mercoledì 31 marzo 2010

Il ras dello schermo

Li riconoscete questi volti, vero? Anche se come me non guardate il TG1 (io però lo faccio per dovere civico), qualche volta vi sarà capitato di incrociarli in video.
Bene: Minzolini, il DVCEDirettore di quel postribolotelegiornale, qualche tempo fa è stato contestato da una certa quantità di giornalisti del comitato di redazione, che lo hanno accusato, in buona sostanza, di utilizzo privato del mezzo pubblico: non tanto per sé quanto per il proprio dante causa, Silvio Berlusconi.
Altri schiavigiornalisti hanno scritto una lettera in cui contestavano i contestatori, schierandosi con il DVCEDirettore.

Ora il DVCEDirettore Minzolini ha deciso di fare un rimpasto dei volti che appariranno sul video: e in tale rimpasto ha deciso di non mandare più davanti alle telecamere le tre facce che vedete qui sopra: Tiziana Ferrario, Paolo Di Giannantonio e Piero Damosso.
La motivazione ufficiale è che, dato che sono stati "assunti diciotto precari" (e non ci vuole un giuslavorista per cogliere l'assurdità di questo stupendo ossimoro) bisogna dare spazio a facce nuove.
E così al posto dei tre qui sopra andranno in video i tre qui a fianco: Francesco Giorgino, Francesca Grimaldi e Laura Chimenti, che -almeno per quanto riguarda i primi due- sfido chiunque a definire «facce nuove».

martedì 30 marzo 2010

Bossi Renzo detto "il Trota"


Poi uno riflette su ciò che ha scritto in passato: sul sistema elettorale, sulle liste bloccate, sulla necessità di ripristinare le preferenze perché siano i cittadini, e non le segreterie dei partiti, a selezionare la classe politica.
E si piazza davanti allo specchio, e si dà del coglione.

Surely his career is over

Noi, che scriviamo sul blog ogni tanto per svuotare la mente, siamo troppo provinciali per occuparci degli articoli del New Yorker, delle interviste agli scrittori statunitensi e dell'apprezzamento per l'operato di Barak Obama nel suo paese.
Cionostante la vicenda del giornalista di Libero che si è inventato di sana pianta un'intervista a Philip Roth in cui questi parla male di Obama ha attirato la nostra attenzione.
Il New Yorker pubblica al riguardo un articolo (hat tip Mantellini) con le dichiarazioni di Roth, il quale si è scandalizzato per il comportamento del cosiddetto giornalista, Tommaso Debenedetti, ha indagato un po' in rete e ha scoperto un'altra intervista a uno scrittore americano (John Grisham) che parla male di Obama. Farlocca pur'essa, l'intervista.

L'articolo del New Yorker è interessante e divertente, ma c'è un passaggio che fa apertamente sorridere: è quello verso il fondo, in cui Roth immagina che quel mentecatto di giornalista abbia ideato un sistema (quello di inventarsi le interviste agli scrittori famosi) per raggranellare un po' di denaro, e si chiede, con un filo di compassione, cosa mai potrà fare adesso, il meschino, dato che «surely his career is over».
Frase che dimostra che Philip Roth sarà pure un grande scrittore, ma dell'Italia non ha capito una beata fava.

lunedì 29 marzo 2010

Risultati delle elezioni regionali

Vi comunico con largo anticipo i risultati delle elezioni regionali.

Ha vinto il Popolo della Libertà. Il PdL infatti controllava due regioni, e ora ne controlla un numero maggiore, avendo conquistato, oltre che Lombardia e Veneto, anche <omissis>.
Ha vinto la Lega Nord. La Lega ha visto crescere il numero assoluto di voti rispetto alle ultime <omissis> e ha conquistato con mano salda il Veneto. Ottima l'affermazione di Cota in Piemonte, che prende un fracco di voti e «(conquista)//(avrebbe conquistato se non vi fossero stati brogli degli scrutatori comunisti)» la terza grande regione del Nord.
Ha vinto il Partito Democratico che dopo il disastroso esito delle elezioni sotto la dirigenza del Puffo Triste torna a raccogliere voti, aumentando del <omissis>% i propri consensi rispetto alle Europee.
Hanno vinto i Radicali, che hanno riaffermato in queste elezioni il culto della legalità e del rispetto delle regole, ottenendo il significativo risultato dell'esclusione della lista PdL in Lazio. Grande successo personale per la Grande Vecchia, Emma Bonino, la quale in Lazio «(conquista la presidenza)//(sfiora la vittoria)» malgrado la partita sembrasse persa in partenza a causa dello scandalo Marrazzo;
Ha vinto la sinistra, che riafferma presa nel proprio insieme una forza elettorale superiore alle percentuali di sbarramento: questo dato è il punto di partenza per rimboccare le maniche e superare le divisioni settaristiche e i dogmatismi che fino a ieri hanno impedito la formazione di una forza politica omogenea e unitaria, che rappresenti le anime ecologiste, egualitariste, terzomon... yawn.
Ha vinto la Forza Nuova, che vede ormai pienamente compiuto il proprio percorso di conquista dell'agibilità politica nelle sedi istituzionali e si vede premiata con una percentuale del <omissis>%, fino a poco fa neppure immaginabile: una chiara prova del riconoscimento dell'elettorato nei confronti di un partito che fa del rigore, della pulizia e dell'onestà la propria bandiera.
Ha vinto il Movimento 5 stelle, che vede ormai pienamente compiuto il proprio percorso di conquista della visibilità politica nelle sedi istituzionali e si vede premiata con una percentuale del <omissis>%, fino a poco fa neppure immaginabile: una chiara prova del riconoscimento dell'elettorato nei confronti di un partito che fa del rigore, della pulizia e dell'onestà la propria bandiera.
Ha vinto l'Italia dei Valori, che (devo andare a pranzo, completatelo voi).

Fascismi

La netta percezione della propria superiorità ideologica e morale rispetto al proprio avversario e, in genere, al diverso da sé.
L'uso sistematico dell'aggressione, verbale prima ancora che fisica, per affermare il proprio punto di vista e irridere l'avversario.
La normalizzazione della volgarità nel linguaggio, come mezzo espressivo per marcare la propria vicinanza al popolo.
la pratica della doppia morale, incarnata in un'etica rigida, severa e draconiana per marcare, denunciare e punire le più minuscole manchevolezze degli altri; etica che diviene dolce, flessibile e ipocrita nel momento in cui le medesime manchevolezze si scoprono in capo agli amici, o agli amici degli amici.
L'assenza di un programma politico, sostituito dalla reiterazione della contrapposizione tra noi e loro: mantra che ripetuto e riaffermato ossessivamente diviene un dogma di fede oltre il quale non c'è bisogno di alcunché.
L'uso spregiudicato della menzogna e del travisamento della realtà per affermare le proprie idee di fronte alle critiche e alle obiezioni sorrette da solide argomentazioni.

Ecco: l'essenza del fascismo è tutta qui.
Sì, certo. So che, mentre leggevate, pensavate che avessi in mente un movimento che si propone di condannare alla morte politica i condannati, e che riconosce come proprio capo e ispiratore politico un condannato.
Che avessi in mente un movimento che presenta a ciascuna elezione delle liste di candidati uniti solo dall'essere contro tutti gli altri, e incensurati: come se l'essere incensurati e contro potesse essere un metro di giudizio valido per scegliere chiunque, finanche il proprio amministratore condominiale.
Che avessi in mente un giornalista che quotidianamente si scandalizza, e scandalizza i propri lettori, per il fatto che il marito della sorella della collaboratrice domestica del figlio dell'Onorevole è stato multato per sosta sulle strisce riservate ai disabili; e che tuttavia si inalbera, scrive e minaccia dimissioni e querele quando gli vien chiesto conto di propri comportamenti poco trasparenti.
Che avessi in mente delle persone che per demonizzare l'avversario riescono a confezionare un video espungendo un avverbio di negazione, e mutando così completamente il senso di quanto egli dica.

So che pensavate che pensassi alla locuzione "Vaffanculo", ma vi ho fregati: io pensavo a "Me ne frego".

domenica 28 marzo 2010

Dichiarazione di voto /2

Dunque sono andato al seggio.
Prima di entrare nella gabina elettorale ho dato una scorsa al manifesto dei candidati, e ho visto i nomi proposti da Agnoletto nel proprio listino:
DARIO FO, premio Nobel per la letteratura,
FRANCA RAME, attrice,
MONI OVADIA, attore, compositore, musicista, scrittore,
MARGHERITA HACK, astrofisica,
PAOLO ROSSI, attore, comico,
OTTAVIA ALBANESE, docente di Scienze dell’Educazione Università Bicocca di Milano,
EMILIO MOLINARI, presidente del Comitato Italiano per un Contratto Mondiale sull’Acqua,
CELESTINA VILLA, impiegata all’Archivio di Stato di Cremona,
LUCA MANGONI detto SUPERGIOVANE, architetto, guest star di Elio e le Storie tese,
LUCA FAZIO, giornalista de Il manifesto,
MARUSKA CONSOLATI, studentessa universitaria di Brescia, classe 1987,
SERGIO SERAFINI, amministratore delegato di Radio Popolare,
MORGAN CORTINOVIS, operaio in lotta alla Frattini, azienda in crisi di Seriate (Bg),
MATTEO GADDI, esperto in politiche industriali, animatore delle lotte ambientaliste a Mantova,
GIUSEPPE ERIANO, medico, lavora in Brianza.
Dario Fo e Franca Rame??? Paolo Rossi?!? SUPERGIOVANE?!!?!?
No, non ce la potevo fare. Premiare un candidato presidente che è riuscito a mettere insieme una tale ribollita di vecchi tromboni e un minestrone di nomi in libertà era troppo.
Ho vagliato le alternative tra i candadati alla presidenza: Pezzotta, il grillino e il forzanuovista.
Pezzotta no, per fatto personale: con quel che ha fatto per diminuire il mio salario reale, la mia pensione e i miei diritti di lavoratore, cara grazia che non lo incontro per strada per dirgli con i fatti quel che penso di lui.
Restavano il grillino e il forzanuovista. Tra i due, l'unica criterio valido di scelta sarebbe stato scegliere di dare la preferenza al meno fascista, e pertanto all'esponente di Forza Nuova. Ci ho pensato per qualche secondo, ma poi mi sono detto che non avrei potuto darne conto sul blog. E pertanto sono stato a lungo incerto di fronte al tabellone, valutando anche la possibilità di mollare tutto e tornarmene a casa. O addirittura lasciare il voto a Penati, pensate un po' com'ero messo.
Alla fine mi sono messo una molletta sul naso, ho riconsiderato per l'ennesima volta che Agnoletto non aveva la benché minima possibilità di raccogliere una percentuale superiore a un prefisso telefonico, e sono entrato nella Gabina.

Dichiarazione di voto

La prima cosa difficile è stato decidere se andare o meno a votare.
Partendo dalla considerazione che il mio voto non avrebbe cambiato nulla (se c'è una regione nella quale l'esito è del tutto scontato, questa è la Lombardia), ben avrei potuto starmene a casa.
Qui da noi ci sono due candidati di sinistra a presidente della regione: Filippo Penati e Vittorio Agnoletto.
Le mie considerazioni, del tutto personali e purtuttavia tali da farmi correre il rischio della querela, sono le seguenti.
Per quanto riguarda Filippo Penati, ne ho scritto a sufficienza in passato: ma per chi non volesse andarsi a rileggere tutto, diciamo che lo considero un fascista e un leghista mancato, un tipico esempio di politico di oggidì, per il quale il potere conta non già per il raggiungimento di qualche fine ideale, bensì per l'occupazione sistematica dei centri di controllo dell'economia, degli appalti e per la lottizzazione del maggior numero di poltrone, pubbliche o private, possibili.
Nella mia opinione il fine unico di Penati quale presidente di regione sarebbe quello di sostituire la Compagnia delle Opera con le Coop, e i direttori sanitari di area cattolici con i direttori sanitari di area piddina, ripetendo esattamente lo stesso modello di governo formigoniano ma da un'angolazione diversa. Dato che a me interessa relativamente poco l'angolo, mentre sono molto più attento alle modalità dell'esercizio del potere democratico, Penati non mi avrà mai.
Quanto a Vittorio Agnoletto, l'uomo unisce un'innata antipatia, una gigantesca considerazione di sé, l'assenza di qualunque senso dell'ironia ed un invasato atteggiamento missionaristico, che ne fa una sorta di Testimone di Geova della sinistra.
Oggi ci sarebbe stata bene una gita al mare quindi; ma pensare alla faccia di Formigoni che avrebbe vantato percentuali bulgare me lo ha impedito.
Ho quindi deciso di andare al seggio, e ho deciso che come presidente voterò Agnoletto, che è obiettivamente molto meno peggio di Penati e quindi mi consente di turarmi il naso (mentre con l'altro anche a turarlo avrei avvertito l'odore della cacca).
Quanto alla lista, non avendo alcun amico, conoscente o persona di fiducia cui dare il voto di preferenza, né pacchi di pasta o paia di scarpe da ritirare, il tema è circoscritto al simbolo, e anche in questo caso ci sono due possibilità: la Federazione della Sinistra (ex-rifondazione e ex-comunisti italiani), che indica come governatore Agnoletto) e Sinistra Ecologia e Libertà (vendoliani), alleata con Penati. Ci sarebbe anche il PD, già: ma sebbene Bersani meriti un incoraggiamento i tempi per me non sono ancora maturi.
Le differenze tra le due liste che ho citato mi sono del tutto oscure. Seriamente: non ho alcuna idea dei programmi, e ad essere sincero non me ne frega neppure un granché, ormai, dato che sono convinto che l'unica speranza di fare qualcosa in questo paese sia quella di trovare un modo di far convivere le varie anime della sinistra in nome di un progetto comune, e che le suddivisioni, riunioni, scissioni e rimpasti siano il modo più sbagliato di affrontare le sfide che abbiamo davanti.
Ho scelto quindi di dare il voto ai vendoliani per due motivi: anzitutto, per un ulteriore scrupolo di antipatia verso il Penati: dandolo alla Federazione della Sinistra infatti il voto ad Agnoletto sarebbe stato automatico. Esercitando invece il voto disgiunto, ho la speranza che Penati riesca a prendere meno voti della coalizione che lo sostiene, quale ulteriore prova del mio desiderio che egli si ritiri a vita privata.
In secondo luogo, ho conoscenza diretta di alcuni candidati della lista concorrente, verso i quali nutro una certa antipatia e sfiducia (sono cose personali, e quindi non ne farò i nomi): e ciò rafforza la mia convinzione.
Una volta scelta la lista, ho scorso i nomi dei candidati per vedere se ce ne fosse mai stato qualcuno a cui dare una preferenza, più che altro per dimostrare il mio attaccamento al fatto in sé del poter esprimere la preferenza (il che, come noto, è impossibile alle politiche): e visto il nome di Agostinelli, che non ha particolari qualità per quanto ne so, eccezion fatta per il fatto che ci siamo incontrati qualche sera fa scambiando due parole, e che ha fatto un manifesto elettorale simpatico, ho deciso che scriverò il suo nome.

giovedì 25 marzo 2010

Minuetti, o della sopravvivenza delle buone maniere.

Egr. Dott. Fisk,
La ringrazio per l'ordine che ci ha assegnato e che verrà gestito con il numero di job in oggetto.
Le confermo che la traduzione in lingua inglese sarà pronta entro martedì 30 marzo.
Se desidera fornirmi altre precisazioni La prego di contattarmi al numero qui di seguito indicato.
Cordiali saluti

Comprendo bene che la lettera inviatavi sia tutt'altro che semplice da tradurre, e che un lavoro di qualità in linea con i vostri standard richieda un certo lasso di tempo.
Speravo che fosse possibile abbreviare i termini consentendomi di inviare la comunicazione, se non venerdì, almeno lunedì prossimo. Se ciò fosse possibile, a condizione di non sminuire la qualità del prodotto finale, ve ne sarei veramente grato.

Egr. Dott. Fisk,
La ringrazio per la risposta e comprendo le Sue motivazioni.
Purtroppo, trovandoci in periodo di vicinanza con le vacanze pasquali, non abbiamo massima disponibilità dei traduttori.
Ciononostante, Le posso garantire che abbiamo avvisato il traduttore della Sua necessità, sia di tempistica, sia qualitativa, e faremo il possibile per anticipare alla giornata di lunedì la consegna.
La ringrazio.

Grazie a Lei

domenica 21 marzo 2010

Panini suoi

Se Veltroni fosse un uomo politico (il che non sarebbe chiedere troppo, ad uno che nel 2007 è riuscito a far credere a qualche milione di persone di poter essere uno statista) oggi avrebbe potuto trovare l'occasione giusta per parlare della sua cara America, anziché della Juventus (ma anche della Roma).
Perché motivi ce n'erano, per far spendere una parola al più supino e acritico ammiratore del sistema politico e sociale di di costà.
Oggi, come è a tutti noto, la camera dei rappresentanti voterà la riforma sanitaria voluta da Obama. Questo evento, il cui esito ancor adesso, a poche ore dall'inizio delle votazioni, è ancora incerto, ci fornisce uno scorcio della suprema differenza tra i nostri paesi.
Da un lato infatti è per me semplicemente incomprensibile che vi sia uno Stato che -almeno fino ad oggi- non garantisce ai propri cittadini, tutti e indiscriminatamente, il bene supremo della salute fisica. E' un bene che, nel mio modo di vedere, viene ben prima di altri beni effettivamente garantiti, quali la sicurezza personale, la protezione dalle agressioni delle potenze straniere, la qualità del cibo ingerito e perfino la felicità. Senza salute non c'è felicità, e senza vita l'invasione dei rossi è un evento ininfluente, salvo per chi creda nella metempsicosi.
Questo dimostra che gli Stati Uniti non hanno solo da insegnarci, ma anche da imparare. E viceversa: perché quale miglior prova della qualità di una Costituzione vecchia di quasi due secoli e mezzo, il fatto che ancor oggi quel principio di separazione dei poteri, il quale era stato teorizzato solo vent'anni prima, sia ancor oggi pienamente efficiente? Ci sono tanti meccanismi farraginosissimi nella costituzione degli USA, ma il fatto che l'Esecutivo sia sottomesso al Legislativo laggiù è una realtà; come pure è una realtà l'assenza di vincolo di mandato e il rapporto diretto del parlamentare con la propria coscienza e i propri elettori (i maliziosi ci aggiungeranno anche i propri lobbisti).
Il voto di oggi, e le attese della vigilia, dimostrano che West Wing è una fedele riproduzione di ciò che realmente avviene a Washington, D.C.
Walter avrebbe potuto quardare un po' più di TV, anziché proseguire la collezione di figurine: perché il suo silenzio di oggi dimostra che la sua idea dell'America è esattamente come l'idea che avevo io di Parigi, da adolescente, prima di esservi andato la prima volta: un posto di delizie, bellezza e divertimento continuo.
Quella Parigi non esisteva, e l'America di Walter pure esiste solo nella sua testa. bacata.

Anche oggi ho imparato qualcosa /2

E poi c'è anche chi sarebbe pure simpatico e godibile, ma per il fatto che il suo blog ha avuto 720.000 visite in due annetti scarsi si è montato la testa e non ha capito che al di là dello schermo c'è un mondo vero: un mondo difficile per confrontarsi con il quale occorrono tante cose, e fra queste una bella dose di umiltà e una certa capacità di riconoscere i propri difetti oltre che i propri pregi.

sabato 20 marzo 2010

Milioni di milioni


Il problema, vedete, non è tanto che Berlusconi dica di aver portato in piazza un milione di persone. E neppure che altri dicano che è una bufala.
Il problema vero è che chi lo dice oggi ieri diceva che è una bufala, e chi oggi sbufala, ieri sparava numeri ancor più grossi.
Ed una volta tanto non ho nemmeno da perderci troppo tempo a dimostrare quest'affermazione: questo post l'ho già scritto 17 mesi fa (P.S: se ci doveste andare, scorrete fino in fondo, please).

martedì 16 marzo 2010

Anche oggi ho imparato qualcosa

Oggi, ad esempio, ho imparato che nella blogosfera, come del resto nella vita, ci sono persone colte, intelligenti e largamente apprezzate che preferirebbero farsi tagliare l'organo che hanno più caro piuttosto che dichiarare: «Quella volta lì ho scritto una cazzata: me ne scuso. Anzi no: non me ne scuso nemmeno perché scrivere una cazzata può sempre capitare; però lo ammetto».

(no, il link non ce lo metto)

mercoledì 10 marzo 2010

Ancora un poco

Negli scorsi giorni abbiamo analizzato la situazione politica nell'ipotesi in cui alle elezioni regionali non potessero partecipare due candidati presidenti (Formigoni e Polverini) e una lista di partito (PdL in Lazio). In tali condizioni, a mio parere, il problema di governabilità che si sarebbe presentato ad urne chiuse avrebbe fatto di gran lunga preferire l'ammissione delle liste e dei listini con un provvedimento, anche straordinario, purché di contenuto tale da addossare la relativa responsabilità sull'esecutivo, senza coinvolgere la magistratura in questa pastetta.
La situazione ora è diversa: i listini di Polverini e Formigoni sono stati ammessi dalla magistratura con motivazioni formalmente e giuridicamente solide (anzi: nel caso di Formigoni la riammissione è stata concessa proprio in base al principio di prevalenza della forma sulla sostanza, in materia elettorale, per quanto il nostro uomo al Pirellone si guardi bene dal divulgarlo).
Resta ormai esclusa solo la lista del PdL in Lazio, il che rende le cose più semplici e allo stesso tempo più difficili.
Semplici, nel senso che i pericoli di legittimazione dell'assemblea regionale del Lazio sono ora assai minori: in fondo l'elettore di centrodestra ha il proprio candidato governatore e una serie di liste ad essa collegate, delle più disparate tendenze (dall'Udeur all'UDC alla Destra) nelle quali riconoscersi.
La situazione ora comincia ad essere non molto diversa rispetto all'esclusione dell'UDC alla Provincia di Trento, sempre salvo il fatto che coinvolge dieci volte tanti elettori, e riguarda un partito che ha otto volte tanti consensi.
Oltretutto, il Governo ha già prodotto un decreto legge per sanare la situazione, senza riuscirvi: e a questo punto un nuovo provvedimento normativo apparirebbe veramente avulso da ogni logica e pudore.
Il contemparamento dei diversi interessi (quello al rispetto della legittimità e quello alla rappresentatività politica della competizione elettorale) mi porta a questo punto a schierarmi apertamente per la celebrazione delle elezioni in Lazio senza la lista PdL (salvo una a questo punto poco probabile riammissione da parte del Consiglio di Stato).
Tuttavia, e qui cominciao i dolori, è evidente che i maggiorenti del PdL non ci staranno mai a perdere i posti di governo in Lazio, che è la terza regione italiana ma la prima per spesa sanitaria (che poi è il 90% del budget regionale). E quindi faranno di tutto per forzare la mano.
Dato che i rimpannucciamenti legal-cosmetici sono esauriti, la parola passa adesso alla forza: è questa una logica stringente: e difatti lo stesso Berlusconi, secondo il virgolettato di Repubblica, ha dichiarato «Ma dovrà essere una dimostrazione di forza».
Ora, uno dei principi della lotta, nel campo militare, degli affari e della politica, è proprio di non mettere l'avversario alle corde: perché questi vistosi perduto può cominciare a mulinare pugni scompostamente, facendosi e facendoci seriamente male. Ecco: il PdL, e Berlusconi in prima persona, sono ora in queste condizioni: l'unica risorsa rimasta è la forza e la forzatura -smaccata e non più velata- delle regole.
Lo dimostrano i toni usati, l'insistenza nell'attribuire le colpe alla sinistra e ai giudici: tattica che dimostra quanto la situazione sia precipitata, dal momento che, salvo forse Bondi, chiunque, anche fedelissimo, ha ben presente dove sono le responsabilità.
E' forse per questo che Pannella, che non dimentichiamolo è uno degli uomini politici di più antica esperienza, dopo Andreotti e Scalfaro, propone ora il rinvio delle elezioni: perché egli stesso teme quel che potrebbe succedere (c'è poi la lectio facilior, che egli intervenga per puro spirito di rompimento di coglioni).
La situazione insomma è molto seria, e finché i toni continueranno ad alzarsi bisognerà stare molto attenti e rispondere, provocazione contro provocazione: ma qui viene il dubbio: sarà in grado il principale partito d'opposizione di alzare la posta così come l'alza Berlusconi, o a questo punto preverirà cedere in nome della leale competizione e del senso di responsabilità civico?

martedì 9 marzo 2010

Ogni tanto (di rado) rispondo al telefono

- Buonasera, il signor m.fisk?
- sì, sono io.
- sono Franca, della società <XXX>: la chiamo per segnalarle un'interessante pro...
- mi perdoni se la interrompo: devo pensare che Lei stia disturbando il mio riposo per vendermi qualcosa?
- be', veramente... si tratta di una promozione che... ecco...
- ho capito. La ringrazio e torno a riposare.
- grazie e lei e mi scusi per il disturbo.
- La prego. Buonasera.

Volée

I presidenti delle Regioni contano un sacco. Ma solo se vanno d'accordo coi presidenti delle Province e coi sindaci dei capoluoghi importanti – sennò ciccia, restano chiusi nel palazzo cinque anni a deliberare a vuoto. Adesso voi immaginatevi Penati presidente della Lombardia a tavolino. Gli viene in mente – non so – di riorganizzare le ausl. Va a parlarne con chi, con la Moratti? Gli ride in faccia la Letizia, al Penati. Uè, Penati, cos'è che vuoi fare? Per conto di chi? Me m'ha eletto il popolo sovrano, e te? Vuoi che ne parliamo in una stanza io te e Podestà? Tempo sprecato, non trovi? Da' retta, torna al Pirellone a guardare il tramonto.
(silvioleonardo, che le cose le dice sempre meglio)

Rovescio e diritti

Leggendo quanto scritto in rete sul DL elettorale, e non da ultimo i commenti al mio precedente post, non posso fare a meno di rilevare ancora una volta che una soluzione decorosa all'ignomignoso pateracchio non esiste.
Il DL interpretativo ha il merito di salvare un po' le apparenze e di non coinvolgere la magistratura nella cucitura della pezza, ma è di per sé una stortura, come fa giustamente notare chi lamenta di aver dovuto pagare la mora per un giorno di ritardo nel saldo di una multa per sosta vietata; e oltretutto sembrarebbe non essere servito a nulla in quanto, per quel che ho capito, non sarebbe riuscito a salvare la lista PdL in Lazio: il che alla fin fine era l'unico scopo.
Un decreto non meramente interpretativo (per quanto tale interpretatività sia di mera facciata) sarebbe stato un cambiare le regole in corsa anche dal punto di vista formale oltre che sostanziale, e non è detto che avrebbe superato lo scoglio dell'art. 72 Cost. invocato da alcuni per escludere la decretazione d'urgenza in materia elettorale (per quanto l'applicabilità di tale articolo alla decretazione d'urgenza mi pare abbastanza dubbia, ciononostante dal punto di vista sistematico non può essere del tutto esclulsa).
Un rinvio della data delle elezioni, ad elezioni già indette, mi sembra francamente una soluzione del tutto inaccettabile. O si rinvia la data per motivi seri (tipo di ordine pubblico, a causa ad esempio di una calamità nazionale): e allora alla nuova data si svolgono le elezioni con le liste già iscritte. Ma per riaprire la presentazione delle liste bisogna non già rinviare bensì indire nuove elezioni, annullando la convocazione precedente che è cosa diversa. Se poi tale astruso passaggio viene fatto solo per consentire a una lista di rientrare in termini, allora un principio di economia procedurale e di adeguatezza dei mezzi allo scopo mi fa ritenere che sia molto ma molto meglio riaprire i termini e basta: altrimenti si rischia di fare come quello che per distruggere un nido di vespe manda a fuoco un intero palazzo.
Resta poi nel novero delle possibilità quella di far svolgere le elezioni con le liste regolarmente iscritte. Formalmente e giuridicamente ineccepibile, ma politicamente devastante. Noto, parlando con i miei colleghi, che sono proprio i giuristi quelli che in questa vicenda dimostrano la maggiore flessibilità e riconoscendo il primato della politica, vale a dire sono proprio i giuristi che ritengono pericolosa l'applicazione pedissequa delle norme in questo caso eccezionale.
Forse è l'abitudine di pensare al diritto come a un mezzo per raggiungere un certo risultato, e non come a un fine in sé (e se così fosse, è possibile -e anzi probabile- che i professori universitari, abituati a ragionare in astratto anziché in termini di casi concreti, abbiano idee diverse); forse è l'influenza del brocardo summus ius summa iniuria; forse è anche la preoccupazione (ad esempio mia) per quanto una competizione così viziata potrebbe andare ad alimentare la deriva autoritaria o talora francamente eversiva di questa maggioranza governativa.
Non sbaglia del resto Uriel, il quale partendo da una posizione opposta alla mia fa notare come alla fin fine l'esclusione del PdL sarebbe un colpaccio, in termini di voti e quindi anche economici, per formazioni quali Forza Nuova.
Per usare nuovamente una metafora calcistica, una competizione vinta senza la partecipazione del principale avversario sarebbe stata come il 14° scudetto dell'Inter, riconosciuto come buono e valido da tutti gli interisti e contestato come "di cartone" da tutti gli altri tifosi: con la differenza che le Regioni, a mio modo di vedere, sono più importanti del campionato di calcio.
Quanto sopra per esprimere meglio le mie idee: come si vede, non ho una proposta buona: semplicemente c'è una soluzione che mi dispiace meno di altre, ma con tutto ciò sono ben lungi dal pretendere di aver ragione o dal voler convincere qualcuno, dato che anch'io sono pieno di dubbi.

lunedì 8 marzo 2010

Diritto e rovesci

Arrivo buon ultimo a fare un ragionamento sulla questione dell'ammissione alla competizione elettorale delle varie liste che fanno riferimento all'area della maggioranza di governo. Ho una vita anch'io, e probabilmente sono fuori tempo massimo, ma spendo comunque due parole.
Avevo scritto al riguardo due post: uno per dire che comunque Polverini e Formigoni avrebbero partecipato alle elezioni, e la cosa interessante sarebbe stata capire non se bensì come sarebbero state riamesse; l'altro, in risposta a chi riteneva che un banale timbro non fosse una questione sulla quale perdere troppo tempo, che dava conto di come timbri e termini siano molto importanti, e pertanto di come il problema della mancanza di uno o del ritardo nel rispetto degli altri fossero sostanza e non mera forma.
E' ora il caso di tirare le fila.

Chi opera ogni giorno nel campo del diritto ha ben presente la differenza tra diritto sostanziale e diritto procedurale; sa che il rispetto delle procedure è essenziale per far valere la sostanza delle cose e sa che il rispetto di termini e adempimenti è almeno altrettanto importante del rispetto dei doveri e dei diritti sostanziali. L'avvocato che perde un termine perde la causa, e quindi il suo cliente perde il proprio diritto sostanziale per un errore procedurale.
Dal punto di vista del giurista, quindi, la mancata presentazione di una lista entro il minuto stabilito dalla legge, o la mancanza di un'autentica fatta nelle dovute forme, sono motivi sufficienti e cogenti per l'esclusione di quella lista dalla competizione.

Cerchiamo però di allargare lo sguardo dalla teoria alla realtà, e chiediamoci cosa sarebbe successo se quelle liste fossero state escluse. E non ponendoci dal punto di vista dell'elettore di destra, "privato del proprio diritto di voto" (questa è una cazzata, in quanto nessuno avrebbe pensato a impedire all'elettore di votare: semplicemente avrebbe dovuto scegliere tra liste meno facilone rispetto a quelle che avrebbe scelto).
No: mettiamoci dal punto di vista del Penati o della Bonino di turno, e chiediamoci cosa avremmo fatto una volta vinte le elezioni regionali a tavolino. Avremmo potuto veramente governare la nostra regione per cinque anni? O dal giorno dell'insediamento ogni e qualsiasi nostra decisione, perfino il contributo alla festa patronale di una lontana comunità montana, sarebbe stato contestato in quanto il nostro governo regionale sarebbe stato sostanzialmente privo di una vera legittimazione? Cosa sarebbe venuto fuori dalle urne? Un governo destinato a traccheggiare nell'ordinaria amministrazione; e anche in questo campo tra enormi difficoltà.
Sappiamo bene quanto chi governa debba prendere scelte talora impopolari, e quanto spesso in questi casi si appelli (talora a sproposito) al fatto che il suo esecutivo "ha il consenso degli elettori". Ecco: pensate cosa sarebbe un governo che non ha neppure il consenso degli elettori, e capite bene che non vi sarebbe modo di governare efficacemente. Sarebbe stato un disastro di proporzioni epiche: e questo ci fa capire che è diversa l'esclusione dalle elezioni del partito dell'automobilista, forte del suo 0,02%, rispetto al partito della libertà che può ragionevolmente contare su un 40-50%: l'esclusione anche ingiusta del primo non delegittima il risultato del voto, mentre l'esclusione pur giusta del secondo sì. E, ciò che è più grave, mette il vincitore uscito dalle urne in posizione di tale debolezza politica da fargli rimpiangere di non aver perso.

E però: una volta fatto il pasticcio delle presentazioni, come far sì che la legge fosse rispettata, e allo stesso tempo il governo regionale fosse rappresentativo del popolo?? L'unica soluzione che mi viene in mente è fare come succede sul campo di pallone, quando un giocatore s'infortuna: la squadra in possesso di palla butta il pallone fuori per fermare il gioco e consentire all'avversario di essere soccorso; dopodiché alla ripresa la squadra che deve rimettere passa il pallone a coloro che hanno buttato la palla fuori. Le regole sono rispettate e la sostanza pure.
Nello specifico, l'unica soluzione formalmente e politicamente corretta sarebbe stata quella di celebrare le elezioni senza le liste escluse, e che immediatamente dopo la proclamazione dei vincitori questi si dimettessero per indire una nuova tornata. Il problema è che la soluzione è politicamente e giuridicamente corretta, ma costa un fracco di soldi: e chi li avrebbe sentiti quelli de lavoce.info, questa volta?
No, bisognava trovare un'altra soluzione.
La peggiore di tutte sarebbe stata quella di affidare alla magistratura il compito di riammettere le liste escluse: questo -perlomeno nel caso della lista PdL laziale- avrebbe potuto essere fatto solo con una tale stortura delle norme da gridare vendetta. La magistratura sarebbe stata connivente di una grande truffa: non per aver fatto partecipare la lista, bensì per aver dovuto impapocchiare una giustificazione del tutto campata in aria. e così facendo avrebbe perso, anche per il futuro, qualunque credibilità.
E allora, credo sia stato cento volte meglio il decreto-legge. Con quest'atto il governo si è preso la piena responsabilità della manipolazione del dettato della legge, salvando la magistratura da una pericolosa e indebita connivenza.
Ora è chiaro a tutti, da qualunque parte essi si schierino, chi ha fatto le sciocchezze e chi ci ha messo una pezza; ed è pure chiaro che fa rispettare le regole e chi le forza a proprio piacimento.
Certo, l'elettore della Polverini sarà dalla parte di chi forza le regole, ma perlomeno si avrà la consapevolezza (da ambo le parti) che le regole sono state forzate, e che è stato commesso un vero e proprio abuso giuridico, sia pure con un (più o meno) nobile fine.
In tal quadro, è inutile, sciocco e un po' in malafede dare addosso al povero Napolitano: cosa avrebbe dovuto fare? avrebbe dovuto veramente impuntarsi e far giocare una competizione falsata per poi dover smontare tutto daccapo, di lì a poco tempo? No, anche lui ha dovuto prendere atto della cazzata fatta dalle destre, e accettare di buon grado la pezza a colore cucita dalle destre stesse, lasciando che la responsabilità della cazzata e della pezza ricadessero sulla medesima parte politica.
E, francamente, anch'io sono lieto: chi mi conosce può ben immaginare quanto ci tenga ad avere altri cinque anni di Formigoni in Regione; ma credo proprio che un governo Penati (o chichessia) eletto dal 35% dei lombardi e destinato a durare un annetto scarso si sarebbe poi risolto in una mazzata dalla quale la sinistra non si sarebbe ripresa per decenni.

Un'ultima considerazione sul cosiddetto "popolo viola", i Travagli e i Gilioli. La lista di Formigoni -almeno a quanto ho capito- è stata riammessa dal TAR sulla base di un motivo squisitamente procedurale. In partica il TAR ha detto che la corta d'appello aveva già ammesso la lista, e quindi non era legittimata a escluderla successivamente. E' questo un principio basilare del nostro ordinamento procedurale, quello che un giudice decide una volta sola e una volta deciso non è che possa ripensarci e tornare indietro. Questione di lana caprina, se vogliamo, ma anche l'assenza di un timbro pure lana caprina è.
Chi vuol atteggiarsi a garante dello Stato di diritto e delle forme non è che lo possa fare a senso unico, e appigliarsi ai cavilli solo allorquando conviene alla propria parte, salvo dimenticare la cavillosità quando un cavillo di segno contrario smonta il cavillo precedente.
Far prevalere la forma sulla sostanza, lo ripeto, sarebbe stato giuridicamente giusto ma politicamente poco lungimirante. Pretendere invece che la forma che ci piace prevalga sulla forma denota semplicemente malafede o, peggio, mancanza della capacità di interpretare il mondo che ci circonda.

giovedì 4 marzo 2010

Principi di aritmetica applicata

Molti credono che il solo fatto di avere una tastiera e una connessione a Internet legittimi a scrivere qualunque puttanata passi in mente e a tranciare giudizi su qualunque parte dello scibile umano.
Come se io mi mettessi qui a discettare di scale tonali e modali, e vi illustrassi compiutamente la differenza tra le due. Ecco: non è così che funziona.
Nulla impedisce di avere un blog dove si racconta al prossimo dell'amore verso il proprio fidanzato o si mostrano le foto del proprio gattino, e il bello è che c'è anche chi le andrà a guardare, quelle foto; e a leggerli quei pensieri. Ma si dovrebbe avere la compiacenza, più verso sé stessi che verso il prossimo, di limitarsi a quello.

Dunque: Omar e Erika. L'uno condannato a 14 anni e l'altra a 16. E' giù gente (non solo blogger, anche giornalisti!) a disquisire del fatto che 97 coltellate, e che il bambino di 12 anni, e che "muori, muori", e così via.
Vediamo un po' come stanno le cose.

  • In Italia non c'è più la pena di morte: è rimasto l'ergastolo. Gli artt. 576 e 577 c.p. dispongono che per l'omicidio dell'ascendente o discendente, anche con crudeltà (caso di Erika), come pure per l'omicidio premeditato (caso di Omar) si applica la pena dell'ergastolo.
  • L'art. 98 c.p. dispone che il minore degli anni diciotto, che abbia compiuto i quattordici anni, sia imputabile; ma la pena è diminuita.
  • L'art. 65 c.p. dispone che in caso di diminuzione, alla pena dell'ergastolo è sostituita la pena della reclusione da venti a ventiquattro anni.
  • L'art. 442 c.p.p. c.2 dispone che in caso di condanna con rito abbreviato la pena sia ridotta di un terzo.
    Facciamo un po' di conti, e vediamo che il GUP ha condannato Erika a 24 anni (vale a dire il massimo secondo quanto previsto dall'art. 65 c.p.), che ridotti di un terzo diventano 16 anni.
    Ha condannato poi Omar a 21 anni, che ridotti di un terzo diventano 14 anni.
    Alle condanne come sopra inferte si applica l'indulto della Legge 31 luglio 2006, n. 241 (che non esclude per i casi di omicidio).
    Si applicano poi le riduzioni di pena previste dall'art. 54 dell'Ordinamento penitenziario secondo il quale "Al condannato a pena detentiva che ha dato prova di partecipazione all’opera di rieducazione è concessa, quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società, una detrazione di quarantacinque giorni per ogni singolo semestre di pena scontata."
    Ecco, questi i fatti. Poi possiamo disquisire su ciascun singolo punto; ma prima i punti bisogna conoscerli.

  • mercoledì 3 marzo 2010

    Billa

    Fin da quando ho memoria di me stesso, uscendo da casa e alzando gli occhi, o uscendo dalla metropolitana per rincasare, ho scorto l'insegna della STANDA.
    Ci andavo con mio nonno a comperare il sapone da barba, ci sono andato con mia madre a comperare i pantaloni alla zuava, ci sono andato anche da solo, nella prima adolescenza, a comperare il primo disco, che se ben rammento doveva esere una di quelle raccolte "grandi successi" con il bollino "pubblicità in TV", che da solo giustificava, per il marketing d'allora, una mille lire in più di prezzo.
    La Standa sotto casa ha subito con il tempo una serie di trasformazioni, nessuna delle quali è riuscita a farle perdere quell'atmosfera di tristezza e strapaese che ho sempre visto come a lei sostanziale.
    Sarà forse una decina d'anni fa che venne anche completamente ristrutturata, e trasformata da grande magazzino/supermercato in un grande supermercato su due piani. I bottegai della zona ci perdettero il sonno, immaginando che ben presto il volume dei loro affari si sarebbe ridotto e loro sarebbero presto andati incontro allo spettro del fallimento.
    Così non fu.
    Meriterebbe gli onori di una tesi di dottorato lo studio di una combinazione perdente, così perfetta da sembrare studiata a tavolino: prezzi più elevati della media della concorrenza e inadeguati a una clientela prevalentemente popolare; personale accuratamente selezionato in base all'assenza di alcuna stilla di competenze sociali nel rapporto con gli altri, unita all'assoluta incapacità di rispondere ad una qualsiasi domanda; assortimento dei prodotti scarso e ridondante allo stesso tempo; qualità della merce men che scadente; pulizia risibile resa ancor più evidente dal permanente aleggiare di cattivi odori.
    Peggio che mai poi l'organizzazione del tutto. File alle casse lunghe e tediose, dovute ai più disparati motivi: in ogni spesa almeno un codice a barre non era stato memorizzato, con necessità per l'addetto di mandare qualcuno a rilevare il prezzo; e, assurdità tecnologica suprema, qualora il malcapitato cliente avesse comperato anche un quotidiano, questo doveva essere scontrinato e pagato a parte, dato che il software delle casse non consentiva il rispetto della normativa in tema di promozioni.
    La formazione dei cassieri doveva essere stata affidata a qualche cooperativa di autistici: basti pensare che la diretta concorrente arrotonda in automatico tutti i prezzi ai cinque centesimi inferiori (perché il tempo della cassa è denaro, e i tre centesimi persi non valgono lo stipendio della cassiera che li attende); e qualora il cliente debba pagare 10,05 euri, il cassiere ha l'ordine di non chiedere moneta e di dare lui il resto, dato che ci mette meno lui a contare 9,95 euri che il pensionato a tirare fuori il portamonete.
    Ecco: questo forse è chiedere un po' troppo. Ma come giudicate un luogo dove, di fronte a un conto di 14,95 euri, tirate fuori una banconota da venti e vi chiedono "non avrebbe 4 euro e 95, per favore?" Alla Standa sotto casa questo succedeva: e la povera vecchina della Baggina, cui il supermercato sorgeva dirimpetto, cominciava a contare confusa e intimidita le proprie monetine, non avendo, per paura o per buona creanza, il coraggio di mandare affanculo la cassiera come spesse volte io ho fatto, prima di decidere di non mettervi più piede se non in casi di assoluta e improrogabile emergenza.

    Ieri come al solito rientrando a casa ho alzato gli occhi, e la Standa non c'è più. Al suo posto un'insegna giallorossa "BILLA": colori e caratteri tristi almeno tanto i precedenti, se non un pochino di più. Non so se qualcosa dentro sia cambiato, non so se il software delle casse sia ancora in mano ad un branco di programmatori yugoslavi ubriachi, né se le pulizie vengano ora fatte quindicinalmente anziché semestralmente (che sarebbe già un bel miglioramento!)
    Lo spero, in fondo, e non so neppure io bene per chi lo spero.
    Certo che, in un cantuccio della mia memoria, quell'insegna un po' mi mancherà.

    Termini e decadenze

    «La sostanza prevalga sulla forma»

    Così si esprime il Presidente del Senato (la seconda carica dello Stato!) sul pasticcio delle liste elettorali in Lazio e in Lombardia.
    Adesso facciamo un po' di diritto civile.
    Secondo l'art. 2043 c.c. chi causa un danno ingiusto ad altri ha l'obbligo di risarcirlo. L'art. 2947 c.c. tuttavia stabilisce che il diritto a questo risarcimento si prescrive in cinque anni.
    Pertanto, se io subisco un danno, tipo una macchia d'umidità per una perdita d'acqua condominiale, o la distruzione della mia casa per lo scoppio della raffineria limitrofa, ho tempo cinque anni per chiedere i danni. Se lil chiedo dopo 4 anni e 364 giorni sono ancora in tempo; se aspetto un giorno in più, invece, ho perso il mio diritto.
    Ora, la prescrizione è un istituto giusto e fondamentale: se non esistesse la prescrizione, io potrei essere chiamato un giorno a rispondere del fatto che il mio bisnonno ha fatto morire un cavallo che gli era stato affidato, per incuria; o che il mio quadrisavolo (ammesso che fosse muratore) aveva costruito male un edificio, poi crollato uccidendo una famiglia. E' evidente che tale prospettiva è inaccettabile: non si può vivere nel dubbio di dover rispondere per sempre delle azioni proprie e di coloro di cui siamo eredi: e pertanto esiste la prescrizione (nota: stiamo parlando di prescrizione civile, beninteso).
    Se quindi la prescrizione è un istituto naturale, il termine di cinque anni, quello è puramente arbitrario. Non esiste una ragione ontologicamente determinata per stabilire il termine in cinque anni piuttosto che in sette. E del resto lo stesso termine di cinque anni non è costante, in quanto a seconda dei casi può decorrere in 1826 o in 1827 giorni. Una cosa certa è che a cavallo della mezzanotte del trecentosessantaquattresimo giorno del quinto anno non accade nulla di nulla, nel mondo fisico e reale, ma dal punto di vista giuridico accade qualcosa di molto importante.
    Perché il diritto, vedete, non è una rappresentazione fedele del mondo reale: è una costruzione astratta di regole, in parte logiche e naturali e in parte del tutto artificiali; che però sono necessarie al pari delle prime. Se io chiedessi il danno alle otto del mattino del primo giorno del sesto anno, potrei ben dire che dal punto di vista sostanziale il mio buon diritto sussiste: in fondo rispetto al giorno prima non è cambiato nulla. Ma allora cosa cambierebbe se lo chiedessi una settimana dopo? E se lo chiedessi dopo dieci anni? o dopo cent'anni?
    Certo, tra cent'anni e otto ore c'è una bella differenza: ma dov'è il limite dell'elasticità? Potrebbe deciderlo il giudice, ma questo da un lato gli conferirebbe un potere arbitrario, e dall'altro non farebbe che moltiplicare i motivi di contenzioso, che già sono tanti.
    No: il termine di cinque anni è di cinque anni, e se uno sfora anche solo di un minuto sono solo problemi suoi; se così non fosse, non avrebbe neppur senso porre un termine.

    Immaginiamo adesso che io, scioccamente, abbia chiesto il danno alla famosa raffineria, dopo sei anni dall'accadimento. Faccio notificare una bella citazione con la quale chiedo che la raffineria sia condannata a pagarmi il valore della casa distrutta. La raffineria, dal canto suo, deve scrivere in un atto chiamato comparsa di risposta tutte le sue difese. Secondo l'art. 167 c.p.c. infatti "Nella comparsa di risposta il convenuto deve proporre tutte le sue difese prendendo posizione sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda, indicare i mezzi di prova di cui intende valersi e i documenti che offre in comunicazione, formulare le conclusioni. A pena di decadenza deve proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio". Quell'a pena di decadenza vuol dire che se la raffineria non scrive nella comparsa di risposta che il mio diritto si è prescritto, non lo può fare mai più: si è bevuta la prescrizione, e mi dovrà pagare il danno.
    L'art. 166 c.p.c. poi stabilisce che la comparsa di risposta deve essere depositata in cancelleria almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione: il che significa che se all'avvocato della raffineria gli si buca la ruota della macchina, e non fa in tempo a depositare la comparsa se non il diciannovesimo giorno prima, anche in questo caso la prescrizione ormai non vale più nulla.
    Anche qui si può obiettare che tra il ventesimo e il diciannovesimo giorno non ci sia questa gran differenza; che il foramento della ruota non è colpa dell'avvocato; che magari l'avvocato era un'avvocata ed è andata a partorire prematuramente, e questo certo è un fatto grave e meritevole di tutela. Ma comunque quel termine del ventesimo giorno è stabilito, e se viene sforato il diritto (o in questo caso l'eccezione) è persa; ed è giusto così: perché se ammettessimo la validità di un deposito al diciannovesimo giorno prima perché l'avvocatessa è andata a partorire, via via per approssimazioni e flessibilizzazioni dovremmo pure ammettere un deposito il giorno prima dell'udienza perché la figlia della cugina aveva il saggio di danza.

    Nelle cose di diritto, insomma, la forma è sostanza, perché se così non fosse si sconfinerebbe nell'arbitrio. Ed è per questo che non importa se un deposito di firme sia avvenuto solo mezz'ora dopo il termine stabilito, né se il depositante avesse fame, sete o gli scappasse improvvisamente la cacca. Se il termine è decorso è decorso, non ci sono tante storie da fare.

    martedì 2 marzo 2010

    Per la contradizion che nol consente

    «L’Italia è un Paese migliore della destra che lo governa in questo momento.» Veltroni Walter, Roma, 26 ottobre 2008
    «Guarda, io a questa cosa che il Paese è migliore della classe politica non ho mai creduto: in fondo il Paese sceglie la sua classe politica, la esprime.» Veltroni Walter, Corriere TV, 2 marzo 2010

    Le regole del gioco

    Siamo franchi: chi di noi può veramente credere che Polverini e Formigoni verranno esclusi dalla partecipazione alle elezioni regionali delle due maggiori regioni italiane?
    Sì, forse qualche blogger idealista, e qualche topo di biblioteca può veramente farci conto; ma chiunque abbia smesso di credere nel simpatico vecchione che porta i regali parimenti non può davvero pensare che quello sarà l'esito della vicenda.
    Eppure, le regole sono regole, e nei casi specifici sembra proprio che siano state violate (nel caso della lista del PdL a Roma poi la cosa è provata al di là di ogni ragionevole dubbio).
    La questione quindi è un'altra, e non meno appassionante delle elezioni in sé, almeno dal punto di vista del giurista.
    «Con che diavolo di motivazione i giudici del ricorso potranno riuscire a riammettere quelle liste?»
    Staremo a vedere tutti eccitati: perché sembra proprio una missione impossibile.

    Invictus

    Nel processo che lo sta portando a divenire il maggiore maitre à penser dei nostri tempi, Clint Eastwood ha creato un altro film che richiede un certo sforzo interpretativo per essere apprezzato appieno, proprio come il precedente (di cui avevamo parlato qui).
    Gran Torino non era un film sul razzismo, bensì sul dovere: le differenze e le inimicizie tra razze e popoli sono un tema ormai portante per il nostro regista preferito (si vedano ad esempio i due film su Iwo Jima), che però sfrutta sempre l'argomento per parlare, attraverso la diversità e il conflitto, di cose più elevate.
    Il tema di Invictus è la forza di volontà; anzi: la forza della volontà. La forza di una volontà di ferro che ha consentito a Mandela di resistere trenta e passa anni in una minuscola cella da cui usciva per spaccare pietre, e che gli ha fatto imparare la lingua, le usanze e il modo di pensare dei suoi nemici, sorretto avendo una poesia come unico compagno nei momenti di debolezza.
    La volontà che attraverso un'enorme senso di responsabilità (si torna al tema del dovere!) spinge il capitano Pienaar a trascinare la sua squadra verso la vittoria. A tal proposito è da fare un'applauso particolare a come è stata tracciata la figura di Pienaar, che risulta quasi scevro dall'ambizione sportiva nel raggiungimento del traguardo, come se avesse interiorizzato e condiviso il disegno assai più alto di Mandela, e si rendesse conto di quanto infimo sia il valore della coppa rispetto al progetto di costruzione di un nuovo Paese (e la battuta al cronista, dove egli caustico sottolinea che dietro gli SpringBoks ci sono 42 milioni di sudafricani è significativa).
    E la volontà è anche quella che consente a due squadre di guardie del corpo, che avrebbero ogni motivo al mondo per odiarsi, di lavorare insieme. Un altro regista avrebbe costruito una storia in cui alla fine i neri e i bianchi, tra loro colleghi, sarebbero diventati amici e si sarebbero bevuti una birra per festeggiare la vittoria. Eastwood si limita a farli sorridere insieme. Forzatamente, a comando, ma insieme. E il capo della squadra nera continuerà fino alla fine a odiare il rugby, forse non solo per motivi professionali. E il suo collega a non capire nulla della partita, fino all'ultimo; ma in tutto questo tempo avranno lavorato -e sorriso- insieme.

    Certo, era facile e scontato far emergere come un colosso la figura di Mandela. La sorpresa è Pienaar, che ne esce quasi alla pari: è lui il primo esegeta del pensiero di Mandela, che interiorizza e fa proprio: e così è lui ad accorgersi per primo che "i tempi sono cambiati", è lui a trascinare la squadra ad allenarsi nelle baraccopoli, è lui che fa da cinghia di trasmissione tra il Presidente e la squadra, che non ha capito che in gioco non c'è solo una coppa. Ed è lui a regalare alla famiglia quattro biglietti, non tre: perché ormai nel nuovo Sudafrica della famiglia fa parte anche quella che fino a pochi mesi prima era la serva, e ora è una collaboratrice domestica.
    Certo, un film così non poteva essere scevro di un po' di retorica: e il bambino nero che si avvicina alla macchina dei poliziotti, durante la partita, la rappresenta appieno. Il suo abbraccio finale è talmente scontato da acquisire un significato ulteriore: sembra messo lì a ricordarci che quella a cui abbiamo appena assistito è una favola, per quanto vera, dove secondo le regole bisogna chiudere con un e vissero felici e contenti.

    Un'ultima nota sulla godibilità del film: ci ho portato Nichita, che tra poco compirà 11 anni e quindi temevo che si potesse annoiare: in fondo non è esattamente un film d'azione, questo Invictus. Invece, grazie anche a qualche commento nel corso della proiezione per spiegargli il contesto e alcuni passaggi forse un po' troppo criptici per lui, ne è uscito entusiasta. Il che dimostra, ancor più, la grandezza dell'autore.