domenica 30 novembre 2008

Comprendere la realtà

"It is difficult to get a man to understand something, when his salary depends upon his not understanding it!"
(Upton Sinclair, via Krugman)

Neve a Milano

Come tutti sanno, a Milano venerdì ha nevicato, sono caduti ben 5 cm di soffice biancore e i bambini hanno anche potuto fare le palle di neve.
L'AMSA, che sono gli spazzini di Milano, ha subito attivato il piano di emergenza:
oltre 130 automezzi spargisale sono stati impiegati; e poi 222 mezzi di piccole dimensioni per lo spargimento del sale in alcuni punti mirati e sui marciapiedi esclusi dall’ordinanza comunale del 10/11/1997; e poi 224 operatori per attività di spargimento dei fondenti salini nei punti mirati e sui marciapiedi esclusi dall’ordinanza; e poi 800 addetti per le attività di salatura manuale a supporto degli automezzi di ridotte dimensioni (che poi questi sarebbero i buoni vecchi spalatori).
Intendiamoci, non è che me li inventi, questi dati: l'assessore Cadeo l'ha fatto scrivere su tutti i giornali e li si trova anche qui, dove pure si dice che tutto lo scherzo è costato due milioni di euri, che sarebbero quattro miliardi del vecchio conio; sembra tantino, ma del Resto Milan l'è un grand Milan, no?

Boh, facciamoci due conticini.
Possiamo pensare che un mezzo spargisale possa costare per un giorno 1500 euri? e che uno di quelli più piccini venga via per 800 euri al giorno? E per gli operatori, possiamo supporre che l'AMSA paghi 150 euri al giorno gli operatori dei mezzi (grandi o piccini) e 100 euri gli spalatori?
Vi sembra esagerato, di questi tempi, pagare 100 euri uno spalatore? Anche a me, però, mi voglio rovinare: raddoppiamo tutto.
- spargisale: 3000 euri;
- portasale: 1600 euri;
- operatori: 300 euri;
- spalatori: 200 euri (minchia! il doppio di un funzionario di banca!!).
Converrete con me che non si tratta di salari da fame: i sindacati potranno essere contenti; e anche i noleggiatori degli automezzi avranno il loro bravo guadagno, no?
Bene, sapete quanto fa il totale? Un milione. Un milione e cinquantamila euri, più o meno. Manca ancora all'appello un milioncino: dove sarà andato?

Credo proprio che quando nevica non facciano festa solamente i bambini: ci sono sicuramente dei grandi che sorridono molto di più.

Il senso della Misura

C'è un signore, del PD, che ha scritto un lunghissimo e circonvoluto pizzone propugnando le proprie idee sulla collocazione del Partito Democratico.
Che sono, nell'ordine:
A) esportare il Partito Democratico di qua e di là dell'Atlantico;
B) esportarlo almeno in Europa;
C) tirare a sorte; con l'avvertenza che così si perderebbero voti.

La cosa veramente grave è che questo Vernetti non è mica uno di Zelig o Colorado Café: è stato in Parlamento, e anche al Governo. E ci crede, in quello che scrive.

venerdì 28 novembre 2008

BikeMi

(questo post è stato scritto prima di provare il servizio: trovate la mia recensione qui)
Domenica scorsa, in un impeto di incosciente decisionismo, ho spremuto la mia carta di credito e tirato fuori 25 euri per l'abbonamento a BikeMi, il nuovo servizio di scambio bici del Comune di Milano.
Ammettendo che mi mandino a casa la tessera (ancora non si è visto nulla: il sito dice che ci vogliono 15 giorni e francamente non ne riesco ad immaginare il motivo), probabilmente la userò pochissimo. Io infatti sono praticamente sempre in giro con la mia Doniselli (anche oggi, per inciso, anche se credo che la lascerò qui vista la neve), con cui vado al lavoro, faccio la spesa, accompagno il pupo a scuola e vado a trovare la fidanzata.
Ho però pensato che in fondo 25 euri sono praticamente una sessione di aperitivo, e alla fin fine può sempre capitare che un giorno mi si possa presentare la necessità; metti che una mattina dovesse piovere; o metti che debba andare velocemente da qualche parte con un amico: ecco pronta la seconda bici. Ovviamente il regolamento vieta severissimamente di cedere la bici e/o la tessera a terzi, ma nulla può impedirmi di dare all'amico la mia bici, o di immaginare di averlo fatto.

Non nascondo che questo passo rappresenta per me un'inusuale sospensione del consueto cinismo e, di contro, una sbalorditiva concessione di fiducia nel genere umano.
Razionalmente sono convinto che entro un paio di mesi le biciclette in discorso avranno le gomme tagliate da deficienti in giro dopo cena; e quelle che non saranno tagliate risulteranno a terra perché nessuno le gonfierà. Gli stalli automatici si bloccheranno causa morsa del gelo e/o usura dei meccanismi e nessuno si occuperà della riparazione di bici e stalli in quanto antieconomica. Insomma: andrà tutto in vacca.

E andrà in vacca per un semplice motivo: un'iniziativa di questo tipo dovrebbe essere finanziata dalla fiscalità generale in quanto può servire a ridurre discretamente il traffico e conseguentemente l'inquinamento acustico e atmosferico: dovrebbe essere quindi un servizio erogato in perdita a fronte dei vantaggi generali che fornisce. Ma la nostra è forse l'unica grande città in cui l'azienda di trasporto pubblico riesce a chiudere il bilancio in attivo, come fosse una venditrice di saponette, salvo poi offrire un servizio risibilmente scadente.

Io ho una soglia di tolleranza molto molto bassa, e quindi pur abitando sopra una stazione del metrò e lavorando sopra un'altra stazione del metrò, soffro comunque le pene d'inferno ogni volta che per pioggia sono costretto a prendere quel mezzo (che di tutti è certo il più pratico e veloce). Ma solo un pazzo -o un masochista- può pensare di andare al cinema una sera con i mezzi pubblici intervallati tra di loro a ritmo di 20 o 30 minuti.
Senza contare gli innumerevoli guasti, o addirittura i deragliamenti, che solo una miope propaganda può pensare di attribuire sempre e solo all'errore umano anziché alla mancanza di adeguata manutenzione.

Tutto questo per dire che, se è vero, come è vero, che l'ATM a Milano offre un servizio cinobalanico, a maggior ragione allo scambio di biciclette saranno dedicate ancor meno risorse, non foss'altro per l'aura radical-chic che lo connota.
Spero ardentemente di sbagliarmi, ma diamoci appuntamento a febbraio per fare un punto della situazione e vedere se ho torto marcio o, come spesso mi accade, ci ho visto giusto.

giovedì 27 novembre 2008

Il ponte sullo Stretto

Leggo qui, non senza un certo stupore, che si torna a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina.

Io sono totalmente d'accordo con Krugman che in un articolo sì e uno pure del suo blog spiega perché la crisi possa essere superata solo con un massiccio piano di investimenti pubblici; ma non è certo questo il caso del ponte.

I soldi vanno spesi, ma per opere utili, e quella del ponte sappiamo bene (sia per senso comune, sia per averlo appreso da Report) che è una cagata pazzesca all'insegna del clientelarismo più bieco.
Poi va considerato che, ancor prima della spesa per investimenti, è necessario invertire la tendenza al risparmio sulla spesa corrente, incrementando in tal modo i redditi. In altre parole: prima di dare soldi all'Impregilo per fare i piloni del ponte, sarebbe il caso di non tagliare gli stipendi ai dipendenti pubblici e non togliere il lavoro a un esercito di precari della scuola.
Un ulteriore passo sarebbe quello di investire in entità capaci di creare ricchezza per il futuro; e nel mondo di oggi questo vuol dire, prima di ogni altra cosa, conoscenza e ricerca: proprio quanto viene invece penalizzato.
Infine, una volta salvaguardati i salari e investito nella ricerca, può essere il caso di spendere per opere pubbliche, le quali tuttavia dovrebbero seguire un criterio di utilità generale. Investire nel Ponte o nella BreBeMi è parimenti sbagliato: corretto sarebbe investire in una serie di interventi che possano valorizzare un po' tutto il territorio nazionale (che dire ad esempio della ristrutturazione degli edifici scolastici?): ciò in quanto un deficit spending localizzato in una sola area geografica non può che creare una bolla localizzata, e non un ciclo virtuoso di stimolo alla ripresa.

In conclusione: non so se decideranno di farlo, il Ponte. Però nel caso sarebbe da fare le barricate in piazza.

lunedì 24 novembre 2008

La mia religione

Forse non tutti sanno che io sono seguace di una antica religione, molto praticata nei paesi più civili del nostro e che persone illuminate stanno riuscendo, con discreto successo, a importare anche qui in Italia.
Questa religione si chiama... vabbé, ve lo dico dopo: l'importante ora è che capiate che questo culto consente di affrontare sincreticamente le problematiche dell'uomo-individuo e dell'uomo-sociale, contemperando le tendenze centrifughe e centripete degli attori politici, sociali ed economici per giungere alla realizzazione di un modello di società nel quale si possano realizzare le proprie istanze tese al raggiungimento della felicità in un quadro di solidarietà co-opetitiva tra le classi sociali agiate e quelle meno fortunate.

La mia è una religione assai moderna, in quanto i nostri capi spirituali non ci impongono di comportarci in uno o nell'altro modo, ma ci lasciano scegliere autonomamente. E questa, signori miei, è Democrazia!!!
Io attualmente ho questa pulsione, che voglio farmi una fidanzata. E difatti la mia guida spirituale non me ne ha imposta una: me ne ha presentate due tra le quali posso scegliere liberamente: si chiamano Sonia e Marta.

Marta è una donna molto bella ed assai benestante, che maschera la sua timidezza dietro uno sguardo d'acciaio e modi da kapo nazista. Sonia è una ragazza rubensiana molto tranquillizzante e pacata, e si capisce subito che a letto dev'essere un peperino. Adesso io, che come detto sono padrone di me stesso, debbo decidere con chi uscire: una serata tranquilla, che preveda un aperitivo, uno spettacolo, cena tardi e poi -se fortunato- due salti a letto.
Vediamo in dettaglio il programma.

Se esco con Marta, aperitivo al Mujio Café: un Mai Tai per me e un White Lady per lei; poi io ci ribatto sopra con un Manhattan. Se invece esco con Sonia, meno mondana, posso bere una birra al Pogue Mahone's: una Guinness; poi mi verrà voglia di un sidro ma dirò di no.
Per quando riguarda lo spettacolo, con Marta vedrei "Manca solo la Domenica", al Teatro Studio; mentre con Sonia dovrei andare a vedere "La fidanzata di Papà", alla Bicocca, spettacolo delle 20:20. Ad essere sincero non mi piace né il film né il cinema né l'orario, ma tant'è: quello è il programma.
Per la cena con Sonia (ce ne sarà bisogno, dopo quel filmaccio!) andremmo al San Cristoforo da Nicola Cavallaro, che è anche amico della piccola cuoca. Non so come mai la mia guida spirituale abbia scelto proprio lì: certo mi fa molto piacere perché lo desideravo proprio, di provarlo. Se uscissi con Marta invece dobbiamo andare al Tara in via Cirillo, indiano di discreto livello.
Alla fine, come dicevamo, due salti a letto. Prima dicevo "se sono fortunato" per motivi di timidezza, dato che anche loro due sono seguaci dello stesso santone e quindi la cosa è già decisa. Però Marta mi fa anche i XXXXXXXXX mentre Sonia mi concede il XXXXX.

La mattina poi farò colazione: se resto da Marta uova con bacon e caffé, mentre da Sonia brioches e té.
Io su questa roba mi sono francamente incazzato, con la guida spirituale. Ma come, dico: io -che sono padrone di me stesso- scelgo Marta, un po' perché mi piace e un po', lo ammetto, perché piuttosto che andare a vedere Boldi me lo taglio, e nonostante da Cavallaro ci sarei andato volentieri; però, cavolaccio, le uova con il bacon la mattina non ce la faccio proprio. A me piacciono le brioches; ma con il caffé: e quindi se scegliessi Sonia dovrei sorbirmi Boldi e il té. Ma non è proprio possibile fare un'eccezione?

Mi sono beccato un cazziatone! E la frammentazione delle scelte, e l'efficientamento delle procedure decisionali, e il potere di veto dei piccoli fedeli, che se ciascuno potesse scegliere volta per volta quel che più gli aggrada non si riuscirebbe neppure a ordinare un caffé. "Ma sei mai andato al ristorante in 30 persone?" -mi dice- "non hai capito che qualcuno deve decidere per te cosa puoi decidere, altrimenti vincono i particolarismi?". "Senza contare", mi dice, "che la nostra religione propugna l'ideologia dell'alternanza" (il che io ho inteso come una implicita autorizzazione a farmi anche Sonia, quando mi fossi stancato di Marta; o anche prima di stancarmene).
Io -che per natura sono fedele- gli rispondo che vabbé, la frammentazione eccessiva sarà anche male, e i particolarismi il diavolo; ma dover scegliere solo tra due possibili fidanzate, e oltretutto con il programma bloccato, che non posso sgarrare da quel che lui ha deciso per me, mi sta un po' stretto: e lui giù, con altri improperi contro i particolarismi, i prefissi telefonici e citazioni dotte di Panebianco e Galli Della Loggia, che dev'esser gente che di donne se ne intende proprio!

Insomma, alla fine quasi mi sono deciso, e pazienza se mi toccherà mangiare le uova.
W il bipartitismo!

Una petizione per Barack Obama

Grande impegno lavorativo e rottura del portatile casalingo mi impediscono di scrivere i consueti pizzoni.
Comunque l'intervista a Latorre su Repubblica mi ha originato lo spunto per avviare una petizione.

Destinatario: Barack Obama, 1600 Pennsylvania Ave., Washington, DC
Testo: Caro Barack (possiamo chiamarti così? in fondo anche il tuo predecessore chiamava Mr. Hussein con il nome di battesimo, quindi...), abbiamo letto sulla stampa nostrale che ti piacerebbe chiudere quella fogna a cielo aperto messa su dal tuo predecessore nella base di Guantanamo, a Cuba.
Ideologicamente riteniamo che non sarebbe una cattiva idea, ma un po' di sano pragmatismo ci spinge a pregarti di non farlo.
Guarda, se vuoi liberare quei poveretti che sono lì senza processo da anni e anni, fai pure, ci mancherebbe. Però qui da noi abbiamo due bulletti che da almeno quindici anni ci stanno spaccando i coglioni a forza di farsi i dispetti l'uno con l'altro.
Noi non è che siamo proprio tutti secchioni, ma qui finché ci son quei due in classe non si riesce nemmeno a compilare la scheda per la refezione, e cominciamo ad avere appetito. Guarda, se te li pigliassi e li mandassi laggiù in vacanza forzata ci faresti proprio un favore.
Uno lo conosci già perché è più americano di te, e poi c'ha anche un bell'appartamento a New York con il quale potrebbe pagarsi le spese del vitto. L'altro faceva il ministro degli esteri fino a qualche mese fa: niente niente che tu e la Clinton già l'abbiate incontrato a qualche cena: vi sarà rimasto impresso!
Vabbé, almeno pensaci, che se ce li prendi poi magari anche qui riusciamo a cambiare qualcosa, chissà.
Con affetto (seguono firme)

venerdì 21 novembre 2008

Pareri personali

Visto quel che è accaduto con la vicenda del senatore Villari posso esprimere i seguenti pareri:

Il senatore Villari è un meschino e opportunista voltagabbana;
io sono un povero sprovveduto per aver creduto che potesse non esserlo;
e sono un perfetto cretino per aver perseverato in tale convinzione pur avendo appreso esser lui allievo di Mastella.

A mo' di gogna, lascio intonsi i miei precedenti post, talché ciascuno possa giudicarne la candida ingenuità. Seguirà foto con resti combusti.

mercoledì 19 novembre 2008

Post-epilogo

Io me ne sto andando a Berlino. E' chiaro che se quando torno Villari anziché dimettersi si fosse avvitato alla poltrona, dovrei fare il giro delle pizzerie della zona, raccogliere un paio di quintalate di cenere e farmi la doccia.
Così, giusto per onestà intellettuale.

Facebook


Quando leggo un articolo della spampa mainstream su Facebook, tipo questo, non riesco mai a capire se sono io che vivo sulla luna non rendendomi conto di quel che mi succede intorno, o sono i giornalisti che fumano roba molto, ma MOLTO buona.

martedì 18 novembre 2008

Epilogo

Con la sua impuntatura Villari ha costretto il suo partito ad abbandonare definitivamente l'orrendo Orlando e fare il nome di un competente galantuomo quale Sergio Zavoli alla presidenza della Commissione di Vigilanza.

A questo punto Villari dovrà dimettersi, e vedremo se lo farà. Ma se lo farà, credo che tutti noi, e il suo partito in primis, dovremmo fargli un piccolo monumentino.

PS: Sì: lo so che ha l'età di Matusalemme. Ma meglio Matusalemme che Orlando, io la vedo così.

Dolo eventuale

Il dolo eventuale è una bestia che fino a poco tempo fa era conosciuta solo dagli avvocati penalisti e dagli studenti freschi di laurea di giurisprudenza.
Si tratta di quel particolare tipo di volontà in relazione alla quale l'agente che tiene una certa condotta non ha di mira la realizzazione di un certo fatto (come ad esempio la morte per chi spara a qualcuno per ucciderlo), né se la rappresenta come sicuramente connessa alla realizzazione del proprio obiettivo (è il caso di chi spari a un poliziotto per sfuggire alla cattura), bensì se la rappresenta come possibile risultato della propria condotta.
Secondo la Cassazione penale (prendo un paio a caso delle tante sentenze in materia)
Nel nostro sistema penale, la linea di demarcazione che separa il dolo (eventuale o alternativo) dalla colpa con previsione va ricercata nell'accettazione del rischio; per cui risponderà a titolo di dolo l'agente che, pur non volendo l'evento, accetta il rischio che esso si verifichi come risultato della sua condotta, comportandosi anche a costo di determinarlo; risponderà, invece, a titolo di colpa aggravata l'agente che, pur rappresentandosi l'evento come possibile risultato della sua condotta, agisce nella ragionevole speranza che esso non si verifichi.
La disciplina del dolo eventuale non si sottrae a quella del dolo dettata dall'art. 43 cod. pen., per cui se ne può affermare la sussistenza solo quando l'evento sia stato non solo previsto ma voluto, cioè quando lo stesso sia stato rappresentato dal soggetto, come una conseguenza probabile o, solo possibile, in modo apprezzabile, della sua azione, purché egli non abbia agito nel ragionevole convincimento, o almeno, nella speranza di una sua mancata realizzazione.

Le dispute scolastiche sul sesso degli angeli giungevano a conclusioni molto più chiare e universalmente condivisibili: è chiaro che con queste formulazioni si può affermare tutto e il contrario di tutto.
Neppure il concetto di accettazione del rischio è unanime, dato che la dottrina preferisce il concetto di accettazione dell'evento: si ha cioè dolo se l'agente accetta non solo il rischio connesso alla sua condotta, ma anche l'evento dannoso o, in altre parole, viene riconosciuto il dolo se l'evento è previsto come "concretamente possibile" e la colpa se "la verificabilità dell'evento rimane un'ipotesi astratta".

Chiaro, no? Bene.
Il dolo eventuale è venuto in grande auge nei mesi passati, quando si è affermato, da parte di ambienti governativi e con grande battage di stampa, che chi si mette alla guida avendo bevuto va incriminato per omicidio volontario perché accetta l'ipotesi di poter ammazzare qualcuno. Cosa che a ben vedere vale anche per chi si mette alla guida senza aver bevuto, dato che è fatto di comune esperienza che gli incidenti stradali mortali esistano; ma è la stampa, bellezza, e certe sottigliezze non vanno troppo approfondite, ché ai lettori viene il mal di testa.

Ieri il GUP di Torino ha rinviato a giudizio l'AD di Tyssen per omicidio volontario, adducendo il fatto che egli avesse accettato consapevolmente il rischio di un incidente mortale. Io non voglio qui esprimere il mio accordo o disaccordo con tale decisione: ognuno può ragionare e trarre le proprie personali conclusioni, salvo che sarà poi la Corte d'Assise a giudicare: credo però che dal punto di vista dell'elemento psicologico, la situazione dell'AD di Tyssen sia più grave di quella dell'ubriaco: questo non toglie che potrei essere d'accordo a riconoscere il dolo per entrambi o per nessuno, ma mi sembrerebbe molto sbagliato riconoscerlo per l'ubriaco e non per l'AD.

Il Corriere della Sera, già pronto a cavalcare la tigre della tolleranza zero contro i pirati della strada, sembra invece rinfoderare gli artigli quando si tratta di manager: e difatti oggi sul suo sito, accanto al lancio della notizia, ci sono ben due commenti che lasciano intendere che i giudici hanno esagerato e che poi le cose si metteranno a posto come è giusto che sia.
Due pesi e due misure si chiamano, a casa mia.

Esercizi di divinazione

Walter Veltroni è candidamente ingenuo: uno che crede che alla fine arrivino sempre i buoni, che di Pietro sia un alleato leale e che con Berlusconi si possa dialogare.
Mentre i buoni arrivano solo nei film, di Pietro è troppo piccolo per potersi permettere la lealtà e degli imbonitori si fidano solo gli allocchi alle fiere di paese.

La vicenda del Presidente della Commissione di Vigilanza va molto al di là dell'esibizione muscolare e anche del controllo sul sistema radiotelevisivo (sistema di importanza fondamentale, ma sul quale il presidente incide men che una singola famiglia Auditel).
Oggi si riunirà la corte marziale il direttivo dei senatori PD per decidere che fare con Villari. La mia previsione è che tutto finirà con un rabbuffetto formale, senza alcuna conseguenza sostanziale.
Non è credibile che non venga preso alcun provvedimento, dato che Veltroni e non solo lui si sono troppo esposti per fare macchina indietro a tutta forza e fermare la nave che va a schiantarsi; ma non è neppure credibile che venga pronunciata una sanzione grave o addirittura l'espulsione, che darebbe il via a una reazione a catena non gestibile da un gruppo dirigente la cui debolezza è pari solo all'arroganza dei toni.

Il fatto è che Veltroni è caduto in un bel trappolone: e il trappolone glielo ha teso non Di Pietro, vittima anche lui della sua sincerità contadina, bensì l'avversario di sempre, quello che ha fondato la televisione alternativa; quello che ha mandato avanti il capo rimanendo sempre un passo indietro perché i nemici impallinassero l'altro (il capo) e risparmiassero lui (il baffo).
Quello che ha ispirato il fido scagnozzo a mettere in bocca a Bocchino (nomina sunt consequentia rerum) il minuetto di Pecorella alla Consulta. D'Alema, insomma.

La cosa veramente tragica è trovarsi oggi a considerare quanto siamo stati fortunati a che Berlusconi abbia vinto le elezioni. Pensate un attimo a cosa sarebbe successo se ci fossimo ritrovati per Presidente del Consiglio uno così ingenuo da farselo mettere in quel posto dal compagno di partito; e con la sabbia.
Cosa avrebbe fatto in piena crisi economica l'uomo che è riuscito a indire una manifestazione a distanza di quattro mesi con la scusa di raccogliere le firme per la petizione, e poi non ha nemmeno detto quante firme alla fine sia riuscito a raccogliere?

Berlusconi e il berlusconismo sono un male per questo paese; ma comincio a credere che tutto sommato siano stati il male minore, vista l'alternativa.

lunedì 17 novembre 2008

Aguzzate la vista

In questi giorni due istituzioni hanno assunto atteggiamenti contrari al senso comune del Paese.
Uno, ne abbiamo parlato a dismisura, è il Partito democratico, che dopo aver predicato la flessibilità di tutto e di tutti (i lavoratori; le coppie omosessuali; i vicentini; gli anti-TAV; i soggetti in coma profondo) si è impuntato su una sola cosa: Leoluca Orlando.
L'altro è la Chiesa, che come tutti sanno continua pervicacemente a insistere sulla vicenda di Eluana Englaro.

So che rischio di essere troppo accecato dall'ideologia o dal fatto di essere affezionato lettore di alcuni blog di sinistra, ma credo di non andare lontano dal vero se affermo che:
  • la stragrande maggioranza degli italiani, e la maggioranza degli stessi cattolici ritiene che ilpadre di Eluana Englaro debba essere lasciato libero di agire come ha stabilito la magistratura;

  • la stragrande maggioranza degli italiani, e la maggioranza degli elettori PD ritiene che Villari alla vigilanza RAI sia l'ultimo degli ultimi problemi che il PD dovrebbe preoccuparsi di affrontare.

  • L'accanimento con cui questi soggetti insistono in rivendicazioni antistoriche rischia loro di far perdere numerosi consensi, ma occhio alle differenze!

    Volutamente ho usato il vago termine "Chiesa": sembra infatti che, mentre la CEI (che sarebbe l'organizzazione dei vescovi italiani) continui a battere sul tema, la Chiesa Cattolica (il Vaticano, quindi, che è tutt'altro) abbia di molto allentato la tensione, prendendo anzi posizioni contrarie all'accanimento terapeutico, salvo poi sottolineare come alimentazione e idratazione non possano essere intese come accanimento. L'insieme dell'organizzazione ecclesiale riesce quindi a mostrare sia il lato bigottamente irrazionale ad uso degli ambienti più ciecamente radicali di appoggio alla vita quale che sia (tramite CEI e altri movimenti spontanei dal basso), sia il lato più razionale, tollerante e dialogante, tramite la Curia romana.
    Non è un caso che sull'Avvenire, il giornale distribuito nelle parrocchie e diretto in via praticamente esclusiva ai cattolici praticanti, compaiano oggi articoli che descrivono l'atroce sofferenza di chi muore di fame e sete; mentre sull'Osservatore Romano, organo ufficiale del Vaticano diretto sia ai cattolici che agli acattolici, i toni siano di molto più misurati e distaccati.

    Ben diverso l'atteggiamento del PD, la cui principale preoccupazione in queste ore sembra quella di dare lezioni pratiche di centralismo democratico; il che per chi afferma di non esser mai stato comunista come Veltroni, e per chi non lo è sicuramente mai stato come la Bindi, è certo un bel risultato.

    Questi diversi atteggiamenti forse possono anche farci apprezzare ulteriormente la capacità srategica della Chiesa cattolica, che pur con duemila anni di storia riesce sempre a rinnovarsi e -di fatto- esercitare il proprio potere, almeno su questa nostra sventurata penisola, grazie alla sua capacità di intercettare lo spirito del tempo e presentare a ciascuno il volto a lui più gradito.
    Il Partito democratico... beh, è il Partito democratico.

    La Chiesa è il nostro passato, e non pretende di essere il nostro futuro anche se, con tutta probabilità lo sarà.
    Il PD è appena nato, e vuole diventare il nostro futuro: esattamente come il Terzo Reich, che era destinato a durare mille anni.

    Essere d'accordo con Gasparri /2

    Eh, sì: il titolo di questo post ha quell'esponente /2 (o come diavolo vogliate chiamarlo). Ciò dimostra che non è la prima volta che mi trovo in questa sgradevole situazione, di condividere il mio pensiero con uno dei peggiori esponenti di uno dei peggiori schieramenti politici dell'Italia repubblicana.
    Tenere un blog, tuttavia, porta una serie di vantaggi: primo fra tutti quello che il tuo pensiero può essere pubblicato e rimane lì, con tanto di data e ora, alla disposizione di chiunque voglia consultarlo (salva ovviamente l'onestà intellettuale di non andare a modificare gli articoli a posteriori).

    E' per questo che non ho nessun problema a dire che condivido anche le singole parole di Gasparri, il quale afferma che
    Veltroni è arrogante, stupido e incapace
    .
    Arrogante, perché ritiene che alle primarie la gente del piddì non abbia eletto un segratario di partito (perdipiù in un'elezione degna dei fasti della Bulgaria d'antan), bensì investito vita natural durante un monarca assoluto.
    Stupido per aver trascinato il suo partito e la speranza di metà degli italiani nel baratro paludoso di piccole lotte intestine, ripicche sterili e impuntature di principio, salvo poi evanescere come nebbia al sole quando si è trattato di affrontare questioni di principio vere.
    Incapace perché il segretario del maggior partito di opposizione deve avere una scaltrezza e un acume politico finissimo per non cadere a ogni piè sospinto nelle trappole che gli vengono tese, mentre Veltroni dimostra di avere la scaltrezza e l'esperienza di un project manager neolaureato messo lì a gestire un progetto di fusione tra banche rivali: per farlo fallire.

    venerdì 14 novembre 2008

    Dimissioni


    Leggo e rileggo che Veltroni avrebbe invitato o intimato Villari a dimettersi dalla carica di presidente della Commissione di Vigilanza, e che Villari stia facendo melina attendendo di parlare con Napolitano, Schifani e Fini.
    Napolitano ha mandato a dire che non c'entra, Schifani che è all'estero, rimane Fini che è buono per tutte le stagioni.

    Si è scomodato spesso e a sproposito Flaiano, ma direi che è proprio il momento di dire che la situazione è grave ma non seria.
    Se rimanesse un briciolo di dignità ai due attori, di sicuro nelle prossime ore dovrebbe essere presentata almeno una lettera di dimissioni: quella di Villari da Presidente della Commissione di Vigilanza.

    O quella di Veltroni da segretario del PD. E sarebbe meglio la seconda che ho detto.

    Certo che se piovesse...

    Se piovesse mi incazzerei, dato che -come ogni giorno, peraltro, se non piove- sono in bici.
    E il venerdì per ovvi motivi mi rompe massimamente lasciare la bici nella cantina della banca, dato che poi tutto il week-end resterei senza.

    Ciononostante, dopo aver letto l'accorato appello di BeppeGrillo(tm) in coda a questo post mi viene una gran voglia di pioggia e tirar di vento.

    GrilloBeppe(TM): perché vieni a Milano? Devi fare una commissione? Devi registrare una trasmissione televisiva? Devi fare una visita medica? Hai insomma un qualche diavolo di motivo per venir qui e dovendo circolare in città ti fai prestare una bici da un amico? Benissimo; non che ci fosse bisogno di renderlo pubblico, ma ti capisco perché un blog è un blog, e se io ho raccontato che sono uscito una sera con una gnocca tu puoi anche raccontare che vai in giro in bici a fare la spesa.

    Oppure vieni a Milano per insegnarci qualcosa perché tu sei il santone che sa tutto quel che ci vuole per sopravvivvere alla nostra società e noi milanesi siamo i poveri tapini capaci solo di pensare a SUV e coca?

    Io ho proprio l'impressione che quella giusta sia la seconda che ho detto, e che la tua intenzione sia di venir qui a far due pedalate in centro per far vedere quanto sei bravo bello buono e quanto abbiamo da imparare da te. E ti mando un cordiale vaffanculo.

    Un paese normale /3


    Un paese normale è un Paese in cui, tra tutte le fotografie che ci sono per istrada, se ne possono trovare anche quelle di donne con le braccia aperte.
    A Milano si vedono foto di donne con le gambe aperte, ma le braccia aperte sono proibite.

    mercoledì 12 novembre 2008

    Vigilanza disarmata

    questo post è iniziato calmo, poi mi sono scaldato nello scrivere

    Secondo Repubblica la maggioranza della Commissione di Vigilanza si prepara a votare un proprio presidente qualora la minoranza insista a proporre Leoluca Orlando quale unico candidato.
    Io sono completamente d'accordo con la maggioranza.

    Dal punto di vista tecnico-giuridico l'elezione di un presidente espresso dalla minoranza non è un diritto: è una prassi, un accordo tra gentiluomini, una intesa cordiale.
    Che prevede che nelle commissioni cd. "di controllo" la maggioranza faccia confluire i voti su un esponente designato dalla minoranza. Ma ciò non vuol dire che gli uni abbiano un obbligo e gli altri un diritto: vuol dire che ci si deve mettere d'accordo su un soggetto designato, non imposto.

    Gli esponenti del PdL, ai quali sia chiaro non va la benché minima mia simpatia, avrebbero torto marcio se (a) avessero sistematicamente rifiutato qualunque candidato designato da PD+IdV o (b) avessero respinto la candidatura di una personalità che, per chiara e indiscussa competenza nella materia radiotelevisiva, fosse evidentemente risultata essere uno dei migliori esponenti della minoranza a tale carica.

    Leoluca Orlando non ha alcuna competenza di alcun tipo al riguardo: diverso sarebbe stato se si fosse trattato della Commissione Antimafia, dove la questione sarebbe stata perlomeno da discutere approfonditamente; ma alla vigilanza RAI Orlando non ha nessun titolo da far valere più di qualunque altro componente della minoranza, per cui è giusto che venga mandato a fondo, visto che non ha avuto il buon senso di ritirarsi di sua sponte. E se la minoranza (PD+IdV) insisterà malgrado tutto sul suo nome, si meriterà di affondare definitivamente in questa trista vicenda.

    Ma così, si può dire, vince l'arroganza e il ricatto del PdL. No, non è assolutamente vero: e lo spiego.
    Chi abbia conservato un benché minimo senso dello Stato ha ben chiaro che il Presidente di un organo parlamentare deve essere presidente di tutti. Ben diverso è un ruolo esecutivo, dove si è di parte in quanto espressione di una maggioranza. Il Parlamento è espressione di maggioranza e minoranza, e i suoi vertici devono quindi essere imparziali.
    Mi ripeto: Fini deve essere imparziale. Schifani deve essere imparziale. Napolitano (che rappresenta lo Stato) DEVE essere imparziale. Berlusconi non deve essere imparziale.

    Essere imparziale non vuol dire solo comportarsi in modo equilibrato nello svolgimento del proprio mandato: vuol dire anche godere della fiducia dell'una e dell'altra parte: anche quando si viene eletti.
    Sbaglia la maggioranza che impone un nominativo sgradito alla minoranza, in quanto avrebbe il dovere di cercare un compromesso; ma almeno se lo può permettere. Però la minoranza che cerca di imporre un nominativo alla maggioranza adotta un comportamento semplicemente ridicolo. Fai il bullo, fai il muscolare e non hai i muscoli? Allora sei scemo.

    E' il bello del maggioritario: uno schieramento da una parte, uno dall'altra. Uno ha più voti, uno ne ha di meno.
    Veltroni (e Di Pietro, ovviamente) se lo sono voluto. Hanno detto che piaceva loro correr da soli? Hanno cantato le lodi del bipartitismo quando hanno perso le elezioni? Hanno portato in Parlamento molti più deputati rispetto al loro quoziente elettorale per effetto dell'espulsione della sinistra dal Parlamento?
    E allora adesso vadano a quel paese, loro e i loro paladini da operetta dei pupi.

    C'è crisi, c'è grande crisi

    Quando gli avvocati dei grandi studi legali ti richiamano ogni giorno per rammentarti che sono *molto* interessati al lavoretto che gli stai proponendo e che un tempo avrebbero girato sul collaboratore neolaureato, vuol dire che le cose non si stanno mettendo troppo bene.

    Rivoluzione copernicana

    Warning: this post is rather geeky: it could be for you just a senseless yada yada

    Mi capita di consumarmi nel ricordo dei tempi in cui gli uomini erano veri uomini e sapevano quotare come si deve. Poi i sysadmin hanno cominciato a chiudere la porta 119 e gli utenti hanno iniziato a sentire il bisogno del botta e risposta in tempo reale; e così tutto (quasi tutto) è finito.
    Questa riflessione non mi viene tanto da un thread per vecchi babbioni miei coetanei, quanto da una constatazione che mi è apparsa improvvisamente chiara un paio di giorni fa.

    Ho ormai sistematicamente rinunciato a quotare sotto i messaggi di posta perché ho il timore che la maggior parte dei miei destinatari non si renda conto che ho fornito una risposta. E' chiaro che è un circolo vizioso, dacché così contribuisco a far venir meno una sana abitudine, ma tant'è, non mi posso permettere di rischiare di non essere letto: requiescat in pacem.

    Qualcosa però mi è rimasto attaccato e non credo che si perderà mai.
    Anzitutto, l'abitudine di pensare a quello che c'è sotto ciò che scrivo. Non è raro che scorrendo i messaggi che ricevo, che arrivano a contenere un 20-30 replay, a un certo punto si trovino commenti, apprezzamenti o vere e proprie notizie che chiaramente non sarei dovuto venire a conoscere: e questo in situazioni conflittuali mi dà un grande vantaggio competitivo.

    Poi l'abitudine di pensare a come verrà letto e interpretato il messaggio da parte del destinatario: è straordinario notare come anche persone che per mestiere scrivono lettere, e pertanto sono abituate ad interpretarne il senso esplicito e le possibili interpretazioni capziose, di fronte alla e-mail abdichino del tutto a questo senso critico e buttino giù la prima cosa che salta loro in mente. Credo che molto sia dovuto alla sostanziale differenza che passa tra cliccare un bottone virtuale sullo schermo e firmare un foglio di carta. E credo che Giovanni Greco, Pirotti e i loro eponimi siano stati un formidabile vaccino contro questa tendenza.

    Infine, credo anche che mi sia rimasto un insano fondo di cinismo, per aver potuto toccare con mano quanta stupidità ci possa essere, lì fuori, e quanto sia impossibile ritenere di aver toccato il fondo perché c'è sempre qualcun altro pronto a sorprenderti.

    martedì 11 novembre 2008

    Un paese normale /2

    E a proposito di paesi normali, vorrei dire due paroline due sul lodo Alfano, approfittando di riflessioni venute in mente in bici dopo che stamane (non ho capito bene perché) la radio ne parlava.
    In un paese normale una persona di non specchiata virtù di regola non viene premiata dall'elettorato. Una persona di fatto riconosciuta colpevole di reati gravi, come la corruzione in atti giudiziari, sparisce dalla circolazione e non solo non si presenta alle elezioni, ma tiene un profilo il più possibile basso e invisibile (sì, lo so, il condannato è Previti, non Berlusconi, per effetto delle attenuanti generiche; ma la sostanza è la medesima, ne converrete, dato che il pasticcio l'avevano fatto insieme).
    In un paese normale, un politico che crea e disfa leggi a seconda della sua convenienza personale verrebbe rovesciato dal suo scranno a furor di popolo. Nel nostro paese non solo viene rieletto con una marea di consensi, ma addirittura i suoi consensi crescono con il passare del tempo.

    L'ovvia conclusione è che non solo questo non è un paese normale, ma anche che Berlusconi è normale per questo paese.
    E allora, mi chiedo, ha senso scandalizzarsi per il lodo Alfano? Perché, lo dice la Costituzione, mica me lo sono inventato io, la sovranità appartiene al popolo. E il popolo una volta può sbagliare e pentirsene; una seconda volta può ripetere l'errore senza rendersene conto; ma se per la terza volta al governo va un personaggio, diciamo così, chiacchierato, questo vuol dire che il popolo lo vuole veramente, di farsi governare in questo modo.

    A queste osservazioni il giurista duro e puro risponde che quella stessa Costituzione afferma che viviamo in uno stato di diritto, che tutti sono uguali davanti alla legge, che il Pubblico Ministero ha l'obbligo di esercitare l'azione penale. Princìpi, e fondamentali.

    Ma princìpi per contrastare i quali in questi anni abbiamo subito diluvi legislativi che hanno fatto di questo paese una sorta di repubblica delle banane: il principio dell'incompatibilità tra GIP/GUP e la decisione sulle misure cautelari; l'abrogazione dei reati di falso in bilancio; il lodo Schifani; la tremenda Legge Cirielli, che sembra scritta agli albori dell'Illuminismo. Tutto ciò per citare solo alcuni -i più famosi- dei provvedimenti ad personam che hanno imbarbarito il nostro ordinamento giuridico.
    E sullo sfondo la minaccia, incombente da quindici anni ormai, della separazione delle carriere in magistratura e dello svuotamento del ruolo del CSM.

    Ora, mi chiedo: tutto ciò vale veramente la pena? Vale veramente al pena di imbarbarire il nostro corpus legislativo e distruggere le nostre istituzioni per cercare di sentir pronunciare una condanna che con tutta probabilità non sarà mai pronunciata, a carico di una persona che presto o tardi uscirà dalla scena politica a causa dell'età, ma non certo in forza di condanna?

    Certo, riconoscendo una volta per tutte l'immunità del PresConsMin ne faremmo una sorta di sovrano assoluto, un Re Sole sottoposto unicamente al proprio arbitrio e alla propria coscienza; ma forse -e lo dico con un forse, ma lo dico perché questo per l'appunto non è un paese normale - è meglio questa prospettiva che quella di mandare in vacca un paese intero.

    Io -devo averlo già scritto da qualche parte- sono ormai diventato assai cinico, ma credo proprio che tutti i tentativi di giudicarlo, quell'uno solo, si dimostreranno vani, e sarà quindi la Storia a farlo al posto nostro. Forse è meglio quindi lavorare per risolvere i problemi di cinquanta milioni di abitanti, lasciando perdere le responsabilità di uno solo.

    lunedì 10 novembre 2008

    Un paese normale

    A mio modo di vedere (io sono un mite), basta poco per definire "normale" un paese. Ciononostante avverto ormai con una certa frequenza che il mio non si può definire tale: a volte lo evinco anche solo da sciocchezze.
    Mi piacerebbe, ad esempio, vivere in un paese nel quale le due catene televisive di Stato non tentassero di riscattare la quantità di tette, culi e Carlo Conti propinata quotidianamente programmando ogni settimana almeno uno sceneggiato sulla vita di santi, papi o eroi di guerra.

    Segni dei tempi

    Domenica volevo andare alla Triennale a vedere la mostra di Valentina. Prendo la bici, vado al Parco, mi metto in fila per il biglietto... e scopro che la mostra sta alla Bovisa.
    A quel punto avrei potuto anche andare alla Bovisa, ma temevo di essere un po' stretto coi tempi in quanto poi sarei dovuto andare a prendere Nichita che era a casa di un amichetto.
    Mi addentro quindi nel Parco, nel quale comunque vado abbastanza sovente: ma questa volta senza bambini da far divertire, bensì solo per gironzolare senza meta.
    Sarà stata questa diversa disposizione d'animo, sarà stato che è un fenomeno scoppiato solo adesso, sarà stato che già c'era ma finché non è divenuto eclatante non me ne sono accorto (io ho uno spirito di osservazione veramente poco sviluppato): sta di fatto che ad un certo punto mi sono reso conto di come fossero formati i gruppetti sui prati, e di quanti ce ne fossero.

    Era già da qualche tempo che alla domenica il Parco è preso d'assalto da torme di signore di mezza età (e talora anche di tre quarti) dall'inconfondibile accento, e sppesso anche fisionomia, russa o limitrofa. Sono evidentemente le badanti delle quali la città si sta pian pianino riempiendo e di cui non ci rendiamo conto gli altri giorni perché fanno una vita segregata, quasi prigioniere della casa e del vecchietto che accudiscono.
    La domenica evidentemente è il giorno libero e si ritrovano in uno dei pochi posti tutto sommato accogliente della città (per chi non fosse di Milano: quel "tutto sommato" vuol dire che il posto non è accogliente, a ben vedere, ma è il meglio che Milano sa offrire), facendo gruppo e portandosi dietro il pic-nic.
    Sono scene che si vedono ormai un po' dappertutto nella nostre città: è un fatto che mi aveva colpito più a Bergamo, nel piazzale antistante la stazione, anche per il tragico squallore del posto.

    Quello che mi ha colpito ieri è stato invece il notare che questi gruppi non sono più composti solo da signore, ma sono diventati misti, composti in parti non molto dissimili di signore slave e ragazzotti di origine evidentemente maghrebina o giù di lì, e di qualche lustro in meno, in media.
    Lì per lì la cosa mi ha fatto una gran tristezza: la prima impressione è che infatti un maghrebino e una russa c'entrino tra loro come il gelato e il sugo d'arrosto; e quindi osservare questa comunità eterogenea mi aveva dato l'impressione di essere in una specie di laboratorio sociale nel quale un ricercatore sadico avesse deciso di forzare l'acqua e l'olio ad emulsionarsi spontaneamente (e tale impressione era rafforzata dalla disparità di età, che rendeva questi gruppi a prima vista veramente artificiosi).
    Mi dava, insomma, la sensazione di sbirciare da un buco della serratura, e di vedere non esseri umani che disponessero liberamente del loro arbitrio bensì anime costrette forzatamente a convivere per combattere la solitudine di una metropoli a loro straniera ed ostile; e che proprio nel combatterla evidenziavano ancor di più la propria infelicità.

    Poi ci ho ripensato, e mi sono detto che in realtà io stavo vedendo la soluzione, del problema, mentre quando il problema c'era non me ne ero neanche accorto: certo avevo letto e sentito parlare della penosa condizione del migrante; ma sempre in astratto, come oggetto di studio privo della concretezza dell'essere umano in carne ed ossa. E quegli esseri umani adesso erano lì, davanti a me, in allegra compagnia e senza minimamente preoccuparsi di apparire o non apparire tali, presi semplicemente a divertirsi insieme.

    Ci dev'essere una morale, dietro a tutto ciò: io comunque alla fine mi sono rallegrato anche se un fondo di malinconia mi è rimasto: e si vede anche da questo post che è molto più confuso e inconcludente del solito.

    venerdì 7 novembre 2008

    Un'iniezione di ottimismo

    No, non c'entra nulla con il post qui sotto.
    Questo è Krugman:
    The unemployment rate has now risen more than 2 percentage points from its pre-recession low. In 1990-1992 the unemployment rate rose 2.6 percentage points. Given what’s happening to retail sales, manufacturing, and so on, it’s now a certainty that unemployment has a lot further to rise. So the “worst recession in 25 years” thing is now baked in. The only question is whether we hit “worst slump since the Great Depression” territory.

    Notti

    Ieri sera ho fatto veramente tardi.
    Ho finito la serata con una donna molto bella, molto intelligente, molto di successo, e molto poco sicura di sé.
    Da tempo ho rinunciato a capire le donne, ma ancora talvolta riesco a stupirmi: se avessi un decimo della bellezza e del successo della mia compagna di ieri sera camminerei a due spanne dal marciapiede e sarei molto più antipatico e supponente di quanto già non sia.
    Per carità, non è la prima volta che mi accompagno a persone che fanno voltare la gente per strada (con una ci ho anche fatto un figlio), ma ieri sera sono rimasto colpito: mi faceva quasi rabbia (anzi: senza quasi) questo contrasto tra il suo essere e il suo ritenersi. Del resto la rabbia è uno stato d'animo comune tra me e lei: la sola altra volta in cui ci eravamo visti avevamo avuto un furioso e imbarazzante litigio, di fronte a una dozzina di altri commensali.
    Per farla breve: alla fine anziché corteggiarla ho passato la serata a farle un'iniezione di autostima, e non ci sono nemmen riuscito troppo bene. Ma in fondo anche questo è corteggiare, no?

    giovedì 6 novembre 2008

    Piedi per terra

    Io ho molta stima per Luca Sofri (così come per il padre, detto per inciso) e seguo con attenzione il suo blog.
    E' proprio in forza di questa stima che posso tranquillamente affermare che si è lasciato prendere un po' troppo la mano
    La vittoria di Barack Obama è la prima grande gioia storica della generazione dei trentenni. Gli osservatori tradizionali nel circo italiano la possono paragonare a quando videro cadere il muro, a quando gli uomini andarono sulla luna, persino – e non sono pochissimi – a quando finì la guerra mondiale.
    La vittoria di Barack Obama è di quelli che hanno l’età di Barack Obama, e di quelli che ci hanno investito tutte le speranze e gli altruismi che finora non avevano mai avuto l’occasione di usare [...] Obama è uno di loro, e uno dei migliori. Hanno messo piede sulla luna, finalmente. Ed è tutta un’altra luna.

    Io sono vecchio (sono quasi coetaneo di Sofri e di Obama) e cinico, lo so. E credo quando si vola così alto, poi si cade: e ci si fa del male, ma tanto.

    mercoledì 5 novembre 2008

    Io bloggo


    E' vero, lo fanno decine di migliaia di altre persone in Italia e decine di milioni di altre persone nel mondo, non è che sia una cosa così originale.
    Ma in giorni come questi sono contento di farlo. E, no, non c'entra per nulla Obama né ho da dire qualcosa di cattivo su Veltroni.

    L'altro giorno ho buttato giù qualche riga, senza pensarci troppo, sul fatto che Di Pietro stesse raccogliendo firme per il referendum sul lodo Alfano; poi dopo poco Veltroni se n'è uscito con l'ennesima cazzata, quella di raccogliere le firme per un referendum sulla Gelmini. Ho raccolto un paio di commenti e ho deciso di scrivere un paio di approfondimenti.

    Mentre li scrivevo, fedele al motto non ne so abbastanza (e quindi scrivo solo di ciò che so) ho deciso di documentarmi meglio.

    In questi giorni quindi, malgrado siano frenetici dal punto di vista lavorativo, ho raccolto una quantità di materiale e in particolare i resoconti dei lavori dell'Assemblea Costituente (II commissione e plenaria): un centinaio abbondante di pagine che mi andrò a leggere con calma.

    Perchè lo faccio? Non certo per denaro, visto che qui non c'è neanche un AdSense né per la gloria, che non vedo dove sarebbe. Semplicemente, io nasco come storico del diritto: ho fatto una tesi sul Code Pénal francese del 1792 per la quale ho lavorato a lungo con le microfiches degli Archives Parlamentaires da una parte e QuattroPro (chi se lo ricorda?) dall'altra, visto che anche allora avevo il pallino del computer.

    Scrivere di referendum mi ha dato voglia di approfondire; approfondire mi ha fatto stampare i resoconti parlamentari; prendere in mano i resoconti mi ha dato un brividino riportandomi a vent'anni fa, al sottotetto della Statale e alla Bibliotèque Nationale dove entravo tutto tronfio (e chi non ha avuto occasione di entrare alla vecchia Bibliotèque, prima del trasferimento alla TGB, non ha idea di quanto uno potesse sentirsi tronfio dopo essere stato ammesso alla sala di lettura).

    Tutto ciò, ovviamente, non ha niente a che vedere con il blog: e non è neppur detto che ne possa venire fuori un post; ma se non avessi scritto qui non mi sarebbe venuta la voglia di approfondire e non avrei avuto l'occasione per recuperare quell'atmosfera.

    Elezioni

    Due commenti.

    Il primo di Paul Krugman:
    Obama proudly stood up for progressive values and the superiority of progressive policies; John McCain, in return, denounced him as a socialist, a redistributor. And the American people rendered their verdict.

    Now the work begins.

    Il secondo mio:
    L'elezione di Barack Obama è un avvenimento che segna il giro di boa di un'epoca, negli Stati Uniti d'America. Le ricadute che questo evento potrà avere in Europa non solo non sono scontate, ma anzi sono tutt'altro che chiare.
    Certo, ci sarà un forte cambiamento dal punto di vista della politica internazionale e in particolare del quadro strategico militare (leggi Irak e compagnia cantante), e probabilmente una drastica riduzione delle issues relative alla sicurezza con le quali ci hanno martellato i coglioni per sette anni.
    Dal punto di vista economico le prospettive sono positive: nel presupposto che la promessa di chiudere l'avventura irachena possa essere mantenuta, è prevedibile una forte liberazione di risorse per il rilancio dell'economia interna e a ruota dell'economia globale. Come si ricomporranno gli equilibri di forze tra gli attori internazionali è però ancora un mistero.
    Ci sarà anche un forte cambiamento dello spirito del tempo, per dirla hegelianamente; ma a mio modesto parere le previsioni qui si fermano, dato che il modo in cui lo Zeitgeist sarà recepito qui, dall'altra parte dell'Atlantico, mi sfugge completamente (se qualcuno ha la palla di vetro, ben venga).

    Ciononostante, mi faccio prendere lo stesso da un moderato entusiasmo; perché l'idea di un presidente della principale potenza militare mondiale ultrasettantenne e cardiopatico potevo anche sopportarla: ma il suo sostituto era roba da togliere il sonno.

    martedì 4 novembre 2008

    Kebab

    Dopo lunga e sofferta ponderazione, sono giunto alla conclusione che Euro Doner, in via Borsieri, sia superiore a Mekan, in via Troya.
    Resta insuperato Istanbul, in via Vitruvio, per l'offerta di altre specialità (fantastiche!) che i due sopra citati non propongono; ma limitandosi strettamente al kebab direi proprio che Euro Doner merita la prima posizione.
    Giusto per farlo sapere in giro, non mi pagano mica.

    Referenda /3

    Proseguendo a parlare ancora un po' di referendum (avevamo affrontato l'argomento qui e qui) parliamo ora dei motivi un po' più sostanziali per i quali l'istituto referendario è ormai bollito.
    Conviene anzitutto andarsi a leggere la voce su wikipedia che, almeno alla data odierna (vale a dire in questa versione) risulta molto completa e dettagliata. Forse un po' troppo dettagliata, ma stiamo parlando di cose di una certa importanza per la vita democratica, per cui il cittadino interessato all'argomento dovrebe fare lo sforzo di leggersela.

    E' noto che l'istituto referendario non fu mai particolarmente amato dal legislatore, che si guardò bene dal dare attuazione al dettato costituzionale finché non vi fu costretto nel 1970, in occasione della promulgazione della legge sul divorzio. Fu infatti Fanfani che, cercando una mediazione tra la parte più conservatrice e bigotta della DC da una parte, e i partiti di ispirazione laica dall'altre, ideò l'accoppiamento tra referendum e divorzio, lasciando quindi che il parlamento approvasse la legge sul divorzio solo per sottoporla immediatamente dopo a referendum (cfr. ad es. L'Italia repubblicana e la crisi degli anni settanta, rinvenibile anche via Google Books).
    Pur nella frettolosa formulazione della legge 352/1970, istitutiva del referendum, si coglie l'intento del legislatore di ridurre quanto più possibile la portata dell'istituto, attraverso la definizione di tempistiche e modalità di raccolta delle firme bizantine, tali da scoraggiarne l'uso. Basti pensare che il meccanismo è tale che la raccolta delle firme, tenendo conto anche delle ferie agostane in cui ovviamente tale attività risulta difficile, deve iniziare necessariamente entro maggio, per arrivare al voto tra l'aprile e il giugno successivi. Un anno quindi, ma non un anno qualsiasi. Tenendo conto del fatto che le elezioni avvengono quasi sempre in primavera, in pratica vi sono due anni (quello prima della data di scioglimento delle camere e quello di svolgimento delle elezioni) in cui non è possibile depositare quesiti.

    Ma il legislatore del 1970 non è l'unico responsabile del fatto che il referendum in Italia sia quel che è: già il costituente aveva messo dei ben precisi e stringenti limiti all'istituto: anzitutto la natura meramente abrogativa del referendum, e solo in secondo luogo l'esclusione di determinate tipologie di leggi. In effetti a ben vedere le leggi di amnistia e indulto non sono sottoponibili a referendum, dato che il favor rei comporta, detto in termini semplici, l'impossibilità di andare a rimettere in galera chi è già uscito in forza di un provvedimento di clemenza. Quanto ai trattati internazionali, si tratta di un'applicazione del principio pacta sunt servanda per il quale non ci si può tirar indietro dagli impegni presi.
    La protezione dal referendum per le leggi tributarie tradisce -almeno a mio vedere- il retropensiero che il corpo elettorale non abbia la capacità di discernere il bene della nazione, e pertanto che in caso di referendum su una legge tributaria vincerebbe a mani basse il partito del "non mettere le mani in tasca agli italiani". Ma forse è solo un mio pensiero malizioso.
    Conta molto di più il fatto che il referendum possa avere natura meramente abrogativa, impedendo quindi di sottoporre alla volontà popolare progetti di legge compiuti: anche su questo particolare aspetto vi sono delle spiegazioni, che risiedono nell'esistenza dell'istituto della proposta di legge di iniziativa popolare.
    ***
    Mentre stavo scrivendo queste notarelle, ho sentito il bisogno di documentarmi e sono andato a vedermi gli atti della Costituente e in particolare della II sottocommissione, dove il tema del referendum è stato trattato nel corso di tre-quattro sedute. Mi prendo il tempo per leggerli e quindi per ora interrompo qui la disamina, pubblicando comunque il post anche se rimane un po' sospeso nel vuoto.

    domenica 2 novembre 2008

    Referenda /2

    In questi giorni sono stato impegnato con un corso di strategia aziendale, e così non ho potuto commentare in diretta la brillante idea di Veltroni (che sembra ci stia peraltro già ripensando) di proporre un referendum sulla legge Gelmini.
    Visto che ho anche ricevuto alcuni commenti sul tema referendum trattato qui, approfitto per approfondire l'argomento.

    Vediamo anzitutto di chiarire il concetto che esprimevo in maniera un po' stringata nel post precedente, vale a dire che la proposta, per passare, deve reccogliere l'adesione di ben più del 50% dei consensi.
    Esiste, come tutti sappiamo, un'astensione fisiologica: persone malate, in viaggio, all'estero, latitanti, pigri, sportivi in trasferta, distratti smarritori di tessere elettorali e compagnia cantante: tutti costoro, unitamente a quelli che molto più semplicemente se ne fregano, costituiscono una zoccolo duro che possiamo stimare attorno al 20-25% dell'elettorato, dato che riviene dalle statistiche relative alle elezioni politiche (non dalle consultazioni referendarie, dove la non-espressione del voto ha un significato). E questo 20-25% non è connotato nell'uno o nell'altro senso politico: possiamo con buona approssimazione immaginare che, costretti a votare una proposta referendaria sotto la minaccia delle armi, tutti costoro distribuirebbero i suffragi in modo più o meno uniforme tra SI e NO, in analogia agli altri (ciò in quanto in questo campione il non andare a votare è un dato comportamentale costante, che non ha correlazione con la posizione assunta rispetto al quesito).
    Ne consegue che la base elettorale reale è composta dal 75-80% dei cittadini (d'ora in poi prendiamo l'80% per far cifra tonda) mentre il quorum è calcolato sul 100%.
    Ipotizziamo che l'80% dei votanti reali (quelli interessati a votare, insomma) vada al seggio a mettere la scheda nell'urna, e ipotizzando pure che il corpo elettorale sia spaccato quasi a metà tra SI (55%) e NO (45%): avremmo che il 55% dei votanti (pari a 55*0,8=44% degli aventi diritto) voterebbe SI; il 45% dei votanti (pari al 36% degli aventi diritto) voterebbe NO e il 20% si asterrebbe. Possiamo ipotizzare che anche di quel 20% astenuto una parte (l'11% degli aventi diritto) voterebbe SI e l'altra parte (il 9%) NO, ma non ne abbiamo prova.
    Il risultato comunque sarebbe che il referendum sarebbe valido, avendo raggiunto il quorum, e la proposta passerebbe avendo vinto il SI con il 55% dei voti validi.

    Bene: cosa succede nella realtà? Succede che quelli del NO hanno ormai imparato che conviene molto di più NON andare a votare piuttosto che andare e votare NO. In questo modo infatti mettono insieme un bel po' di voti inespressi battendo di gran lunga quelli per il SI: nell'esempio appena fatto, se l'indicazione del "fronte del NO" fosse di andare al mare, ne conseguirebbe che: il 20% degli elettori starebbe a casa per disinteresse; il 36% degli elettori starebbe a casa per convinzione, e il 44% degli elettori andrebbe a votare. Quorum non raggiunto, proposta respinta.
    In sintesi: il fronte del NO vince, perché può sommare al proprio 36% di "aderenti militanti" il 9% di "aderenti disinteressati" e, soprattutto, l'11% di "contrari disinteressati". Il fronte del SI perde, perchè può contare solo sugli "aderenti militanti" e non ha alcun modo di intercettare gli "aderenti disinteressati".