Gli auguri lanciati così, indistintamente, mi lasciano un po' freddino.
Purtroppo è quasi ora di prepararsi per la cena, e non ce la faccio proprio a fare un colpo di telefono a ciascuno (di molti degli amici che conosco qui e su FF, peraltro, non so nemmeno il numero).
Buon Natale, quindi, qualunque cosa ciò significhi per ciascuno di voi.
venerdì 24 dicembre 2010
giovedì 23 dicembre 2010
La gioia di pensare con la propria testa
Questo poveretto qui, Alessio Vinci, è stato perculato da mezza rete e persino da un TG nazionale per aver detto che Berlusconi è la Luce.
La cosa è stata ripresa da Repubblica, frase che ormai equivale a «Les normands buvaient du calva»
Certo, il fatto che il direttore del TG che l'ha perculato sia colui del quale ha preso il posto (peraltro senza rubarglielo) può aver influito sul giudizio. Quanto al boxino di Repubblica, ils buvaient du calva.
Chi si fosse preso il ghiribizzo di ragionare con la propria testa avrebbe potuto ascoltare l'audio, messo a disposizione dai bevitori di liquore, e constatare che Vinci ha detto un'enorme stronzata.
In effetti la notte del 21 dicembre non è stata manco per un cazzo la più buia da quattro secoli a questa parte. E' una fola, una sciocchezza, una puttanata. La fola, la sciocchezza, la puttanata, era per inciso la citazione letterale di un titolone di Repubblica, che purtroppo il Vinci deve aver letto, ahilui.
Dopodiché, Alessio Vinci ha presentato Berlusconi: e non ha detto che Berlusconi è la Luce. Non ha neppur detto che Berlusconi attira la luce.
Ha detto che Berlusconi «è una persona capace di attirare la luce dei riflettori: e non solo quelli televisivi, soprattutto quelli della politica».
C'è qualcuno che ha il coraggio di smentirlo?
La cosa è stata ripresa da Repubblica, frase che ormai equivale a «Les normands buvaient du calva»
Certo, il fatto che il direttore del TG che l'ha perculato sia colui del quale ha preso il posto (peraltro senza rubarglielo) può aver influito sul giudizio. Quanto al boxino di Repubblica, ils buvaient du calva.
Chi si fosse preso il ghiribizzo di ragionare con la propria testa avrebbe potuto ascoltare l'audio, messo a disposizione dai bevitori di liquore, e constatare che Vinci ha detto un'enorme stronzata.
In effetti la notte del 21 dicembre non è stata manco per un cazzo la più buia da quattro secoli a questa parte. E' una fola, una sciocchezza, una puttanata. La fola, la sciocchezza, la puttanata, era per inciso la citazione letterale di un titolone di Repubblica, che purtroppo il Vinci deve aver letto, ahilui.
Dopodiché, Alessio Vinci ha presentato Berlusconi: e non ha detto che Berlusconi è la Luce. Non ha neppur detto che Berlusconi attira la luce.
Ha detto che Berlusconi «è una persona capace di attirare la luce dei riflettori: e non solo quelli televisivi, soprattutto quelli della politica».
C'è qualcuno che ha il coraggio di smentirlo?
martedì 21 dicembre 2010
Arresti precauzionali
Quell'uscita dell'onorevole Gasparri sulla necessità di eseguire arresti preventivi a scopo precauzionale prima delle manifestazioni di piazza è stata una boutade subito rientrata, secondo molti.
In effetti l'idea non è per niente nuova, e non riusciamo a stupirci che si sia affacciata alla spaziosa fronte del noto capogruppo.
Mi rendo conto di arrivare con colpevole ritardo, ma ci ho messo un po' di tempo per trovare in videoteca il film di Luigi Zampa da cui è tratto questo brano.
In effetti l'idea non è per niente nuova, e non riusciamo a stupirci che si sia affacciata alla spaziosa fronte del noto capogruppo.
Mi rendo conto di arrivare con colpevole ritardo, ma ci ho messo un po' di tempo per trovare in videoteca il film di Luigi Zampa da cui è tratto questo brano.
lunedì 20 dicembre 2010
Il sesso nell'era della sua riproducibilità mediatica
Nei confronti di Julian Assange nutro più o meno gli stessi sentimenti che provo per Roberto Occhiuto: una sovrana indifferenza. E pertanto è solo per curiosità che sono andato a leggermi l'articolo del Guardian che, sulla base degli atti dell'accusa, spiega di quali orrendi delitti si sarebbe macchiato il biondo australiano.
Dopo la lettura dell'articolo non solo l'Assange mi è apparso assai più simpatico, ma ho anche iniziato a provare un senso di enorme solidarietà verso il maschio svedese in genere (anche se in effetti, come insegna Vivalafika, i maschi svedesi, nella loro aberrante assenza di attributi maschili, sono i primi complici delle loro carnefici).
dunque: l'11 agosto Assange va in Isvezia, e viene ospitato da una tipa, Miss A., che gli lascia la casa libera. Il 13 la tipa torna, prima del previsto, e i due vanno fuori a cena. Tornano a casa, bevono un tè e lui comincia ad accarezzarle le gambe, poi le toglie i vestiti e persino la collana. Miss A. si sente un po' a disagio perché Assange corre un po' troppo, ma alla fine decide che ormai era un po' tardi per fermarlo e quindi decide lei stessa di andare avanti.
Notate che questo non è il racconto di Assange: è la denuncia per violenza sessuale che Miss A. ha fatto alla polizia.
A quel punto la A. cerca di prendere un preservativo, e Assange glielo impedisce per un po' di volte. Ma non glielo ficca dentro: alla fine, seppur malvolentieri, si ficca su il cappuccetto (fornito dalla stessa Miss A.) che però poi si rompe. E, secondo Miss. A., che non essendo un maschio ed avendo scopato forse un cinque-sei volte in vita sua, tale rottura è da attribuirsi al fatto che Assange abbia combinato qualche brutto scherzo, non al fatto che, come sanno tutti i maschietti passata la maggiore età, i preservativi sono come gli hard disk, e la domanda che ti devi fare non è se si romperà bensì quando si romperà.
La versione dei fatti è talmente idiota che solo una corte svedese completamente femminile potrebbe prendere in considerazione una simile fanfaronata: che cioè vi sia un uomo al quale non interessa di scopare a pelle piuttosto che con il preservativo, bensì di farlo spandendo sperma nell'utero anziché nel serbatoio.
In ogni caso Miss A. dev'essere una tipa sportiva, dato che, malgrado la terribile violenza subita (quella per la quale Assange dovrebbe farsi un bel po' di galera) la sera stessa dà una festa a casa propria, dove Assange continua ad abitare, e parla anche con un'amica della scopata fatta.
Il 15 agosto, quindi due giorni dopo, Miss A. racconta all'amica chepur vivendo nel continuo terrore lei continua ad ospitare Assange a casa sua perché è uno stronzo violento che l'ha minacciata di romperle un braccio e farla violentare da un branco di negri se lei solo si azzarda a parlare Assange resta a casa sua ma "non fanno più sesso perché lui ha passato il limite di quanto lei sentiva di poter accettare".
In sintesi: abbiamo un violentatore che continua a stare a casa della violentata, la quale andrebbe anche a letto con lui, se solo non fosse così poco educato. E' probabile che anche questa sia una mezza verità, e che in effetti il problema è che Assange scoreggiava sotto il piumino: ma Miss A. deve aver deciso di tenere il particolare per sé.
Il 16 agosto compare una nuova tipa, Miss W., che telefona ad Assange (noto violentatore sciupafemmine) per invitalo a casa sua. Lui va a casa sua, e lei pretende che s'incappucci. Assange la manda a cagare e si rimette a dormire ma più tardi, nel corso della notte, s'arrappa e, rassegnato al fatto che in Isvezia non c'è verso di fare altrimenti, si preservativizza, sia pur di malavoglia.
Ma non è finita qui. La mattina Miss W. si sveglia e va a comperare la colazione; poi torna e si rimette a letto, nuda, vicino ad Assange.
Io non so voi, ma di regola quando uno è oramai uscito a comperare le brioches, per quanto ti rimetti a letto fai uno di quei sonnelli così, pro-forma: una volta alzato, non è che ricadi in quel bel sonno profondo delle tre del mattino. Ma la W, essendo svedese è assai diversa: si addormenta talmente nella grossa che quando si risveglia Assange è sopra di lei e se la sta ingroppando.
La svedese riesce, secondo lei stessa, a dormire il sonno della giusta mentre Assange le è salito sopra, le ha aperto le gambe e ha infilato l'uccello nell'apposito buco.
Mettiamo pure che sia vero (chissà cosa si era fumata, la sera prima): resta il fatto che, se io fossi una femmina e mi svegliassi mentre qualcuno mi scopa a mia insaputa, il minimo che farei è un balzo in aria di cinquanta centimetri: o perlomeno uno sgroppone tale da far uscire il malcapitato, fosse pure John Holmes redivivo. Miss W., che è svedese, mantiene invece un autocontrollo esemplare, e anziché mandare affanculo Assange gli chiede «Scusi, Mr. Assange, ha rammentato di infilarsi il preservativo?» «No» «Meglio per lei che non abbia l'HIV, allora» «Ma naturalmente no, signora mia, che dice mai?»
Ionesco, puro Ionesco. Ma siamo in Isvezia, e in Isvezia perfino Ionesco non è più lui.
Dopo la lettura dell'articolo non solo l'Assange mi è apparso assai più simpatico, ma ho anche iniziato a provare un senso di enorme solidarietà verso il maschio svedese in genere (anche se in effetti, come insegna Vivalafika, i maschi svedesi, nella loro aberrante assenza di attributi maschili, sono i primi complici delle loro carnefici).
dunque: l'11 agosto Assange va in Isvezia, e viene ospitato da una tipa, Miss A., che gli lascia la casa libera. Il 13 la tipa torna, prima del previsto, e i due vanno fuori a cena. Tornano a casa, bevono un tè e lui comincia ad accarezzarle le gambe, poi le toglie i vestiti e persino la collana. Miss A. si sente un po' a disagio perché Assange corre un po' troppo, ma alla fine decide che ormai era un po' tardi per fermarlo e quindi decide lei stessa di andare avanti.
Notate che questo non è il racconto di Assange: è la denuncia per violenza sessuale che Miss A. ha fatto alla polizia.
A quel punto la A. cerca di prendere un preservativo, e Assange glielo impedisce per un po' di volte. Ma non glielo ficca dentro: alla fine, seppur malvolentieri, si ficca su il cappuccetto (fornito dalla stessa Miss A.) che però poi si rompe. E, secondo Miss. A., che non essendo un maschio ed avendo scopato forse un cinque-sei volte in vita sua, tale rottura è da attribuirsi al fatto che Assange abbia combinato qualche brutto scherzo, non al fatto che, come sanno tutti i maschietti passata la maggiore età, i preservativi sono come gli hard disk, e la domanda che ti devi fare non è se si romperà bensì quando si romperà.
La versione dei fatti è talmente idiota che solo una corte svedese completamente femminile potrebbe prendere in considerazione una simile fanfaronata: che cioè vi sia un uomo al quale non interessa di scopare a pelle piuttosto che con il preservativo, bensì di farlo spandendo sperma nell'utero anziché nel serbatoio.
In ogni caso Miss A. dev'essere una tipa sportiva, dato che, malgrado la terribile violenza subita (quella per la quale Assange dovrebbe farsi un bel po' di galera) la sera stessa dà una festa a casa propria, dove Assange continua ad abitare, e parla anche con un'amica della scopata fatta.
Il 15 agosto, quindi due giorni dopo, Miss A. racconta all'amica che
In sintesi: abbiamo un violentatore che continua a stare a casa della violentata, la quale andrebbe anche a letto con lui, se solo non fosse così poco educato. E' probabile che anche questa sia una mezza verità, e che in effetti il problema è che Assange scoreggiava sotto il piumino: ma Miss A. deve aver deciso di tenere il particolare per sé.
Il 16 agosto compare una nuova tipa, Miss W., che telefona ad Assange (noto violentatore sciupafemmine) per invitalo a casa sua. Lui va a casa sua, e lei pretende che s'incappucci. Assange la manda a cagare e si rimette a dormire ma più tardi, nel corso della notte, s'arrappa e, rassegnato al fatto che in Isvezia non c'è verso di fare altrimenti, si preservativizza, sia pur di malavoglia.
Ma non è finita qui. La mattina Miss W. si sveglia e va a comperare la colazione; poi torna e si rimette a letto, nuda, vicino ad Assange.
Io non so voi, ma di regola quando uno è oramai uscito a comperare le brioches, per quanto ti rimetti a letto fai uno di quei sonnelli così, pro-forma: una volta alzato, non è che ricadi in quel bel sonno profondo delle tre del mattino. Ma la W, essendo svedese è assai diversa: si addormenta talmente nella grossa che quando si risveglia Assange è sopra di lei e se la sta ingroppando.
La svedese riesce, secondo lei stessa, a dormire il sonno della giusta mentre Assange le è salito sopra, le ha aperto le gambe e ha infilato l'uccello nell'apposito buco.
Mettiamo pure che sia vero (chissà cosa si era fumata, la sera prima): resta il fatto che, se io fossi una femmina e mi svegliassi mentre qualcuno mi scopa a mia insaputa, il minimo che farei è un balzo in aria di cinquanta centimetri: o perlomeno uno sgroppone tale da far uscire il malcapitato, fosse pure John Holmes redivivo. Miss W., che è svedese, mantiene invece un autocontrollo esemplare, e anziché mandare affanculo Assange gli chiede «Scusi, Mr. Assange, ha rammentato di infilarsi il preservativo?» «No» «Meglio per lei che non abbia l'HIV, allora» «Ma naturalmente no, signora mia, che dice mai?»
Ionesco, puro Ionesco. Ma siamo in Isvezia, e in Isvezia perfino Ionesco non è più lui.
Il Post sotto l'albero 2010
Ci sono cose che con il passare del tempo sembrano sempre più difficili da fare. Il Post sotto l’Albero (per gli amici PslA) è una di queste – decidere di farlo, mandare il primo reminder, e poi il secondo, e assemblare tutto, e in fondo per cosa. Però succede che mentre stai attraversando un incrocio davanti agli Yerba Buena Gardens ti arriva una mail dall’altra parte dell’oceano che dice “dopo tanti anni vale la pena provarci”, succede che una sera arriva un’altra mail che dice “ma se facessimo una versione per quel coso lì, potrei lavorarci sopra la sera” e ti pare che in fondo non sia così difficile, che sia un po’ come mettersi, anno dopo anno, a cercare un regalo per una persona cara che conosci da tanto tempo, ogni volta sospiri e pensi che le hai già preso tutto quello che c’era da prendere e ogni volta per caso finisce che ti passa davanti agli occhi qualcosa che sì, è proprio quello che stavo cercando, chissà quanto le piacerà. Insomma, anche quest’anno eccolo qui, anche quest’anno – ed è l’ottavo, e pare una vita – lo abbiamo messo insieme, e il plurale non è usato a caso, ché il PslA non è di uno ma di tanti, che è una cosa bella, e lo abbiamo fatto a gratis, che ogni tanto è un’altra cosa bella. Adesso possiamo aspettare il momento in cui il pacchetto verrà scartato, e chissà se le piacerà.Quella qui sopra è la prefazione di Sir Squonk al Post sotto l'Albero (o PslA) 2010.
Che è una cosa da blogger, fatta da blogger e socialcosisti, letta da blogger e socialcosisti e che non ha alcun senso fuori dal mondo dei blogger e socialcosisti, in teoria: e quindi parlarne qui non dovrebbe avere del pari alcun senso, dato che ci conosciamo ormai tutti a menadito e tutti sappiamo che il PslA è uscito, anche quest'anno.
Però questa è la teoria, mentre la pratica dice che il PslA è una gran bella cosa, che riesce a sposare lo spirito natalizio del donare qualcosa con la pulsione all'autoaffermazione che sotto sotto cova in chiunque si prenda la briga di mettere in piazza i propri pensieri. E, sarà perché è Natale, sarà perché l'artefice è una persona buona, sarà perché qualcuno sa scrivere proprio bene e chi non sa scrivere comunque si è sforzato: insomma, questo matrimonio partorisce qualcosa a cui voler bene anche prima di aver iniziato a leggerlo.
Qui trovate il Post sotto l'Albero 2010. Lo scaricate, lo leggete, brindate. Magari con una bella birra.
venerdì 17 dicembre 2010
La rottura dello stock
Una persona di medio buonsenso e con una normale conoscenza della lingua italiana leggendo questo pezzo del Corriere può farsi una e una sola idea: che negli USA le scorte di veleno per le condanne a morte vengano conservate in un negozio di cristallerie, e che in quel negozio sia malauguratamente entrato un elefante infuriato.
E' il Sabato fatto per l'Uomo
Oggi Pierluigi Bersani in un'intervista su Repubblica comincia a delineare un vago barlume di progetto politico, parlando di contenuti e di alleanze.
Ma, dato che il mondo è pieno di coglioni*, subito c'è chi gli si scaglia contro per aver affermato che in nome di un progetto politico concreto sarebbe anche possibile superare le primarie.
Quello di confondere gli strumenti con gli obiettivi è un vizio comune in molte persone: visto che siamo a Natale, chiarirò la questione con un esempio.
Ci sono coloro che il 26 dicembre vanno al cinema: e vanno a vedere qualsiasi cosa, da Neri Parenti a Clint Eastwood, perché il 26 dicembre si deve andare al cinema.
Ecco: le primarie sono il 26 dicembre, e il progetto politico è il film: io apprezzo molto di più chi va a vedere Massimo Boldi per scelta, consapevole di ciò che va a vedere, e che si sganascia dal ridere vedendo gli ippopotami scoreggioni, piuttosto che chi, capitato per caso in una sala buia, si sorbisce per due ore Gran Torino e alla fine conclude che "certo è un po' lento".
* statisticamente si può affermare che vi sia poco meno di un coglione per abitante, dal momento che la percentuale di femmine è lievemente superiore a quella dei maschi
Ma, dato che il mondo è pieno di coglioni*, subito c'è chi gli si scaglia contro per aver affermato che in nome di un progetto politico concreto sarebbe anche possibile superare le primarie.
Quello di confondere gli strumenti con gli obiettivi è un vizio comune in molte persone: visto che siamo a Natale, chiarirò la questione con un esempio.
Ci sono coloro che il 26 dicembre vanno al cinema: e vanno a vedere qualsiasi cosa, da Neri Parenti a Clint Eastwood, perché il 26 dicembre si deve andare al cinema.
Ecco: le primarie sono il 26 dicembre, e il progetto politico è il film: io apprezzo molto di più chi va a vedere Massimo Boldi per scelta, consapevole di ciò che va a vedere, e che si sganascia dal ridere vedendo gli ippopotami scoreggioni, piuttosto che chi, capitato per caso in una sala buia, si sorbisce per due ore Gran Torino e alla fine conclude che "certo è un po' lento".
* statisticamente si può affermare che vi sia poco meno di un coglione per abitante, dal momento che la percentuale di femmine è lievemente superiore a quella dei maschi
giovedì 16 dicembre 2010
Il bello dei socialcosi
Il bello dei socialcosi è vedere che, all'alba del secondo decennio del primo secolo del terzo millennio, c'è ancora tanta gente, magari anche con un titolo di studio, capace di pensare che a bruciare un bancomat si faccia un dispetto a un signore grassottello e anzianotto, con bastone dal pomo d'avorio, cappello a cilindro e ghette anziché, come in effetti è, a tanti piccoli azionisti, a tanti futuri pensionati e a una nutrita serie di fondazioni che avrebbero dovuto reinvestire sul territorio di appartenenza l'utile che in parte, grazie a quel bancomat bruciato, è andato in fumo.
mercoledì 15 dicembre 2010
Alcune considerazioni a margine del voto di fiducia
Senza la pretesa di scrivere alcunché di originale, annoto qui alcune delle riflessioni passate per la mente ieri, nella giornata che ha visto il Governo Berlusconi passare indenne la mozione di sfiducia.
Inizierò da Franceschini: un po' perché, come mi faceva notere .mau., io ci ho un pianeta verso i segretari del PD, e verso Franceschini sono stato colpevole di scarsa attenzione; e un po' perché la sua dichiarazione è forse la più surreale delle giornata.
Per affermare, come ha fatto il nostro, che «Il Pd oggi ha fatto il suo dovere, 206 deputati presenti e 206 voti favorevoli alla mozione di sfiducia» ci vuole una dose d'infingardaggine che, francamente, non mi aspettavo di scoprire nel placido ferrarese, il quale non può neppure invocare l'età avanzata o la scarsa partecipazione alla vita d'Aula (è capogruppo del Gruppo parlamentare) per far finta d'aver dimenticato che due voti, decisivi*, sono arrivati al governo Berlusconi da transfughi eletti a suo tempo nelle liste del Partito Democratico.
Certo, Scilipoti era ancora iscritto al gruppo parlamentare dell'IdV, a differenza di Calearo e Cesario, ma questo, ne converrete, è un mero accidente e non sostanza: quel che conta è che le scelte operate nella formazione delle liste bloccate abbiano portato in Parlamento, con il voto di chi ha creduto nell'innominabile segratario, due persone che sono state decisive per la sopravvivenza di Berlusconi. Questo è il punto, e questo è il solo punto che conta.
Ci sono state, è vero, defezioni anche tra i finiani. Ma la situazione di partenza è ben diversa. Se facciamo per un attimo finta che non ci sia stato mercato delle vacche e promesse di prebende per coloro che avessero deciso all'ultimo di sostenere il miliardario, ci rendiamo conto che i vari Moffa, Siliquini, Polidori, sono comunque stati eletti sotto il simbolo "Berlusconi Presidente".
Avevano deciso di cambiare, di staccarsi da Berlusconi, e si sono rimangiati il loro proposito tornando a sostenerlo: ma certo è assai men grave la loro posizione rispetto a quella di chi, eletto in opposizione a Berlusconi, ha finito per dargli la fiducia.
In fondo non c'è alcun motivo per inveire contro la Polidori e non contro Abelli, Abrignani, Alessandri, Alfano, Alfano, Allasia e giù giù sino a Volpi e Zacchera: questi ultimi hanno tenuto ferma la loro posizione, l'altra ha avuto uno sbandamento e alla fine è tornata nella coalizione che l'aveva portata a Roma: ma il fatto stesso di avere avuto uno sbandamento la nobilità più di quanto il ripensamento la riporti nella sentina dei Peones della Libertà.
Aggiungiamo, per sovrappiù, che lo stesso Fini non aveva messo i propri deputati in una posizione facile: quante volte negli ultimi mesi aveva affermato che il suo movimento avrebbe comunque sostenuto il Governo Berlusconi? No, se vogliamo essere onesti non possiamo proprio dire granché contro la Polidori, se non accusarla di scarso coraggio.
Mentre abbiamo moltissimo da dire contro Calearo e Cesario, e ancor più contro chi ha portato Calearo e Cesario a sedersi in quell'aula, in ispregio al senso comune e alla logica.
Certo, nel mio piccolo io sono stato sempre legato ai valori costituzionali, e quindi al riconoscimento dell'assenza di vincolo di mandato in capo ai parlamentari. Ma ci sono momenti in cui bisogna pur superare le forme e divenire almeno un po' pragmatici: non ci possiamo allora nascondere che le conversioni sulle vie di Damasco, specie se dell'ultima notte, non vengono in forza di un rovello politico bensì, più prosaicamente e assai spesso, in virtù della promessa di doni e prebende.
Anche qui il comportamento dei parlamentari reciprocamente transfughi va visto in chiave ben diversa. Non possiamo certo dare fiducia a chi abbandona la nave che affonda quando ormai lo scafo si è inclinato oltre i 45°: quei Mastelli che decidono con chi stare poco prima del voto, quando l'aria che tira è oramai ben definita, non possono avere la stima di alcuno. Diverso è chi lascia un gruppo, sia pur in difficoltà ma al governo, per passare tra le fila dell'opposizione.
Stare all'opposizione non è come stare al Governo: meno potere, meno soldi, meno clientele, meno prebende, persino meno possibilità di rubare. Chi ha mollato Berlusconi l'ha fatto in forza dell'assenza di vincolo di mandato, ma soprattutto l'ha fatto perché credeva che il berlusconismo fosse un male per il paese, non certo per trarne vantaggi personali.
In capo a chi invece, eletto per stare all'opposizione, è passato a sostenere il Governo, è perlomeno legittimo il dubbio che il tormento interiore sia stato più economico che politico: un sospetto non fa una prova, ma in politica un sospetto basta a rovinare una carriera, e francamente speriamo che per costoro sarà così. Poi, per carità, è semplicissimo impapocchiare una motivazione politica a valle della decisione (la crisi, le emissioni di titoli, il sostegno all'economia...): un esercizio talmente banale che non val neppure la pena di leggerle, quelle dichiarazioni.
Torniamo al discorso vincitori e vinti: secondo le dichiarazioni di ieri ha vinto Berlusconi, ha vinto la Lega, ha vinto il PD, ha vinto l'IdV. Come al solito hanno vinto tutti, ma l'uomo della strada, abituato al Totocalcio con la schietta freddezza dell'1-X-2, sa che 1 è diverso da 2 e che anche se hai messo X non puoi andare in ricevitoria e prenderti i tuoi soldini.
Dunque: hanno perso anzitutto il PD e l'IdV, che hanno presentato una delle mozioni di sfiducia, e hanno perso l'UDC, l'API e FLI, che hanno presentato l'altra. Perché se vai in ricevitoria, e scommetti "2", quando esce "1" hai perso.
Ha vinto Berlusconi. Ha vinto Berlusconi: e ha vinto non solo perché ha fatto "1" (che già, intendiamoci, basterebbe per affermare di aver vinto, dato che per vincere basta fare un canestro in più dell'avversario, nessuno dice che ce ne vogliono dieci o venti), ma soprattutto perché la fola dell'ingovernabilità del Paese con due voti di vantaggio è, per l'appunto, una fola.
Prodi, che governava con due voti di vantaggio al Senato, era sconfitto in partenza: perché con due voti di vantaggio è praticamente impossibile governare, stando appesi al filo di una malattia, di una gravidanza, di un aereoporto bloccato.
Se teniamo presente che alla Camera la maggioranza è di 316 deputati, capiamo bene che è del tutto probabile che ciascun giorno che Dio manda in terra ci sia un imprevisto, un contrattempo, un raffreddore che colpisca almeno due parlamentari (lo 0,6% della maggioranza): e facciamo finta di dimenticare gli incarichi di Governo e le missioni.
Il punto tuttavia è un altro: sono due anni e mezzo che il Governo Berlusconi non governa, e sono due anni e mezzo che i lavori parlamentari sno praticamente fermi, salvo per quanto concerne quelle leggi particolarmente care al premier, che perlopiù passano in forma di conversione di decreti.
Avendo svuotato il Parlamento delle proprie competenze, a Berlusconi non gliene può fregare più di tanto dell'avere solo due voti di vantaggio. Intanto ce li ha, e ben possiamo immaginare che almeno per qualche mese gli schieramenti di oggi resteranno immutati; poi può cercare di imbarcare l'UDC, che magari non cederà subito ma prima o poi potrebbe cedere; e comunque, in ultima analisi, non ha proprio bisogno di una maggioranza sicura.
Certo, ne avrebbe bisogno il Paese, di un Parlamento funzionante e di leggi che consentano di affrontare il momento non certo facile che stiamo vivendo: ma non sono io che devo spiegare ai miei lettori che il bene di Berlusconi e il bene del Paese sono due insiemi che se si intersecano lo fanno molto ma molto di sfuggita.
* rammentiamo che i voti decisivi sarebbero stati due, che avrebbero spostato l'esito del voto a 313 sì contro 312 no
Inizierò da Franceschini: un po' perché, come mi faceva notere .mau., io ci ho un pianeta verso i segretari del PD, e verso Franceschini sono stato colpevole di scarsa attenzione; e un po' perché la sua dichiarazione è forse la più surreale delle giornata.
Per affermare, come ha fatto il nostro, che «Il Pd oggi ha fatto il suo dovere, 206 deputati presenti e 206 voti favorevoli alla mozione di sfiducia» ci vuole una dose d'infingardaggine che, francamente, non mi aspettavo di scoprire nel placido ferrarese, il quale non può neppure invocare l'età avanzata o la scarsa partecipazione alla vita d'Aula (è capogruppo del Gruppo parlamentare) per far finta d'aver dimenticato che due voti, decisivi*, sono arrivati al governo Berlusconi da transfughi eletti a suo tempo nelle liste del Partito Democratico.
Certo, Scilipoti era ancora iscritto al gruppo parlamentare dell'IdV, a differenza di Calearo e Cesario, ma questo, ne converrete, è un mero accidente e non sostanza: quel che conta è che le scelte operate nella formazione delle liste bloccate abbiano portato in Parlamento, con il voto di chi ha creduto nell'innominabile segratario, due persone che sono state decisive per la sopravvivenza di Berlusconi. Questo è il punto, e questo è il solo punto che conta.
Ci sono state, è vero, defezioni anche tra i finiani. Ma la situazione di partenza è ben diversa. Se facciamo per un attimo finta che non ci sia stato mercato delle vacche e promesse di prebende per coloro che avessero deciso all'ultimo di sostenere il miliardario, ci rendiamo conto che i vari Moffa, Siliquini, Polidori, sono comunque stati eletti sotto il simbolo "Berlusconi Presidente".
Avevano deciso di cambiare, di staccarsi da Berlusconi, e si sono rimangiati il loro proposito tornando a sostenerlo: ma certo è assai men grave la loro posizione rispetto a quella di chi, eletto in opposizione a Berlusconi, ha finito per dargli la fiducia.
In fondo non c'è alcun motivo per inveire contro la Polidori e non contro Abelli, Abrignani, Alessandri, Alfano, Alfano, Allasia e giù giù sino a Volpi e Zacchera: questi ultimi hanno tenuto ferma la loro posizione, l'altra ha avuto uno sbandamento e alla fine è tornata nella coalizione che l'aveva portata a Roma: ma il fatto stesso di avere avuto uno sbandamento la nobilità più di quanto il ripensamento la riporti nella sentina dei Peones della Libertà.
Aggiungiamo, per sovrappiù, che lo stesso Fini non aveva messo i propri deputati in una posizione facile: quante volte negli ultimi mesi aveva affermato che il suo movimento avrebbe comunque sostenuto il Governo Berlusconi? No, se vogliamo essere onesti non possiamo proprio dire granché contro la Polidori, se non accusarla di scarso coraggio.
Mentre abbiamo moltissimo da dire contro Calearo e Cesario, e ancor più contro chi ha portato Calearo e Cesario a sedersi in quell'aula, in ispregio al senso comune e alla logica.
Certo, nel mio piccolo io sono stato sempre legato ai valori costituzionali, e quindi al riconoscimento dell'assenza di vincolo di mandato in capo ai parlamentari. Ma ci sono momenti in cui bisogna pur superare le forme e divenire almeno un po' pragmatici: non ci possiamo allora nascondere che le conversioni sulle vie di Damasco, specie se dell'ultima notte, non vengono in forza di un rovello politico bensì, più prosaicamente e assai spesso, in virtù della promessa di doni e prebende.
Anche qui il comportamento dei parlamentari reciprocamente transfughi va visto in chiave ben diversa. Non possiamo certo dare fiducia a chi abbandona la nave che affonda quando ormai lo scafo si è inclinato oltre i 45°: quei Mastelli che decidono con chi stare poco prima del voto, quando l'aria che tira è oramai ben definita, non possono avere la stima di alcuno. Diverso è chi lascia un gruppo, sia pur in difficoltà ma al governo, per passare tra le fila dell'opposizione.
Stare all'opposizione non è come stare al Governo: meno potere, meno soldi, meno clientele, meno prebende, persino meno possibilità di rubare. Chi ha mollato Berlusconi l'ha fatto in forza dell'assenza di vincolo di mandato, ma soprattutto l'ha fatto perché credeva che il berlusconismo fosse un male per il paese, non certo per trarne vantaggi personali.
In capo a chi invece, eletto per stare all'opposizione, è passato a sostenere il Governo, è perlomeno legittimo il dubbio che il tormento interiore sia stato più economico che politico: un sospetto non fa una prova, ma in politica un sospetto basta a rovinare una carriera, e francamente speriamo che per costoro sarà così. Poi, per carità, è semplicissimo impapocchiare una motivazione politica a valle della decisione (la crisi, le emissioni di titoli, il sostegno all'economia...): un esercizio talmente banale che non val neppure la pena di leggerle, quelle dichiarazioni.
Torniamo al discorso vincitori e vinti: secondo le dichiarazioni di ieri ha vinto Berlusconi, ha vinto la Lega, ha vinto il PD, ha vinto l'IdV. Come al solito hanno vinto tutti, ma l'uomo della strada, abituato al Totocalcio con la schietta freddezza dell'1-X-2, sa che 1 è diverso da 2 e che anche se hai messo X non puoi andare in ricevitoria e prenderti i tuoi soldini.
Dunque: hanno perso anzitutto il PD e l'IdV, che hanno presentato una delle mozioni di sfiducia, e hanno perso l'UDC, l'API e FLI, che hanno presentato l'altra. Perché se vai in ricevitoria, e scommetti "2", quando esce "1" hai perso.
Ha vinto Berlusconi. Ha vinto Berlusconi: e ha vinto non solo perché ha fatto "1" (che già, intendiamoci, basterebbe per affermare di aver vinto, dato che per vincere basta fare un canestro in più dell'avversario, nessuno dice che ce ne vogliono dieci o venti), ma soprattutto perché la fola dell'ingovernabilità del Paese con due voti di vantaggio è, per l'appunto, una fola.
Prodi, che governava con due voti di vantaggio al Senato, era sconfitto in partenza: perché con due voti di vantaggio è praticamente impossibile governare, stando appesi al filo di una malattia, di una gravidanza, di un aereoporto bloccato.
Se teniamo presente che alla Camera la maggioranza è di 316 deputati, capiamo bene che è del tutto probabile che ciascun giorno che Dio manda in terra ci sia un imprevisto, un contrattempo, un raffreddore che colpisca almeno due parlamentari (lo 0,6% della maggioranza): e facciamo finta di dimenticare gli incarichi di Governo e le missioni.
Il punto tuttavia è un altro: sono due anni e mezzo che il Governo Berlusconi non governa, e sono due anni e mezzo che i lavori parlamentari sno praticamente fermi, salvo per quanto concerne quelle leggi particolarmente care al premier, che perlopiù passano in forma di conversione di decreti.
Avendo svuotato il Parlamento delle proprie competenze, a Berlusconi non gliene può fregare più di tanto dell'avere solo due voti di vantaggio. Intanto ce li ha, e ben possiamo immaginare che almeno per qualche mese gli schieramenti di oggi resteranno immutati; poi può cercare di imbarcare l'UDC, che magari non cederà subito ma prima o poi potrebbe cedere; e comunque, in ultima analisi, non ha proprio bisogno di una maggioranza sicura.
Certo, ne avrebbe bisogno il Paese, di un Parlamento funzionante e di leggi che consentano di affrontare il momento non certo facile che stiamo vivendo: ma non sono io che devo spiegare ai miei lettori che il bene di Berlusconi e il bene del Paese sono due insiemi che se si intersecano lo fanno molto ma molto di sfuggita.
* rammentiamo che i voti decisivi sarebbero stati due, che avrebbero spostato l'esito del voto a 313 sì contro 312 no
martedì 14 dicembre 2010
Surrealismi in ordine discendente
(Dai banchi del gruppo Popolo della Libertà si esibiscono bandiere tricolori e si grida reiteratamente: «Vittoria!». Dai banchi del gruppo Lega Nord Padania si esibiscono bandiere verdi. Il deputato Corsaro esibisce un pallottoliere)
Nube politica in famiglia
L'altra mattina mi chiama al telefono un tale, che conobbi pochi mesi fa, e mi dice: «Vorrei parlarle di cose che la riguardano; vuole fare colazione con me?»
Dico di sì e all'una ci troviamo al ristorante. Parliamo del tempo, dei cibi, del vino e della tristezza della vita in generale. Poi il giovane signore che mi ha invitato affronta deciso l'argomento che gli sta a cuore.
«Vengo al motivo di questo incontro», dichiara con voce austera, guardandomi diritto negli occhi, «è necessario agire e non attendere oltre: l'attuale momento politico è il più favorevole per organizzare in un partito quella grande massa che, pur avendo seguito la democrazia cristiana, oggi è scontenta... Il malcostume dilaga, la nostra politica estera è ridicola, la nostra politica finanziaria infantile; il fascismo è finito, l'antifascismo anche; la terza forza non esiste: esistono soltanto il comunismo e la democrazia cristiana. Il primo è in via di liquidazione, la seconda è incapace di dare ordine morale al paese. Ovunque lei vada non ode che lagnanze: il malumore è generale Il paese si sfascia di giorno in giorno. Il presente ordine è solo apparente. L'incompetenza tecnica e il basso livello dei nostri dirigenti sono spaventosi. Lei tutto ciò lo ha già capito da tempo, meglio di noi. Ora bisogna promuovere un movimento o un partito cattolico che spezzi in due la democrazia cristiana e dia agli italiani una nuova forza morale capace di guidare il paese. E non c'è da aver paura: basta aver coraggio e decisione...»
Il signore beve un sorso di vino rosso e mi guarda con aria soddisfatta battendo nervosamente le nocche sul mantile.
«Certo», dico, «le cose non vanno come dovrebbero andare ma fondare un partito non è cosa facile, oggi. Poi quel che occorre, per fondare un partito, è un programma, e un programma riflette sempre un principio politico...»
Il signore mi interrompe:
«Giusto, esatto; lei mi toglie la parola di bocca. Il programma si butta giù in fretta: pochi concetti, ma chiari. Pochi, dico; l'importante è che siano pochi. Quel che conta è uno slogan azzeccato, una bandiera ridente... Per questo ci rivolgiamo a lei... Lei deve formare il gruppo delle teste, dei cervelli del partito. Al resto, pensiamo noi...»
«Ho capito», dico ridendo, «Lei vorrebbe un motto che chiarisse le idee agli altri e a lei, un motto programma, come questo, ad esempio: Ordine, Competenza, Onestà.»
Il gentile signore non ride; il signore dice: «Sì, Sì, eccolo trovato! Giustissimo. E' un motto di ferro, esatto, chiaro, efficace...»
«Ma l'avverto che la sigla è antipatica, diventa OCO.»
«Non vuol dire, non vuol dire... Lei è entrato nello spirito dei nostri sentimenti», esclama il signore, e mi spiega poi i criteri di organizzazione del nuovo partito.
Be', per farla corta, dopo un'ora ci lasciamo con la promessa, da parte mia, di studiare il programma del nuovo partito.
Non pensai a quel programma, ma confesso che i discorsi e i propositi del signore che mi invitò a colazione mi turbarono per tutto il giorno. Compresi all'improvviso, come, a questo mondo, si organizzano le minoranze, come si allestiscono i partiti, e come si possa, da un momento all'altro diventare leader, un capo, un dittatore... Non soltanto compresi tutto ciò, ma per qualche ora mi abbandonai alla gioia di fantasticare, e già mi vedevo in parlamento, col dito puntato contro Sforza, come un nuovo Gambetta senza barba, tonante e terribile. Per qualche ora, mi cullai nella convinzione che il nuovo partito era desinato a vincere e a conquistare il potere, perché nessuna classe dirigente, è mai stata tanto bonaria, incapace, furba e bacata come l'attuale e mi dicevo: quel che conta, oggi, è agire in nome di una morale qualsiasi, senza appellarsi ai miti di cui tutti abusano...
Alla sera, aprii a mia moglie il mio animo tormentato.
«Vedi», le dissi, «si tratta di un partito diverso da quelli presenti...»
«Ma com'è fatto un partito diverso? Cosa vuol dire diverso?» domandò mia moglie.
«Un partito diverso è un partito composto di persone che non sono disposte a transigere, a venire a patti, che non ammettono compromessi... Un partito, come diceva quel signore, con le idee chiare...»
«Ma quali sono le idee chiare?»
«Nessuna idea è chiara, deve semplicemente sembrar chiara a chi la difende, a chi la esprime, a chi vuol imporla... In politica, non si tratta di conoscere la verità, non si tratta si sapere se un'idea è storica o antistorica, ma piuttosto di volerla far trionfare. I profeti...»
Ma mia moglie non mi lasciò finire, e disse: «Non parlarmi di profeti, Dio mio! Non prendere quel tono: non vorrai davvero fondare un partito! Non fare lo sciocco, alla tua età con moglie e figli, devi pensare... a guadagnare...»
«E tu credi che con la politica non si guadagni?» esclamai. E subito, subito capii ch'ero già caduto nel baratro, subito capii che la mia carriera di fondatore di nuovi partiti era finita: era tramontata, era naufragata in famiglia, con una frase infelice, ma vera, verissima: e la sentivo, quella frase, rintronare nel mio cervello: «Credi che con la politica non si guadagni?...»
Leo Longanesi - Gazzetta del Popolo - Torino 2 ottobre 1949
Un sentito ringraziamento a Michelle per avermi mandato questo pezzo del vecchio Longanesi: un prolegomeno per ogni futuro idealista che vorrà presentarsi come fondatore di partito
Dico di sì e all'una ci troviamo al ristorante. Parliamo del tempo, dei cibi, del vino e della tristezza della vita in generale. Poi il giovane signore che mi ha invitato affronta deciso l'argomento che gli sta a cuore.
«Vengo al motivo di questo incontro», dichiara con voce austera, guardandomi diritto negli occhi, «è necessario agire e non attendere oltre: l'attuale momento politico è il più favorevole per organizzare in un partito quella grande massa che, pur avendo seguito la democrazia cristiana, oggi è scontenta... Il malcostume dilaga, la nostra politica estera è ridicola, la nostra politica finanziaria infantile; il fascismo è finito, l'antifascismo anche; la terza forza non esiste: esistono soltanto il comunismo e la democrazia cristiana. Il primo è in via di liquidazione, la seconda è incapace di dare ordine morale al paese. Ovunque lei vada non ode che lagnanze: il malumore è generale Il paese si sfascia di giorno in giorno. Il presente ordine è solo apparente. L'incompetenza tecnica e il basso livello dei nostri dirigenti sono spaventosi. Lei tutto ciò lo ha già capito da tempo, meglio di noi. Ora bisogna promuovere un movimento o un partito cattolico che spezzi in due la democrazia cristiana e dia agli italiani una nuova forza morale capace di guidare il paese. E non c'è da aver paura: basta aver coraggio e decisione...»
Il signore beve un sorso di vino rosso e mi guarda con aria soddisfatta battendo nervosamente le nocche sul mantile.
«Certo», dico, «le cose non vanno come dovrebbero andare ma fondare un partito non è cosa facile, oggi. Poi quel che occorre, per fondare un partito, è un programma, e un programma riflette sempre un principio politico...»
Il signore mi interrompe:
«Giusto, esatto; lei mi toglie la parola di bocca. Il programma si butta giù in fretta: pochi concetti, ma chiari. Pochi, dico; l'importante è che siano pochi. Quel che conta è uno slogan azzeccato, una bandiera ridente... Per questo ci rivolgiamo a lei... Lei deve formare il gruppo delle teste, dei cervelli del partito. Al resto, pensiamo noi...»
«Ho capito», dico ridendo, «Lei vorrebbe un motto che chiarisse le idee agli altri e a lei, un motto programma, come questo, ad esempio: Ordine, Competenza, Onestà.»
Il gentile signore non ride; il signore dice: «Sì, Sì, eccolo trovato! Giustissimo. E' un motto di ferro, esatto, chiaro, efficace...»
«Ma l'avverto che la sigla è antipatica, diventa OCO.»
«Non vuol dire, non vuol dire... Lei è entrato nello spirito dei nostri sentimenti», esclama il signore, e mi spiega poi i criteri di organizzazione del nuovo partito.
Be', per farla corta, dopo un'ora ci lasciamo con la promessa, da parte mia, di studiare il programma del nuovo partito.
Non pensai a quel programma, ma confesso che i discorsi e i propositi del signore che mi invitò a colazione mi turbarono per tutto il giorno. Compresi all'improvviso, come, a questo mondo, si organizzano le minoranze, come si allestiscono i partiti, e come si possa, da un momento all'altro diventare leader, un capo, un dittatore... Non soltanto compresi tutto ciò, ma per qualche ora mi abbandonai alla gioia di fantasticare, e già mi vedevo in parlamento, col dito puntato contro Sforza, come un nuovo Gambetta senza barba, tonante e terribile. Per qualche ora, mi cullai nella convinzione che il nuovo partito era desinato a vincere e a conquistare il potere, perché nessuna classe dirigente, è mai stata tanto bonaria, incapace, furba e bacata come l'attuale e mi dicevo: quel che conta, oggi, è agire in nome di una morale qualsiasi, senza appellarsi ai miti di cui tutti abusano...
Alla sera, aprii a mia moglie il mio animo tormentato.
«Vedi», le dissi, «si tratta di un partito diverso da quelli presenti...»
«Ma com'è fatto un partito diverso? Cosa vuol dire diverso?» domandò mia moglie.
«Un partito diverso è un partito composto di persone che non sono disposte a transigere, a venire a patti, che non ammettono compromessi... Un partito, come diceva quel signore, con le idee chiare...»
«Ma quali sono le idee chiare?»
«Nessuna idea è chiara, deve semplicemente sembrar chiara a chi la difende, a chi la esprime, a chi vuol imporla... In politica, non si tratta di conoscere la verità, non si tratta si sapere se un'idea è storica o antistorica, ma piuttosto di volerla far trionfare. I profeti...»
Ma mia moglie non mi lasciò finire, e disse: «Non parlarmi di profeti, Dio mio! Non prendere quel tono: non vorrai davvero fondare un partito! Non fare lo sciocco, alla tua età con moglie e figli, devi pensare... a guadagnare...»
«E tu credi che con la politica non si guadagni?» esclamai. E subito, subito capii ch'ero già caduto nel baratro, subito capii che la mia carriera di fondatore di nuovi partiti era finita: era tramontata, era naufragata in famiglia, con una frase infelice, ma vera, verissima: e la sentivo, quella frase, rintronare nel mio cervello: «Credi che con la politica non si guadagni?...»
Leo Longanesi - Gazzetta del Popolo - Torino 2 ottobre 1949
Un sentito ringraziamento a Michelle per avermi mandato questo pezzo del vecchio Longanesi: un prolegomeno per ogni futuro idealista che vorrà presentarsi come fondatore di partito
La coerenza delle proprie idee
«Nel Partito democratico ognuno sarà e dovrà essere, fin dal primo momento, alla stessa stregua dell'altro. Per questo abbiamo voluto il principio "una testa, un voto".»
lunedì 13 dicembre 2010
L'aria che tira
Qualcuno si è chiesto come mai in questi giorni, che forse non saranno decisivi per le sorti del Paese ma certo sono molto importanti, io non abbia scritto nulla sulla crisi del Governo Berlusconi, sulle mozioni di sfiducia, sul mercato di voti, sulle prospettive del voto parlamentare etc. etc. etc.
Uno dei vantaggi di scrivere per hobby e non per mestiere è proprio quello del non essere costretto a dire qualcosa quando non si ha nulla di originale o di serio da dire. E francamente la situazione è talmente fluida, intricata e talvolta persino ridicola, da divenire romanzesca.
Previsioni non ne so fare, e parole per commentare quel che si dice e si fa negli opposti schieramenti neppure: certo sarebbe facile scagliarsi sul deputato che baratta il voto con il mutuo casa, ma si tratta di mero avanspettacolo: in effetti mi sembra che qui tutti stiano barattando qualcosa per qualcos'altro, e l'episodio del mutuo casa dimostra non la corruzione, bensì al più la meschineria di chi si accontenta di così poco.
Quindi sto a guardare, rimpiangendo i bei tempi in cui c'era il sistema proporzionale, e i voti di preferenza.
Uno dei vantaggi di scrivere per hobby e non per mestiere è proprio quello del non essere costretto a dire qualcosa quando non si ha nulla di originale o di serio da dire. E francamente la situazione è talmente fluida, intricata e talvolta persino ridicola, da divenire romanzesca.
Previsioni non ne so fare, e parole per commentare quel che si dice e si fa negli opposti schieramenti neppure: certo sarebbe facile scagliarsi sul deputato che baratta il voto con il mutuo casa, ma si tratta di mero avanspettacolo: in effetti mi sembra che qui tutti stiano barattando qualcosa per qualcos'altro, e l'episodio del mutuo casa dimostra non la corruzione, bensì al più la meschineria di chi si accontenta di così poco.
Quindi sto a guardare, rimpiangendo i bei tempi in cui c'era il sistema proporzionale, e i voti di preferenza.
Gente che non sa di che parla
«un atto di censura gravissimo che qualifica Facebook come strumento dei regimi»
«chiediamo alle forze politiche e democratiche del Paese di intervenire per ripristinare la legalità costituzionale»
«Ci opporremo in ogni sede, politica e giudiziaria, contro questo atto illiberale»
«chiediamo alle forze politiche e democratiche del Paese di intervenire per ripristinare la legalità costituzionale»
«Ci opporremo in ogni sede, politica e giudiziaria, contro questo atto illiberale»
Il Generale Fromm
Il Generale Friedrich Fromm può essere considerato uno degli autorevoli esponenti del biscarpismo: nel 1944, reso edotto sia pur per sommi capi del piano che avrebbe dovuto rovesciare il regime hitleriano, decise di non schierarsi né da una parte né dall'altra, attendendo l'esito degli eventi.
Decise così di non denunciare i cospiratori, ma allo stesso tempo di non far nulla per aiutare il loro disegno. Per quanto le circostanze precise dell'attentato del 1944 siano tutt'altro che chiare, è abbastanza certo che Fromm prese una posizione chiara e netta solo al momento dell'avvio effettivo dell'Operazione Valchiria, allorquando si rifiutò di firmare il piano operativo schierandosi così contro i congiurati: ma sembra che il motivo di questa presa di posizione vada ricercato nell'aver ricevuto una telefonata di Keitel che l'aveva informato del fatto che Hitler era scampato all'attentato.
Una volta fallito il colpo di stato Fromm, contravvenendo apertamente agli ordini che Hitler aveva personalmente impartito al maggiore Remer, imbastì una corte marziale che condannò a morte Stauffenberg e alcuni altri congiurati. Che l'esecuzione immediata dei medesimi abbia avuto corso per eccesso di zelo o al contrario per cancellare definitivamente le tracce di un coinvolgimento di Fromm non è chiaro: sta di fatto che Fromm fu immediatamente arrestato da Goebbles, che credeva nella seconda che ho detto, e nei mesi seguenti radiato dall'esercito e successivamente fucilato.
Che c'entra tutto ciò con l'attuale segretario del PD? Forse poco o nulla, o forse molto. Qui di seguito do la mia interpretazione, che non pretende di esser vera né documentata: è semplicemente la mia visione, che potete prendere per quel che vi pare.
Bersani è un segretario debole: io credo che lo sia un po' per carattere (meno autistico e più diplomatico rispetto al mentecatto che lo ha preceduto, e non parlo di Franceschini) e un po' perché il PD è un grande calderone nel quale il vertice non può che vivacchiare alla giornata nel tentativo di tenere insieme tutte le varie anime che compongono il partito.
In effetti Bersani sconta il peccato originale del Partito, la forma datagli dall'inutile idiota che con la vocazione maggioritaria e l'aspirazione all'autosufficienza ha ridotto i resti di quello che fu il più grande partito comunista dell'occidente a un gelatinoso ammasso di persone irridentisi l'un l'altra.
Certo, si potrebbe dire che dal disegno originale sia sparito l'anelito all'autosufficienza rimanendo solo la vocazione maggioritaria, ma se ci pensate bene anche Faccia da Tonto non ha mai creduto davvero nell'autosufficienza, tanto da imbarcare a bordo i radicali, e allearsi con Di Pietro.
Il PD di oggi quindi non è granché diverso da quello sognato dal Puffo Triste, salvo per il fatto che quest'ultimo almeno, nel suo idiotico autismo, credeva in quella fanfaronata di progetto da lui creata, laddove Bersani non ha neppure questo stimolo d'orgoglio personale.
In questa situazione non è che vi siano grandi possibilità: o si cerca di salvare il progetto politico del partito, la vocazione maggioritaria, il ruolo baricentrale rispetto al centrosinistra, o si cerca di perseguire un progetto politico diverso, superando l'attuale forma del PD e ripensando alla radice la funzione del partito, a partire dai temi del radicamento nella società, del programma da formulare e delle alleanze da stringere.
Il problema è che non si possono perseguire entrambi gli obiettivi, che sono antitetici: il PD, come impostato dall'Orfano Scrittore è un'entità strutturalmente perdente, non potendo darsi né programma né radicamento, a costo di disfarsi (come in parte è già accaduto). Per vincere bisogna quindi cambiare tutto, distruggere il partito leggero e rifondarlo come un partito vero: come era il vecchio PCI e come, ancor oggi, è la Lega.
Bersani non ha il coraggio, o la forza, o entrambi, di prendere questa decisione. Non gli piace il PD di oggi, ma è il primo a credere di non poterlo trasformare. Si limita quindi a bordesare sottocosta, grazie a quelle due-tre parole d'ordine sempre attuali (cacciare Berlusconi, priorità al lavoro, la giustizia sociale...), che sono spendibili solo fintanto che si sta all'opposizione, ma che non si può certo dire costituiscano un programma di governo essendo, per l'appunto, un programma di opposizione. In questo piccolo cabotaggio, pur essendo potenzialmente a pochi mesi dal voto per il rinnovo delle Camere, non ha avuto neppure la forza di dare una chiara indicazione sulle alleanze che intenderebbe coltivare: e converrete che scegliere tra il centro e la sinistra sarebbe un bell'atto di coraggio: scegliere è cosa che possa dare i tormenti ma non per questo meno indispensabile.
Spera, Bersani, che passata la buriana, e magari approfittando dell'altrettanto innegabile crisi della destra, a un tratto le nuvole si aprano e si riesca a individuare la rotta da seguire, ma, a mio parere, si tratta di una pia illusione. Comunque vadano le cose, sarà ben difficile che gli amici possano riconoscergli il merito di ciò che ha fatto (ben poco), mentre i molti nemici non avranno difficoltà a rinfacciargli le scelte che non ha assunto.
A quel punto la fucilazione -in senso politico, beninteso- sarà inevitabile.
Decise così di non denunciare i cospiratori, ma allo stesso tempo di non far nulla per aiutare il loro disegno. Per quanto le circostanze precise dell'attentato del 1944 siano tutt'altro che chiare, è abbastanza certo che Fromm prese una posizione chiara e netta solo al momento dell'avvio effettivo dell'Operazione Valchiria, allorquando si rifiutò di firmare il piano operativo schierandosi così contro i congiurati: ma sembra che il motivo di questa presa di posizione vada ricercato nell'aver ricevuto una telefonata di Keitel che l'aveva informato del fatto che Hitler era scampato all'attentato.
Una volta fallito il colpo di stato Fromm, contravvenendo apertamente agli ordini che Hitler aveva personalmente impartito al maggiore Remer, imbastì una corte marziale che condannò a morte Stauffenberg e alcuni altri congiurati. Che l'esecuzione immediata dei medesimi abbia avuto corso per eccesso di zelo o al contrario per cancellare definitivamente le tracce di un coinvolgimento di Fromm non è chiaro: sta di fatto che Fromm fu immediatamente arrestato da Goebbles, che credeva nella seconda che ho detto, e nei mesi seguenti radiato dall'esercito e successivamente fucilato.
Che c'entra tutto ciò con l'attuale segretario del PD? Forse poco o nulla, o forse molto. Qui di seguito do la mia interpretazione, che non pretende di esser vera né documentata: è semplicemente la mia visione, che potete prendere per quel che vi pare.
Bersani è un segretario debole: io credo che lo sia un po' per carattere (meno autistico e più diplomatico rispetto al mentecatto che lo ha preceduto, e non parlo di Franceschini) e un po' perché il PD è un grande calderone nel quale il vertice non può che vivacchiare alla giornata nel tentativo di tenere insieme tutte le varie anime che compongono il partito.
In effetti Bersani sconta il peccato originale del Partito, la forma datagli dall'inutile idiota che con la vocazione maggioritaria e l'aspirazione all'autosufficienza ha ridotto i resti di quello che fu il più grande partito comunista dell'occidente a un gelatinoso ammasso di persone irridentisi l'un l'altra.
Certo, si potrebbe dire che dal disegno originale sia sparito l'anelito all'autosufficienza rimanendo solo la vocazione maggioritaria, ma se ci pensate bene anche Faccia da Tonto non ha mai creduto davvero nell'autosufficienza, tanto da imbarcare a bordo i radicali, e allearsi con Di Pietro.
Il PD di oggi quindi non è granché diverso da quello sognato dal Puffo Triste, salvo per il fatto che quest'ultimo almeno, nel suo idiotico autismo, credeva in quella fanfaronata di progetto da lui creata, laddove Bersani non ha neppure questo stimolo d'orgoglio personale.
In questa situazione non è che vi siano grandi possibilità: o si cerca di salvare il progetto politico del partito, la vocazione maggioritaria, il ruolo baricentrale rispetto al centrosinistra, o si cerca di perseguire un progetto politico diverso, superando l'attuale forma del PD e ripensando alla radice la funzione del partito, a partire dai temi del radicamento nella società, del programma da formulare e delle alleanze da stringere.
Il problema è che non si possono perseguire entrambi gli obiettivi, che sono antitetici: il PD, come impostato dall'Orfano Scrittore è un'entità strutturalmente perdente, non potendo darsi né programma né radicamento, a costo di disfarsi (come in parte è già accaduto). Per vincere bisogna quindi cambiare tutto, distruggere il partito leggero e rifondarlo come un partito vero: come era il vecchio PCI e come, ancor oggi, è la Lega.
Bersani non ha il coraggio, o la forza, o entrambi, di prendere questa decisione. Non gli piace il PD di oggi, ma è il primo a credere di non poterlo trasformare. Si limita quindi a bordesare sottocosta, grazie a quelle due-tre parole d'ordine sempre attuali (cacciare Berlusconi, priorità al lavoro, la giustizia sociale...), che sono spendibili solo fintanto che si sta all'opposizione, ma che non si può certo dire costituiscano un programma di governo essendo, per l'appunto, un programma di opposizione. In questo piccolo cabotaggio, pur essendo potenzialmente a pochi mesi dal voto per il rinnovo delle Camere, non ha avuto neppure la forza di dare una chiara indicazione sulle alleanze che intenderebbe coltivare: e converrete che scegliere tra il centro e la sinistra sarebbe un bell'atto di coraggio: scegliere è cosa che possa dare i tormenti ma non per questo meno indispensabile.
Spera, Bersani, che passata la buriana, e magari approfittando dell'altrettanto innegabile crisi della destra, a un tratto le nuvole si aprano e si riesca a individuare la rotta da seguire, ma, a mio parere, si tratta di una pia illusione. Comunque vadano le cose, sarà ben difficile che gli amici possano riconoscergli il merito di ciò che ha fatto (ben poco), mentre i molti nemici non avranno difficoltà a rinfacciargli le scelte che non ha assunto.
A quel punto la fucilazione -in senso politico, beninteso- sarà inevitabile.
domenica 12 dicembre 2010
giovedì 2 dicembre 2010
LiberalVox
Non so che cazzo sia LiberalVox e chi cazzo ci stia dietro: il direttore risulta tale Gregorio Scribano ( rino.scribano@email.it )
So che mi ha spammato un suo articolo poco fa, nei commenti, e queste sono cose che mi fanno girare le palle, e vorrei che il direttore, tale Gregorio Scribano ( rino.scribano@email.it ), lo sapesse.
So che andando sul sito la prima cosa che ho trovato era una lettera di Berlusconi al suo direttore , tale Gregorio Scribano ( rino.scribano@email.it ), con fotografia (di Berlusconi, non del direttore). Ciò mi ha fatto girare vieppiù le palle, e vorrei che il direttore, tale Gregorio Scribano ( rino.scribano@email.it ), lo sapesse.
So che l'articolo spammato (che era stato ricopiato, non semplicemente linkato) era talmente arruffato, sgrammaticato, confuso e di lettura così penosa da farmi pensare, inizialmente, che fosse la solita vendita di pillole per facilitare l'erezione del membro virile.
Questo è la prima volta che succede, e quindi sarò mite. Suggerirei però al direttore di LiberalVox, Gregorio Scribano ( rino.scribano@email.it ), di non farlo più, ché poi magari mi salta la mosca al naso.
So che mi ha spammato un suo articolo poco fa, nei commenti, e queste sono cose che mi fanno girare le palle, e vorrei che il direttore, tale Gregorio Scribano ( rino.scribano@email.it ), lo sapesse.
So che andando sul sito la prima cosa che ho trovato era una lettera di Berlusconi al suo direttore , tale Gregorio Scribano ( rino.scribano@email.it ), con fotografia (di Berlusconi, non del direttore). Ciò mi ha fatto girare vieppiù le palle, e vorrei che il direttore, tale Gregorio Scribano ( rino.scribano@email.it ), lo sapesse.
So che l'articolo spammato (che era stato ricopiato, non semplicemente linkato) era talmente arruffato, sgrammaticato, confuso e di lettura così penosa da farmi pensare, inizialmente, che fosse la solita vendita di pillole per facilitare l'erezione del membro virile.
Questo è la prima volta che succede, e quindi sarò mite. Suggerirei però al direttore di LiberalVox, Gregorio Scribano ( rino.scribano@email.it ), di non farlo più, ché poi magari mi salta la mosca al naso.
martedì 30 novembre 2010
Cose che danno un po' da pensare
La home page di repubblica.it mena gran vanto del fatto che la prima pagina di Repubblica sia finita sulla home page dell'Huffington Post.
lunedì 29 novembre 2010
Più di mille elenchi
Il gesto di Mario Monicelli, gettatosi dalla finestra dell'ospedale a 95 anni, è l'ultimo regalo che questo grande regista ci ha fatto.
Non c'è miglior risposta possibile, nella giornata che doveva vedere le truppe cammellate cosiddette pro-vita intervenire a forza della trasmissione di Fazio, che quella di un grande vecchio che decide, lui e solo lui, cosa fare della propria vita e quando, liberamente, porvi termine.
Non c'è miglior risposta possibile, nella giornata che doveva vedere le truppe cammellate cosiddette pro-vita intervenire a forza della trasmissione di Fazio, che quella di un grande vecchio che decide, lui e solo lui, cosa fare della propria vita e quando, liberamente, porvi termine.
Attacca la spina!
Non ci sarebbe bisogno di spenderci più di quindici secondi, per sbufalare l'ennesima sciocchezza che circola per la rete e che si amplifica di tastiera in tastiera: quella secondo cui il Governo avrebbe emanato una legge che obbliga chiunque a chiamare un installatore per attaccare il modem/router comperato da Euronics o da Mediaworld alla presa del telefono, pena sanzioni fino a 150.000 euri.
Sembra proprio che la Rete stia evolvendo verso un modello ben preciso: quello per il quale di fronte a una notizia -o una voce- che ha dell'incredibile, non ci si sofferma un secondo a chiedersi: «ma sarà mai possibile, questo fatto?» bensì si accetta supinamente l'informazione ed anzi la si diffonde.
Se una donna con seri problemi psichiatrici svacca per frustrazioni sul lavoro, non ci si chiede se per caso non avrebbe bisogno di un po' di vacanza, ma si accettano tutte le cazzate che racconta anche quando le varie versioni della sua realtà cominciano a contraddirsi fra loro.
Se un gruppo di liberisti giavazziani s'inventa di sana pianta un numero astronomico per sostenere il proprio punto di vista in una consultazione referendaria, non si va a leggere l'articolo per cogliere le sue contraddizioni, ma si propala la cazzata che diventa dato incontestabile perfino in TV.
E' così, purtroppo, a tutti i livelli di approfondimento: e mi perdoneranno gli amici che fra gli altri ho linkato, a dimostrazione che questo fenomeno colpisce tutti indistintamente.
Finita la premessa, vediamo lo smontaggio della bufala.
Il Governo ha emanato un D.Lgs. in attuazione della direttiva 2008/63/CE, che all'art. 2 recita:
Punto Informatico (che eoni fa si poteva ancora leggere, ma adesso brrr...) riporta la notizia in questi termini: «nel decreto del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2010 si legge che se si vuole installare un device e collegarlo alla rete di comunicazione pubblica, occorre chiamare un installatore iscritto all'albo. In altre parole: se sei deve installare un router, uno switch, qualsiasi dispositivo che si colleghi in Rete, occorre chiamare un tecnico iscritto all'albo: prevista, in caso contrario, una sanzione da 15.000 a 150.000 euro.»
Noterete che di passaggio in passaggio è caduta l'eccezione di cui al punto 2.f, che Quintarelli aveva correttamente riportato, pur facendo mordere dal tarlo del dubbio i lettori. Lettori che, a loro volta, sembrano non porsi il problema di quali diavolo potranno essere quelle eccezioni che il D.Lgs. espressamente prevede, dando per scontato che non ve ne saranno, o che comunque non includeranno i modem/router comperati all'Euronics, e questo in forza del Gran Complotto Degli Installatori Professionisti Che Non Vogliono Perdere Occasioni D'Affari.
Stupisce che Giulietto Chiesa non abbia pubblicato una vibrata nota, dato che di certo il GCDIPCNVPODA ha una sua qualche responsabilità anche nel crollo delle Torri. Ma arriverà presto, dato che perfino il Sole 24 Ore riprende la notizia, stavolta facendo cadere i residui condizionali e dandola per certa e definitiva: «Un decreto legislativo approvato dal consiglio dei ministri il 22 ottobre scorso stabilisce che chi collega alla rete pubblica un semplice decoder o un modem esterno al pc, cioè qualsiasi «terminale di telecomunicazione» dovrà in futuro affidarsi a un tecnico di un'impresa abilitata a quest'attività. Pena una pesantissima sanzione da 15mila a 150mila euro.»
Bene: vogliamo vedere come è disciplinata oggi la materia dell'installazone di apparati che si collegano alla rete pubblica? Oggi, e ancora per 12 mesi, è vigente la Legge 28 marzo 1991, n.109, espressamente abrogata dal nuovo D.Lgs. Tale legge all'art. 5 recita:
Se poi vi chiedete come mai nessuno sia venuto a bussarvi a casa per irrogarvi sanzioni, sappiate che il D.M. 23 maggio 1992, n. 314 (quello espressamente previsto dalla legge sopra citata) prevede all'art. 5 che «Gli abbonati possono provvedere direttamente all’installazione, al collaudo, all’allacciamento ed alla manutenzione di apparecchiature terminali omologate con capacità non superiore a due linee urbane, qualora l’allacciamento alla terminazione della rete pubblica richieda il solo inserimento della spina nel relativo punto terminale.»
Credo di avervi annoiato abbastanza, ma sarebbe il caso di notare ancora due cose: primo, non esiste alcuna ragione di ritenere che il nuovo decreto attuativo muterà la situazione di fatto oggi esistente. Se nel 1992 il legislatore aveva previsto che l'utente potesse attaccarsi da solo il modem, non si vede perché ciò debba venir meno nel 2010: o chi ha rilanciato la notizia ha precise informazioni, in quanto parte del Grande Complotto, o è un Grande cYaltrone.
Secondo, se proprio vogliamo fare i sofisticati, nessuno dei Guru cYaltroni ha notato che secondo la legislazione attualmente vigente, perlomeno interpretata nel senso letterale*, per attaccare un PC (o anche un televisore con interfaccia di rete) al router mediante la scheda wireless, allora sì che sarebbe necessario l'intervento dell'installatore, dal momento che, come ovvio, il collegamento Wi-Fi non può avvenire "inserendo la spina nel relativo punto terminale".
* E' invero possibile anche costruire un'interpretazione logica che porti a conclusioni diverse, per quanto per far ciò sia necessario stirare il significato dei termini del DM siano al punto di rottura del buon senso.
Sembra proprio che la Rete stia evolvendo verso un modello ben preciso: quello per il quale di fronte a una notizia -o una voce- che ha dell'incredibile, non ci si sofferma un secondo a chiedersi: «ma sarà mai possibile, questo fatto?» bensì si accetta supinamente l'informazione ed anzi la si diffonde.
Se una donna con seri problemi psichiatrici svacca per frustrazioni sul lavoro, non ci si chiede se per caso non avrebbe bisogno di un po' di vacanza, ma si accettano tutte le cazzate che racconta anche quando le varie versioni della sua realtà cominciano a contraddirsi fra loro.
Se un gruppo di liberisti giavazziani s'inventa di sana pianta un numero astronomico per sostenere il proprio punto di vista in una consultazione referendaria, non si va a leggere l'articolo per cogliere le sue contraddizioni, ma si propala la cazzata che diventa dato incontestabile perfino in TV.
E' così, purtroppo, a tutti i livelli di approfondimento: e mi perdoneranno gli amici che fra gli altri ho linkato, a dimostrazione che questo fenomeno colpisce tutti indistintamente.
Finita la premessa, vediamo lo smontaggio della bufala.
Il Governo ha emanato un D.Lgs. in attuazione della direttiva 2008/63/CE, che all'art. 2 recita:
1. Gli utenti delle reti di comunicazione elettronica sono tenuti ad affidare i lavori di installazione, di allacciamento, di collaudo e di manutenzione delle apparecchiature terminali di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), numero 1), che realizzano l’allacciamento dei terminali di telecomunicazione all’interfaccia della rete pubblica, ad imprese abilitate secondo le modalità e ai sensi del comma 2.La notizia viene ripresa da un po' di guru, uno dei quali (Quintarelli) conclude che: «Se vuoi attaccare un oggetto alla rete (non terminale/pc, ma router, switch, ecc), devi essere un installatore iscritto all'albo (per tutto, eccetto ciò che verrà esplicitamente escluso (2.f)) pena sanzione da 15.000 a 150.000 euro».
2. Entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, il Ministro dello sviluppo economico, adotta, ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, un decreto volto a disciplinare:
a) la definizione dei requisiti di qualificazione tecnico-professionali che devono possedere le imprese per l’inserimento nell’elenco delle imprese abilitate all'esercizio delle attività di cui al comma 1;
b) le modalità procedurali per il rilascio dell’abilitazione per l’allacciamento dei terminali di telecomunicazione all’interfaccia della rete pubblica;
c) le modalità di accertamento e di valutazione dei requisiti di qualificazione tecnico-professionali di cui alla lettera a);
d) le modalità di costituzione, di pubblicazione e di aggiornamento dell’elenco delle imprese abilitate ai sensi della lettera a);
e) le caratteristiche e i contenuti dell’attestazione che l’impresa abilitata rilascia al committente al termine dei lavori;
f) i casi in cui, in ragione della semplicità costruttiva e funzionale delle apparecchiature terminali e dei relativi impianti di connessione, gli utenti possono provvedere autonomamente alle attività di cui al comma 1.
Punto Informatico (che eoni fa si poteva ancora leggere, ma adesso brrr...) riporta la notizia in questi termini: «nel decreto del Consiglio dei Ministri del 22 ottobre 2010 si legge che se si vuole installare un device e collegarlo alla rete di comunicazione pubblica, occorre chiamare un installatore iscritto all'albo. In altre parole: se sei deve installare un router, uno switch, qualsiasi dispositivo che si colleghi in Rete, occorre chiamare un tecnico iscritto all'albo: prevista, in caso contrario, una sanzione da 15.000 a 150.000 euro.»
Noterete che di passaggio in passaggio è caduta l'eccezione di cui al punto 2.f, che Quintarelli aveva correttamente riportato, pur facendo mordere dal tarlo del dubbio i lettori. Lettori che, a loro volta, sembrano non porsi il problema di quali diavolo potranno essere quelle eccezioni che il D.Lgs. espressamente prevede, dando per scontato che non ve ne saranno, o che comunque non includeranno i modem/router comperati all'Euronics, e questo in forza del Gran Complotto Degli Installatori Professionisti Che Non Vogliono Perdere Occasioni D'Affari.
Stupisce che Giulietto Chiesa non abbia pubblicato una vibrata nota, dato che di certo il GCDIPCNVPODA ha una sua qualche responsabilità anche nel crollo delle Torri. Ma arriverà presto, dato che perfino il Sole 24 Ore riprende la notizia, stavolta facendo cadere i residui condizionali e dandola per certa e definitiva: «Un decreto legislativo approvato dal consiglio dei ministri il 22 ottobre scorso stabilisce che chi collega alla rete pubblica un semplice decoder o un modem esterno al pc, cioè qualsiasi «terminale di telecomunicazione» dovrà in futuro affidarsi a un tecnico di un'impresa abilitata a quest'attività. Pena una pesantissima sanzione da 15mila a 150mila euro.»
Bene: vogliamo vedere come è disciplinata oggi la materia dell'installazone di apparati che si collegano alla rete pubblica? Oggi, e ancora per 12 mesi, è vigente la Legge 28 marzo 1991, n.109, espressamente abrogata dal nuovo D.Lgs. Tale legge all'art. 5 recita:
Il Ministro delle poste e delle telecomunicazioni, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sentiti il consiglio di amministrazione del Ministero delle poste e delle telecomunicazioni e il consiglio superiore tecnico delle poste, delle telecomunicazioni e dell'automazione, adotta con proprio decreto disposizioni di attuazione concernenti, in particolare:Non è che ci voglia un genio per rilevare che la nuova normativa, per quanto riguarda gli utenti comuni, è semplicemente il copincollamento della precedente, ora vigente.
a) i requisiti che le imprese che intendano provvedere alle operazioni di cui al comma 3 devono possedere per conseguire l'autorizzazione di cui al medesimo comma;
b) le prescrizioni per l'installazione, il collaudo, l'allacciamento e la manutenzione delle apparecchiatura terminali;
c) il contenuto e le modalità delle certificazioni che le imprese autorizzate debbono rilasciare all'abbonato ed al gestore pubblico, all'atto del collaudo;
d) i casi in cui, in ragione della semplicità costruttiva e funzionale dell'apparecchiatura, l'abbonato può provvedere direttamente alle operazioni indicate alla lettera b);
e) le modalità per la sorveglianza, da parte del gestore del servizio pubblico, sulla rete e sulle apparecchiature ad essa collegate;
f) le modalità e i tempi per la risoluzione dei rapporti intercorrenti fra gli utenti ed il gestore del servizio pubblico relativamente alla locazione ed alla manutenzione delle apparecchiature terminali.
g) l'adozione, previa diffida, dei provvedimenti di sospensione e di revoca dell'autorizzazione di cui al comma 3;
h) l'adozione, previa diffida, dei provvedimenti di sospensione e di risoluzione del contratto di abbonamento nei confronti degli utenti.
Se poi vi chiedete come mai nessuno sia venuto a bussarvi a casa per irrogarvi sanzioni, sappiate che il D.M. 23 maggio 1992, n. 314 (quello espressamente previsto dalla legge sopra citata) prevede all'art. 5 che «Gli abbonati possono provvedere direttamente all’installazione, al collaudo, all’allacciamento ed alla manutenzione di apparecchiature terminali omologate con capacità non superiore a due linee urbane, qualora l’allacciamento alla terminazione della rete pubblica richieda il solo inserimento della spina nel relativo punto terminale.»
Credo di avervi annoiato abbastanza, ma sarebbe il caso di notare ancora due cose: primo, non esiste alcuna ragione di ritenere che il nuovo decreto attuativo muterà la situazione di fatto oggi esistente. Se nel 1992 il legislatore aveva previsto che l'utente potesse attaccarsi da solo il modem, non si vede perché ciò debba venir meno nel 2010: o chi ha rilanciato la notizia ha precise informazioni, in quanto parte del Grande Complotto, o è un Grande cYaltrone.
Secondo, se proprio vogliamo fare i sofisticati, nessuno dei Guru cYaltroni ha notato che secondo la legislazione attualmente vigente, perlomeno interpretata nel senso letterale*, per attaccare un PC (o anche un televisore con interfaccia di rete) al router mediante la scheda wireless, allora sì che sarebbe necessario l'intervento dell'installatore, dal momento che, come ovvio, il collegamento Wi-Fi non può avvenire "inserendo la spina nel relativo punto terminale".
* E' invero possibile anche costruire un'interpretazione logica che porti a conclusioni diverse, per quanto per far ciò sia necessario stirare il significato dei termini del DM siano al punto di rottura del buon senso.
domenica 28 novembre 2010
Happy beginning
Oggi Aldo Grasso scrive un pezzo sul Corriere dedicato al Tenente Colombo.
Prende spunto da una lettera (sarà poi vera?) di due lettori che si lamentano del fatto che Rete4 manda in onda il popolare teleflm tagliando l'inizio, talché quando loro, alle 19:30 della domenica, si sintonizzano sul canale Mediaset, ecco che l'omicidio è già avvenuto.
Grasso solidarizza, e ipotizza anche di parlare di questo dramma con Fede, concludendo tuttavia che il momento non sia il più adatto per disturbare il famoso anchorman.
Spiega ai lettori tutti la struttura del telefilm, e di ciò lo ringraziamo infinitamente, dacché noi non l'avevamo mai compresa, fino ad oggi: quello che posso fare è ricordare che la struttura del telefilm si ripete ogni volta: contravvenendo le regole del genere, ogni episodio svela subito al pubblico il colpevole, mostrando l'atto delittuoso. L'attrazione, tutta psicologica, consiste nell'osservare come il detective indovini quello che è già noto. Il già noto, non il già tagliato.
Grazie, Grasso: ci ha aperto gli occhi. Ci consenta di ricambiarle il favore.
Basta dare un guardo ai tamburini per rendersi conto che, più o meno da sempre, la replica domenicale di Colombo inizia verso le 18:30, si interrompe per il TG4 e riprende dopo, quando, è vero, l'omicidio ha già avuto luogo. Sono anni che la cosa funziona così: anni.
Stupisce che i due lettori (ma saran poi veri?) non se ne siano mai accorti, se sono ultra fan come dicono.
Stupisce meno che neppure Aldo Grasso se ne sia accorto. Probabilmente considera che Colombo sia troppo popolare: forse addirittura Aldo Grasso considera tutta la TV come troppo popolare e si rifiuta di guardarla, come del resto faceva Enzo Siciliano.
Del resto Aldo Grasso è lo stesso che aveva attribuito la scelta del nome Billy, per una rubrica di libri, al gabbiere di Melville anziché -come tutti noi comuni mortali- alla libreria dell'Ikea.
Prende spunto da una lettera (sarà poi vera?) di due lettori che si lamentano del fatto che Rete4 manda in onda il popolare teleflm tagliando l'inizio, talché quando loro, alle 19:30 della domenica, si sintonizzano sul canale Mediaset, ecco che l'omicidio è già avvenuto.
Grasso solidarizza, e ipotizza anche di parlare di questo dramma con Fede, concludendo tuttavia che il momento non sia il più adatto per disturbare il famoso anchorman.
Spiega ai lettori tutti la struttura del telefilm, e di ciò lo ringraziamo infinitamente, dacché noi non l'avevamo mai compresa, fino ad oggi: quello che posso fare è ricordare che la struttura del telefilm si ripete ogni volta: contravvenendo le regole del genere, ogni episodio svela subito al pubblico il colpevole, mostrando l'atto delittuoso. L'attrazione, tutta psicologica, consiste nell'osservare come il detective indovini quello che è già noto. Il già noto, non il già tagliato.
Grazie, Grasso: ci ha aperto gli occhi. Ci consenta di ricambiarle il favore.
Basta dare un guardo ai tamburini per rendersi conto che, più o meno da sempre, la replica domenicale di Colombo inizia verso le 18:30, si interrompe per il TG4 e riprende dopo, quando, è vero, l'omicidio ha già avuto luogo. Sono anni che la cosa funziona così: anni.
Stupisce che i due lettori (ma saran poi veri?) non se ne siano mai accorti, se sono ultra fan come dicono.
Stupisce meno che neppure Aldo Grasso se ne sia accorto. Probabilmente considera che Colombo sia troppo popolare: forse addirittura Aldo Grasso considera tutta la TV come troppo popolare e si rifiuta di guardarla, come del resto faceva Enzo Siciliano.
Del resto Aldo Grasso è lo stesso che aveva attribuito la scelta del nome Billy, per una rubrica di libri, al gabbiere di Melville anziché -come tutti noi comuni mortali- alla libreria dell'Ikea.
mercoledì 24 novembre 2010
Novembre 2010
Soffermati sull'arida sponda,
Vòlti i guardi alla Via Mecenate,
Tutti assorti nel novo programma,
Certi in cor dell'antica canzon,
Han giurato: Non fia che quest'onda
Scorra più nell'italico cielo;
Non fia loco ove possasi udire
di Cacaglia il tartaglio, mai più!
L'han giurato: altri forti a quel giuro
Rispondean dalla Rete e dal Coso,
Già brandendosi i telecomandi
Che or levati scintillano al sol.
Già le destre hanno stretto le destre;
Già le sacre parole son porte:
Non fia mai che Cacaglia tartagli
nuovamente sul primo* canal.
* licenza poetica. Chiedasi a Peppi Nocera
Vòlti i guardi alla Via Mecenate,
Tutti assorti nel novo programma,
Certi in cor dell'antica canzon,
Han giurato: Non fia che quest'onda
Scorra più nell'italico cielo;
Non fia loco ove possasi udire
di Cacaglia il tartaglio, mai più!
L'han giurato: altri forti a quel giuro
Rispondean dalla Rete e dal Coso,
Già brandendosi i telecomandi
Che or levati scintillano al sol.
Già le destre hanno stretto le destre;
Già le sacre parole son porte:
Non fia mai che Cacaglia tartagli
nuovamente sul primo* canal.
* licenza poetica. Chiedasi a Peppi Nocera
domenica 21 novembre 2010
zang tumb tumb
Il Partito democratico, dunque, sceglie una comunicazione improntata alla volontà di cambiare il sistema politico italiano, portandolo verso il bipartitismo.
Lo dice anche l'Economist, con la fine del berlusconismo finisce anche il bipolarismo italiano, finisce quel «sogno di due grandi forze politiche» che proprio lei, Veltroni, aveva coltivato fondando nel 2008 il Partito democratico.
«Il bipolarismo non è bipartitismo, ma la prevalenza di due partiti o coalizioni. E' così anche in Inghilterra, dove accanto alle due forze prevalenti ne esistono altre, che oggi partecipano anche al governo. L'evoluzione del sistema politico italiano dovrà tendere comunque a due grandi coalizioni»
Lo dice anche l'Economist, con la fine del berlusconismo finisce anche il bipolarismo italiano, finisce quel «sogno di due grandi forze politiche» che proprio lei, Veltroni, aveva coltivato fondando nel 2008 il Partito democratico.
«Il bipolarismo non è bipartitismo, ma la prevalenza di due partiti o coalizioni. E' così anche in Inghilterra, dove accanto alle due forze prevalenti ne esistono altre, che oggi partecipano anche al governo. L'evoluzione del sistema politico italiano dovrà tendere comunque a due grandi coalizioni»
venerdì 19 novembre 2010
Fuoco amico
Come se non bastassero le ossessioni di Berlusconi, adesso ci si mette pure la rassegna stampa del PD, a perculare la presidenta del partito.
giovedì 18 novembre 2010
Sciogliere una sola camera
Nei giorni scorsi l'attenzione dell'opinione pubblica, perlomeno quella che si occupa un po' di politica e istituzioni, è stata catturata dalla discussione sulla proposta di Berlusconi di riesumare l'art. 88 della Costituzione, quello che prevede che il Presidente della Repubblica possa «sciogliere le Camere o anche una di esse».
Che si trattasse di una sciocchezza, in termini politici, l'hanno detto in tanti: primo fra tutti il prof. Zagrebelsky in un lucidissimo articolo.
Sta di fatto però che l'art.88 dice quel che dice: e quindi se da un lato ha perfettamente ragione Zagrebelsky, a dire che non ha senso che venuta meno la maggioranza in una camera sia sciolta solo questa, ciononostante la Costituzione prevede proprio questa possibilità.
Per spiegare la discrasia bisogna scavare un po' nella storia costituzionale, dove si scoprono delle cose curiose e interessanti.
La Commissione dei Settantacinque, incaricata della redazione del progetto e presieduta da Meuccio Ruini, stabilì in cinque anni la durata di entrambe le Camere. Durante la discussione in assemblea, tuttavia, emerse la linea di Francesco Saverio Nitti il quale, innamorato delle istituzioni americane e francesi, spingeva per avere una Camera bassa di breve durata, che potesse essere sciolta dal Presidente, e Senato che non si potesse sciogliere e fosse rinnovato biennalmente solo per una parte, analogamente a quanto avviene per il senato USA.
Non deve neppure stupire troppo la proposta di mandare alle urne il Paese ogni due anni: i costituenti, uscendo dal Ventennio, avevano un fortissimo desiderio di favorire la consultazione popolare: fosse per il Progetto, oggi avremmo un referendum alla settimana o giù di lì!
Il Nitti poi, non aveva compreso che una Camera Alta di quel tipo ha un senso in un sistema presidenziale, nel quale il governo non deve avere la fiducia delle Camere: ma in un sistema parlamentare no: ad ogni rinnovo parziale o totale di una delle Camere il Governo sarebbe tenuto a ripresentarsi per ottenere la fiducia.
In effetti, guardando le cose un po' più lucidamente per effetto dell'esperienza, possiamo dire che in una repubblica parlamentare con un bicameralismo perfetto non solo non ha senso il rinnovo periodico di una parte di una Camera, ma neppure una durata temporale diversa delle stesse: ma ancora la cosa non era chiara.
Alla fine le varie proposte andarono in votazione: fu respinto il principio del rinnovamento periodico parziale e, dopo aver confermato la durata quinquennale della Camera, si passò a determinare quella del Senato.
Qui fu Roberto Lucifero, che già aveva parlato contro il rinnovamento, a proporre che il Senato dovesse avere una durata maggiore, e non sulla base di argomenti istituzionali bensì squisitamente pratici dacché: «Dovremmo impedire la simultaneità delle elezioni, cioè la confusione infinita che si creerebbe nel Paese per una contemporanea consultazione elettorale, col sistema proporzionale e col collegio uninominale, con l'incrociarsi e il confondersi delle due lotte politiche, per cui la gente, che non passa la vita su questi problemi, sarebbe nell'assoluta impossibilità di esprimere una opinione che significhi qualche cosa. Noi dobbiamo stabilire per il Senato una durata maggiore o minore, ma dobbiamo fare in modo che le elezioni non coincidano, altrimenti fabbricheremmo una Torre di Babele.».
Fu così che la durata della Camera fu fissata in cinque anni e quella del Senato in sei. Se poi vi siete mai chiesti come mai il Presidente della Repubblica duri sette anni, ecco il motivo.
Il sistema, così congegnato, durò fino al 1963, anche se in effetti sia le elezioni del '53 sia quelle del '58 furono fatte per entrambe le assemblee, in quanto il Senato venne sciolto anticipatamente. Ma, almeno per quanto riguarda l'elezione del 1953, ciò non fu dovuto a un ripensamento del sistema, bensì a un fatto contingente abbastanza curioso.
Solo che adesso ha smesso di piovere e riesco a scappare a casa, per cui ve lo racconto un'altra volta.
Che si trattasse di una sciocchezza, in termini politici, l'hanno detto in tanti: primo fra tutti il prof. Zagrebelsky in un lucidissimo articolo.
Sta di fatto però che l'art.88 dice quel che dice: e quindi se da un lato ha perfettamente ragione Zagrebelsky, a dire che non ha senso che venuta meno la maggioranza in una camera sia sciolta solo questa, ciononostante la Costituzione prevede proprio questa possibilità.
Per spiegare la discrasia bisogna scavare un po' nella storia costituzionale, dove si scoprono delle cose curiose e interessanti.
La Commissione dei Settantacinque, incaricata della redazione del progetto e presieduta da Meuccio Ruini, stabilì in cinque anni la durata di entrambe le Camere. Durante la discussione in assemblea, tuttavia, emerse la linea di Francesco Saverio Nitti il quale, innamorato delle istituzioni americane e francesi, spingeva per avere una Camera bassa di breve durata, che potesse essere sciolta dal Presidente, e Senato che non si potesse sciogliere e fosse rinnovato biennalmente solo per una parte, analogamente a quanto avviene per il senato USA.
Non deve neppure stupire troppo la proposta di mandare alle urne il Paese ogni due anni: i costituenti, uscendo dal Ventennio, avevano un fortissimo desiderio di favorire la consultazione popolare: fosse per il Progetto, oggi avremmo un referendum alla settimana o giù di lì!
Il Nitti poi, non aveva compreso che una Camera Alta di quel tipo ha un senso in un sistema presidenziale, nel quale il governo non deve avere la fiducia delle Camere: ma in un sistema parlamentare no: ad ogni rinnovo parziale o totale di una delle Camere il Governo sarebbe tenuto a ripresentarsi per ottenere la fiducia.
In effetti, guardando le cose un po' più lucidamente per effetto dell'esperienza, possiamo dire che in una repubblica parlamentare con un bicameralismo perfetto non solo non ha senso il rinnovo periodico di una parte di una Camera, ma neppure una durata temporale diversa delle stesse: ma ancora la cosa non era chiara.
Alla fine le varie proposte andarono in votazione: fu respinto il principio del rinnovamento periodico parziale e, dopo aver confermato la durata quinquennale della Camera, si passò a determinare quella del Senato.
Qui fu Roberto Lucifero, che già aveva parlato contro il rinnovamento, a proporre che il Senato dovesse avere una durata maggiore, e non sulla base di argomenti istituzionali bensì squisitamente pratici dacché: «Dovremmo impedire la simultaneità delle elezioni, cioè la confusione infinita che si creerebbe nel Paese per una contemporanea consultazione elettorale, col sistema proporzionale e col collegio uninominale, con l'incrociarsi e il confondersi delle due lotte politiche, per cui la gente, che non passa la vita su questi problemi, sarebbe nell'assoluta impossibilità di esprimere una opinione che significhi qualche cosa. Noi dobbiamo stabilire per il Senato una durata maggiore o minore, ma dobbiamo fare in modo che le elezioni non coincidano, altrimenti fabbricheremmo una Torre di Babele.».
Fu così che la durata della Camera fu fissata in cinque anni e quella del Senato in sei. Se poi vi siete mai chiesti come mai il Presidente della Repubblica duri sette anni, ecco il motivo.
Il sistema, così congegnato, durò fino al 1963, anche se in effetti sia le elezioni del '53 sia quelle del '58 furono fatte per entrambe le assemblee, in quanto il Senato venne sciolto anticipatamente. Ma, almeno per quanto riguarda l'elezione del 1953, ciò non fu dovuto a un ripensamento del sistema, bensì a un fatto contingente abbastanza curioso.
Solo che adesso ha smesso di piovere e riesco a scappare a casa, per cui ve lo racconto un'altra volta.
Del perché sia opportuno fare la donazione a wikipedia
Perché, ad esempio, si può andare a leggere la voce:
Psicosi
I sintomi psicotici sono ascrivibili a disturbi di forma del pensiero, disturbi di contenuto del pensiero e disturbi della sensopercezione.* Disturbi di forma del pensiero: alterazioni del flusso ideativo fino alla fuga delle idee e all'incoerenza, alterazioni dei nessi associativi come la tangenzialità, le risposte di traverso, i salti di palo in frasca;
* Disturbi di contenuto del pensiero: ideazione prevalente delirante.
Grazie, Wikipedia, che mi consenti di capire la realtà d'oggi
La rivoluzione in cachemere
Però contro Albertini avete combattuto per dieci anni...Ecco: se magari l'avessi capito prima, che lo scopo ultimo del Partito Democratico era quello di sdoganare Albertina, questo blog si sarebbe risparmiato tante parole inutili.
Erano anche gli anni in cui noi non esistevamo come Partito Democratico.
mercoledì 17 novembre 2010
Lettera aperta a Paola Caruso
Cara Paola,
nei giorni scorsi mi sono disinteressato alla tua vicenda: ti ho perfino dileggiato dal momento che la tua protesta è stata organizzata in maniera così infantile e istintiva da rendere evidente, a chi la segue, non già la tua condizione di precarietà, bensì la tua immaturità.
Non occorre spendere molte parole sul punto: una persona che lavora nel giornalismo da sette anni non può non sapere che avviare una protesta destinata a durare per un tempo brevissimo, quale lo sciopero della sete, necessita di un'accuratissima organizzazione preventiva. Fare una sciocchezza simile all'inizio di un week-end e nel corso di una crisi di governo, di un'emergenza ambientale e del possibile default di un paese della CEE* è, passami il termine, una solenne stronzata; come pure stronzate sono l'annunciarlo a protesta già avvenuta, tenere il tuo feed su FF lucchettato, contraddirti nelle varie versioni che hai fornito, cambiare forma di protesta in corso d'opera, prendertela con un altro precario che fra l'altro non è neppur stato assunto, etc. etc. etc.
Ma c'è di più, Paolina. Vedi: lo sciopero della fame è una forma di estorsione, come hanno detto altri più bravi di me: magari nobilissima, ma sempre estorsione. Si usa il ricatto morale per porre in atto un periodo ipotetico del secondo tipo: SE tu non facessi questo, ALLORA succederebbe questo. Esempi di ricatto sono:
* SE non mi date un milione di dollari, ALLORA ammazzo un ostaggio;
* SE non mi date il permesso di soggiorno ALLORA mi butto di sotto;
* SE non mi compri la playstation ALLORA piango tutto il giorno.
Ecco, vedi: nella tua protesta manca un pezzo: c'è l'ALLORA, ma non c'è il SE. E ammetterai che questo non aiuta a capire che diavolo ti passi per la testa, Paolina cara. Vuoi un contratto? Vuoi una password per il desk? Vuoi un posto alla Camera del Lavoro? O alla Camera tout-court? Che cazzo vuoi insomma (e: no, richiamare l'attenzione non è una risposta, dato che l'attenzione l'hai già richiamata quel poco che potevi, e comunque non hai fornito una metrica per misurare il fenomeno)?
Sai, il fatto è che oramai, in questo mondo cattivo, è difficile che qualcuno ceda a un ricatto; ma se poi non si sa nemmeno qual è la richiesta, anche quella flebile possibilità svanisce nel nulla: non è un concetto astruso, vero?
Ma veniamo al punto, ché finora ho divagato: ti racconto un aneddoto personale.
Vedi, non tanto tempo fa ho attraversato un momento difficile e, per dirla tutta, ho rischiato anche di perdere il posto di lavoro. Certo io sono un privilegiato, avendo un contratto a tempo indeterminato, ma con un figlio, un mutuo e quant'altro da mantenere mi sarei trovato in seria difficoltà.
Ebbene, Paola, sai che ho fatto per prima cosa? Ho chiuso questo blog.
L'ho fatto perché sapevo bene che dal mondo della Rete non sarebbe potuto venir fuori nulla che mi aiutasse, e avrei perso tempo e concentrazione, entrambi necessari per risolvere il mio serissimo problema.
Perché, vedi, il fatto è che frequentando questa rete sembra che ci sia il mondo intero di là dello schermo ma, purtroppo, il mondo intero è un altro. Quante persone conosci in rete? Quante persone ti hanno dato solidarietà? Centinaia? Forse addirittura un migliaio? Ecco, ora ti dico una cosa: tutte quelle persone, ammesso che ci siano state, sono un vagone del metrò all'ora di punta.
Adesso, pensa per un attimo che ci sono: tutti gli altri vagoni della linea rossa; tutti gli altri vagoni delle altre due linee; tutti i passeggeri di tram, autobus e filobus; tutti queli che vanno al lavoro in macchina, in moto e in bici; tutti quelli che restano a casa; tutti gli altri lombardi; tutti gli altri italiani.
Afferrato il punto?
Hai sessanta milioni di italiani che non sanno un cazzo della tua cosiddetta protesta, e che se anche sapessero se ne sbatterebbero, e un vagone del metrò che ti sostiene. Meglio che niente, dirai. E invece NO.
Quel vagone lì, sappilo, ti sta facendo del male. Sostenendoti, dicendoti che combatti una battaglia giusta, ti fa pensare che tu possa avere un barlume di ragione e di speranza, ma non è così.
Tu non stai combattendo una battaglia giusta: non sai nemmeno tu cosa vuoi; non hai un obiettivo; qualora l'avessi, non sai come raggiungerlo; e non sai come uscire da questa situazione senza perdere la faccia. Hai fatto una cazzata, insomma: e non riesci a rendertene conto perché ci sono mille (o più probabilmente cento) che stanno lì a sostenere quella immane cazzata.
Ti dicono «mangia», ti dicono «bevi»; ti dicono che hai ragione. Non ti dicono che sei stata una cretina. E così tu pensi di aver ragione, e di non essere stata una cretina, e preseveri.
Vuoi un consiglio da amico? Mandali tutti affanculo, quegli amici.
Fatti ricoverare con la scusa di un esaurimento nervoso e dopo un paio di settimane scrivi una letterina a De Bortoli dicendo che eri sconvolta perché ti era morto il gatto o ti aveva piantato il fidanzato, e chiedigli per favore di dimenticare tutto.
Cosa che non sarà difficile, dato che probabilmente De Bortoli (che dirige un giornale in un momento in cui c'è una crisi di governo, un'emergenza ambientale e il possibile default di un paese della CEE*) già di te si è scordato persino il nome.
* mi fanno notare che la CEE non esiste più. Faccio notare che io sono conservatore dentro.
nei giorni scorsi mi sono disinteressato alla tua vicenda: ti ho perfino dileggiato dal momento che la tua protesta è stata organizzata in maniera così infantile e istintiva da rendere evidente, a chi la segue, non già la tua condizione di precarietà, bensì la tua immaturità.
Non occorre spendere molte parole sul punto: una persona che lavora nel giornalismo da sette anni non può non sapere che avviare una protesta destinata a durare per un tempo brevissimo, quale lo sciopero della sete, necessita di un'accuratissima organizzazione preventiva. Fare una sciocchezza simile all'inizio di un week-end e nel corso di una crisi di governo, di un'emergenza ambientale e del possibile default di un paese della CEE* è, passami il termine, una solenne stronzata; come pure stronzate sono l'annunciarlo a protesta già avvenuta, tenere il tuo feed su FF lucchettato, contraddirti nelle varie versioni che hai fornito, cambiare forma di protesta in corso d'opera, prendertela con un altro precario che fra l'altro non è neppur stato assunto, etc. etc. etc.
Ma c'è di più, Paolina. Vedi: lo sciopero della fame è una forma di estorsione, come hanno detto altri più bravi di me: magari nobilissima, ma sempre estorsione. Si usa il ricatto morale per porre in atto un periodo ipotetico del secondo tipo: SE tu non facessi questo, ALLORA succederebbe questo. Esempi di ricatto sono:
* SE non mi date un milione di dollari, ALLORA ammazzo un ostaggio;
* SE non mi date il permesso di soggiorno ALLORA mi butto di sotto;
* SE non mi compri la playstation ALLORA piango tutto il giorno.
Ecco, vedi: nella tua protesta manca un pezzo: c'è l'ALLORA, ma non c'è il SE. E ammetterai che questo non aiuta a capire che diavolo ti passi per la testa, Paolina cara. Vuoi un contratto? Vuoi una password per il desk? Vuoi un posto alla Camera del Lavoro? O alla Camera tout-court? Che cazzo vuoi insomma (e: no, richiamare l'attenzione non è una risposta, dato che l'attenzione l'hai già richiamata quel poco che potevi, e comunque non hai fornito una metrica per misurare il fenomeno)?
Sai, il fatto è che oramai, in questo mondo cattivo, è difficile che qualcuno ceda a un ricatto; ma se poi non si sa nemmeno qual è la richiesta, anche quella flebile possibilità svanisce nel nulla: non è un concetto astruso, vero?
Ma veniamo al punto, ché finora ho divagato: ti racconto un aneddoto personale.
Vedi, non tanto tempo fa ho attraversato un momento difficile e, per dirla tutta, ho rischiato anche di perdere il posto di lavoro. Certo io sono un privilegiato, avendo un contratto a tempo indeterminato, ma con un figlio, un mutuo e quant'altro da mantenere mi sarei trovato in seria difficoltà.
Ebbene, Paola, sai che ho fatto per prima cosa? Ho chiuso questo blog.
L'ho fatto perché sapevo bene che dal mondo della Rete non sarebbe potuto venir fuori nulla che mi aiutasse, e avrei perso tempo e concentrazione, entrambi necessari per risolvere il mio serissimo problema.
Perché, vedi, il fatto è che frequentando questa rete sembra che ci sia il mondo intero di là dello schermo ma, purtroppo, il mondo intero è un altro. Quante persone conosci in rete? Quante persone ti hanno dato solidarietà? Centinaia? Forse addirittura un migliaio? Ecco, ora ti dico una cosa: tutte quelle persone, ammesso che ci siano state, sono un vagone del metrò all'ora di punta.
Adesso, pensa per un attimo che ci sono: tutti gli altri vagoni della linea rossa; tutti gli altri vagoni delle altre due linee; tutti i passeggeri di tram, autobus e filobus; tutti queli che vanno al lavoro in macchina, in moto e in bici; tutti quelli che restano a casa; tutti gli altri lombardi; tutti gli altri italiani.
Afferrato il punto?
Hai sessanta milioni di italiani che non sanno un cazzo della tua cosiddetta protesta, e che se anche sapessero se ne sbatterebbero, e un vagone del metrò che ti sostiene. Meglio che niente, dirai. E invece NO.
Quel vagone lì, sappilo, ti sta facendo del male. Sostenendoti, dicendoti che combatti una battaglia giusta, ti fa pensare che tu possa avere un barlume di ragione e di speranza, ma non è così.
Tu non stai combattendo una battaglia giusta: non sai nemmeno tu cosa vuoi; non hai un obiettivo; qualora l'avessi, non sai come raggiungerlo; e non sai come uscire da questa situazione senza perdere la faccia. Hai fatto una cazzata, insomma: e non riesci a rendertene conto perché ci sono mille (o più probabilmente cento) che stanno lì a sostenere quella immane cazzata.
Ti dicono «mangia», ti dicono «bevi»; ti dicono che hai ragione. Non ti dicono che sei stata una cretina. E così tu pensi di aver ragione, e di non essere stata una cretina, e preseveri.
Vuoi un consiglio da amico? Mandali tutti affanculo, quegli amici.
Fatti ricoverare con la scusa di un esaurimento nervoso e dopo un paio di settimane scrivi una letterina a De Bortoli dicendo che eri sconvolta perché ti era morto il gatto o ti aveva piantato il fidanzato, e chiedigli per favore di dimenticare tutto.
Cosa che non sarà difficile, dato che probabilmente De Bortoli (che dirige un giornale in un momento in cui c'è una crisi di governo, un'emergenza ambientale e il possibile default di un paese della CEE*) già di te si è scordato persino il nome.
* mi fanno notare che la CEE non esiste più. Faccio notare che io sono conservatore dentro.
martedì 16 novembre 2010
Primarie milanesi
Chi abbia avuto la pazienza di leggere questo blog nel corso degli ultimi due anni sa bene che mai una volta è stata spesa una sola parola in favore della passeggiata domenicale per famiglie pomposamente chiamata "primarie": e difatti domenica mattina, vedendo la pioggia che cadeva torrenziale, ho gustato ancor più il calore delle coltri.
Andando non tanto indietro nel tempo, peraltro, trovo un post nel quale dicevo che, pur essendo contrario al meccanismo, ero felice per il risultato: era quello scritto dopo la vittoria di Nichi Vendola.
Avrei potuto copincollare il medesimo, sostituendo a Vendola Pisapia e a Boccia Boeri, ma c'è qualcosa in più da dire.
Con lo squallido teatrino messo in piedi anche questa volta dal PD milanese (e le dimissioni dell'ultim'ora di Penati) credo che anche il più entusiastico fan della prima ora sia costretto a vedere che il re è nudo.
Prendiamola un po' alla lontana faccendo un esempio laterale. Immaginiamo di prendere una multa per divieto di sosta da cinquanta euri: ci incazziamo. Vero è che parcheggiando in divieto abbiamo accettato in qualche misura il rischio, ma ci incazziamo perché speravamo che il vigile non passasse di lì. Immaginiamo invece di andare in tabaccheria e giocare cinquanta euri al lotto, e di non vincere nulla: se ci incazziamo siamo dei cretini, perché non ce l'ha ordinato il medico di andare a giocare. Quei cinquanta euri con cui avremmo potuto comperare una bottiglia di quello buono abbiamo scientemente deciso di metterli a rischio e di perderli.
Ora, tutti voi ben sapete che la Costituzione impone di fare le elezioni ogni cinque anni: si possono fare anche prima di tale termine ma comunque alla scadenza del quinto anno, non c'è storia, bisogtna andare alle urne. Ovviamente i partiti competono tra loro, e alla fine c'è chi vince e chi perde (in effetti di solito vincono quasi tutti, almeno nelle dichiarazioni dei loro segretari, ma eccezionalmente capita che un partito subisca un tale tracollo da costringere il proprio responsabile ad ammettere che sì, in effetti le cose non sono andate benino).
Quello che è importante sottolineare è che la decisione di andare alle urne non è presa da un partito: è il sistema, che sta al di sopra dei singoli partiti, che lo impone.
Se un partito, nella propria autonomia, decide di selezionare i propri candidati non in base ad un criterio deterministico (il merito, le capacità individuali, l'anzianità di servizio nell'apparato), bensì di rimettere la selezione al primo che passa per la strada, ha preso una decisione ben precisa. Per me è un'idiozia, quanto giocare al lotto, ma è comunque una propria autonoma decisione nella quale si suppone che debba credere, se al mondo esiste un minimo di coerenza.
E quindi, una volta deciso di far le primarie, logica vuole che il partito in questione abbia un atteggiamento neutrale nei confronti dei possibili candidati, esattamente come il Presidente della Repubblica ha un atteggiamento neutrale nei confronti dei partiti che concorrono ad un posto in Parlamento.
Certo, può esserci un sistema di preselezione, dato che sarebbe, come dire, imbarazzante se Pino Rauti concorresse alla carica di sindaco di Milano sotto la bandiera di un partito antifascista; allo stesso modo in cui non sarebbe ammissibile che al Parlamento italiano concorresse un cittadino cileno: ma una volta che i candidati hanno i prerequisiti stabiliti dall'organizzatore della competizione, questo ente deve essere neutrale ed accogliere il responso delle urne o dei gazebo con la più pacifica serenità.
Certo l'ente in questione, Stato o partito che sia, può preoccuparsi per una scarsa affluenza, segno che gli elettori si stano disamorando del sistema messo in piedi; ma non può preoccuparsi perché il responso degli elettori ha scelto l'una o l'altra persona.
Facciamo un altro esempio: chi abita in un condominio sa che il codice civile impone che l'assemblea nomini un amministratore, con un meccanismo simile a quello delle elezioni; ma se io sono proprietario di un intero palazzo posso farlo amministrare a chi voglio, o posso anche decidere che l'amministratore sia scelto dai miei affittuari, se così mi piace, e organizzare un'assemblea a tal fine. Quello che non ha proprio senso è che io decida di far amministrare il mio casamento a Tizio, proponga ai miei affittuari di scegliere tra Tizio e Caio, e poi mi arrabbi perché questi hanno scelto Caio: se Caio non mi piace, dovevo scegliere Tizio fin dall'inizio, punto fermo.
Il Partito Democretico, sia in Puglia che a Milano, ha fatto proprio questo: ha scelto il proprio candidato, e allo stesso tempo ha scelto di far scegliere il candidato a chi passava per la strada. Certo, se la scelta del vertice e quella dei passeggiatori domenicali fosse coincisa, il prescelto (nel senso di quello scelto in anticipo dal partito) avrebbe avuto una bella spinta di legittimazione: esattamente come se il mio terno secco fosse risultato vincente adesso non me ne starei a timbrare il cartellino.
Purtroppo capita che i terni secchi non escano, e che i passanti non scelgano i prescelti. In questo caso però non si sbatte la testa contro il muro, non si recrimina, non ci si dimette. e soprattutto non si chiedono le dimissioni di altri.
Si accetta, coerentemente, la conseguenza dell'aver adottato un certo metodo e si va avanti, pacatamente e serenamente.
Andando non tanto indietro nel tempo, peraltro, trovo un post nel quale dicevo che, pur essendo contrario al meccanismo, ero felice per il risultato: era quello scritto dopo la vittoria di Nichi Vendola.
Avrei potuto copincollare il medesimo, sostituendo a Vendola Pisapia e a Boccia Boeri, ma c'è qualcosa in più da dire.
Con lo squallido teatrino messo in piedi anche questa volta dal PD milanese (e le dimissioni dell'ultim'ora di Penati) credo che anche il più entusiastico fan della prima ora sia costretto a vedere che il re è nudo.
Prendiamola un po' alla lontana faccendo un esempio laterale. Immaginiamo di prendere una multa per divieto di sosta da cinquanta euri: ci incazziamo. Vero è che parcheggiando in divieto abbiamo accettato in qualche misura il rischio, ma ci incazziamo perché speravamo che il vigile non passasse di lì. Immaginiamo invece di andare in tabaccheria e giocare cinquanta euri al lotto, e di non vincere nulla: se ci incazziamo siamo dei cretini, perché non ce l'ha ordinato il medico di andare a giocare. Quei cinquanta euri con cui avremmo potuto comperare una bottiglia di quello buono abbiamo scientemente deciso di metterli a rischio e di perderli.
Ora, tutti voi ben sapete che la Costituzione impone di fare le elezioni ogni cinque anni: si possono fare anche prima di tale termine ma comunque alla scadenza del quinto anno, non c'è storia, bisogtna andare alle urne. Ovviamente i partiti competono tra loro, e alla fine c'è chi vince e chi perde (in effetti di solito vincono quasi tutti, almeno nelle dichiarazioni dei loro segretari, ma eccezionalmente capita che un partito subisca un tale tracollo da costringere il proprio responsabile ad ammettere che sì, in effetti le cose non sono andate benino).
Quello che è importante sottolineare è che la decisione di andare alle urne non è presa da un partito: è il sistema, che sta al di sopra dei singoli partiti, che lo impone.
Se un partito, nella propria autonomia, decide di selezionare i propri candidati non in base ad un criterio deterministico (il merito, le capacità individuali, l'anzianità di servizio nell'apparato), bensì di rimettere la selezione al primo che passa per la strada, ha preso una decisione ben precisa. Per me è un'idiozia, quanto giocare al lotto, ma è comunque una propria autonoma decisione nella quale si suppone che debba credere, se al mondo esiste un minimo di coerenza.
E quindi, una volta deciso di far le primarie, logica vuole che il partito in questione abbia un atteggiamento neutrale nei confronti dei possibili candidati, esattamente come il Presidente della Repubblica ha un atteggiamento neutrale nei confronti dei partiti che concorrono ad un posto in Parlamento.
Certo, può esserci un sistema di preselezione, dato che sarebbe, come dire, imbarazzante se Pino Rauti concorresse alla carica di sindaco di Milano sotto la bandiera di un partito antifascista; allo stesso modo in cui non sarebbe ammissibile che al Parlamento italiano concorresse un cittadino cileno: ma una volta che i candidati hanno i prerequisiti stabiliti dall'organizzatore della competizione, questo ente deve essere neutrale ed accogliere il responso delle urne o dei gazebo con la più pacifica serenità.
Certo l'ente in questione, Stato o partito che sia, può preoccuparsi per una scarsa affluenza, segno che gli elettori si stano disamorando del sistema messo in piedi; ma non può preoccuparsi perché il responso degli elettori ha scelto l'una o l'altra persona.
Facciamo un altro esempio: chi abita in un condominio sa che il codice civile impone che l'assemblea nomini un amministratore, con un meccanismo simile a quello delle elezioni; ma se io sono proprietario di un intero palazzo posso farlo amministrare a chi voglio, o posso anche decidere che l'amministratore sia scelto dai miei affittuari, se così mi piace, e organizzare un'assemblea a tal fine. Quello che non ha proprio senso è che io decida di far amministrare il mio casamento a Tizio, proponga ai miei affittuari di scegliere tra Tizio e Caio, e poi mi arrabbi perché questi hanno scelto Caio: se Caio non mi piace, dovevo scegliere Tizio fin dall'inizio, punto fermo.
Il Partito Democretico, sia in Puglia che a Milano, ha fatto proprio questo: ha scelto il proprio candidato, e allo stesso tempo ha scelto di far scegliere il candidato a chi passava per la strada. Certo, se la scelta del vertice e quella dei passeggiatori domenicali fosse coincisa, il prescelto (nel senso di quello scelto in anticipo dal partito) avrebbe avuto una bella spinta di legittimazione: esattamente come se il mio terno secco fosse risultato vincente adesso non me ne starei a timbrare il cartellino.
Purtroppo capita che i terni secchi non escano, e che i passanti non scelgano i prescelti. In questo caso però non si sbatte la testa contro il muro, non si recrimina, non ci si dimette. e soprattutto non si chiedono le dimissioni di altri.
Si accetta, coerentemente, la conseguenza dell'aver adottato un certo metodo e si va avanti, pacatamente e serenamente.
lunedì 15 novembre 2010
Cause perse reprise
Ieri ho scritto un post, ma prima di pubblicarlo l'ho cancellato.
L'ho fatto non perché mi fossi ricreduto su quello che avevo scritto, bensì perché ho provato tanta pena e un istintivo moto di solidarietà verso una persona che, in un certo momento della sua vita (o magari da sempre, chissà), si è trovata nella situazione descritta dall'art.85 del Codice Penale:
Comunque, se proprio ci tenete a leggere quello che avevo scritto, vi va di lusso: perché qui non solo trovate, praticamente identico, ma lo trovate anche scritto assai meglio, da parte di uno che conosce bene quel lavoro e quell'ambiente e che ha saputo dire le medesime cose con grande lucidità.
L'ho fatto non perché mi fossi ricreduto su quello che avevo scritto, bensì perché ho provato tanta pena e un istintivo moto di solidarietà verso una persona che, in un certo momento della sua vita (o magari da sempre, chissà), si è trovata nella situazione descritta dall'art.85 del Codice Penale:
Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui lo ha commesso non era imputabile.e pertanto non può esser fatta responsabile delle proprie azioni.
È imputabile chi ha la capacità d'intendere e di volere.
Comunque, se proprio ci tenete a leggere quello che avevo scritto, vi va di lusso: perché qui non solo trovate, praticamente identico, ma lo trovate anche scritto assai meglio, da parte di uno che conosce bene quel lavoro e quell'ambiente e che ha saputo dire le medesime cose con grande lucidità.
domenica 14 novembre 2010
Avvocato delle cause perse
Questo era un post molto antipatico che parlava di anzianità, meritocrazia, conformismo e giudizio acritico. Era così antipatico che l'ho cancellato, ma le note a piè di pagina sono rimaste
* feed _lucchettato_
** di _venerdì sera_
*** a iniziativa _già in corso_
**** del resto il Corriere ha dichiarato lo stato di crisi, quindi assunzioni a tempo indeterminato _non ne può fare_
***** il dato non è chiaro, dato che _non sappiamo_ bene quando sia iniziato
* feed _lucchettato_
** di _venerdì sera_
*** a iniziativa _già in corso_
**** del resto il Corriere ha dichiarato lo stato di crisi, quindi assunzioni a tempo indeterminato _non ne può fare_
***** il dato non è chiaro, dato che _non sappiamo_ bene quando sia iniziato
venerdì 12 novembre 2010
Grandi questioni filosofiche
Ma secondo voi il grafico del Corriere l'ha fatto apposta, di mettere la foto della Brambilla con la testa di un cavallo?
mercoledì 10 novembre 2010
Abbracci
Nei commenti del mio precedente post questo signore qua, uno che ha la passione per la Hit Parade, ha lasciato un commento al quale vale la pena di dar la rilevanza che merita.
Citando la mia frase "di quando ero giovane e pirla" egli ha ritenuto di aggiungere:
beh, complimenti per esserti conservato; per il primo aggettivo non so, ma per il secondo certamente
martedì 9 novembre 2010
A ridatece Suor Paola
La piccola provocazione di ieri ha sortito effetti migliori di quanto sperato. I miei tre lettori non hanno riconosciuto, di primo acchito, alcuna cesura stilistica né temporale tra i tre documenti che componevano il pastiche: il Manifesto dei Fasci di Combattimento, il Manifesto del Futurismo e la Carta di Firenze dei due bei giovani tomi, Renzi e Ciwati.
Basterebbe la lettura dell'edificante documento dell'altro ieri, al cui confronto la prosa Marinettiana appare un fulgido esempio di levità stilistica e concretezza programmatica, per mettere una croce, e una pesante lapide, sulla carriera politica di due soggetti che mi fanno rimpiangere amaramente i bei tempi in cui in politica c'erano persone che sapevan il fatto loro e lavoravano per migliorare concretamente il Paese: gente come Beppe Grillo e Mariotto Segni, ad esempio, la cui statura politica viene rivalutata al rango di colossi del pensiero dall'impietoso confronto con il nuovo che avanza.
Nello scorso week-end, per curiosità, mi sono collegato al sito del giornale di Luca Sofri, altro entusiasta delle cause perse, sul quale si poteva seguire in diretta lo streaming dell'immaginifica kermesse. Ho sentito parlare di TAV, di San Salvario, di banda larga, di fisco, di mandati parlamentari, di giustizia, di Europa, di spazzatura: mi sono rotto i coglioni in modo indicibile.
C'è chi a detto che sì, in effetti l'incontro fiorentino è stato una sorta di brainstorming, e che le cose concrete si vedranno poi. Sesquipedale cazzata.
Chiunque abbia lavorato per qualche giorno nella sua vita sa bene che l'efficacia di una riunione è inversamente proporzionale al numero di partecipanti, e che pertanto sopra gli otto convocati è indispensabile che il tema sia perfettamente delineato e che gli interventi siano moderati con rigidità nazista, perché altrimenti va tutto in vacca. Certo, sono cose che sa bene chi abbia lavorato, e pertanto in questo Renzi e Civati sono scusabili, ma non troppo: infatti la cosa era nota financo ai nostri costituenti, che non a caso nell'art. 72 hanno stabilito che prima dell'Aula i progetti di legge debbano passare in commissioni ristrette. Perché 600 individui che parlano a braccio su un tema non possono concludere una fava.
E non fatevi imbrogliare con le immagini dei congressi di partito: è vero che vi sono tantissime persone, le quali però prima di star lì sono passate attraverso tutto un sistema di assemblee e mandati periferici, e discutono su un limitato numero di ben precise mozioni.
Ora, questi nuovi giovani idioti sono riusciti a superare l'inimmaginabile: non solo hanno preso qualche centinaio di persone facendole parlare tutte insieme, ma non hanno neppure dato una minchia di tema da seguire: ciascuno poteva dire quel cazzo che gli passava per la mente, purché in cinque minuti (che già la cosa dei cinque minuti mi fa venire i bordoni, cazzo! Per uno storico della Rivoluzione Francese, come in altri tempi sono stato, l'idea che si vada a fare non dico la rivoluzione, ma anche solo un rivoltamento di materasso, nel tempo di un giro di valzer, è cosa inammissibile).
Sapete cosa ne è uscito? In un primo momento ho pensato alle assemblee cittadine studentesche di quando ero giovane e pirla, ma in esse la profondità di pensiero era piombo, paragonata al sughero della Stazione Leopolda.
Poi ho pensato a quei bei tempi di Radio Radicale, quando avevano fatto quella protesta mettendo una segreteria telefonica a disposizione degli ascoltatori, che potevano dire tutto quel che pareva loro, purché in un minuto. Mi piaceva il parallelo del minutaggio, ma anche qui qualcosa non quadrava: in fondo a Firenze non si dicevano le parolacce, che erano l'essenza principe della programmazione di Radio Radicale.
Poi mi è venuta l'illuminazione. Quelli che il Calcio.
Sì, lo so: vi sembra che gli interventi degli inviati siano tutti coerenti e a tema, che la Ventura sia una gran professionista capace di tenere la diretta per due ore e Suor Paola un colosso dell'esegesi del gesto atletico.
Non riuscite a capire che diavolo c'entri quella trasmissione, fiore all'occhiello dell'emittenza nazionale.
E in effetti avete ragione. A me quelli della Stazione Leopolda non hanno ricordato né la Ventura né Suor Paola.
Mi sono sembrati simili alla striscia che scorre in basso, quella degli SMS del pubblico.
Basterebbe la lettura dell'edificante documento dell'altro ieri, al cui confronto la prosa Marinettiana appare un fulgido esempio di levità stilistica e concretezza programmatica, per mettere una croce, e una pesante lapide, sulla carriera politica di due soggetti che mi fanno rimpiangere amaramente i bei tempi in cui in politica c'erano persone che sapevan il fatto loro e lavoravano per migliorare concretamente il Paese: gente come Beppe Grillo e Mariotto Segni, ad esempio, la cui statura politica viene rivalutata al rango di colossi del pensiero dall'impietoso confronto con il nuovo che avanza.
Nello scorso week-end, per curiosità, mi sono collegato al sito del giornale di Luca Sofri, altro entusiasta delle cause perse, sul quale si poteva seguire in diretta lo streaming dell'immaginifica kermesse. Ho sentito parlare di TAV, di San Salvario, di banda larga, di fisco, di mandati parlamentari, di giustizia, di Europa, di spazzatura: mi sono rotto i coglioni in modo indicibile.
C'è chi a detto che sì, in effetti l'incontro fiorentino è stato una sorta di brainstorming, e che le cose concrete si vedranno poi. Sesquipedale cazzata.
Chiunque abbia lavorato per qualche giorno nella sua vita sa bene che l'efficacia di una riunione è inversamente proporzionale al numero di partecipanti, e che pertanto sopra gli otto convocati è indispensabile che il tema sia perfettamente delineato e che gli interventi siano moderati con rigidità nazista, perché altrimenti va tutto in vacca. Certo, sono cose che sa bene chi abbia lavorato, e pertanto in questo Renzi e Civati sono scusabili, ma non troppo: infatti la cosa era nota financo ai nostri costituenti, che non a caso nell'art. 72 hanno stabilito che prima dell'Aula i progetti di legge debbano passare in commissioni ristrette. Perché 600 individui che parlano a braccio su un tema non possono concludere una fava.
E non fatevi imbrogliare con le immagini dei congressi di partito: è vero che vi sono tantissime persone, le quali però prima di star lì sono passate attraverso tutto un sistema di assemblee e mandati periferici, e discutono su un limitato numero di ben precise mozioni.
Ora, questi nuovi giovani idioti sono riusciti a superare l'inimmaginabile: non solo hanno preso qualche centinaio di persone facendole parlare tutte insieme, ma non hanno neppure dato una minchia di tema da seguire: ciascuno poteva dire quel cazzo che gli passava per la mente, purché in cinque minuti (che già la cosa dei cinque minuti mi fa venire i bordoni, cazzo! Per uno storico della Rivoluzione Francese, come in altri tempi sono stato, l'idea che si vada a fare non dico la rivoluzione, ma anche solo un rivoltamento di materasso, nel tempo di un giro di valzer, è cosa inammissibile).
Sapete cosa ne è uscito? In un primo momento ho pensato alle assemblee cittadine studentesche di quando ero giovane e pirla, ma in esse la profondità di pensiero era piombo, paragonata al sughero della Stazione Leopolda.
Poi ho pensato a quei bei tempi di Radio Radicale, quando avevano fatto quella protesta mettendo una segreteria telefonica a disposizione degli ascoltatori, che potevano dire tutto quel che pareva loro, purché in un minuto. Mi piaceva il parallelo del minutaggio, ma anche qui qualcosa non quadrava: in fondo a Firenze non si dicevano le parolacce, che erano l'essenza principe della programmazione di Radio Radicale.
Poi mi è venuta l'illuminazione. Quelli che il Calcio.
Sì, lo so: vi sembra che gli interventi degli inviati siano tutti coerenti e a tema, che la Ventura sia una gran professionista capace di tenere la diretta per due ore e Suor Paola un colosso dell'esegesi del gesto atletico.
Non riuscite a capire che diavolo c'entri quella trasmissione, fiore all'occhiello dell'emittenza nazionale.
E in effetti avete ragione. A me quelli della Stazione Leopolda non hanno ricordato né la Ventura né Suor Paola.
Mi sono sembrati simili alla striscia che scorre in basso, quella degli SMS del pubblico.
lunedì 8 novembre 2010
Manifesti
Il candidato riconosca senza googlare le tre fonti dello scritto propostogli
Ecco il programma di un movimento sanamente italiano.
Rivoluzionario perché antidogmatico e antidemagogico; fortemente innovatore perché antipregiudizievole.
Noi che crediamo che questo tempo sia un tempo prezioso, bellissimo, difficile, inquietante, ma sia soprattutto il nostro tempo, l'unica occasione per provare a cambiare la realtà.
Noi vogliamo Il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l'abolizione di tutte le mense Vescovili.
Noi vogliamo rispondere al cinismo con il civismo. Alla divisione con una visione. Alla polemica con la politica. E vogliamo farlo con la leggerezza di chi sa che il mondo non gira intorno al proprio ombelico.
Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri.
Sì, noi crediamo nella bellezza, che forse non salverà il mondo, ma può dare un senso al nostro impegno. La bellezza dei nostri paesaggi, delle nostre opere d'arte, delle nostre ricchezze culturali, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari. Già per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.
Ecco il programma di un movimento sanamente italiano.
Rivoluzionario perché antidogmatico e antidemagogico; fortemente innovatore perché antipregiudizievole.
Noi che crediamo che questo tempo sia un tempo prezioso, bellissimo, difficile, inquietante, ma sia soprattutto il nostro tempo, l'unica occasione per provare a cambiare la realtà.
Noi vogliamo Il sequestro di tutti i beni delle congregazioni religiose e l'abolizione di tutte le mense Vescovili.
Noi vogliamo rispondere al cinismo con il civismo. Alla divisione con una visione. Alla polemica con la politica. E vogliamo farlo con la leggerezza di chi sa che il mondo non gira intorno al proprio ombelico.
Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri.
Sì, noi crediamo nella bellezza, che forse non salverà il mondo, ma può dare un senso al nostro impegno. La bellezza dei nostri paesaggi, delle nostre opere d'arte, delle nostre ricchezze culturali, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d'archeologi, di ciceroni e d'antiquari. Già per troppo tempo l'Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.
Enti inutili
A dar retta alla voce di wikipedia inglese sul brainstorming, sembrerebbe che la piaga degli enti inutili non sia un'esclusiva italiana.
Some governmental organisations (The Welsh Development Agency and the Department of Enterprise, Trade and Investment in Belfast) have reached the conclusion that the term 'brainstorming' is offensive to people with epilepsy and have suggested the alternative "thought-showers". However, research by the National Society for Epilepsy found of those affected by epilepsy questioned, 93% considered the term inoffensive. A specific comment states that changes need not be made since that could promote an undesirable image of epileptics being easily offended.
Sondaggio volante
Il fatto che, il giorno successivo alla conclusione della kermesse di Renzi e Civati, sulle home page dei principali quotidiani online nazionali non ci sia uno straccio di riga dedicata a quelli che volevano fare la rivoluzione, significa:
* che i tempi non sono ancora maturi per la rivoluzione?
* che la stampa è asservita ai poteri forti?
* che i cronisti inviati per raccontare lo storico evento sono morti di tedio?
* che i tempi non sono ancora maturi per la rivoluzione?
* che la stampa è asservita ai poteri forti?
* che i cronisti inviati per raccontare lo storico evento sono morti di tedio?
Fantasia, intuizione, colpo d'occhio
Dunque Umberto Bossi ha preso una posizione chiara e netta sulla situazione politica: se ne starà dietro il cespuglio.
A me l'espressione «dietro il cespuglio» richiama alla memoria solo un'immagine: Paolo Stoppa, dapprima accucciato e poi alle prese con la sua defecatio hysterica.
A me l'espressione «dietro il cespuglio» richiama alla memoria solo un'immagine: Paolo Stoppa, dapprima accucciato e poi alle prese con la sua defecatio hysterica.
giovedì 4 novembre 2010
Nevica
L'Espresso ha scoperto che Schifani, prima di fare il Presidente del Senato, faceva l'avvocato.
Cosa interessante, seppure un po' fuori tempo massimo, dato che sarebbe bastato andarsi a vedere la biografia sul sito del Senato medesimo per apprenderlo.
Stupisce però che il settimanale parli del lavoro di Schifani, che come noto frequenta un'altra parte politica, in termini assai lusinghieri. Si legge infatti:
Che succede all'Espresso? Si sono bevuti il cervello, a parlar così bene di Schifani?
Cosa interessante, seppure un po' fuori tempo massimo, dato che sarebbe bastato andarsi a vedere la biografia sul sito del Senato medesimo per apprenderlo.
Stupisce però che il settimanale parli del lavoro di Schifani, che come noto frequenta un'altra parte politica, in termini assai lusinghieri. Si legge infatti:
Per questo l'avvocato Schifani congegna una difesa molto articolata, ispirata a principi garantisti, criticando l'uso di tutte le indagini precedenti la legge ai fini dei provvedimenti di sequestro. Analizza uno per uno i beni di Giovanni Bontate - una figura di mafioso borghese, laureato in legge e attivissimo dal punto di vista imprenditoriale mentre gestiva il traffico di droga con gli States - sottolineandone la congruità con il tenore di vita, anche se in un passaggio si fa riferimento al condono fiscale che rende difficile confrontare i redditi dichiarati con quelli reali. Discute nei dettagli vita e opere della Atlantide Costruzioni, un'azienda controllata dal suo assistito che poi nel 1996 verrà indirettamente citata nelle prime indagini sui presunti rapporti tra l'entourage berlusconiano e Cosa nostra.Insomma: l'Espresso non solo ha scoperto che Schifani faceva l'avvocato, ma anche che faceva bene il suo lavoro, difendendo il proprio assistito al meglio delle proprie capacità e competenze professionali, secondo quanto disposto dall'art. 24 della Costituzione e dal Codice Deontologico Forense.
Che succede all'Espresso? Si sono bevuti il cervello, a parlar così bene di Schifani?
mercoledì 3 novembre 2010
Domande retoriche
Domanda ipotetica
La risposta a tono, considerata la sudditanza psicologica di chi pone la questione nei confronti dell'uomo nerovestito, sarebbe: "Nope.", ma "manco per un cazzo" la sento più mia.
"A M.Fisk e tutti gli altri meno sinceri di lui interessano davvero le idee, i progetti, i pensieri di gente come Matteo Renzi o Pippo Civati?"
La risposta a tono, considerata la sudditanza psicologica di chi pone la questione nei confronti dell'uomo nerovestito, sarebbe: "Nope.", ma "manco per un cazzo" la sento più mia.
Chiacchiere e distintivo
Una premessa è necessaria: io non credo che i tempi siano maturi per la fine del potere di Silvio Berlusconi, ma è anche vero che io i pronostici li sbaglio con impressionante regolarità, e quindi magari il PresConsMin potrebbe anche dare le dimissioni e ritirarsi a vita privata.
I progressivi smarcamenti nel PdL potrebbero lasciar arguire che qualcosa del genere stia accadendo. I soggetti meno impresentabili se ne vanno o perlomeno prendono progressivamente le distanze, il che ha il non secondario effetto di far aumentare nel partito il peso dei pupazzi e delle macchiette: proprio come avviene in una soluzione che, per effetto dell'evaporazione dell'acqua, vede progressivamente aumentare la concentrazione dei sali tossici. E' possibile che questo processo si svolga nella forma di una reazione a catena: via via che il movimento fondato da Silvio Berlusconi (non ho proprio il cuore di chiamarlo partito) diviene ostaggio dei duri, per l'allontanamento dei puri, il clima potrebbe farsi insostenibile anche per coloro che adesso riescono a traccheggiare, e così via fino alla singolarità finale nella quale rimarrebbe un PdL formato da Berlusconi, Fede, Bondi e Stracquadanio, pronti a rifugiarsi nel Ridotto Alpino Valtellinese.
Ammettiamo per un attimo che proprio stasera, 3 novembre 2010, Berlusconi dovesse rassegnare le dimissioni e ritirarsi a vita privata, e proviamo a guardare la cosa con la prospettiva dello storico di domani: che cosa vedremmo e quale giudizio ci faremmo su questi tempi?
Innanzitutto il 4 novembre ci sembrerebbe molto simile al 26 luglio di sessantacinque anni fa, quando era più facile trovare un chilo di caffè o di cioccolata nei negozi che un fascista per istrada: eccezion fatta per i fedelissimi succitati, pronti ad immolarsi con il capo, tutti gli altri, da Cicchitto alla Santanché, rivendicherebbero la propria purissima estraneità alla politica di questi anni. Cosa non difficile né ridicola, considerato il precedente storico di quel membro del Comitato Centrale del PCI e direttore dell'Organo Ufficiale del Partito Comunista che afferma di non essere mai stato comunista in vita sua.
Ma l'attenzione dello storico non s'incentra tanto sul 26 luglio, che è una data d'interesse per il sociologo dei costumi, quanto sul 24 luglio: vale a dire sulla seduta del Gran Consiglio: perché, è bene ricordarlo sempre, il fascismo in Italia si è autodissolto, non è stato rovesciato dalle opposizioni.
Certo, nella la situazione del 1943 gli italiani avevano molte attenuanti: i sedici anni di dittatura e lo stato di guerra, che rendevano oggettivamente assai difficile il lavoro degli oppositori, perlopiù in esilio.
La situazione del 2010 è ben diversa, e se è vero che Berlusconi non ha la statura politica* di un Mussolini, è altrettanto vero che le opposizioni di oggi, pur avendo un'agibilità poliltica infinitamente maggiore di quelle di allora, nei fatti agiscono in modo infinitamente meno incisivo.
Diciamocelo chiaramente: se Berlusconi dovesse cadere oggi, non sarà per effetto delle insostenibili spallate di un'opposizione di sinistra che lo avrà messo di fronte alle contraddizioni politiche di quindici anni di malgoverno. Sarà per lo sfilarsi di una fronda interna al movimento da lui fondato.
Me lo sento già, lo sdegno di un mio nipotino che nel 2050 dovesse studiare la storia contemporanea, e chiedermi come sia stato possibile che un popolo con un sistema sanitario e scolastico a pezzi abbia accettato senza colpo ferire un regalo di tre miliardi ad Air France. Come abbia potuto darsi che una cricca di affaristi pregiudicati** abbia potuto distruggere la situazione idrogeologica di un Paese, facendolo arrivare al punto di non poter reggere ad un giorno intero di pioggia autunnale. Come io, suo nonno, abbia potuto accettare senza ribellarmi*** una deriva dell'informazione fatta di veline e menzogne, di case di cartapesta spacciate per solidi mattoni; di progetti di ponti avveniristici che sottaciono la mancanza di benzina nei serbatoi delle auto della polizia e di carta igienica nei cessi degli asili.
E, soprattutto, mi sento già lo sdegno di quel nipote che, arrivato al capitolo sulla caduta del regimetto, dovesse scoprire che la scintilla finale che fece cadere tutto non fu lo sbarco degli americani in Sicilia né il bombardamento di San Lorenzo, bensì una telefonata di raccomandazione e le fotografie di un troione mitomane.
Pensando a tutto ciò, mi auguro che Berlusconi arrivi alla fine della legislatura, per essere esautorato dal voto popolare e non dal sospetto di satiriasi. Poi penso che in fondo, per quanto infinitamente ridicolo, è stato meglio mandare Al Capone in galera per evasione fiscale piuttosto che non mandarcelo affatto: e allora ben vengano i troioni, se non siamo stati capaci di dare l'importanza che meritavano alle C.A.S.E., ai Lunardi, ai Mills.
* Precisiamo, a scanso di querele, che intendiamo qui il concetto di statura politica come una grandezza scalare, non vettoriale.
** lapsus calami freudiano. Il lettore aggiunga una "S" in principio di parola.
*** Certo, potrei giustificarmi dicendo che scrivevo su di un blog. Immagino che se lo facessi mi toglierebbe il catetere e mi lascerebbe morire affogato nel mio piscio.
I progressivi smarcamenti nel PdL potrebbero lasciar arguire che qualcosa del genere stia accadendo. I soggetti meno impresentabili se ne vanno o perlomeno prendono progressivamente le distanze, il che ha il non secondario effetto di far aumentare nel partito il peso dei pupazzi e delle macchiette: proprio come avviene in una soluzione che, per effetto dell'evaporazione dell'acqua, vede progressivamente aumentare la concentrazione dei sali tossici. E' possibile che questo processo si svolga nella forma di una reazione a catena: via via che il movimento fondato da Silvio Berlusconi (non ho proprio il cuore di chiamarlo partito) diviene ostaggio dei duri, per l'allontanamento dei puri, il clima potrebbe farsi insostenibile anche per coloro che adesso riescono a traccheggiare, e così via fino alla singolarità finale nella quale rimarrebbe un PdL formato da Berlusconi, Fede, Bondi e Stracquadanio, pronti a rifugiarsi nel Ridotto Alpino Valtellinese.
Ammettiamo per un attimo che proprio stasera, 3 novembre 2010, Berlusconi dovesse rassegnare le dimissioni e ritirarsi a vita privata, e proviamo a guardare la cosa con la prospettiva dello storico di domani: che cosa vedremmo e quale giudizio ci faremmo su questi tempi?
Innanzitutto il 4 novembre ci sembrerebbe molto simile al 26 luglio di sessantacinque anni fa, quando era più facile trovare un chilo di caffè o di cioccolata nei negozi che un fascista per istrada: eccezion fatta per i fedelissimi succitati, pronti ad immolarsi con il capo, tutti gli altri, da Cicchitto alla Santanché, rivendicherebbero la propria purissima estraneità alla politica di questi anni. Cosa non difficile né ridicola, considerato il precedente storico di quel membro del Comitato Centrale del PCI e direttore dell'Organo Ufficiale del Partito Comunista che afferma di non essere mai stato comunista in vita sua.
Ma l'attenzione dello storico non s'incentra tanto sul 26 luglio, che è una data d'interesse per il sociologo dei costumi, quanto sul 24 luglio: vale a dire sulla seduta del Gran Consiglio: perché, è bene ricordarlo sempre, il fascismo in Italia si è autodissolto, non è stato rovesciato dalle opposizioni.
Certo, nella la situazione del 1943 gli italiani avevano molte attenuanti: i sedici anni di dittatura e lo stato di guerra, che rendevano oggettivamente assai difficile il lavoro degli oppositori, perlopiù in esilio.
La situazione del 2010 è ben diversa, e se è vero che Berlusconi non ha la statura politica* di un Mussolini, è altrettanto vero che le opposizioni di oggi, pur avendo un'agibilità poliltica infinitamente maggiore di quelle di allora, nei fatti agiscono in modo infinitamente meno incisivo.
Diciamocelo chiaramente: se Berlusconi dovesse cadere oggi, non sarà per effetto delle insostenibili spallate di un'opposizione di sinistra che lo avrà messo di fronte alle contraddizioni politiche di quindici anni di malgoverno. Sarà per lo sfilarsi di una fronda interna al movimento da lui fondato.
Me lo sento già, lo sdegno di un mio nipotino che nel 2050 dovesse studiare la storia contemporanea, e chiedermi come sia stato possibile che un popolo con un sistema sanitario e scolastico a pezzi abbia accettato senza colpo ferire un regalo di tre miliardi ad Air France. Come abbia potuto darsi che una cricca di affaristi pregiudicati** abbia potuto distruggere la situazione idrogeologica di un Paese, facendolo arrivare al punto di non poter reggere ad un giorno intero di pioggia autunnale. Come io, suo nonno, abbia potuto accettare senza ribellarmi*** una deriva dell'informazione fatta di veline e menzogne, di case di cartapesta spacciate per solidi mattoni; di progetti di ponti avveniristici che sottaciono la mancanza di benzina nei serbatoi delle auto della polizia e di carta igienica nei cessi degli asili.
E, soprattutto, mi sento già lo sdegno di quel nipote che, arrivato al capitolo sulla caduta del regimetto, dovesse scoprire che la scintilla finale che fece cadere tutto non fu lo sbarco degli americani in Sicilia né il bombardamento di San Lorenzo, bensì una telefonata di raccomandazione e le fotografie di un troione mitomane.
Pensando a tutto ciò, mi auguro che Berlusconi arrivi alla fine della legislatura, per essere esautorato dal voto popolare e non dal sospetto di satiriasi. Poi penso che in fondo, per quanto infinitamente ridicolo, è stato meglio mandare Al Capone in galera per evasione fiscale piuttosto che non mandarcelo affatto: e allora ben vengano i troioni, se non siamo stati capaci di dare l'importanza che meritavano alle C.A.S.E., ai Lunardi, ai Mills.
* Precisiamo, a scanso di querele, che intendiamo qui il concetto di statura politica come una grandezza scalare, non vettoriale.
** lapsus calami freudiano. Il lettore aggiunga una "S" in principio di parola.
*** Certo, potrei giustificarmi dicendo che scrivevo su di un blog. Immagino che se lo facessi mi toglierebbe il catetere e mi lascerebbe morire affogato nel mio piscio.