sabato 27 ottobre 2012

Pi = 3

In questi giorni ho letto molti interventi che mettevano in ridicolo la sentenza che ha condannato i componenti della Commissione Grandi Rischi: interventi scritti da persone di scienza, in senso stretto o lato, i quali discettavano su un tema squisitamente giuridico.
Spesso, quando si vuole mettere in ridicolo il mondo delle scienze umane, si cita l'esempio di quello Stato unito (non ricordo quale), il cui Parlamento decretò per legge essere il Pi greco uguale a tre: una evidente sciocchezza di fronte alla quale lo scienziato si sente pervaso da sdegno verso coloro che considera appartenere a una razza e a una cultura inferiori.
Questo sdegno, questa superbia, sono le medesime che spingono gli uomini di scienza ad addentrarsi in campi che non sono loro propri, credendo che i loro modelli di interpretazione della realtà valgano universalmente.
E il bello è che la logica dello scienziato è esattamente la stessa logica del giurista, solo che lo scienziato non lo sa perché diversi sono gli argomenti ai quali gli operatori logici si applicano: e questo alla scienziato sfugge.
E valga il vero: la prima regola, quando si studia un fenomeno, è che bisogna poterlo misurare; e per poterlo misurare bisogna che il fenomeno si sia già manifestato.
Commentare un fenomeno che ancora non esiste (e tale è una sentenza non ancora scritta) è una sciocchezza. Certo, abbiamo già il dispositivo, ma questo è solo una manifestazione anticipata di un fenomeno (la motivazione), non il fenomeno stesso. E' un po' come se un fisico del suono volesse di studiare lo spettro armonico di un tuono, ma per far prima pretendesse di utilizzare solo i dati ricavati dallo spettro elettromagnetico del lampo: in effetti dal lampo sappiamo che di lì a poco arriverà il rombo del tuono, ma finché il suono non avrà compiuto il suo viaggio, non avremo nulla da misurare.
Sfugge alla logica dello scienziato che debba necessariamente esistere un lasso di tempo tra il momento della decisione del giudice (il dispositivo della sentenza) e la stesura per iscritto del ragionamento logico che lo ha sotteso (la motivazione): e ciò perché nell'ambito scientifico prima si scrive (o si dovrebbe scrivere) il ragionamento logico, e poi si danno gli annunci; ma questo metodo, in un procedimento penale, sarebbe inumano, perché lascerebbe tutte le parti processuali in un'incertezza che sconfinerebbe con la tortura. Rammentate quegli ultimi due-tre giorni di scuola, quando gli scrutini erano già stati fatti ma i quadri ancora non erano usciti? Ecco, immaginate un imputato che dovesse passare un paio di mesi ad attendere di conoscere il suo destino già deciso, e capirete cosa intendo.

Se questo discorso è valido per qualunque sentenza, lo è ancor di più nel caso specifico, dato il tipo di reato contestato.
Commentare il dispositivo di una sentenza che ha condannato la Franzoni (per riprendere il caso di cui si parla nel colonnino lì a destra) è relativamente facile: la condanna vuol dire che il giudice ha ritenuto che lei avesse ammazzato il figlio, punto. Poi servono le motivazioni per capire perché le prove a discarico siano state ritenute inconcludenti; ma una qualche certezza ce l'abbiamo.
Ma l'omicidio è un reato commissivo e doloso: si tratta cioè di una fattispecie in cui qualcuno ha fatto volutamente qualcosa.

La Commissione grandi rischi è stata imputata di un reato omissivo e colposo, vale a dire di non aver fatto qualcosa che era suo dovere fare, e di non averlo fatto non volutamente, bensì per negligenza, imprudenza o imperizia.
Per la Franzoni, era chiaro che qualcuno aveva volontariamente spaccato la testa del piccolo: si trattava solo di decidere se fosse stata la madre o qualcun altro.
Per la CGR, si trattava di capire:
- cosa avrebbe dovuto fare;
- cosa avrebbe potuto fare;
- cosa in effetti abbia fatto e che avrebbe dovuto evitare di fare;
- cosa in effetti non abbia fatto, e che avrebbe potuto fare;
- se avrebbe dovuto fare ciò che non aveva fatto pur avendolo potuto;
- se tutto ciò, dipenda da un errore scusabile, o se invece sia da ricondurre a imprudenza, negligenza o imperizia (sciatteria, sbadataggine, menefreghismo);
- se l'omissione (il non aver fatto ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare) abbia o meno una relazione di causa-effetto con l'evento (la morte di una o più persone).

Vedete bene che le cose si sono complicate, e molto. E la memoria del PM (grazie a .mau. per il link) queste cose le affronta, con ragionamenti che seguiono una logica formale precisa e puntuale, tanto che potrebbe essere riscritta in simboli. Ma la memoria del PM, ancora, non è la sentenza.

 

legalese
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