mercoledì 30 settembre 2009

Susanna Petruni

Io so che mi alienerò le simpatie di 18 dei miei 19 lettori, ma dato che ogni giorno c'è un tot di gente che arriva qui cercando su Liquida o Google "Susanna Petruni", e cade su questa pagina qui di contumelie, dove la Petruni è appena appena citata, devo farvi una confessione.
Io non so se la Petruni, che a quanto pare era in corsa per diventare direttrice di RaiDue, abbia santi in paradiso, sia l'amante di qualcuno o straraccomandata: possibile, forse anche probabile, ma non mi azzardo a dirlo perché proprio non ne ho idea.
Da molto tempo poi non vedo il TG1 e quindi non l'ho mai vista all'opera, e non posso farmene un giudizio; so per certo invece che non è a lei che va attribuito il famosissimo pezzo sugli ascolti del TG1 in occasione del terremoto: ben altre sono le responsabilità, a partire da quel santino infilzato del direttore.

Sta di fatto che il 16 agosto (pioveva a dirotto, in montagna) mi sono messo alla TV a vedere il Palio dell'Assunta. Non lo guardo mai, il Palio: ma avevo appena finito di leggere il Palio delle Contrade morte, di Fruttero e Lucentini, che mi aveva introdotto nell'atmosfera della corsa senese.
Ho scoperto che Susanna Petruni, che oltretutto è anche una bella donna*, presenta sempre, immancabilmente, il Palio e, udite udite, ho scoperto pure che lo sa fare.
In quell'occasione la mossa è stata lunghissima: forse quasi un'ora; e tuttavia lei e i suoi ospiti sono riusciti a non farmi annoiare e a farmi godere tutte le fasi; comprendendole per di più.
Ecco: così se qualcuno di nuova cercherà il suo nome e atterrerà qui, magari riuscirà a trovare qualcosa che rispecchi meglio il mio pensiero.

* sì, lo so che questo inciso non c'entra nulla, ma non sapevo dove metterlo

Prescrizione e pensiero classico

Due notarelle per chiarire il mio pensiero in tema di prescrizione e rispondere ai commenti di ieri.
E' evidente che gli USA non conoscono la prescrizione per il reato di stupro; Wikipedia dice che l'assenza di prescrizione per i reati gravi è caratteristica comune ai sistemi di Common Law, e prenderò per buona tale affermazione senza fare ulteriori ricerche.
Ma questo non sposta il ragionamento di ieri: vale a dire che, perlomeno secondo la nostra sensibilità giuridica (o la mia, se preferite) è inammissibile che un crimine pur grave come lo stupro possa essere perseguito anche dopo trenta e passa anni dalla sua commissione. Notate che il fatto che negli USA tale reato sia perseguito malgrado il decorrere del tempo non è un argomento dialetticamente valido: negli USA praticano le iniezioni letali, e credo che nessuno dei miei lettori abbia simpatia per tale pratica, né si faccia scrupolo di parlarne male. In altre parole: l'esistenza (o l'inesistenza) di un certo istituto nella realtà fattuale non è ragione sufficiente a giustificare l'esistenza (o l'inesistenza) del medesimo da un punto di vista etico.
Mi allontano un secondo dal seminato per entrare nel merito del caso Polanski e rammentare che la vicenda giudiziaria è tutt'altro che chiara, dal momento che -a quanto ho capito- il medesimo aveva dapprima patteggiato una pena, poi era stato incriminato di nuovo per il medesimo fatto, sia pur con un altro titolo e, a quanto pare, il comportamento della pubblica accusa è stato ben poco limpido. Osservo questo e torno subito al punto, dato che non mi interessava tanto trattare della posizione personale del regista bensì dell'istituto in sé.
Ipazia fa notare che « Ci sarebbe poi tanto da dire sul fatto che non è che dopo trent'anni i danni eventuali perpetrati da uno stupro sulla psiche di una donna passino. E che il nostro senso di giustizia si basa anche sulla necessità di una anche simbolica retribuzione, prima che della rieducazione»; e siamo d'accordo sulla prima parte, ci mancherebbe. Ma la pena, nel diritto occidentale moderno, non è fatta per consolare o ripagare la vittima, bensì per proteggere la società. Basti pensare che, se così non fosse, il perdono della vittima o addirittura la sua dichiarazione di non volere la punizione del colpevole (come nel caso di specie sembrerebbe che sia) sarebbero valide scriminanti. Lo Stato non è il braccio vendicatore della vittima e/o dei suoi familiari, e benché tale atteggiamento sia ben presente negli USA, come ci insegnano tutti i film in cui l'esecuzione del condannato sembra essere messa in scena soprattutto ad uso dei figli o dei genitori dell'ammazzato, ciononostante questo non è, nuovamente, un atteggiamento eticamente corretto.
In Arabia Saudita, per dire, la punizione del colpevole di lesioni personali (e credo proprio anche di omicidio, perlomeno colposo) è sostanzialmente rimessa all'arbitrio della vittima o dei familiari, i quali possono perdonare il colpevole, dietro compenso, o pretendere che marcisca in galera. Bene: vi sembra che ciò risponda ad un elementare principio di giustizia? E, se lo credete, vi rendete conto che questo tipo di concetto della pena comporta la sostanziale impunità per chiunque sia sufficientemente ricco da potersi comprare il perdono a qualunque prezzo?
Veniamo poi alla seconda parte del commento di Ipazia, che adduce la necessità di una simbolica retribuzione prima che della rieducazione. Abbiamo detto che la rieducazione è solo uno dei tre pilastri del diritto penale moderno, e certo il più recente dei tre, gli altri due essendo la prevenzione generale e la prevenzione speciale. E' facile, in particolare, confondere la retribuzione con la prevenzione generale, in quanto tali principi possono essere efficacemente sintetizzati nel concetto di "pagare il prezzo"; ma in effetti le cose sono molto diverse. L'una è la consapevolezza che se si commetterà qualcosa di antisociale se ne dovrà pagare il prezzo: concetto strettamente utilitaristico teso a distogliere il delinquente dal crimine per il fatto stesso che il vantaggio dell'azione criminosa sarà più che compensato, in negativo, dalla punizione; l'altro è il concetto per cui bisogna pagare il prezzo di qualcosa di antisociale che si è commesso: e ciò ha come unici possibili fini la vendetta o la salvezza dell'anima, tanto che Platone, che non si poneva il problema della salvezza dell'anima, teneva fermo nel Protagora solo il tema della vendetta, quando parlava della pena come retribuzione:
Nessuno punisce coloro che commettono ingiustizie per il semplice fatto che sono stati ingiusti, a meno che non voglia vendicarsi in modo irrazionale, come una bestia; chi, invece, vuole punire secondo ragione, non vendica l’ingiustizia commessa - dal momento che non può annullare ciò che è stato - ma punisce in vista del futuro, affinché non venga commessa ingiustizia di nuovo, né da quello né da un altro che lo veda punito,
concetto poi ripreso da Seneca nel De Ira I,19: non praeterita sed futura intuebitur (nam, ut Plato ait, nemo prudens punit quia peccatum est, sed ne peccetur; reuocari enim praeterita non possunt, futura prohibentur) et quos uolet nequitiae male cedentis exempla fieri palam occidet, non tantum ut pereant ipsi, sed ut alios pereundo deterreant.
Queste argomentazioni mi sembra rispondano anche al dubbio di Hound. Lo ribadisco, la rieducazione e il reinserimento nella società non sono che uno dei pilastri del diritto penale; il pilastro più recente e quello con maggiore evidenza, oggi, anche perché esplicitamente inserito quale fine della pena nella nostra Costituzione; la quale tuttavia non esclude gli altri, come enunciato dalla stessa Corte Costituzionale, nel riconoscere la legittimità della pena dell'ergastolo.
Quanto al lasso di tempo che deve trascorrere perché la prescrizione si verifichi, la risposta più semplice è che deve trattarsi di un lasso di tempo ragionevole: e quindi non eccessivo, in quanto si vanificherebbe l'istituto della prescrizione della cui ragionevolezza abbiamo faticosamente cercato di dar prova, né troppo breve per evitare che la prescrizione si tramuti in promessa di impunità. Sta poi a ciascun ordinamento giuridico trovare la formula oggettiva per definire tale tempo, che certo dovrà essere modulato secondo la gravità del delitto commesso: e ciò sempre al fine di tener fermo il pilastro general-preventivo della pena e il rapporto di necessaria disutilità tra crimine e punizione.
E questo ci porterebbe ad esaminare il tema della prescrizione nell'ordinamento italiano d'oggi, dopo la cosiddetta legge ex Cirielli; ma ormai è tardi e riprenderò l'argomento un'altra volta.

martedì 29 settembre 2009

Roman Polanski e la salvezza dell'anima

Si fa un gran parlare di Roman Polanski, in questi giorni, e un po' dappertutto ci si pone una quantità di problemi.
Chi si chiede se egli debba essere o meno ricompreso nella categoria dei pedofili, dal momento che la tredicenne che avrebbe stuprato dimostrava molti più anni di quanti ne avesse; chi solleva la questione del consenso prestato dalla medesima, e chi risponde che tale consenso, proprio perché espresso da una tredicenne, non vale nulla; chi pone il tema del parallelismo tra la vicenda in questione e lo stupro-omicidio di Manson; chi fa notare il genio del regista e vede in esso un'attenuante, una scriminante o perlomeno un buon motivo per il quale egli dovrebbe ricevere la grazia presidenziale, e chi invece ritiene che un simile trattamento preferenziale sarebbe inammissibile. Le grandi firme del giornalismo italiano (e forse mondiale, ma noi siamo provinciali e ci occupiamo di casa nostra) oggi pubblicano articoli ricchi di buon senso: le Rodotà e le Aspesi danno il meglio di sé.
I blog seguono a ruota.

Lasciamo perdere la questione del se Barack Obama debba o meno concedere la grazia: che è una sciocchezza per il semplice motivo che lo stupro è un reato statale e non federale e quindi rivolgersi ad Obama sarebbe come rivolgersi a Barroso per chiedere la grazia per la Franzoni (certo, sarebbe bello che chi ha la possibilità di scrivere per il pubblico tentasse di informarsi prima di prender la tastiera in mano: ma è una questione su cui oramai abbiamo rinunciato ad insistere). Veniamo al sodo, quindi.
Mi sembra che ben pochi, tra coloro che ho letto, abbiano rilevato questa semplice e ovvia constatazione: che i fatti di cui si sta parlando sono avvenuti 32 anni fa, e che quindi, indipendentemente dalla circostanza che Polanski sia un grande regista oppure un grande bancario o un grande netturbino, esiste un istituto del diritto naturale chiamato prescrizione.
Coloro che credono di aver appreso l'educazione civica leggendo gli scritti di Travaglio e Grillo riterranno che la prescrizione sia un qualcosa inventato da Cirielli per salvare il culo di Berlusconi; fatevi forza: così non è.
Fino alla fine del XVIII secolo la prigione non era considerata una pena: era semplicemente un modo di garantire che l'accusato di un crimine non avesse modo di sfuggire alla giustizia prima del processo: processo a seguito del quale gli sarebbe stato inflitto il castigo, fosse questo la morte, la gogna, l'ammenda, la confisca dei beni, l'esilio e via discorrendo. Anche la galera, intesa come servizio sulle navi del Re, o i lavori forzati. Nessuno si sognava di ritenere che privare taluno della libertà fosse una pena in sé, non foss'altro perché quel taluno avrebbe dovuto essere alimentato, vestito e riscaldato, con scupìo di danaro reale che sarebbe stato, letteralmente, buttato via; senza la minima utilità.

In effetti l'unico ordinamento a fare della reclusione una pena fu la Chiesa, e per un semplice motivo: l'afflizione conseguente alla condizione di recluso era vista come un'anticipazione nella vita terrena delle sofferenze dell'aldilà, e come strumento per stimolare quell'esame di coscienza e quel pentimento che avrebbero consentito di sottrarre un'anima al demonio. E' quindi nel diritto canonico che si sviluppò quel concetto ora noto come retribuzionismo, secondo il quale la pena è un prezzo da pagare per il male commesso. Prezzo che, nella tradizione cristiana e poi tridentina, era il quantum da pagare per l'espiazione del peccato.
A tale concezione si contrappone radicalmente quella hobbesiana, ripresa da tutto il secolo dei Lumi e in particolare dal nostro Beccaria, secondo la quale la pena costituisce anzitutto un esempio: punendo chi delinque lo Stato dimostra la sua volontà di far rispettare le leggi e in questo modo fa sì che chi sarebbe intenzionato a delinquere si ricreda, a fronte dell'esempio costituito dalla punizione altrui. E' questa la corrente detta della prevenzione generale, che vede nella pena una sorta di vaccino somministrato, per mezzo del reo punito, a tutta la società. Chi ha letto Beccaria, e non sono poi moltissimi che l'hanno fatto bene, sa quanto il Dei delitti e delle pene sia crudele, trattando il reo come carne da macello da sfruttare per il bene sociale; e vi assicuro che il code pénal francese del 1790, nella sua bozza redatta da Lepeletier de Saint-Fargeau sulla base della pedissequa applicazione dei principi illuministici del pensatore milanese e che pertanto non prevedeva la pena capitale, è una lettura da togliere il sonno, resa molto più umana nella sua versione definitiva del 1791 dalla reintroduzione della pena di morte: e per quanto ciò sembri un paradosso vi assicuro che è proprio così.
In parallelo rispetto alla prevenzione generale, e con basi storiche ben più profonde, c'è sempre stata la prevenzione speciale, che in poche parole significa togliere d'intorno i soggetti pericolosi. E' un'esigenza di difesa sociale questa sempre esistita e in vario modo attuata: vuoi con il bando, vuoi con la detenzione amministrativa (vale a dire l'imprigionamento ordinato non già da un potere giudiziario bensì dal governo, analogamente al confino che noi italiani ben conosciamo).
Buon'ultima, solo in età recente, la società ha sentito il bisogno di caricare la pena di un ulteriore significato e scopo: la riabilitazione o rieducazione del reo: vale a dire l'utilizzo del tempo della pena per impartire un trattamento teso a far sì che il soggetto deviante (che può esser tal per educazione, ignoranza, bisogno discendente a sua volta dalla mancanza di una professionalità spendibile) possa essere restituito integro e riadattato (e produttivo!) alla società, pronta ad accoglierlo nel suo seno.

Prevenzione generale, prevenzione speciale, rieducazione: questi sono i fondamenti della pena nelle società moderne occidentali che, a differenza di altre realtà orientate in senso teocratico, non credono più che la salvezza dell'anima sia uno scopo dello Stato (in effetti anche la filosofia hegeliana era ispirata a ciò che potremmo chiamare una sorta di neo-retribuzionismo; ma non addentriamoci troppo in tecnicismi).
In questo quadro, è evidente che la prescrizione diventa un corollario della pena: con il decorso del tempo infatti nessuno degli elementi che dovrebbero giustificare l'applicazione di una pena può essere più considerato valido. Non si può parlare di rieducazione, dato che il soggetto dopo molti anni è ormai perfettamente inserito nella società, né di prevenzione speciale dato che egli non delinque più. Né la pena irrogata potrebbe ormai essere considerata un deterrente per eventuali altri criminali, ché anzi il lasso di tempo intercorso non dimostrerebbe null'altro che la possibilità di sfuggirvi.
Considerazioni applicabili perfettamente al Polanski, del quale tutto si può dire salvo che sia un cittadino men che ligio alle leggi o poco inserito nel tessuto sociale. Certo, rimane l'onta del crimine impunito: ma i trent'anni passati rendono così flebile il legame tra delitto e castigo da non giustificare l'applicazione di una pena quale che sia. Qualche femminista integralista potrebbe ben considerare che lo stupro sia un crimine tanto orrendo da non giustificare alcun oblio, al pari del genocidio; ma lo stupro, per quanto orrendo e per quanto perpetrato nei confronti di un minorenne, non è un crimine equivalente al genocidio, no!: e se vogliamo mantenere un senso delle proporzioni nelle cose umane dobbiamo ammettere che ci sono crimini orrendi che sono meno orrendi di altri crimini ben più orrendi; e conformare le leggi a tale principio.
Dimentichiamo quindi il nostro perverso regista: e dimentichiamolo non in quanto autore di Frantic o di Rosemary's Baby, bensì in quanto persona qualunque, che come chiunque altro ha diritto a veder cancellato il crimine e la pena dopo un ragionevole numero di anni. La sua anima forse si perderà: ma questi non sono fatti nostri.

Matteo /2

Oggi Matteo non solo scrive un articolo sul PD che condivido fin nelle virgole*, ma oltretutto contiene l'affermazione che Keith Moon era dio; e tutto ciò mi ricorda di quella volta che (se ben rammento all'Orfeo, nel 1984) ci fu un concerto di Cecil Taylor.
Non è proprio un concerto facile, Cecil Taylor, anzi! E oltretutto io e Federico poi avremmo dovuto passare la notte ad attacchinare per Loris Zaffra, nome che per taluno sarà tristemente evocativo (e voglio tranquillizzarlo dicendo che non lo facevamo perché ci piacesse ma solo perché ci pagavano).
Così, alla fine del concerto eravamo abbastanza stremati, ma pur ci dicevamo -«che bello», dato che a diciannove anni hai ancora il candore -o l'idiozia- di dire -«che bello» quando sai che un concerto dev'essere bello per forza; e ciò anche se in realtà hai la netta impressione che se fossi andato tu, lì sul palco a pestare tasti a caso, nessuno si sarebbe accorto della differenza.
Le luci si erano già accese, il pubblico si alzava, e a un tratto Taylor si è messo a suonare: musica classica, divinamente: non certo per farci vedere, caso mai avessimo dubbi che lui sapeva suonare: forse solo per passatempo. Ma noi cogliemmo il fatto che sapeva suonare.
Ecco, Matteo oggi mi ha fatto lo stesso effetto, e oltretutto ha detto che Keith Moon era dio.

* e perfino nel sapiente uso del punto e virgola.

lunedì 28 settembre 2009

Standing ovation

A .mau.
visto che adesso il portavoce PdL è Daniele "sciarada incatenata" Capezzone

The Rise and Fall of Silvio Berlusconi /2


Le radiose previsioni che azzardavo in questo pezzo pubblicato il giorno della ormai strafamosa apparizione del PresConsMin a Porta a Porta sembrano confermarsi sempre più con il trascorrere dei giorni.
Segni inequivocabili di questa fine del mondo (del mondo che conosciamo da tre lustri e con cui abbiamo dovuto imparare a convivere malgré nous) sono arrivati già nella stessa serata, quanto Bruno Vespa ha dato sulla voce a Berlusconi, trattandolo in modo non solo irriguardoso ma persin sgarbato.
Cosa che il vero Vespa, con un vero potente, non avrebbe mai osato; e quindi delle due l'una: o Vespa si è bevuto il cervello o Berlusconi non è più così tanto potente.
Il dubbio poteva rimanere, assillante, per molte settimane; e benché giorno per giorno il Caro Presidente ci ricordasse sempre più un pugile giunto al decimo round a forza di stricnina, la quale tuttavia non può impedire che i pugni ricevuti rendano sempre più confusi i movimenti del malcapitato, non ci era ancora stata fornita un'ulteriore prova provata di questo stato di cose.
Certo, la stampa estera dileggiava: ma quelli sono comunisti, e non contano.

Ci pensa oggi il Corriere, a riaccendere il fuoco del nostro entusiasmo. Il Corriere della Sera, il quotidiano per definizione "governativo" a prescindere da chi sieda a Palazzo, Venezia o Chigi: che oggi pubblica un articolo che prende per il culo l'apparizione di Berlusconi alla festa del PdL con un tono così insolente, ma così insolente, che se Ghedini fosse coerente con sé stesso dovrebbe chiedere al Corriere la stessa somma azionata nei confronti di Repubblica per le dieci domande, ma con uno zero in più.

venerdì 25 settembre 2009

Ti sospendo!

A nulla è valsa la difesa abbozzata, non senza imbarazzo, davanti allo sguardo perplesso dei colleghi: «La scena è stata fraintesa, mi era caduta la penna sotto il tavolo della sala colloqui». Niente da fare: con i suoi comportamenti, ha sentenziato l’Ordine, la donna ha disonorato la professione.

Si vede che non è lo stesso Ordine a cui è iscritto l'avvocato del premier.

giovedì 24 settembre 2009

Lost in communication

No, non ci sono solo i traduttori di West Wing a meritare cento frustate e una bella strofinata di sale grosso sulle ferite.
Anche chi ha scritto questo comunicato stampa dimostra di non aver fatto il liceo sul lago d'Iseo, o perlomeno di non averlo fatto con il professore che ho in mente io il quale, ne sono certo, gli avrebbe fatto fare per punizione la traversata a nuoto dalla sponda bergamasca a quella bresciana, una gelida mattina d'inizio febbraio.
“XXXXXXXX Collection - afferma Mario Rossi, promotore del progetto - si configura come centro polifunzionale con attività eterogenee, un progetto innovativo, di grande portata e di elevata qualificazione per chi vorrà farne parte attivamente. Un luogo dove la cultura trascina fashion, retail, strutture congressuali e direzionali di livello qualitativo. Tutto in una condivisione all'insegna della filosofia - made in Italy. Non solo boutique, marchi, ma luogo di aggregazione e scambio per promuovere operazioni di business tra operatori di settore italiani ed europei e le controparti attive e qualificate provenienti principalmente dal bacino geografico di Russia, Medio Oriente, Asia e Oceania. Un luogo per sfilate, eventi fashion. L’identità del progetto, nonché i suoi elementi costitutivi sono quindi i fattori di distinguo che permettono a XXXXXXXXX Collections di caratterizzarsi e di essere un progetto in linea con i tempi e le necessità dei nostri imprenditori.”

Internet 3.0: un anticipazione del futuro


(che poi riprende anche un discorso affrontato nel mio post "Trilioni di negri")

mercoledì 23 settembre 2009

Lost in translation /2

La mia professoressa di Inglese 2, ai tempi in cui imparavo faticosamente l'idioma nei corsi serali di Scienze Politiche, spiegava che per la prova d'esame (traduzione dall'inglese all'italiano) avrebbe messo a disposizione il vocabolario, ma d'italiano!
Qualche tempo dopo ho cominciato a capire il perché, leggendo certe castronerie scritte da persone che magari l'inglese lo sapevano comprendere meglio di me, ma dimostravano di avere una conoscenza pari a zero della propria lingua madre, e di conseguenza non riuscivano a esprimere i più banali concetti del testo straniero.

Il problema certo non tange i traduttori di West Wing: un gruppo di elboniani che non conoscendo né la lingua di partenza né quella di arrivo hanno sparato una ridda di parole a caso, e per puro culo sono riusciti a dar loro un senso compiuto.
Certo, il loro capocapanna sarà stato contento quando, arrancando nella mota, il drudo di turno gli avrà portato la traduzione di S02E16 (Somebody's going to Emergency, Somebody's going to Jail) facendogli notare, tronfio, di non essere caduto nel tranello del falso amico pardon, che un linguista meno scaltro avrebbe impropriamente trasformato in perdono, no!
Il bravo Elboniano*, andatosi a prendere un vocabolario e confrontatosi con il lontano cugino ***, l'assessore trezzanese di cui abbiamo parlato qualche tempo fa, ha pensato bene di usare il termine "indulto".
Ora, lo sanno anche i sassi che i Re concedono le grazie, e che tale privilegio sovrano spetta nelle repubbliche ai Presidenti. Ma senza voler andare così lontano, converrete che, d'istinto, il primo sostantivo che viene in mente a un qualsiasi cretino, con riferimento all'atto del graziare qualcuno è "grazia", non certo "amnistia" né "indulto". Bisogna quindi pensarci su con molta attenzione, per sbagliarsi.
Si vede che una volta deciso di sbagliarsi, l'Elboniano si è detto: -"fatto 30, facciamo 31", e quindi dei due termini rimanenti ha scelto "indulto". Che non ha il minimo senso, dato che il graziando, nella finzione del telefilm, era morto una cinquantina d'anni addietro, e quindi in galera non poteva più starci, per evidenti ragioni. Fosse stato italiano, il traduttore avrebbe saputo dalle reminiscenze di educazione civica delle elementari che l'indulto estingue la pena mentre l'amnistia estingue il reato; e che ad un morto l'estinguere la pena non può servire a una fava, a differenza dell'estinzione del reato, che smacchia l'onta della condanna. Ma l'elboniano no, testardo, ha deciso di far l'Elboniano fino in fondo.

Qualche tempo prima suo cognato era stato incaricato di tradurre S01E20 (Mandatory Minimum): letteralmente "minimo obbligatorio". Il cognato, furbo anch'esso come un cervo, si dev'essere messo nei panni del poco smaliziato spettatore italiano quarantenne, nel quale la parola "minimo" nuda e cruda avrebbe evocato la vite zigrinata di regolazione del carburatore del Ciao (del Garelli quattro marce per i più abbienti): e ha deciso di specificargli di che cosa si stesse trattando rititolando "il minimo della pena".
E così, in tutto l'episodio sentiamo dire che applicare "il minimo della pena" per i consumatori di crack è razzista perché la maggior parte di essi sono neri, mentre i consumatori di cocaina sono bianchi.
E io stavo lì ad arrovellarmi: perché il presidente di WW, per chi non lo sapesse, non è mica abbronzato: né lo è alcun membro dello staff: e allora di che diavolo di razzismo stiamo a parlare, se si parla di applicare il minimo della pena alla droga consumata dai neri e non a quella consumata dai bianchi?
Fortunatamente in rete si trovano le trascrizioni delle puntate, e così vengo a scoprire che nel testo in realtà si parlava di pena minima obbligatoria, non di minimo della pena: che sono espressioni che sembrano simili solo ad un evisceratore di polli al termine di una dura giornata di lavoro**.
Vale comunque la pena, tutto ciò: perché finisce che alcune puntate me le vedo due volte: la prima senza capire una mazza, e la seconda capendola.

* trattasi di maiuscola da superfetazione, casomai qualcuno volesse eccepire
** se non avete idea di come sia la giornata di lavoro di un evisceratore di polli, non avete idea di cosa sia un lavoro duro

Teniamo la destra!

Conoscete tutti la colonna di destra di Repubblica e sapete tutti quali nefandezze e corbellerie si nascondano tra un paio di tette e un paio di chiappe.
Oggi, invece, c'à anche una piccola perla: un articolo sul Negroni, che spiega che nel medesimo ci vuole il Carpano.
Oramai dovunque i barman ci sbattono dentro il Martini Rosso che, passatemi il lieve eufemismo, dà al Negroni uno spiccato retrogusto di topo morto. E ciò è un problema, ma non insormontabile, se solo potessi chiedere di fartelo come si deve e non come i giovinastri pensano che vada fatto.
Il problema vero è il 95% dei barman pensano che Carpano sia una marca di biciclette, o frigoriferi; e se pronunci la locuzione "Punt e Mes" ti guardano con compassione, e chiedono se ce la fai a tornare alla Baggina a piedi, o vuoi che ti chiamino un tassì.

Pane al pane

Ho sfogliato il PDF del primo numero del Fatto (che nel caso potete scaricare qui, dato che il server del giornale è impallato).
Posso quindi esprimere il mio giudizio, e dichiarare che non condivido l'opinione di Gatto Nero, secondo cui il Fatto sarebbe il corrispettivo di sinistra di Libero.

No, il Fatto è ben peggio di Libero. Nei contenuti, nella grafica, nella petulante faziosità; che sempre faziosità è, anche quando sta dalla parte giusta (ove, peraltro, il Fatto non sta neppure, tutto preso dai propri travagli interiori).

A Cesare qual che è di Cesare

La linea di Bersani:
Le primarie per l’elezione del segretario nazionale richiedono nuove regole ispirate a due criteri: non devono trasformarsi in un plebiscito e non possono essere distorte da altre forze politiche.
Quella che a Gilioli e a Civati sembra una sconcezza, a me sembra una banale manifestazione di buon senso.

Quindici fermate

Visto che nei giorni scorsi ho parlato di West Wing, tanto vale che racconti come ho conosciuto la fortunata serie.
Diciamo anzitutto che tra tutti i mille problemi che i traduttori italiani le hanno creato, la scelta del titolo riveste un'importanza non secondaria. West Wing - tutti gli uomini del Presidente fa schifo, puramente e semplicemente; ma non è questo il punto: è proprio che per le serie non ci faccio, come dire, una malattia. Certo, è un argomento che ho visto tornare a più riprese nelle chiacchiere in rete, e quasi sempre in toni elogiativi, ma ciò non è bastato a farmene interessare.

Io abito a un paio di centinaia di passi dalla Baggina, storica e benemerita istituzione milanese fondata nei tempi in cui Giorgio Washington era ancora un suddito di Sua Maestà Britannica Re Giorgio III, e il secondo articolo della Costituzione degli Stati Uniti ancora nella penna di Madison. Un ulteriore paio di centinaia di passi più in là abitava una storica e benemerita esponente della blogosfera italiana la quale, a seguito dell'impacchettamento della casa e di tutta una serie di motivi ampiamente descritti sui suoi blog, ha recentemente deciso di cambiare aria, rendendo tutti i lettori partecipi delle sue vicissitudini (dico questo solo per chiarire che non sto certo rivelando chissà quale segreto!)
Alla fine Aurelia (useremo un nome di fantasia, per rendere del tutto impossibile al lettore il capire a chi ci riferiamo) ha trovato casa: come ovvio non ne conosco l'indirizzo, ma ho capito che la nuova abitazione si trova a una quindicina di fermate circa del metrò rispetto alla precedente.
Ora, quindici fermate possono sembrare un'inezia per chi ogni giorno si fa trenta chilometri di macchina o magari un'ora di treno per andare al lavoro; e così trasferirsi in un altro quartiere appare persino banale, per chi vive in questo grande mondo globalizzato di manager che si svegliano a Mosca, pranzano a Londra e vanno a teatro la sera a New York.
Sta di fatto che i milanesi, che pur si vantano d'essere i più metropolitani tra gli italiani, hanno in realtà un fondo di provincialismo duro a togliersi come la crosta di un arrosto attaccato alla casseruola.
Io, per dire, piuttosto che spostarmi dal mio quartiere per l'Isola, Città Studi o Niguarda, preferirei abitare a Lione, a Saragozza o a Düsseldorf (e notate che non ho detto Parigi, Madrid o Berlino, ché: -"bella forza", mi avreste risposto!)
Mia sorella, per dire ancor più, ha vissuto in Oregon, a San Diego e a Lecce: ma quando si è trattato di tornare a Milano ha preso casa in via Forze Armate, pur lavorando ad Agrate: e se andate su Google Maps capirete che non sembra un'idea furbissima, a prima vista. Il mio più caro amico ha abitato in Mongolia per un paio d'annetti, ma non riusciva a sopportare quei tre-quattro anni che ha dovuto trascorrere dalle parti di piazzale Loreto.
Non so se Aurelia condivida questo modo di sentire: magari le liquiderebbe come sciocchezze, dato che forse il modo di pensare mio e dei miei amici è vecchio e sorpassato. Tuttavia, non foss'altro per il gran parlare che ella aveva fatto del suo trasloco, e per la vicinanza che si crea d'istinto con persone di cui si sa vita morte e miracoli pur non avendole mai viste di persona, non potevo non soffermarmi a pensare a quel trasferimento con un velato senso di compassione, nel senso squisitamente etimologico del termine, quel paio di volte che nelle mie passeggiate serali d'agosto passavo sotto quella casa tutta imbacuccata e ormai vuota.
E' così che un giorno su FF vedo comparire questa riga: "casa è dove risuona, enfin, la sigla di West Wing"; e mi dico: accipicchia, se la sigla di questa trasmissione è capace di far sentire a casa chi è andato ad abitare dall'altra parte del mondo conosciuto, a quindici fermate di metrò, tra i leoni, insomma; allora dev'esserci proprio qualcosa di buono.
E quindi sono arrivato a casa, ho preso il Mulo e ho iniziato a farlo lavorare un po'; e così adesso ho finito la seconda serie, e mi accingo alla terza.

martedì 22 settembre 2009

Note to self: no more dubbed movies!

Premessa:
Chi frequenta da un po' queste paginette sa bene di avervi letto ben pochi termini inglesi, inseriti nel discorso solo nei casi in cui non se ne poteva proprio fare a meno, per inesistenza o manifesta inferiorità del corrispondente termine italiano (provateci, voi, a tradurre directory con raccolta ordinata di archivi elettronici senza farvi ridere dietro! e non provateci, invece, a dire direttorio, che di Direttorio io ne conosco solo uno.)
La mia idiosincrasia verso l'inutile uso di prestiti e calchi (definizioni per la decodifica delle quali vi rimando all'ottima Licia Corbolante) è nota; e ancor più quella verso la supina introduzione nel lessico di parole inglesi che vengono sfruttate per mera pigrizia intellettuale da chi voglia esprimere un concetto scopiazzato altrove, o addirittura da colui che voglia aderire a un modello stilistico ritenuto vincente in ambito professionale.
Come scrivevo in un post di qualche tempo fa, è per me una sorta di punto d'onore scrivere in italiano, anche qualora i tecnicismi della materia potrebbero rendere più facile l'importazione di terminologia inglese: e potete ben capire quanto inglese si possa sentire in una banca d'affari!
Non è però che tale mio atteggiamento sia dettato da una presunzione di superiorità dell'italiano sull'inglese: mi indigno infatti allo stesso modo quando coloro stessi che non esitano a scrivere deal al posto di accordo e loan al posto di finanziamento, tutto d'un tratto diventano più nazionalisti di Starace, e ti piazzano un bancarotta in luogo dell'inglese bankruptcy: traduzione che non solo è profondamente sbagliata, se si sta parlando di un Chapter 11 americano, in quanto la parola italiana indica un reato, ma di cui non si sentiva minimamente il bisogno e che appare anzi ridicola quando esce dalla penna del medesimo imbrattacarte che poco prima non si è peritato di scrivere stakeholders, e oltretutto per indicare gli azionisti!


Fatta questa lunga premessa, potete ben capire come io sia tutt'altro che pregiudizialmente contrario al tradurre il più possibile dei termini inglesi quando si doppia un film: e tradurli nel vero senso della parola, che non significa scimmiottare.
I traduttori della versione italiana di West Wing tutto ciò non l'hanno minimamente capito, e hanno fatto un tale scempio di una splendida serie televisiva: così piena di qualità da riuscire, nonostante il disastro del loro lavoro, a meritare comunque di essere vista.
Certo, direte, potresti guardartela in inglese: sfortunatamente la mia conoscenza di tale lingua, che pur mi consente di leggere la sceneggiatura, non mi permette di capire una sola parola di tutto ciò che si dice, e i sottotiloli non rappresentano una soluzione dal momento che gli attori parlano con la velocità del fulmine. Mi tocca quindi la versione italiana, e i travasi di bile che essa comporta.
Un esempio, su tutti. Quasi in ogni episodio qualcuno presenta a qualcun altro Leo McGarry come "capo del personale" della Casa Bianca. Chiunque abbia mai lavorato -e ciò spiega perché i traduttori della serie ne siano ignari- sa che un capo del personale è colui che seleziona, assume e licenzia gli impiegati, ne cura le retribuzioni, i rapporti sindacali, segue i procedimenti disciplinari e via discorrendo. E' un ruolo di responsabilità, ma non ha nulla a che vedere con il potere vero.
Leo McGarry è il Chief of Staff: il che vuol dire che è il capo dello Staff, cioè dell'insieme delle persone che formano la più immediata e stretta cerchia dei consiglieri del Presidente. E', insomma, quello che comanda alla Casa Bianca, e certo non si occuperà delle retribuzioni e dei sindacati, la cui gestione lascerà a... un capo del personale!
Cos'avrei fatto io se fossi stato il traduttore? Avrei valutato anzitutto come si chiama in Italia l'analogo del Chief of Staff, scoprendo che esistono il Segretario Generale alla Presidenza della Repubblica e il Segretario Generale alla Presidenza del Consiglio: e avrei chiamato McGarry Segretario Generale, senza alcun dubbio.
Certo, si sarebbe perso quel "capo" che può impressionare il pubblico di Buona Domenica. Ma, obiettivamente: credete davvero che il pubblico di West Wing, una delle serie più carente di gnocca nella storia della televisione, sia lo stesso di Buona Domenica? L'attrattiva di West Wing sono i meccanismi del potere e l'applicazione dei principi montesquiviani: il suo pubblico non si sarebbe impressionato a non sentire un termine "capo" per designare il Capo: avrebbe accettato "segretario", e l'aggettivo "generale" l'avrebbe convinto, in caso di dubbio, che con tale appellativo non si volesse indicare il capo dei dattilografi.
Non andava ancora bene? Si voleva proprio lasciare il termine "capo"? Allora si poteva andare su Wikipedia, che traduce Chief of Staff con Capo di Gabinetto. Si tratta di una traduzione buona ma non eccellente, perché il termine evoca perfettamente il ruolo della carica per l'ascoltatore italiano (salvo per il pubblico di Buona Domenica, al quale Gabinetto evoca il gabinetto), ma pone poi il problema dell'esistenza, nel sistema di governo degli USA, di un Cabinet che è tutt'altra cosa rispetto allo Staff, e del quale il capo dello Staff non è minimamente capo. Né il Cabinet è il nostro Governo, dal momento che il Governo negli USA è incarnato nel Presidente, che delega al Cabinet che risponde a lui solo.
Pericoloso, quindi, quel "Capo di Gabinetto", e fuorviante. Che fare, allora?
Ma, buon Dio, perché diavolo non lasciare "Capo dello Staff"? Certo, Staff non è una parola italiana, ma di tutte le castronerie inglesi che si sentono, staff è una di quelle che è entrata nell'uso più quotidiano; al punto che chi si rifiutasse di dire "staff" in nome della purezza della lingua non potrebbe certo adoperare il termine "computer", che dovrebbe sostituire con "elaboratore elettronico".
In conclusione: dato che in West Wing i computer vengono correntemente chiamati "computer", allora Leo McGarry avrebbe dovuto essere chiamato Capo dello Staff, se non addirittura Segretario Generale.

lunedì 21 settembre 2009

Filibustiere

Se c'è un inferno dei doppiatori, coloro che hanno partecipato allo scempio di West Wing meritano di finire nella Giudecca.
E colui che in 2x17 ha osato tradurre «filibuster» con «filibustiere» è, egli sì, un filibustiere.

Update: e «bipartisan» con «bipartitico»

The times they are a-changin'

Apprendo da un post che parla di molto altro - e vorrei dire che l'apprendo con una certa sorpresa ma, ahimé, oramai non mi sorprendo più di nulla - che adesso al liceo i voti vengono scritti anche sul libretto, quello che ai miei tempi serviva solo per le giustificazioni delle assenze.
Al liceo, non alle elementari: ed è questo che, se vogliamo, mi sorprende, dacché a mio figlio, che fa le elementari, i voti vengono dati sui quaderni e non sul libretto.
Un anno fa frequentavo con una certa assiduità una signora che insegnava in un liceo: ed ho vissuto anche una stagione di scrutini, comprensibilmente faticosi dacché la sventurata aveva ben 18 classi da scrutinare*.
Fu in quell'occasione che scoprii che adesso quando un giovine prende un'insufficienza o addirittura viene bocciato, la scuola non si limita ad affiggere la condanna sul tabellone, appeso oltre i vetri dell'ingresso, ma fa precedere la ferale notizia con una raccomandata alla famiglia.
Ciò, mi è stato riferito, non tanto al fine di assicurare che i congiunti abbiano debita conoscenza delle carenze cognitive del pupillo, e possano quindi disporre gli idonei strumenti correttivi**, bensì -e questa è grossa, se mi passate la citazione colta- per evitare che lo studente poco diligente si abbandoni a gesti sconsiderati.
Chi ha lavorato un paio di settimane in organizzazione capisce bene (e il sottoscritto capisce meglio, avendovi lavorato cento volte tanto) che il vero motivo di queste cautele non è quello di evitare gesti sconsiderati, bensì di pararsi il culo (se mi consentite un'ulteriore citazione) casomai il poco atto dovesse uscir di senno. Detto meno in cifra: la scuola manda una raccomandata ai genitori, poi se il bocciato si butta nel fiume, non sono fatti suoi (della scuola) ma suoi (del minorato).
Quando io sentivo dir queste cose, mi indignavo, ritenendo che questo modo di tutelarsi infingardamente fosse indegno dell'istituzione scolastica: un'istituzione fatta per responsabilizzare e far diventar grandi, prima che per insegnare nozioni: e quindi destinata a perdere credibilità e persino ragion d'essere nel momento stesso in cui dovesse abdicare a tale mandatomissione.
Già, perché il far divenire adulti (cittadini!) è una missione: non del singolo insegnante, badate bene: perché questi (come pure insegna Scorfano, che mai ringrazieremo abbastanza per quanto ci apre gli occhi) è un lavoratore: certo sottopagato ma lavoratore, e non missionario: perché insegna per pagarsi l'affitto, il pane e anche qualche divertimento; e a cui insegnare magari piace, ma prima che al piacere deve pensare alla propria vita.
La scuola (la Scuola!), intesa come istituzione, esiste solo al fine di far diventar grandi: di trasformare bambini balbettanti in cittadini di una società complessa. Questo per la Scuola è una missione: la ragione stessa del suo esistere. Svicolare da questa missione è un crimine: perché significa venir meno alla promessa fatta dallo Stato ai propri cittadini che ripongono fiducia nell'istituzione.
Io credo, dunque, che sia un crimine mandare a casa delle lettere che annunciano la bocciatura o l'esame a settembre, per due motivi: anzitutto perché queste lettere sono la prova provata che la scuola rinuncia a perseguire la propria missione, rinuncia a fare di un liceale un adulto, e getta la palla dall'altra parte della rete, dicendo alle famiglie "arrangiatevi: l'avete fatto voi il cretino, gestitevelo". La scuola, con queste lettere, mette nero su bianco che è tutto uno scherzo, che neppure essa stessa crede davvero di poter fare ciò per cui è nata.
E, allo stesso tempo, impedisce all'adolescente, che magari per la prima volta nella vita si trova di fronte ad un problema serio (quello di parlare alla sua famiglia di un proprio fallimento), di affrontarlo con le sue forze, studiando il modo e i tempi e cercandone di uscire con le ossa un po' meno rotte.
Una scuola che si convince di non saper neppure insegnare a un quattordicenne ad affrontare le proprie responsabilità, e gli impedisce di farlo, merita che i quattordicenni la coprano di insulti. Se poi la stessa scuola agisce così perché ritiene doveroso pararsi il culo dato che "non si sa mai", legittima perciostesso qualunque subdolo trucchetto, dal fogliettino nascosto per l'esame di maturità fino alla corruzione della commissione giudicante.

Queste sono le cose che ritenevo quando mi venive detto che si spedivano le lettere prima di far uscire i quadri. Avete idea di come mi senta adesso, dopo aver letto il post di stamane e aver appreso che neppure si crede che i ragazzi sappiano dire in famiglia "ho preso cinque all'interrogazione"?

* coloro che sanno di cose di scuola potranno stupirsi a loro volta per il fatto che io avessi una frequentazione notturna con una signora che aveva 18 classi a cui insegnare: questo potrebbe aiutare nel perfezionamento della voce "gesuita" su wikipedia
** bastone, o incatenamento al calorifero, secondo stagione

venerdì 18 settembre 2009

Buono per incartare il pesce

Un articolo su Repubblica, oggi:
Un gruppo su Facebook di persone che "esultano per la morte dei militari italiani a Kabul". E' nato ieri sera, fondato da una sedicente ragazza bionda (foto probabilmente falsa) che si fa chiamare Sofia B. Questa mattina è già stato rimosso e cancellato dagli amministratori del social network con la seguente spiegazione: "Questo messaggio presentava contenuti che sono stati rimossi o resi invisibili in base alle impostazioni sulla privacy". Al suo posto ci sono quattro altri gruppi con circa cinquecento adesioni complessive che ne chiedono l'immediata eliminazione.

Ma davvero alcune persone possono essere così folli da esultare per la strage di Kabul? Il mistero, per ora, resta. Gli esperti di Facebook dicono che tutte le ipotesi sono valide: dall'estremismo politico (ma il linguaggio non sembrava quello tipico di questi settori), alla provocazione volta a suscitare reazioni giustamente inferocite e a far agire la censura di Facebook, alla goliardata cretina.
149 parole, di cui solo le ultime due hanno un qualche senso. Un rapporto segnale/rumore pari a 0,0136 e rotti.

Disfattismo



- Quand'è così, - riprese il frate, - il mio debole parere sarebbe che non vi fossero né sfide, né portatori, né bastonate.
I commensali si guardarono l'un con l'altro maravigliati.
- Oh questa è grossa! - disse il conte Attilio.
 

Alle corde


Ieri sera mi sono visto Ballarò. So che sto vedendo troppa TV, di questi tempi, ma ci sono validi motivi: un po' l'interesse, perché Floris riesce sempre a tirar fuori qualcosa che vale la pena di ascoltare; un po' per par condicio, avendo assistito al monodialogo tra Vespa e Berlusconi; un po' con la segreta speranza che l'indice di ascolto della coppia Floris Bersani potesse far polpette del mezzo flop di martedì tra il giornalista-insetto e il PresConsMin (e aspettiamo quindi con un filo di speranza i dati che saranno diffusi in mattinata!)
C'era poi l'appuntamento ormai consueto su FriendFeed, che si è svolto sotto un post di Guia Soncini e che ci ha consentito di trascorrere in letizia quelle due orette.
Non che ci fossero molti altri motivi di letizia, beninteso: perché colui che oggi appare il favorito per il ruolo di futuro capo dell'opposizione è apparso bolso, stanco, confuso.
Capisco bene che uno possa aver trascorso una nottataccia: magari un incontro erotico, cui non è abituato a differenza d'altri; magari una banale gastrite. O la fatica di una giornata pesante; forse anche un paio di lineette di febbre. Sta di fatto che il Pierluigi ha fatto una magra figura: si impappinava, ciafagnava come colui che abbia indulto nei piaceri della tavola e soprattutto del fiasco, inanellava talora un'infilata di frasi fatte talché, dirimpetto a Tremoni, i due sembravano una rappresentazione off di Bouvard e Pécuchet, ma meno simpatici.
Insomma: c'erano dei momenti in cui, se Liliana mi scusa il francesismo, non si capiva un beato cazzo di ciò che voleva dire.
Speriamo si sia trattato solo di un'inciampo: perché son tempi da brividi nella schiena.

mercoledì 16 settembre 2009

Antologia del buonumore


Quando ero piccino in casa dei miei nonni entrava sempre la Settimana Enigmistica: il venerdì, se ricordo bene.
Io non ero in grado di risolvere i rebus, gli anagrammi e le sciarade: mi limitavo a risolvere l'enigma poliziesco per i piccoli, affrontavo l'aguzzate la vista e annerivo gli spazi contrassegnati con un puntino.
Soprattutto leggevo le barzellette e le strisce, quelle che non facevano ridere, di cui .mau. è oggi un epigono.
C'era, sempre, una barzelletta sui matti. E per far sì che il lettore capisse che il personaggio rappresentato era matto, questi veniva sempre rappresentato vestito da Napoleone: con il tricorno e la mano sotto la giacca.
Quando ieri ho visto la trasmissione di Bruno Vespa, ho avuto una folgorazione. Berlusconi, non una volta ma tante, si è messo in posa, con la mano sotto la giacca. Forse anch'egli soffre di ulcera; forse, come dice sua moglie, "è un uomo malato che ha bisogno di essere curato".

martedì 15 settembre 2009

Vecchio facocero

Un vero Uomo 2.0 ora inizierebbe il liveblogging di Vespa & his Master. Io me lo guarderò, invece: per lo stesso motivo per il quale non faccio foto quando sono in giro per le città d'arte; perché voglio ricordarmela bene, questa serata.

Un genio, un vero genio!


Il programmista di RaiTre che ha deciso che stasera al posto di Floris ci sarà La caduta-Gli ultimi giorni di Hitler, meriterebbe un monumento.

Latte abbronzante

Al Corriere non impareranno proprio mai ad azzeccare un titolo giusto!

The Rise and Fall of Silvio Berlusconi


Ci ho pensato sopra e ho deciso: questa sera mi metto il vestaglione di flanella, sistemo il tavolinetto di fronte al televisore, mi faccio una frittatona di cipolle e apro una familiare di Peroni gelata per godermi in fascia protetta Bruno Vespa impegnato in una scene di rimming con il suo master (e se tutto ciò vi sembra oscuro, vuol dire che Internet non vi ha ancora rovinato: complimenti!)
Ci ho pensato, ho ponderato le diverse opzioni e alla fine mi sono convinto che, pur se tale scelta darà a Bonaiuti la possibilità di aggiungere una manciata di spettatori alla statistica Auditel sulla massa osannante di occhi e orecchie che avranno seguito le gesta del Capo, ciononostante lo spettacolo va visto: e tanto più ora, quando ho appreso che perfino sulle reti del figlio di Berlusconi sarà sospeso Matrix.
Mio padre è morto all'incirca tre anni fa: una domenica, verso l'alba, in una camera d'ospedale, con a fianco mia madre. Ha dato un sussulto, un salto nel letto, e il suo cervello si è spento; ma ha continuato a respirare.
Gli infermieri l'hanno spostato in un'altra stanza, non saprei dire se per rispetto verso di lui o verso il suo compagno di stanza, che non versava in condizioni molto migliori; e dico stanza, ma in effetti era una via di mezzo tra uno sgabuzzino e un ripostiglio.
Sono stati lì, lui e mia madre, fino al primo pomeriggio, quando finalmente ha smesso anche di respirare.
Certo, ci sono modi migliori e forse più dignitosi di morire: ma perlomeno l'ha fatto da solo, privatamente, con vicino la donna che l'aveva accompagnato per tanti anni.

I re non hanno questo privilegio: e non penso tanto a Luigi XVI, quanto a suo nonno e soprattutto al quadrisavolo, costretto a condividere con un'intera Corte persino gli ultimi respiri, così come aveva condiviso con essa tutti i risvegli.
Silvio Berlusconi è ormai un re per questo paese, è inutile far finta che ciò non sia. In una nazione che non ha mai amato i propri sovrani, con l'eccezione forse del secondo Vittorio Emanuele, l'unico vero re dello scorso secolo è stato un gran borghese, Gianni Agnelli, e ora il suo posto è stato preso da Silvio Berlusconi, non foss'altro per i suoi trent'anni di potere dapprima mediatico e poi anche politico.
E' dunque un re, Berlusconi, e la sua fine è un atto pubblico, che egli stesso sta preparando e mettendo in scena, annebbiato da consiglieri che ormai sanno solo adularlo ed accecato dal proprio orgoglio.
La vedete bene l'espressione di quest'uomo, qui a fianco? molti di voi hanno l'età per aver visto quel filmato il giorno stesso in cui fu girato, e rammenteranno perfettamente la smorfia di basito stupore che si disegnò sul viso del dittatore, che non aveva alcun sospetto di come le cose stessero veramente andando nel paese, e credeva veramente di essere amato e venerato dal popolo tutto.
Si dovette ricredere, improvvisamente; e due giorni dopo era morto.
L'Italia non è la Romania, e quella che preconizzo per Berlusconi sarà una fine squisitamente politica: mi auguro anzi che possa campare altri cent'anni e morire serenamente nel proprio letto, circondato da coloro che gli vogliono bene, ammesso che ce ne siano ancora; ma la messinscena di stasera, l'azzeramento di ogni altra voce e l'involuzione verso un culto della personalità sempre più avulso da qualsiasi contatto con la realtà sono, credo, segni inequivocabili del fatto che stiamo vivendo gli ultimi rintocchi della sua carriera.
E varrà la pena di esserci, davanti al televisore, per poter poi dire: «io c'ero».

Post scriptum: Se poi, nel cadere, trascinasse con sé Mariastella Gelmini, sarebbe tutto di guadagnato.

lunedì 14 settembre 2009

Notizie che non sono notizie

Il televideo RAI ancor adesso (ore 15:30 circa di lunedì 14/9) racconta che domani sera in tivù ci sarà Ballarò; e sulla prima rete un programma di intrattenimento.
Noi sappiamo bene che non sarà così: che sulla prima rete il servo dei servi dei servi del padrone darà l'ennesima leccata lisciata di pelo al PresConsMin, mentre al posto di Floris chissà cosa mai ci sarà.
La cosa in sé non meriterebbe neppure di essere commentata: e se qui lo facciamo è solo perché un giorno qualche mio nipotino potrebbe desiderare di approfondire lo studio della storia italiana di questo inizio secolo: e voglio lasciargli qualche riferimento, raccontandogli di quel tempo in cui il suo nonno visse la sua maturità: quel tempo in cui bisognava andarsi a cercare le notizie e sviluppare la capacità di distinguere il vero dal falso; la propaganda dalla menzogna; la verità dall'imbellettamento.
Quel tempo in cui bisognava leggere prima la firma del giornalista e poi l'articolo; in cui bisognava confrontare tante versioni dello stesso evento per ricostruire, faticosamente, la realtà. Quel tempo tanto simile a quello che a sua volta vissero i miei, di nonni: quando tra le righe di un roboante comunicato che proclamava l'affondamento di un dragamine inglese, occhi o orecchi attenti riuscivano a cogliere il disastro dell'affondamento di una squadriglia di incrociatori, e la morte di centinaia di marinai.
Forse un giorno quel mio nipotino invidierà questo nostro tempo, in cui farsi un'idea del proprio paese richiedeva virtù eroiche ed un'intelligenza superiore; o forse quel giorno egli stesso si troverà nella nostra situazione, o fors'anche peggio: chissà.
Certo, potrebbe imputarmi di non aver fatto nulla per cambiare la situazione, e con ragione. Come reagirò domani sera, quando Bruno Vespa ci mostrerà Berlusconi entrare nelle case degli aquilani, aprendo i loro nuovi frigoriferi, emettendo gridolini di stupore di fronte a tanta abbondanza di carni, per una volta non tiepide e frementi?
Se potessi, smetterei di pagare il canone, ma non posso. Potrei sintonizzarmi ostentatamente sull'Ispettore Coliandro o sul film della 7, giusto per non far salire l'indice Auditel del PresConsMin: ma sarebbero centesimi di punto, e del tutto inutili dato che la comparsata non è fatta certo per raccogliere pubblicità, e quindi la RAI se ne strafrega dello share. Non posso neppure smettere di votare per il partito di Berlusconi, non posso aprire un blog per parlarne male e non posso iniziare ad indottrinare mio figlio contro di lui e contro i suoi accoliti.
Ditemi voi: che posso fare?

L'inizio della fine

Oggi è il primo giorno di scuola. Che è uno shock per i docenti, come insegna l'ottimo Scorfano.
Ed è uno shock per gli allievi, come sanno tutti coloro tra i miei lettori che hanno portato a termine il ciclo delle elementari, e come Nichita non ha mancato di rammentarmi tra ieri e stamattina. Certo, il fatto che per lui sia il quinto primo giorno di scuola rende la cosa non più drammatica, bensì semplicemente spiacevole.
Ed è uno shock anche per i genitori: il primo giorno di scuola significa la fine delle vacanze e l'inizio di un nuovo anno anche per me: perché vuol dire routine, orari da rispettare, piogge battenti, vestiti da scegliere curando che non siano troppo caldi o troppo leggeri, prime colazioni da consumare e spesso imporre, corsi pomeridiani, rimproveri da borbottare e punizioni da impartire.
Che differenza rispetto a quei tre mesi in cui sono potuto svegliare senza l'assillo dell'ora da rispettare, senza la rassegna stampa di radio popolare e senza fare la colazione casalinga, che invece ho consumato da Ginrosa, dove si trovano le migliore brioches del centro città.
E, come se non bastasse, oggi, per la prima volta da mesi, ho acceso la luce.

domenica 13 settembre 2009

Ofelè fa el to mestee

Sapete bene che in economia si usano quei modelli teorici in cui ci sono astratti signori con in mano un biglietto da dieci dollari che devono scegliere se comprare burro o cannoni; e attraverso le loro scelte si definisce il prezzo del burro, quello dei cannoni, i tassi d'interesse, il valore della moneta e di tutto e di più.
sono modelli che si basano su esempi talmente semplici e intuitivi che ciascuno potrebbe credere di essere in grado di inventarse uno.
Su Baseline Scenario c'è un delizioso articolo di James Kwak che spiega come, invece, costruire un modello funzionante sia tutt'altro che scontato. Già il titolo «Can Openers for Beginners» è una ammirevole provocazione.

giovedì 10 settembre 2009

Matteo

Da qualche tempo riuscivo a leggere Matteo: e me ne preoccupavo, chiedendomi se il qualcosa andato storto fosse in lui o in me.
Ora che sono tornato a non capirci nulla, sono più tranquillo.

Millemilamilioni più uno (geekish)

Tra i millemilamilioni che giustificano l'utilizzo di Opera come browser preferito, la versione 10 offre Opera Turbo.
Dalla descrizione che ne fa il produttore: "Opera Turbo is a free service that speeds up browsing on slow connections. In the best case, it will make a dial-up connection more nearly resemble a broadband line". Si tratta quindi di una caratteristica pensata per coloro che debbono connettersi via modem o via reti GPRS.
Scendendo nei particolari del funzionamento, apprendiamo che: "The technology behind Opera Turbo is a proxy server with server-side compression of Web pages. A compression rate of up to 80% can be achieved, in part by reducing the quality of images".
Se ci pensate un attimo, vedrete come tutto ciò possa essere sfruttato in un ambiente lavorativo nel quale l'accesso a determinati indirizzi venga filtrato da un proxy aziendale.

Giocare con i numeri 1i

Più di un anno fa inauguravo una rubrica, «Giocare con i numeri» che mi ha dato grandi soddisfazioni.
Nella prima puntata (che in effetti era una ur-puntata, in quanto priva delle analisi che successivamente ho sviluppato) dichiaravo quanto poco credessi ai dati sbandierati dal ministrino dell'innovazione e dalla P.A. in merito alla lotta all'assenteismo.
Oggi un articolo sull'Espresso dimostra, cifre alla mano, che anche in quell'occasione, sulla scorta del mero fiuto, ci avevo visto giusto.
Non che fosse difficile, intendiamoci!

Occasioni perdute

Sarà lo scampato pericolo; sarà un residuo di affezione; sarà la simpatia istintiva che si prova per i vinti e i perdenti. Sarà pure, un po', che il dibattito per la scelta del segretario del partito democratico è solo un poco meno avvincente del torneo settimanale di scopa d'assi della Baggina.
Sta di fatto che in questi giorni mi va di parlare del Puffo Triste: che è come sparare sull'ambulanza ma non è vietato dalla Convenzione di Ginevra.

E quindi vi dico che ier sera, vedendo la mia puntata serale di West Wing, ho realizzato che lui, quello che voleva introdurre l'inglese come lingua ufficiale, sostituire i monumenti a Garibaldi con quelli a JF Kennedy e la Nutella con il burro d'arachidi, non ha mai visto West Wing.
Peccato, Walter!

poi la smetto, però. davvero.

mercoledì 9 settembre 2009

Piccola storia su Edipo

Il papà del Puffo Triste ha portato Mike Bongiorno in Italia.
Mike Bongiorno ha portato il PresConsMin al successo nei media.
Il successo nei media ha portato il PresConsMin al successo in politica.
Il Puffo Triste ha sfidato il PresConsMin. E ha perso.

Ecco il motivo per cui il Puffo Triste non ha mai detto il nome del suo avversario: suo padre.
Ed ecco perché ha perso.

La giornata volge al peggio.

Apprendo da Luca Sofri che oggi verso le 18:30 il Puffo Triste sarà alla Feltrinelli di Piazza Piemonte (in compagnia del Sofri medesimo, al quale ad ogni buon conto formulo i migliori auguri).
Più o meno alla medesima ora io transiterò, come di consueto, a pochi metri da lì, sulla via del ritorno a casa, in sella alla mia fiammante bicicletta, con tanto di copertoni nuovi.
Spero di limitarmi a forare, che poi non sarebbe poi un gran male, dato che il ciclista è lì, a un paio di cento metri di distanza; ma se questo blog in futuro non dovesse esser più aggiornato, voi sapete di chi è la colpa, vero?

aggiornamento: sono vivo, grazie al cielo. E anche la bici sta bene.

Postfenomenologia di Mike Bongiorno

Certo, era simpatico, Mike Bongiorno. Nel funerale laico tributatogli ieri dalle televisioni tutte spiccava l'intervista di Daria Bignardi, in occasione della pubblicazione del suo libro, in cui appariva divertente, spigliato, alla mano.
E poi era stato partigiano, era diventato antiberlusconiano, era ringiovanito con Fiorello.
Antiberlusconiano, che oggi è come dire di sinistra. Proprio come Indro Montanelli, Marco Travaglio, Antonio Di Pietro.
Come Gianfranco Fini.
Ecco, ragazzi: tenete presente che Fini, non è di sinistra: e per quanto nel tristo panorama politico in cui viviamo sia lui, e non D'Alema, a dir le cose di sinistra, egli resta comunque uno che sta dalla parte (per me) sbagliata. Come Travaglio, come di Pietro, come Montanelli.
Come Mike Bongiorno.
Il quale Bongiorno non è certo il principale responsabile del paese di merda in cui viviamo e dell'ascesa al potere del PresConsMin; ma certo è stato il principale fautore delle sue televisioni private, insieme a Confalonieri.
La cultura della mercificazione di tutto ciò che attraverso la televisione è passato nelle case e nelle menti degli italiani, è stato Mike Bongiorno a teorizzarla e praticarla, fino all'estremo. Egli non ha inventato solo il Granbiscotto rovagnati: ha inventato tutto un sistema di riferimenti culturali all'interno dei quali poter piazzare il Granbiscotto.
Non poteva forse immaginare che un bel giorno al posto di vendere il Granbiscotto avrebbe dovuto vendere agli italiani il proprio datore di lavoro, ma il contorno di ballerine, canzonette e cervelli all'ammasso necessari per perfezionare tale vendita, tutto ciò è per molta parte opera sua.
E quando si è trattato di vendere il suo datore di lavoro, non ha esitato un minuto, e l'ha fatto con la consueta efficacia, come dimostra il video che gira in questi giorni e che anch'io ho ripreso.
Credete proprio che se non fosse stato cacciato dalle televisioni del figlio del PresConsMin, avrebbe avuto il revirement senile che l'ha portato a mettersi al servizio del principale rivale dell'ex datore di lavoro (quel Murdoch che, sappiatelo, neppur lui è minimamente di sinistra)?
Se lo credete, siete anime belle; e in fondo in fondo vi invidio.

Cadono le foglie (e puccio madeleines nel tè)

Oggi qui è iniziato l'autunno: settembre, tempo di esami di riparazione.
Ne ha scritto in più riprese Scorfano, e oggi ne scrive anche Ipazia Sognatrice, commentando una castroneria uscita dalla bocca di una sua discente, che peraltro non aveva neppur preso l'esame di riparazione (che non si può chiamare esame di riparazione!) bensì solo la letterina.
In terza liceo anch'io presi l'esame a settembre (che al tempo si chiamava di riparazione; ed eri tu a doverlo dire ai tuoi, non la scuola; e i tuoi si incazzavano con te, e non con i professori).
Mi diedero tedesco: e non è che lo sapessi molto peggio degli altri. La nostra insegnante di tedesco, molto impegnata e molto di sinistra, aveva tutta una sua idea sulla didattica: riteneva che il biennio dovesse servire a portare in pari tutti gli allievi, recuperando dall'abissale ignoranza coloro che, per demerito dei professori delle medie o per dickensiana condizione delle famiglie di provenienza, partivano svantaggiati. E, pertanto, per tutti i primi due anni di liceo non si è mai sognata di rifilare un'insufficienza: forse talora, nei casi più eclatanti, un cinquemmezzo.
Prendete trenta quattordicenni (tosto ridottisi a venti l'anno successivo, e non per merito di lei); dichiarate loro che non darete insufficienze, e quale risultato otterrete?
Il fatto è che, giunti in terza, la sedicente docente, ritenendo tutti ormai pronti ad affrontare le gioie e le difficoltà del tedesco, iniziò a fare lezione in tedesco, spiegandoci la letteratura, la storia e la civiltà di quel grande paese.
Metà della classe, coscienziosa o secchiona, durante il biennio aveva lavorato comunque, ed era in grado di seguire l'insana. L'altra metà sentiva questo brusìo di fondo, afferrendo talora qualche articolo determinativo (di cui non era in grado di riconoscere il caso) ed alcuni semplici aggettivi: gut, schön, viel. Non è il caso di esplicitare di quale metà della classe facessi parte io.
Alla fine dell'anno la stordita avrebbe dovuto rimandare a settembre dieci allievi; il che non era proprio presentabile al consiglio di classe: e pertanto prese fior da fiore: il peggiore di tutti, e i due dell'ultimo banco che avevano quell'odiosa aria da genietti e ostentavano la loro ignoranza della materia senza cercare di mascherarla sotto un velo d'ipocrisia. Non è il caso di esplicitare di quale categoria facessi parte io.
Passai quindi molte ore delle vacanze a studiare i casi, il congiuntivo (se aveste potuto mai credere che il congiuntivo italiano sia complicato, sarebbe il caso che vi ricredeste, datemi retta) e certe particelle proclitiche da- e wo- che in mia fede non sono mai riuscito a capire a cosa diavolo potessero servire. Imparai qualcosa, tanto che feci bene lo scritto, uscendone con un sette (al tempo il sette era un bel voto): come dimostra il fatto che oggi, quando disbrigo la corrispondenza e trovo una lettera in tedesco, riesco a cogliere il senso generale di ciò che mi si comunica.
Ci fu poi l'orale. Non ricordo cosa mi fu chiesto, e non rammento neppure se fu lungo o breve. Quello che ricordo perfettamente, come su una lastra fotografica, fu quando la sventurata mi chiese lumi intorno all'unificazione della Germania, che io avevo una vaga sensazione essere avvenuta attorno al diciannovesimo secolo; secolo più secolo meno. Vistomi impaniato, pretese di conoscere almeno il nome del Cancelliere che l'aveva condotta a termine.
Io sparai: -«Metternich!». Lei scosse il capo, triste, e mi lasciò andare.

martedì 8 settembre 2009

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Su FriendFeed c'è un po' di gente che gioca a un tormentone chiamato GioconeFF; si tratta di un intrattenimento un po' invasivo (chi usa FriendFeed sa perché, e chi non lo usa non lo capirebbe, per cui non val la pena di spiegare questo punto): e pertanto molti, che non giocano, alzano il sopracciglio e rimpiangono i bei vecchi tempi, in cui la gente seria era seria (ci sono poi degli amici che mi prendono bonariamente per il culo per il tempo che vi dedico, ma questi sono scherzi: io parlo di chi se la prende sul serio).
L'inventore e il supremo duce del Giocone è Adamo Lanna, uno che scrive delle cose divertenti (io ho un fiero pregiudizio verso chi scrive cose divertenti, dal momento che quasi sempre esse mi intristiscono; ma le sue sono cose divertenti che divertono; o perlomeno mi divertono): non è che voglia fargli pubblicità (anche se come vedrete parlerò bene della sua creatura, alla quale dedica una quantità di tempo inverosimile): e difatti il Giocone è una scusa per parlare d'altro.
Il meccanismo del GioconeFF è quanto di più banale ci sia: una serie di prove da superare, all'esito di ciascuna delle quali si viene ammessi alla prova successiva. Si tratta di risolvere cruciverba, riconoscere pezzi di fotografie, riordinare delle serie secondo una chiave da scovare, e così via. Sembra idiota, detto così: e forse lo è anche, con buona pace dei detrattori; ma vi prego di notare che non è il modello che fa la differenza, bensì il contenuto. Un romanzo di Agatha Christie e uno di James Crumley possono essere stampati con la stessa carta, i medesimi tipi e in identico formato, ma la differenza non sta nella forma del libro, bensì nelle parole che vi sono stampate dentro.
Le prove del Giocone sono molto interessanti, perché richiedono una grande conoscenza dell'ambiente di Friendfeed, e una memoria da elefante (qualità che entrambe io non possiedo) o, in alternativa, una spiccata capacità di trovare informazioni con la rete e riguardo alla rete.
Riconoscere il nick a cui appartiene una certa fotografia non è alla portata di chiunque: non puoi digitare la fotografia in google e aspettare che lui ti dia la risposta; e così pure individuare quale tra le centinaia di personaggi che scrivono abitualmente avrebbe potuto pronunciare una certa frase, richiede una serie di abilità.
Intendiamoci: non si tratta di costruire una centrale nucleare, sono cose che richiedono solo un po' d'impegno; ma sono un esercizio e un'occasione per avviare contatti con gente nuova, il che dovrebbe essere lo scopo di un social network.
Certo, risolvere i livelli del Giocone non serve a nulla: so che farei meglio a spendere il mio tempo corteggiando un'ereditiera o progettando un modello di Tokamak per risolvere i problemi energetici dell'umanità; ma in questo momento non è che abbia per le mani un'ereditiera papabile, e l'ingegnere nucleare è mia sorella, non io. Del resto anche scrivere su un blog o leggere Proust è solo una perdita di tempo, no :-)?
C'è però qualcosa di più.
Molti dei miei pochi lettori sanno chi è questo signore qui a fianco; qualcuno lo avrà addirittura appreso da me. Probabilmente ricordate in quale occasione ne scrissi e la commozione che espressi. Commozione che ho sentito, viva, nei commenti ai post miei e di altri che sono apparsi in quella occasione.
Questo signore qui ha dato delle lezioni fondamentali per chiunque voglia affrontare la modernità, e in particolare comprendere criticamente il mondo in cui viviamo senza farsi trascinare dalla stampa e dai telegiornali come una barchetta di carta in una tempesta.
Per far ciò è necessario saper trovare le informazioni; e il modo per trovare le informazioni è quello di saper seguire i sottili fili che collegano fra loro ogni singolo elemento, fino ad arrivare al bandolo della matassa. In tal modo si può capire se il PresConsMin mente o dice la verità, se George Clooney ci è o ci fa con la Canalis e se Giorno e Notte fa perdere veramente peso o è una truffa. Non importa che queste informazioni possano apparire l'una più e l'altra meno importante: ciò che conta è il metodo; e comunque se decidessi di perdere finalmente peso, per me sapere se sbatterei via o meno i miei soldi sarebbe *molto* importante.
Io non so se Adamo conosca o meno Fravia+: sta di fatto che affrontare i livelli del suo Giocone mi ha fatto ritornare indietro nel tempo, a quando studiavo gli esercizi e cercavo di trovare il nome della modella con i capelli rossi: è un bellissimo modo per buttare via un'ora delle mie giornate, ed un ottimo esercizio per la mente e per affrontare l'oggi: certo mille volte meglio che i quizzettini scemi sulla consolina pubblicizzati dall'attrice australiana.
E ciò volevo farvelo sapere, anche per avere una scusa per ringraziare Adamo.

Per non dimenticare


(hat tip PTWG; e lo riposto anch'io solo per testimonianza)

There's a sucker born every minute

E' da ieri che mi sto dannando per riparare una sciocchezza fatta da un collega. Anzi: dato che la sciocchezza non è riparabile, mi danno per rappresentare correttamente tutto ciò che è accaduto e far sì che le responsabilità ricadano su chi ha commesso la sciocchezza e non sul mio culo.
Datemi fiducia e tenete per buono il fatto che io sia totalmente privo di colpa: tanto non siete voi che dovete giudicare e quindi potete accettare l'assunto; date pure per accettato il fatto che io non farei mai ricadere su un collega colpe che egli non ha, e anzi tendo a fare di tutto per scusare e giustificare, non tanto per carità cristiana quanto per l'elementare principio che oggi tocca a te ma domani toccherà a me, e se ti faccio un torto o una scortesia la riparerò con gli interessi.
Tenete infine conto del fatto che la persona in questione è *molto* più alta in grado rispetto a me, seppur in un'altra linea gerarchica, e quindi non è che io debba esercitare un'autorità punitiva bensì solo spiegare cos'è accaduto.
Resta il fatto che c'è sul piatto questa cazzata galattica. E mi sono reso conto che se si fosse trattato solo di una sciocchezzuola, avrei potuto spiegarla in una mezza paginetta, senza troppi problemi; mentre una cazzata di tale livello è così enorme che da due giorni sto cercando di trovare un modo per raccontarla senza che ciò sembri un pararsi il culo.
Tali e tante sono le pezze d'appoggio che dimostrano l'incompetenza e la superficialità del collega megadirigente che il solo enumerarle sembra una excusatio non petita: come colui che al commissario (si tratti di un romanzo di Olivieri o di Fruttero e Lucentini) presenti lo scontrino dell'ingresso in stazione o della consumazione al bar, religiosamente tenuto nel portafoglio.
Mi accorgo che più metto in evidenza le prove a carico, più sembra che lo faccia per qualche recondito motivo: come se la mia totale estraneità avesse, in sé, qualcosa di sospetto.
E tutto ciò perché, credo, si può accettare che un personaggio così in alto sia in malafede, o distratto, incompetente o perfino disonesto; ma non è proprio concepibile che sia, come purtroppo è, un perfetto idiota.

lunedì 7 settembre 2009

De me fabula narratur

Oggi il Corriere della Sera ha, in prima pagina, un editoriale su di me.


Nella sua essenza è la tendenza a realizzare i propri desideri senza fare fatica. Ma proprio nessuna. Non gli basta ottenere il risultato col minor sforzo possibile.
Non programma il futuro, lo immagina, lo fantastica.
Rimanda.
Se riesce ad avere un lavoro sedentario si accontenta. Se arriva in un posto di comando vi si adagia.
Talvolta ingrassa, si appesantisce e tutto allora gli diventa ancora più faticoso, anche cambiare casa.
Qualche volta rimanda anche di pagare i debiti, i mutui, i prestiti, le multe. Spera che gli altri se ne dimentichino.
Per il pigro vale veramente la massima «pochi maledetti e subito».
Adora le abitudini, le comodità.
Quando gli chiedono di fare qualcosa risponde di sì perché è più complicato dire di no.
Tanto poi non lo fa.
Mente, inventa una scusa, dice una bugia. Spesso la prima che capita.
Poi, per pigrizia, talvolta la dimentica.

domenica 6 settembre 2009

La faccia come il culo /2 bis

Merita un ulteriore approfondimento il discorso avviato ieri con riguardo alla sconfortante faccia di culo di Repubblica nei servizi sull'influenza di quest'anno.
Ribadisco che parlo male di Repubblica perché è questo foglio che ho qui con me, ora; e non so dire se analoghe sconcezze si ritrovino su altri quotidiani; ma temo che ciò sia assai probabile.
Dunque, la pagina 11 della Repubblica odierna ha due articoli. Il primo, a firma di Giuseppe Del Bello e Cristina Zagaria, racconta i funerali del pover'uomo stroncato da una messe di malatie e sindromi, cui l'influenza ha dato la spintarella finale.
Il titolo: «Psicosi contagio ai funerali di Gaetano»; e nel testo: «...subisce l'assurdo isolamento in cui l'hanno relegata il quartiere, i vicini, gli inquilini. Per paura immotivata. Per precauzione inutile».
La lettura di queste righe mi ha fatto dire: bene: dopo aver seminato il panico si sono accorti di aver fatto una stronzata e adesso stanno tirando i remi in barca. Non è che chiedano scusa o ammettano di aver creato loro, la psicosi; ma meglio che niente.
Senonché, l'altro articolo della stessa pagina, a firma di Anais Ginori, inizia con un'occhiello rassenerante: «Nipote della più terribile delle influenze è sopravvissuto grazie alle mutazioni genetiche diventando "invincibile"». La prima domanda che mi pongo, e se repubblica abbia così tanti danari da permettersi un esercito di titolisti: perché non posso proprio credere che chi ha scritto questo occhiello sia la medesima persona che ha scritto il titolo precedente. Salvo che non abbia della roba veramente buonissima da fumare, nel qual caso lo pregherei di scrivermi in privato per stringere accordi commerciali.
Ma è la Ginori che ci mette dei bei carichi di bastoni: «quasi un'epopea, non proprio gloriosa, visto che ha sempre seminato terrore e morte... l'ipotesi che il virus fosse stato congelato in qualche laboratorio e da lì si fosse risvegliato... non è detto che il 2009 sia il capolinea di questo inquietante viaggio».
Cosa dovrebbe pensare, vi chiedo, il lettore? Come può considerare "psicosi" il timore verso una malattia "invincibile" che "ha sempre seminato terrore e morte"?

sabato 5 settembre 2009

La faccia come il culo /2

La faccia da culo questa volta non è il PresConsMin, bensì il suo acerrimo nemico, il quotidiano la Repubblica.
Che ha l'impudenza di sparare oggi in prima pagina un titolo siffatto:
Influenza A, psicosi contagio.
Psicosi, come insegna la Treccani, è «Il comportamento psicotico è caratterizzato da un'alterazione globale della capacità di valutare in modo corretto l'appropriatezza di percezioni e pensieri e dalla creazione di una nuova realtà, nonché dalla presenza di deliri o allucinazioni senza la consapevolezza della loro natura patologica.». Il delirio; l'allucinazione.
Ma quanta sfacciataggine ci vuole per usare una simile parola, dopo che lo stesso foglio -così come il resto della stampa su carta e su etere, va detto a parziale discolpa dell'editore italo-svizzero- ha pompato per mesi una incoscente campagna di ingiustificato allarmismo per una malattia che ha un tasso di mortalità leggermente inferiore a quello delle influenze degli anni passati, e che invece è stata rappresentata come una nuova peste nera?

venerdì 4 settembre 2009

Ritorno al ventre materno

In questi giorni scrivo poco, e solo sciocchezze o cose mie.
Non è l'effetto di FriendFeed, e non è che il Giocone dreni tutte le mie risorse intellettuali.
Non è neppure che sia oberato di lavoro: ne ho, e tanto, ma ciò non mi ha mai impedito di ritagliarmi qualche minuto o mezz'ora per cazzeggiare allo schermo piuttosto che* alla macchinetta del caffè.
No: è proprio che quello che sta succedendo in Italia, tra azioni civili, erezioni, omosessualità vere o presunte, diffamazioni e messaggi trasversali di stampo mafioso: tutto ciò ha smesso di indignarmi e mi ha lasciato un gran senso di vuoto.
E poi la situazione della scuola: classi di trenta alunni formate perché si sono licenziati** migliaia o decine di migliaia di precari, ai quali tuttavia verrebbero erogate delle simil-indennità di disoccupazione: col risultato di spendere probabilmente lo stesso o poco meno ma rovinanzo un'intera generazione di studenti, che un domani diverranno manovalanza all'estero.
Di fronte a tutto ciò non so proprio cosa dire, come dare un qualsiasi contributo diverso dall'utilizzo creativo della bestemmia.



*Piuttosto che, qui, significa "piuttosto che".
**licenziati, sì: seppur precari.

giovedì 3 settembre 2009

Pubblicita Regresso / Infasil

Lo Scorfano ha avuto un'idea meritoria quando, in questo post, ha deciso di adottare una pubblicità: un po' come quelli che adottano le panchine o i banchi in chiesa, ma al contrario, vale a dire segnalando lo spot al pubblico ludibrio.
Io sono un target televisivo un po' particolare: eccezion fatta per i telegiornali, che mi servono a stimolare l'indignazione quotidiana, e per La Nuova Squadra (perché i gusti son gusti, cari miei, e c'è anche chi passa la notte a vedere le partite di carambola o i tornei di Texas Hold'em), tutto ciò che vedo sul piccolo schermo transita dal mio Kiss1600 e, per esso, dalla rete: e quindi risulta del tutto privo di pubblicità.
Gli stessi signori dell'Auditel, che tanta fatica hanno fatto per inventare un sistema che consenta di rilevare la visione dei canali satellitari, venendo a casa mia si troverebbero alle prese con un troglodita tecnologico, dato che la mia TV via etere prende giusto giusto i cinque canali di Berlusconi, Rai Tre e La7.
Oltre a ciò, c'è il fatto che io il linguaggio della pubblicità proprio non lo capisco. I creativi si dannano l'anima per racchiudere in trenta secondi una storia avvincente tra metafore e dissolvenze; ma io le metafore non le decodifico, e quando frequentavo la casa di una certa poetessa che prima di andare a nanna mi leggeva i suoi scritti, facevo sforzi sovrumani per resistere e non addormentarmi in pochi secondi, dato che in fondo non ero lì solo per riposare.
Quel «consorziamo» che Scorfano ha stigmatizzato, l'avevo sentito un paio di volte: ma mai mi era venuto in mente di porvi attenzione e quand'anche l'avessi posta, essa sarebbe stata diretta sulle forme dell'attrice e non sulla semantica del suo messaggio: che ho potuto capire solo grazie al post citato all'inizio.

E' stato quindi con un certo stupore che ieri sera, attendendo per l'appunto l'inizio della Nuova Squadra, mi sono soffermato sulla pubblicità di un deodorante dell'Infasil; l'ho guardata; l'ho capita. E mi sono ripromesso di commentarla.
Il messaggio e chiaro: ci suono due giovinotti, bellocci. Si sono sposati il giorno stesso, e quella sera faranno fikki fikki: per la prima volta insieme, dacché la sposa sfoggia uno spendido abito bianco, anche se lo sguardo di lui fa intendere che su qualche nave scuola possa esser già salito.
Egli, sapientemente, comincia a baciarla dalla mano e via via sale, sale, mentre, una voce fuori campo, insinuante, ci fa presente che «basta poco per rovinare un momento così speciale». E difatti, proprio sulla conclusione della parola "speciale" il naso di lui arriva al cavo dell'ascella: alché il nostro riflesso pavloviano dovrebbe suggerirci che quel "poco" altro non è che il prodotto del metabolismo dei batteri alberganti nel recondito ricettacolo di lei.
Ma lui, pur essendo giunto al fatidico punto non fa un plissé, laddove ci aspetteremmo una smorfia o perlomeno un arricciamento di naso: com'è 'sto fatto? Subito la poesia viene interrotta dal primo piano del prodotto reclamizzato, Infasil Derma Clinic Deodorante, il quale evidentemente ha sui maleodoranti batteri l'effetto di una spruzzata di Zyklon B (non foss'altro perché chiunque di voi abbia mai partecipato a un matrimonio, e in prima persona, sa bene in che condizioni critiche si giunga a casa, quanto a igiene personale).

Ora, io credo di avere un certo numero di perversioni, di cui non faccio neppur mistero. Tra queste, il credere che il contatto fisico tra corpi debba essere tra corpi umani, con scambio di liquidi, umori, sudori e odori.
Nulla mi sembra così squallidamente borghesuccia quanto una donna che attraverso la pratica dell'asepsi si rende simile in tutto e per tutto a una bambola gonfiabile, sia pur semovente. Non voglio parlare d'amore, ma il sesso è anche (e soprattutto?) gustare e leccare: leccare una donna, non un prodotto profumato.
Lo spot che ho visto ieri, fra l'altro, era lievemente più lungo di quello che ho trovato da proporvi: in una decina di altri secondi si arrivava alla testa di lui sul pube di lei, e alla voce suadente che per i rischi legati a tale eventualità proponeva un ulteriore prodotto: e qui la mia indignazione è cresciuta ancora di più.
Sapete cosa scriveva Napoleone a Josephine, qualche giorno prima di rientrare a Parigi da una delle sue campagne militari?
Ne vous lavez pas Madame, j’arrive.

mercoledì 2 settembre 2009

Fisk, this is going to be huge!

Uno dei (tanti) motivi per apprezzare il servizio di Gmail è certo l'efficienza del suo sistema antispam, che solo eccezionalmente si lascia scappare qualcosa.
E' per questo che vedendomi nalle posta un messaggio dal titolo «Fisk, this is going to be huge!», mi sono un po' stupito.
Tutti noi sappiamo che la parola «huge» nell'intestazione di un messaggio e-mail ha un unico significato, così come esiste una sola interpretazione di «severa istitutrice» negli annunci economici pubblicati sui quotidiani. Com'è possibile, mi sono pertanto chiesto, che questa roba sia sfuggita al controllo?
E quindi, incuriosito, ho aperto il messaggio, scoprendo che si trattava di una comunicazione della società presso la quale è ospitato un mio piccolo sito, che ci teneva a farmi sapere cosa bolle in pentola per l'anno nuovo e quali nuove funzioni mi verranno messe a disposizione.
Mi chiedo: ma come diavolo è possibile che un provider scelga un modo così cretino per informare i propri clienti? Vero è che si tratta del servizio in assoluto meno caro (tra quelli funzionanti) che abbia trovato, ma ciò non giustifica una simile idiozia.

martedì 1 settembre 2009

Facebook e gli zebedei

Credevo di aver cancellato permanentemente il mio account su Facebook: avevo seguito le istruzioni, fatto la richiesta, confermato che proprio lo volevo fare. Avevo anche risposto all'accorata domanda che mi chiedeva perché mai lo volessi fare: avevo detto che di quel servizio non me ne frega un cazzo e che lo ritenevo la cosa più inutile del mondo.
Ero sereno.

Poc'anzi, seguendo un link del grande Oracolo, sono capitato su una fumosa dichiarazione del senatore Stefano Pedica, oggetto del mio precedente post. L'ho seguita e sono capitato su una pagina di Facebook.
Il mio browser si è messo a dialogare con il loro server, che deve avergli richiesto le credenziali memorizzate e lui, ligio, gliele ha trasmesse: cosa che nel resto del mondo internettaro non ha alcun effetto, quando un account non esiste più.
Be', dopo pochi secondi mi si apre una pagina che tutta festosa mi dice che il mio account è stato riattivato, e che zuckercoso è tanto tanto contento di rivedermi.
Io ero certo di aver chiesto la cancellazione, del mio account, non la disattivazione; ma mi rimane un frustolo di dubbio.

Decido comunque di studiarmi bene la cosa, e finalmente capito su una pagina che promette di cancellare tutto. Mi chiede la password e la compilazione di un captcha: anzi per la precisione un reCAPTCHA, quelle immagini sul tipo illustrato qui a fianco, che contengono due parole scansionate che bisogna riconoscere.
Peccato che la pagina si ricarichi ogni due secondi, rendendo virtualmente impossibile la compilazione del modulo per chi non sia un dattilografo certificato.
I miei zebedei stanno frullando come le pale dell'elicottero sul quale spero che il nume di Facebook abbia a salire il medesimo giorno in cui i bulloni delle eliche avranno a svitarsi improvvisamente; tuttavia, sapendo come funziona quel sistema e che pertanto basta inserire solo la parola leggibile, scrivendo qualcosa a caso per l'altra parola, riesco a superare il test dopo qualche tentativo.
A questo punto dovrei essermi meritato almeno un cinque o sei livelli di GioconeFF; ma non basta. Mi viene detto infatti che la mia richiesta di cancellazione è stata accodata, e verrà eseguita tra 14 giorni, salvo che nel frattempo putacaso io non mi ricolleghi di nuovo al sito, il che comporterà l'automatica cancellazione della richiesta di cancellazione.
Se fossi a casa mia, aggiungerei una bella riga "www.facebook.com 127.0.0.1" al mio hosts, ma dal lavoro passo da un proxy: e quindi vai a cancellare cookies, credenziali cachate e ad immaginarsi quali ulteriori diavolerie si potranno inventare per tenermi legati a sé, quei signori.
Che avranno bisogno di tutti gli utili che riescono a fare, in queste due settimane, per pagarsi le costosissime cure per le brutte malattie che si svilupperanno a breve nei loro organi vitali.