giovedì 28 febbraio 2013

Chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo

La passione del momento è quella di prevedere che fine farà questo disgraziato Paese, ora che il Parlamento è ostaggio di Grillo. Si leggono in giro una quantità di analisi fatte con tanto o poco buon senso, ma non sono riuscito a trovare nessuno che abbia seguito il mio percorso mentale. Pertanto, anche al fine di chiarirmi le idee (e superando la mia ormai naturale pigrizia), provo a scrivere come la vedo.
Il ragionamento non sarà lineare, del che peraltro non mi scuso (non mi pagano mica per scrivere queste fregnacce), ma invoco la pazienza di chi, per motivi che mi sfuggono, volesse seguirlo fino in fondo.

Credo anzitutto necessario sgombrare il campo da eventuali riconduzioni del sucesso di M5A a quello della Lega, vent'anni fa. Va affermato con decisione che i due soggetti sono profondamente diversi: la Lega era un fenomeno con una forte connotazione ideologica, per quanto di un'ideologia bislacca: elementi fondativi in tal senso ce ne erano molti: la secessione; la costruzione di una mitologia identitaria grazie al recupero di tradizioni vere (la solidarietà valligiana, il Carroccio, la laboriosità delle genti del Nord) o inventate di sana pianta (il Dio Po, i celtici...); il recupero dei localismi popolari fino allo sdoganamento delle loro manifestazioni più ridicole, come la festa del formai de mut o la Sagra della scoreggia. Certo, tale ideologia si esprimeva anche in una pars destruens (contro i terroni, contro i negri, contro gli immigrati che rubano il lavoro e violentano le donne; contro la globalizzazione, contro il centralismo...): ma erano dei contro derivanti dall'ideologia, non fondativi di essa.
All'opposto, M5S è del tutto privo di un'ideologia riconoscibile o, meglio, la sua ideologia è basata sulla lotta contro certi bersagli individuabili in alcune categorie variamente odiose alla genericità della popolazione (le banche, Equitalia, gli gnomi della finanza; gli speculatori; la casta).
Mentre l'ideologia leghista è riuscita a superare lo shock dell'esperienza di governo, convertendosi in parole d'ordine meno radicali e presentabili ad un pubblico più vasto (la secessione è divenuta il federalismo; la lotta ai negri è divenuta la rigida regolamentazione dei flussi migratori; la Sagra della scoreggia è divenuto il recupero delle tradizioni etniche a rischio di scomparsa), questo salto non è possibile a M5S, per il semplice motivo che manca un substrato ideologico sul quale costruire un insieme di iniziative coerenti.
E del resto il modo stesso in cui si è formato M5S non avrebbe mai potuto consentire la formazione di un set identitario condiviso: un carrozzone a bordo del quale poteva saltare chiunque, purché incensurato e disgustato del mondo moderno non può che contenere una congerie di anime, pur belle ma molto diverse tra loro e quindi impossibilitate a mettere a fattor comune le rispettive tendenze (il lettore può, volendolo, esercitarsi ad applicare questo concetto anche al PD).
Che le cose stiano così è dimostrato dallo stesso atteggiamento del capo e dei neodeputati, i quali ripetono come un mantra la formuletta mandata a memoria: «voteremo i singoli provvedimenti sui quali saremo d'accordo». Non si tratta di una provocazione, non si tratta di un bluff e non è necessariamente (e anzi io credo proprio non sia, come vedremo più avanti) una mossa strategica tesa a far costituire un governo d'unità nazionale PD-PDL: molto più banalmente, l'assenza di un'ideologia condivisa (che significa poi la presenza di tante ideologie personalistiche quanti sono gli aderenti al movimento) rende materialmente impossibile la stesura di un programma di durata, costringendo il movimento alla mera adesione o rifiuto delle proposte programmatiche altrui.

In questo quadro risulta come ovvio fondamentale la figura di Grillo (e Casaleggio; ma per amor di brevità citando Grillo indicheremo entrambi i personaggi, ove non diversamente indicato), le cui scelte organizzative sono state fin dall'inizio lucide ed efficaci. La Lega nasceva dapprima nei bar e nelle osterie, poi nei circoli e nelle piazze di paese, e quindi i suoi aderenti avevano un continuo e costante scambio tra loro, con gli altri circoli e con i vertici, per mezzo dei maggiorenti locali che erano sempre disponibili e rintracciabili dall'ultimo dei militanti (e se non siete d'accordo sul punto, si vede che non avete mai visto una valle bergamasca o bresciana); al contrario M5S sembra essere stato costruito con una rete diffusa di centri di aggregazione del tutto isolati l'uno dall'altro, sia dal punto di vista organizzativo che degli obiettivi proposti, rigidamente compartimentizzati alla dimensione puramente locale.
E' evidente come l'unico soggetto in grado di dettare una linea, in assenza di una classe dirigente in grado di coordinare le istanze della base, non potesse essere altro che Grillo, furbescamente qualificatosi come mero portavoce -e quindi senza alcun potere decisionale- ma di fatto l'unico in grado di indirizzare le istanze e gli umori degli aderenti.
Si è così creato un rapporto simbiotico tra Grillo e la sua base: gli uni sono persi senza una guida, un po' come sarebbe un'orchestra senza un direttore; ma anche Grillo non può portare le proprie istanze, che scendono dall'alto, senza far apparire come se in realtà salissero dal basso: a pena di perdere il ruolo di portavoce neutrale che gli garantisce l'assenza di opposizioni interne (come si fa ad opporsi a un portavoce che si limita a riportare, non potendo decidere nulla?) e, in ultima analisi, il proprio ruolo di controllore assoluto (sostanziale, non formale) del movimento.
Le cose, ahilui, sono destinate a cambiare presto, e proprio grazie al successo elettorale di M5S (successo che, ne sono convinto, è stato molto maggiore della soglia massima che Grillo si era riproposto). Grillo in Parlamento non è stato eletto, e -anche per motivi d'immagine- non può certo iniziare a frequentare quotidianamente le tribune del pubblico per vedere che succede. I suoi deputati e i suoi senatori invece sì: ci sono, e necessariamente inizieranno a parlare tra loro, a confrontarsi, a mettere a fattor comune le rispettive esperienze. Scopriranno così che il lavoro politico è molto più difficile e faticoso di quanto pensassero inizialmente; che per fare una legge non basta il buon senso ma ci vogliono capacità di mediazione tra mille interessi particolari, e che stare in Commissione è noiosissimo, ma è lì che si muovono davvero le cose. Scopriranno, per sintetizzare, che il semplice buon senso non basta.
Taluni -io tra questi- sono convinti che molti neoeletti, in quanto specchio del Paese, siano gente onesta solo perché non hanno ancora avuto occasione di rubacchiare, e che non appena messi di fronte al vaso della marmellata si serviranno avidamente da esso; ma se do per certo che ce ne saranno molti che ruberanno -facendosi beccare subito, ché anche per rubare ci vuole esperienza- do altrettanto per certo che la maggioranza di essi siano persone veramente oneste, che sentono l'importanza del loro compito e sono desiderose di migliorare la situazione del proprio Paese prima ancora che quella della propria famiglia.

Come accennavo sopra, alcuni commentatori ritengono che Grillo voglia spingere la leva dell'ingovernabilità per arrivare al governissimo PD-PDL, ribattezzato "governo dell'inciucio", e conquistare in capo a un anno la maggioranza delle due Camere. La cosa sarebbe astrattamente possibile, ma il piano per riuscire richiederebbe lo scatenarsi di una crisi di dimensioni tali da rendere una passeggiata di salute quella che stiamo vivendo oggi. Questo non preoccuperebbe certo Grillo, che ha mezzi sufficienti per campare a lungo di rendita, ma siamo certi che i parlamentari M5S sarebbero così cinici da voler affondare il Paese, e con esso le proprie famiglie, i propri amici, le comunità di riferimento, per inseguire un piano strategico sporco e inconfessabile?
Io credo proprio di no, e anzi immagino che il giorno in cui Grillo dovesse radunare i suoi esponendo questo protocollo di Sion, si troverebbe per la prima volta di fronte al rischio di un vero e proprio ammutinamento. Strategie così fini, e così ciniche, richiedono politici navigati, fini e cinici; e non lo si diventa in due settimane, specie se si è intimamente convinti di voler rendere un servizio al proprio Paese e alla propria comunità d'appartenenza.
Questo Grillo, che scemo non è, lo sa bene: e se oggi può permettersi proclami distruttivi, alla prima riunione sarà messo in croce dai suoi eletti, che vorranno sapere che fare e non si accontenteranno di parole vuote. Perfino Gasparri e Scilipoti hanno compreso che il Governo deve ottenere la fiducia: siamo così presuntuosi da credere veramente che in un paio di centinaia di persone attive a appassionate, non ce ne sia nessuna in grado di comprendere questa semplicissima verità?
No, il punto è che M5S sta traccheggiando, dando risposte lunari alle domande della Gruber, per un solo semplice motivo: non sanno cosa fare, non si aspettavano di essere determinanti. Ma non saper cosa fare oggi non vuol dire aver deciso di non far niente per i prossimi cinque anni: significa semplicemente che devono prima rifasarsi.
Del resto, Bersani non ha aspettato un giorno prima di andare a parlare in TV? E in quel giorno non è che sia stato a bere la birra al bar: ha lavorato intensamente per delineare una linea. Perché mai i grillini non dovrebbero essere disorientati? Certo, non vogliono farlo vedere, e quindi mandano sul palco le ballerine del can-can; ma nel frattempo stanno certo cercando di trovare una linea che possa mettere d'accordo gli obiettivi di Grillo e quelli dei grillini.

E se -per ipotesi- la sintesi delle rispettive aspettative non dovesse riuscire, chi vincerebbe? Secondo me, Grillo è molto meno forte dei suoi eletti. E' vero che ha il controllo totale del simbolo e della piattaforma organizzativa; ma nell'arco di una legislatura non sarebbe difficile mettere in piedi un movimento alternativo che passi dalla protesta alla costruzione; alle successive elezioni quindi si troverebbero contrapposti Grillo, che a quel punto raccoglierebbe solo il voto di protesta dura e pura (vogliamo dargli il 5%?) e gli ex grillini, che invece raccoglierebbero quel 20% di elettori che hanno votato Grillo per sfasciare non il Paese, ma solo la vecchia casta.
Secondo voi Grillo sarebbe disposto a rischiare? Non solo non lo credo proprio, ma anzi credo che questi scenari siano comunque fantasiosi e artefatti: l'obiettivo di Grillo non può essere lo sfascio, neppure con l'obiettivo della conquista del potere: ma per motivare tale affermazione dovremo passare a delineare un profilo psicologico del personaggio.
(segue)

mercoledì 13 febbraio 2013

Nomen Omen

Alcune perle dell'interessante articolo di Spinelli su Rep.

le rivoluzioni rovesciano ordini esistenti, politici o ecclesiastici, e neanche loro hanno la virtù della stabilità: sempre secernono controrivoluzioni, Termidori, perfino restaurazioni. Tuttavia hanno un'immediata vocazione a divenire l'anno-zero di una Storia in mutazione: nascono nuove istituzioni, nuovi sovrani, che della rivoluzione sono figli anche quando la disconoscono

Forse ciascuno di noi si dirà, come Montale negli Ossi di Seppia: ho visto anch'io, andando in un'aria di vetro, "compirsi il miracolo: il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro di me, con un terrore di ubriaco"

Oggi la forma è quella dei valori non negoziabili, o supremi. E delle leggi naturali, di cui la Chiesa si erige a custode: come se esistesse un quid che trasforma la legge - il nòmos sempre rinegoziato - in physis immodificabile dall'uomo

L'ammissione di estrema umanità, di fallibilità, è immersione-immedesimazione nella kènosis che svuota. Il sacro copre, non disvela. Protegge l'idolo, e le vaste cupole, e le così sfarzose, troppo imponenti mitre dei vescovi

 

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