della versione italiana di West Wing tutto ciò non l'hanno minimamente capito, e hanno fatto un tale scempio di una splendida serie televisiva: così piena di qualità da riuscire, nonostante il disastro del loro lavoro, a meritare comunque di essere vista.
Certo, direte, potresti guardartela in inglese: sfortunatamente la mia conoscenza di tale lingua, che pur mi consente di leggere la sceneggiatura, non mi permette di capire una sola parola di tutto ciò che si dice, e i sottotiloli non rappresentano una soluzione dal momento che gli attori parlano con la velocità del fulmine. Mi tocca quindi la versione italiana, e i travasi di bile che essa comporta.
Un esempio, su tutti. Quasi in ogni episodio qualcuno presenta a qualcun altro Leo McGarry come "capo del personale" della Casa Bianca. Chiunque abbia mai lavorato -e ciò spiega perché i traduttori della serie ne siano ignari- sa che un capo del personale è colui che seleziona, assume e licenzia gli impiegati, ne cura le retribuzioni, i rapporti sindacali, segue i procedimenti disciplinari e via discorrendo. E' un ruolo di responsabilità, ma non ha nulla a che vedere con il potere vero.
Leo McGarry è il Chief of Staff: il che vuol dire che è il capo dello Staff, cioè dell'insieme delle persone che formano la più immediata e stretta cerchia dei consiglieri del Presidente. E', insomma, quello che comanda alla Casa Bianca, e certo non si occuperà delle retribuzioni e dei sindacati, la cui gestione lascerà a... un capo del personale!
Cos'avrei fatto io se fossi stato il traduttore? Avrei valutato anzitutto come si chiama in Italia l'analogo del Chief of Staff, scoprendo che esistono il Segretario Generale alla Presidenza della Repubblica e il Segretario Generale alla Presidenza del Consiglio: e avrei chiamato McGarry Segretario Generale, senza alcun dubbio.
Certo, si sarebbe perso quel "capo" che può impressionare il pubblico di Buona Domenica. Ma, obiettivamente: credete davvero che il pubblico di West Wing, una delle serie più carente di gnocca nella storia della televisione, sia lo stesso di Buona Domenica? L'attrattiva di West Wing sono i meccanismi del potere e l'applicazione dei principi montesquiviani: il suo pubblico non si sarebbe impressionato a non sentire un termine "capo" per designare il Capo: avrebbe accettato "segretario", e l'aggettivo "generale" l'avrebbe convinto, in caso di dubbio, che con tale appellativo non si volesse indicare il capo dei dattilografi.
Non andava ancora bene? Si voleva proprio lasciare il termine "capo"? Allora si poteva andare su Wikipedia, che traduce Chief of Staff con Capo di Gabinetto. Si tratta di una traduzione buona ma non eccellente, perché il termine evoca perfettamente il ruolo della carica per l'ascoltatore italiano (salvo per il pubblico di Buona Domenica, al quale Gabinetto evoca il gabinetto), ma pone poi il problema dell'esistenza, nel sistema di governo degli USA, di un Cabinet che è tutt'altra cosa rispetto allo Staff, e del quale il capo dello Staff non è minimamente capo. Né il Cabinet è il nostro Governo, dal momento che il Governo negli USA è incarnato nel Presidente, che delega al Cabinet che risponde a lui solo.
Pericoloso, quindi, quel "Capo di Gabinetto", e fuorviante. Che fare, allora?
Ma, buon Dio, perché diavolo non lasciare "Capo dello Staff"? Certo, Staff non è una parola italiana, ma di tutte le castronerie inglesi che si sentono, staff è una di quelle che è entrata nell'uso più quotidiano; al punto che chi si rifiutasse di dire "staff" in nome della purezza della lingua non potrebbe certo adoperare il termine "computer", che dovrebbe sostituire con "elaboratore elettronico".
In conclusione: dato che in West Wing i computer vengono correntemente chiamati "computer", allora Leo McGarry avrebbe dovuto essere chiamato Capo dello Staff, se non addirittura Segretario Generale.
Chi frequenta da un po' queste paginette sa bene di avervi letto ben pochi termini inglesi, inseriti nel discorso solo nei casi in cui non se ne poteva proprio fare a meno, per inesistenza o manifesta inferiorità del corrispondente termine italiano (provateci, voi, a tradurre directory con raccolta ordinata di archivi elettronici senza farvi ridere dietro! e non provateci, invece, a dire direttorio, che di Direttorio io ne conosco solo uno.)
La mia idiosincrasia verso l'inutile uso di prestiti e calchi (definizioni per la decodifica delle quali vi rimando all'ottima Licia Corbolante) è nota; e ancor più quella verso la supina introduzione nel lessico di parole inglesi che vengono sfruttate per mera pigrizia intellettuale da chi voglia esprimere un concetto scopiazzato altrove, o addirittura da colui che voglia aderire a un modello stilistico ritenuto vincente in ambito professionale.
Come scrivevo in un post di qualche tempo fa, è per me una sorta di punto d'onore scrivere in italiano, anche qualora i tecnicismi della materia potrebbero rendere più facile l'importazione di terminologia inglese: e potete ben capire quanto inglese si possa sentire in una banca d'affari!
Non è però che tale mio atteggiamento sia dettato da una presunzione di superiorità dell'italiano sull'inglese: mi indigno infatti allo stesso modo quando coloro stessi che non esitano a scrivere deal al posto di accordo e loan al posto di finanziamento, tutto d'un tratto diventano più nazionalisti di Starace, e ti piazzano un bancarotta in luogo dell'inglese bankruptcy: traduzione che non solo è profondamente sbagliata, se si sta parlando di un Chapter 11 americano, in quanto la parola italiana indica un reato, ma di cui non si sentiva minimamente il bisogno e che appare anzi ridicola quando esce dalla penna del medesimo imbrattacarte che poco prima non si è peritato di scrivere stakeholders, e oltretutto per indicare gli azionisti!
Fatta questa lunga premessa, potete ben capire come io sia tutt'altro che pregiudizialmente contrario al tradurre il più possibile dei termini inglesi quando si doppia un film: e tradurli nel vero senso della parola, che non significa scimmiottare.
I traduttori della versione italiana di West Wing tutto ciò non l'hanno minimamente capito, e hanno fatto un tale scempio di una splendida serie televisiva: così piena di qualità da riuscire, nonostante il disastro del loro lavoro, a meritare comunque di essere vista.
Certo, direte, potresti guardartela in inglese: sfortunatamente la mia conoscenza di tale lingua, che pur mi consente di leggere la sceneggiatura, non mi permette di capire una sola parola di tutto ciò che si dice, e i sottotiloli non rappresentano una soluzione dal momento che gli attori parlano con la velocità del fulmine. Mi tocca quindi la versione italiana, e i travasi di bile che essa comporta.
Un esempio, su tutti. Quasi in ogni episodio qualcuno presenta a qualcun altro Leo McGarry come "capo del personale" della Casa Bianca. Chiunque abbia mai lavorato -e ciò spiega perché i traduttori della serie ne siano ignari- sa che un capo del personale è colui che seleziona, assume e licenzia gli impiegati, ne cura le retribuzioni, i rapporti sindacali, segue i procedimenti disciplinari e via discorrendo. E' un ruolo di responsabilità, ma non ha nulla a che vedere con il potere vero.
Leo McGarry è il Chief of Staff: il che vuol dire che è il capo dello Staff, cioè dell'insieme delle persone che formano la più immediata e stretta cerchia dei consiglieri del Presidente. E', insomma, quello che comanda alla Casa Bianca, e certo non si occuperà delle retribuzioni e dei sindacati, la cui gestione lascerà a... un capo del personale!
Cos'avrei fatto io se fossi stato il traduttore? Avrei valutato anzitutto come si chiama in Italia l'analogo del Chief of Staff, scoprendo che esistono il Segretario Generale alla Presidenza della Repubblica e il Segretario Generale alla Presidenza del Consiglio: e avrei chiamato McGarry Segretario Generale, senza alcun dubbio.
Certo, si sarebbe perso quel "capo" che può impressionare il pubblico di Buona Domenica. Ma, obiettivamente: credete davvero che il pubblico di West Wing, una delle serie più carente di gnocca nella storia della televisione, sia lo stesso di Buona Domenica? L'attrattiva di West Wing sono i meccanismi del potere e l'applicazione dei principi montesquiviani: il suo pubblico non si sarebbe impressionato a non sentire un termine "capo" per designare il Capo: avrebbe accettato "segretario", e l'aggettivo "generale" l'avrebbe convinto, in caso di dubbio, che con tale appellativo non si volesse indicare il capo dei dattilografi.
Non andava ancora bene? Si voleva proprio lasciare il termine "capo"? Allora si poteva andare su Wikipedia, che traduce Chief of Staff con Capo di Gabinetto. Si tratta di una traduzione buona ma non eccellente, perché il termine evoca perfettamente il ruolo della carica per l'ascoltatore italiano (salvo per il pubblico di Buona Domenica, al quale Gabinetto evoca il gabinetto), ma pone poi il problema dell'esistenza, nel sistema di governo degli USA, di un Cabinet che è tutt'altra cosa rispetto allo Staff, e del quale il capo dello Staff non è minimamente capo. Né il Cabinet è il nostro Governo, dal momento che il Governo negli USA è incarnato nel Presidente, che delega al Cabinet che risponde a lui solo.
Pericoloso, quindi, quel "Capo di Gabinetto", e fuorviante. Che fare, allora?
Ma, buon Dio, perché diavolo non lasciare "Capo dello Staff"? Certo, Staff non è una parola italiana, ma di tutte le castronerie inglesi che si sentono, staff è una di quelle che è entrata nell'uso più quotidiano; al punto che chi si rifiutasse di dire "staff" in nome della purezza della lingua non potrebbe certo adoperare il termine "computer", che dovrebbe sostituire con "elaboratore elettronico".
In conclusione: dato che in West Wing i computer vengono correntemente chiamati "computer", allora Leo McGarry avrebbe dovuto essere chiamato Capo dello Staff, se non addirittura Segretario Generale.
lunedì 21 settembre 2009
Filibustiere
Se c'è un inferno dei doppiatori, coloro che hanno partecipato allo scempio di West Wing meritano di finire nella Giudecca.
E colui che in 2x17 ha osato tradurre «filibuster» con «filibustiere» è, egli sì, un filibustiere.
Update: e «bipartisan» con «bipartitico»
E colui che in 2x17 ha osato tradurre «filibuster» con «filibustiere» è, egli sì, un filibustiere.
Update: e «bipartisan» con «bipartitico»
mercoledì 17 giugno 2009
Lost in translation
Il post del cartello stradale, e in particolare il commento di marcolinux, mi ha fatto rammentare un episodio di gioventù, che dimostra come nessuno nasca imparato.
A diciott'anni circa, in una ridente isola greca nota per l'elevatissimo tasso alcolico e la facilità d'approccio alle turiste, trascinai in una stradina polverosa una signorina formosa.
E l'impresa già mi era sembrata eccezionale, dato che allora conoscevo ben tre frasi in inglese: "what's your name?"; "what's your age?" (che non sarà oxoniano ma funzionava) e "where is the boat?" (utile per il viaggiatore, ma meno per le conquiste amorose): e le avevo già sfruttate tutte.
Ci rotolammo un po' nella polvere, dopodiché, mentre eravamo già praticamente nudi, lei ebbe un attimo di esitazione, forse perché riteneva che il décor non fosse il più adatto a consumare la relazione: non foss'altro per il numero di persone che transitavano di lì.
Io, che già ero sufficientemente insicuro di mio, vista l'esitazione credetti che la occasionale compagna ci avesse ripensato: forse non le piacevo. E così, volendo affermare in tono un po' sconsolato "forse io non ti piaccio", me ne uscii con:
- «maybe I don't like you».
Ella raccattò le sue cose e se ne andò ratta, esclamando cose che lì per lì non capii, ma che certo dovevano essere considerazioni sulle mie ave e sul destino della mia progenie.
A diciott'anni circa, in una ridente isola greca nota per l'elevatissimo tasso alcolico e la facilità d'approccio alle turiste, trascinai in una stradina polverosa una signorina formosa.
E l'impresa già mi era sembrata eccezionale, dato che allora conoscevo ben tre frasi in inglese: "what's your name?"; "what's your age?" (che non sarà oxoniano ma funzionava) e "where is the boat?" (utile per il viaggiatore, ma meno per le conquiste amorose): e le avevo già sfruttate tutte.
Ci rotolammo un po' nella polvere, dopodiché, mentre eravamo già praticamente nudi, lei ebbe un attimo di esitazione, forse perché riteneva che il décor non fosse il più adatto a consumare la relazione: non foss'altro per il numero di persone che transitavano di lì.
Io, che già ero sufficientemente insicuro di mio, vista l'esitazione credetti che la occasionale compagna ci avesse ripensato: forse non le piacevo. E così, volendo affermare in tono un po' sconsolato "forse io non ti piaccio", me ne uscii con:
- «maybe I don't like you».
Ella raccattò le sue cose e se ne andò ratta, esclamando cose che lì per lì non capii, ma che certo dovevano essere considerazioni sulle mie ave e sul destino della mia progenie.
domenica 14 giugno 2009
Privo (v. tr.)

Vedendolo non ho potuto fare a meno di fermarmi e fotografarlo: perché quella dicitura in inglese fa scoprire tutto un mondo.
Immaginiamo che l'amministratore pubblico trezzanese, forse nientepopodimeno che il Sindaco in persona, oltretutto donna di centrosinistra, un giorno si sarà detta che, stante il numeroso affluire di turisti sulla frequentata ciclabile, sarebbe stato opportuno avvertire i passanti del pericolo anche in un'idioma internazionale.
Forse si sarà riunita una commissione, e alla fine qualcuno dei consiglieri della giunta avrà rispolverato i racconti dell'assessore ***, che sempre si era vantato di avere studiato con particolare profitto la lingua d'Albione. Il nostro fu chiamato; e non ebbe modo di declinare lo sgradito incarico.
Mandato un messo comunale a recuperare il vocabolario, lasciato nella cameretta d'adolescente insieme agli altri libri di scuola, quando da bamboccione il poliglotta assessore era divenuto adulto e aveva messo su famiglia, il nostro eroe si mise all'opera.
La prima parola, Alzaia, fu abbastanza semplice: in fondo per chi abbia dimestichezza con l'ordine alfabetico tradurre è una vera sciocchezza, avendo del tempo a disposizione. E così ecco Towpath; e fu una vera ispirazione, dato che la prima parola suggerita sarebbe stata probabilmente Tow-line o Tow-rope: in quanto l'alzaia tecnicamente non è tanto la via che costeggia il canale quanto la corda con la quale venivano trainate le chiatte, nome che per estensione ha preso anche il camminamento sul quale transitavano gli animali da tiro.
Allo stesso modo parapetto è divenuto parapet; e non chiedetemi se un inglese di madre lingua avrebbe usato il più colloquiale barrier; anche perché ho dei dubbi sul fatto che persino in italiano "parapetto" sia il termine giusto, affiancato a una strada. Quanto a "di", tutti sanno che si traduce "of": non c'è manco bisogno di guardare il vocabolario, per una simile sciocchezzuola.
Ma ora vengono i dolori! Infatti l'assessore, che pensava di aver quasi terminato senza soverchie difficoltà, arrivato a "priva" sfoglia, sfoglia il vocabolario... e non trova nulla!
- «Accipicchia: questo dizionario deve essere proprio vecchio. Mumble mumble... in che guaio mi sono messo: e adesso come ne esco? che faccio? Mmmmm... proviamo a guardare meglio: "privacy"; "privare"; "privarsi"; "privatamente"; "privatezza"; "privatista": Pare che abbian fatta questa voce apposta per me: del resto dopo aver fatto i cinque anni in uno, non potevo certo sostenerla da interno, la maturità... Macché: non c'è proprio, questa benedetta parola».
E così il nostro era per perdersi affatto; ma atterrito, più che d'ogni altra cosa, dalla prospettiva di confessare al Sindaco la propria incapacità, richiamò alla mente gli antichi studi della quarta elementare: l'analisi grammaticale, i verbi, le coniugazioni... Pian pianino, mentre guardava quella fredda distesa di lemmi, la sua attenzione cominciò a cadere su quel "privare"; e cominciò a pensare che forse tra "priva" e "privare" c'era un nesso; anzi ne era certo, infine.
- «Io privo, tu privi, egli priva! Ma certo, che stupido!! L'alzaia priva: voce del verbo privare, prima coniugazione, modo indicativo, tempo presente, terza persona singolare. Come si dice in inglese? to deprive; to bereave; to deny. Vabbe', non andiamo tanto per il sottile adesso, e prendiamo la prima voce che troviamo: to deprive, ed ecco fatta la traduzione, ora la consegno e tanti saluti».
Towpath to deprive of parapetOrbene, una delle più gran consolazioni di questa vita è l'amicizia; e una delle consolazioni dell'amicizia è quell'avere a cui confidare un segreto: e così, uscendo dalla stanza in cui si era rinchiuso, dopo due sudate ore, il funzionario chi ti trovò? Nient'altri che l'unico compagno di partito del quale poteva fidarsi, per avere con lui spartito il frutto di una più che cospicua regalia di un costruttore edile in seguito associato alla casa circondariale del vicino comune di Opera; e oltre al frutto, anche le sode e generose frutta dell'amante del costruttore, i favori della quale il costruttore, anche quando godeva della propria libertà personale, usava concedere ai propri compagni d'affari, per rendere meno greve il peso delle valigetta nella quale riponeva le banconote destinate a coloro.
Fu così che il nostro eroe raccontò al proprio amico (amico di quell'amicizia che mai si potrebbe sciogliere, in quanto ciascuno avrebbe troppo da perdere nel farlo) il suo tormento, e la brillante conclusione cui era riuscito a giungere in adempimento dell'importante incarico.
E fu una fortuna: perché il suo sòdale gli fece notare che, come "priva" in italiano è cosa diversa da "privare", così poteva ben darsi che anche gli inglesi avessero questa spregevole abitudine, di coniugare i verbi. Una verifica s'imponeva.
Il messo fu rimandato alla cameretta natìa, e tornò recando con sé una grammatica: fu così che i due scoprirono che la terza persona singolare dei verbi inglesi prende la "S", e che il "TO" non ci vuole.
Ed ecco la traduzione, consegnata per tempo alla ditta di cartellonistica:
Towpath deprives of parapet.
venerdì 29 maggio 2009
Comunicare fattivamente
Da: Mario Bianchi
Inviato: venerdì 22 maggio 2009 14.43
A: mfisk
Cc: XXXXXX
Oggetto: Condivisione Mappa Processi
Nell'ambito del progetto di mappatura e innovazione dei processi aziendali, stiamo procedendo ad un ulteriore affinamento della mappa dei processi già emanata con Comunicazione Organizzativa n. 99/08.
Operativamente, partendo da una mappa già esistente dei processi, abbiamo cercato di evidenziare le attività chiave del processo confrontandoci con le procedure operative in essere.
Per i processi di Sua competenza, di cui alleghiamo schede di dettaglio, siamo quindi a richiederLe un’ulteriore verifica della scomposizione dei singoli processi in sottoprocessi.
RingraziandoLa per la Sua fattiva collaborazione, siamo a disposizione per qualsiasi chiarimento.
Cordiali saluti,
Mario Bianchi
From: mfisk
Sent: Friday, May 29, 2009 3:53 PM
To: Mario Bianchi
Cc: XXXXXXXXXX
Subject: R: Condivisione Mappa Processi
Francamente non ho capito nulla, e non mi ha aiutato la circostanza che i file allegati non si possano aprire.
Forse questa circostanza sarebbe la prima procedura operativa da affinare. Operativamente e fattivamente, e magari scomponendo il processo in sottoprocessi.
Cordialità,
mfisk
Inviato: venerdì 22 maggio 2009 14.43
A: mfisk
Cc: XXXXXX
Oggetto: Condivisione Mappa Processi
Nell'ambito del progetto di mappatura e innovazione dei processi aziendali, stiamo procedendo ad un ulteriore affinamento della mappa dei processi già emanata con Comunicazione Organizzativa n. 99/08.
Operativamente, partendo da una mappa già esistente dei processi, abbiamo cercato di evidenziare le attività chiave del processo confrontandoci con le procedure operative in essere.
Per i processi di Sua competenza, di cui alleghiamo schede di dettaglio, siamo quindi a richiederLe un’ulteriore verifica della scomposizione dei singoli processi in sottoprocessi.
RingraziandoLa per la Sua fattiva collaborazione, siamo a disposizione per qualsiasi chiarimento.
Cordiali saluti,
Mario Bianchi
From: mfisk
Sent: Friday, May 29, 2009 3:53 PM
To: Mario Bianchi
Cc: XXXXXXXXXX
Subject: R: Condivisione Mappa Processi
Francamente non ho capito nulla, e non mi ha aiutato la circostanza che i file allegati non si possano aprire.
Forse questa circostanza sarebbe la prima procedura operativa da affinare. Operativamente e fattivamente, e magari scomponendo il processo in sottoprocessi.
Cordialità,
mfisk
mercoledì 20 maggio 2009
Style
Anch'io, ultimamente, ci ho il mio pianeta. Che è un pianeta bello grande, un pianeta blogger grande così: potentissimo; capace, se solo solo si incazza, di far saltare tutto il database dei commenti su google scatenandomi contro l'orda di fans adoranti.
Però, in omaggio al nuovo motto che adorna l'intestazione di questo blog, non riesco a fare a meno di scriverlo, e lo scrivo.
Se vuoi fare Joyce, Matteo, le virgole è meglio non usarle.
Però, in omaggio al nuovo motto che adorna l'intestazione di questo blog, non riesco a fare a meno di scriverlo, e lo scrivo.
Se vuoi fare Joyce, Matteo, le virgole è meglio non usarle.
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