venerdì 26 febbraio 2010

Travagli(o)

Friendfeed non funziona, ma mi scappa una citazione da Facci
Va detto però che se anche Travaglio avesse ragione – e non ce l’ha – la cifra stilistica che lamenta è quella che lui ha perfezionato meglio di chiunque. Le puntate di Annozero in cui ha monologato di tutt’altro, rispetto al tema della serata, non si contano: dipende dal tema e dagli ospiti. Una volta, per dire, c’era Di Pietro che era sotto la lente perché gli avevano inquisito il figlio a Napoli: Travaglio fece un monologo su Previti e su Cirino Pomicino. La delegittimazione-divagazione è proprio il cuore del linguaggio travagliesco: «Il pregiudicato Caio», «l’ex socio di mafiosi Tizio», «il ladro latitante Sempronio», tutte liquidazioni da due secondi e che sì, è vero, se parli dovresti spiegare, «dovresti parlare per mezz’ora». Travaglio lo pretende solo per sé: altrimenti gli interlocutori tacciano, al limite non vengano invitati ad Annozero. Lui ha una reputazione. Non è come i giornalisti del Giornale che «prendono lo stipendio da un pregiudicato», ha scritto sabato a proposito di divagazioni, non è «come quelli di Libero, che continuano a fare i direttori di un editore, Angelucci, che è stato arrestato due volte». Solo arrestato, tra l’altro, e non condannato: ma questo lo si specifica, qui, perché siamo servi e abbiamo tempo, anche mezz’ora. Non abbiamo una reputazione, non ce l’ha Angelucci, non ce l’ha nessuno dei migliaia che il nostro sputtana per mestiere. Ce l’ha Travaglio, la reputazione. Quale, però, non gli è chiaro.

giovedì 25 febbraio 2010

Qualche nota a margine della sentenza contro Google

La filosofia di questo blog è che non si parla di cose serie se non le si conosce abbastanza da peter esprimere un parere meditato e motivato.
Quello che scrive qui non ha letto le motivazioni della sentenza (che non sono state ancora scritte) né ha avuto accesso agli atti processuali, e quindi dovrebbe tacersi): tuttavia una certa irritazione per aver letto tanti commentatori improvvisati fa sì che anch'io desideri sviluppare qualche ragionamento.
Possiamo partire da un documento pubblico: il decreto di citazione diretta a giudizio emanato dalla Procura della Repubblica di Milano nei confronti di cinque imputati, che contiene tre capi d'imputazione:

il primo, nei confronti di quattro imputati, per concorso in diffamazione: l'accusa è quella di aver concorso nell'offendere la reputazione del malcapitato soggetto brutalizzato nel filmino postato su Youtube e dell'associazione Vivi Down, alla quale sono state attribuite frasi ingiuriose (che non ritrascrivo, ma potete leggere nell'atto d'accusa);
- il secondo, nei confronti di tre imputati, per aver trattato illecitamente e a fini di profitto dati personali in violazione degli artt. 23, 17 e 26 della legge 196/2003;
- il terzo riguarda una vicenda meramente processuale e non ne parleremo.

Vediamo un po' il primo capo d'accusa: quello per diffamazione. L'accusa afferma che la responsabilità in capo a Google discende dall'art. 40 c.2 c.p., il quale a sua volta afferma che non impedire un evento che si ha l'obbligo di impedire equivale a cagionarlo.
Il concorso nel reato (che come ovvio è stato commesso da chi ha postato il filmino e ha scritto il commento infame) è attribuita a Google in base all'art. 40 2° comma c.p., vale a dire "per non aver impedito un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire"; e tale obbligo giuridico viene fatto risalire proprio alla normativa sul trattamento dei dati personali.
La legge sulla privacy entra quindi due volte nell'accusa: una volta, per sanzionare il fatto che Google si è strafregato del fatto che tramite la propria piattaforma tratta dati personali; la seconda, perché se non se ne fosse strafregato, Google avrebbe impedito la commissione di un reato (la diffamazione).

Il giudice, di questi due reati, ne ha riconosciuto solo uno: vale a dire l'essersi strafregato della normativa sul trattamento dei dati. Egli ha condannato Google a tale titolo, e quindi ha espressamente riconosciuto che Google avrebbe dovuto seguire la normativa in questione. Ma poi si è fermato: non ha cioé riconosciuto anche che da tale mancanza discenda anche la responsabilità per il reato di diffamazione, attraverso il meccanismo dell'art. 40 c.2 c.p.: e ha mandato assolti i dirigenti per tale capo d'imputazione.
Cosa può significare ciò? Ci sono varie possibilità sul tavolo: può essere anzitutto che il video non sia stato ritenuto diffamatorio: ma quest'ipotesi è così assurda che non la prendiamo neppure in considerazione.
Può essere che il giudice non abbia riconosciuto il concorso colposo in un delitto doloso, ma dato che non stiamo parlando di un concorso semplice nel reato, bensì di un concorso mediato dall'art. 40 c.2, anche tale eventualità appare remota.
La possibilità che mi sembra più concreta (e che certo sarà smentita quando leggeremo le motivazioni, ma lasciatemi fantasticare un po') è che il giudice abbia riconosciuto che anche applicando pedissequamente la normativa sulla privacy, comunque non è detto che il reato sarebbe stato impedito.
In altre parole: è possibile che il giudice abbia affermato che non sta a Google controllare uno per uno i contenuti che vengono postati su YouTube: o perché ciò è materialmente impossibile, o perché Google è un mero aggregatore di contenuti prodotti da terzi.
Certo, in questi giorni state leggendo dovunque delle opinioni opposte da parte di commentatori che si empiono la bocca di "libertà della rete", "filosofia di internet" e via discorrendo, tutte cose -detto per inciso- che non sono previste dai nostri codici. Ecco, io chiedo a costoro: come diavolo potete spiegare l'assoluzione per il concorso in diffamazione? Io l'unica spiegazione che vedo è che il giudice abbia ritenuto che Google non debba o non possa vagliare uno per uno i contenuti pubblicati; ma se qualcuno ne ha un'altra giuridicamente solida mi piacerebe leggerla.
Certo, c'è di contro la condanna per la violazione dell'art. 167 della legge 196: e anche questa condanna si spiega facilmente. Quella norma dispone che chi effettua a fine di profitto o di altrui danno (insomma: non per hobby) trattamenti di dati, sensibili o meno, debba assumere una serie di precauzioni e cautele.
Secondo l'accusa (e quindi con tutta probabilità secondo il giudice) Google non si è preoccupato dell'esistenza di una normativa del genere in Italia, e ha messo in piedi il servizio Google Video aprendolo a cani e porci senza alcun controllo preventivo: e non lo dico io bensì il capo d'accusa:
Trattamento omesso - anche in relazione alle concrete misure organizzative da apprestare, idonee alla sua successiva attuazione - fin dalla fase antecedente alla effettiva localizzazione del servizio Google Video (…), non avendo né i due rappresentanti legali di Google Italy, né il responsabile del progetto Google Video (…) né tantomeno il Global Privacy Counsel di Google Inc. affrontato la problematica relativa alla protezione dei dati personali che sarebbero stati trattati in relazione a Google Video, che invece veniva volutamente lanciato come servizio ‘dì “libero accesso” dopo una attenta analisi del mercato italiano
Quali le conclusioni da trarre? non ne ho, in quanto stiamo discorrendo sul nulla o quasi: e difatti ho intitolato questo post "note a margine"; ma vorrei sottolineare due cose: una che forse sia un po' troppo presto per stracciarsi le vesti; l'altra, che commentare i dispositivi delle sentenze è un esercizio intellettuale che può anche essere divertente, ma che serve a ben poco in quanto al mero dispositivo si può far dire tutto e il contrario di tutto.

martedì 23 febbraio 2010

Facce che non si dimenticano

Ve la ricordate questa faccia? No? Be', un piccolo aiutino: sorrideva in precario equilibrio in questo manifesto.
Se andate a leggere il post, era anche quello per il quale la giunta per le elezioni aveva proposto la decadenza, in quanto per essendosi fatto eleggere come residente in Belgio risultava residente in un appartementino occupato da tre studenti che non l'avevano mai fisto in faccia.
Ecco: adesso la procura antimafia ha chiesto il suo arresto, in quanto coinvolto in una mega operazione di riciclaggio.
Secondo quanto riportato dal Corriere, "Nel corso dell'inchiesta è emerso inoltre che la 'ndrangheta, tramite emissari calabresi in Germania, soprattutto a Stoccarda, avrebbe messo le mani sulle schede bianche per l'elezione dei candidati al Senato votati dagli italiani residenti all'estero e le avrebbero riempite con il nome di Nicola Di Girolamo. Per il senatore l'accusa è violazione della legge elettorale «con l'aggravante mafiosa»".
Intendiamoci: noi che amiamo la Costituzione siamo sempre convinti che il sen. Di Girolamo sia da ritenere innocente fino alla condanna definitiva, ma ciò non ci impedisce di farci un'opinione personale. E qui emerge il nostro fondo di giuspositivismo, e il fantasma di Lombroso che sempre ci accompagna grida a gran voce la propria condanna.

iMussolini (Alessandra, stavolta)


Come ricorderete qualche tempo fa è scoppiata una polemica in rete sul fatto che Apple avesse accettato un'applicazione per far leggere sull'iPhone i discorsi del Duce: in sintesi c'era chi diceva che l'applicazione avrebbe dovuto essere ritirata e chi affermava che la libertà d'espressione e di documentazione storica è essenziale. Io ne scrissi qui, quale fautore della seconda tesi: anche perché quando qualcuno comuncia a dire che qualcosa non è buono per gli occhi e il cervello di un adulto, sai dove parti ma non sai mai dove puoi arrivare.
La cosa si è poi risolta da sé, nel senso che l'applicazione è stata ritirata banali per motivi di copyright, con buona pace di tutti.
Adesso sembra che Apple abbia deciso di espungere dal proprio AppStore anche una serie di contenuti di carattere più o meno licenzioso: ritenendo evidentemente che un adulto consenziente e anzi disposto a pagare dei soldi non possa vedere tette, culi e magari perfino peli.
Ecco: se io fossi uno che compera la roba di Steve Jobs, comincerebbero a girarmi vorticosamente gli zebedei per il fatto di aver pagato caro un aggeggio elettronico che è *mio* ma con il quale non posso fare ciò che voglio. Tuttavia questo discorso viene sempre fatto quando il Dio maligno è Bill Gates, mentre Steve Jobs sembra immune da qualsiasi critica. Forse che l'uno sia un Dio cristiano mentre l'altro un Dio d'Israele, che i suoi fedeli conoscono come vendicativo e impescrutabile e le cui volontà, rassegnati, debbono accettare?

lunedì 22 febbraio 2010

Fare (v.tr.)

Con la convocazione dei comizî elettorali la città si riempie di manifesti.
«La forza del fare», recita uno. «Per fare in Regione», evoca un altro. «Fare tanto, parlare poco», mi aspetto di vedere a breve; e non mi stupirebbe dacché già c'è un altro manifesto con un direttore d'orchestra (o, perlomeno, un signore vestito da direttore d'orchestra) il cui slogan è: «Fa,Re.»
Allo stesso tempo i giornali, primo fra tutti Repubblica, sono invasi di articoli sull'«Uomo del fare»: il prode Bertolaso che si trova in quel po' po' di guai che ben conosciamo, e che rischia di trascinare nella sua disgrazia anche il governo di cui è componente, che ben conosciamo per essere il «Governo del Fare». E giustamente in questo bailamme i giornali, primo fra tutti Repubblica, sottolineano come il Fare senza i controlli sia un gran rischio per il nostro Paese, sia dal punto di vista della gestione del potere che della tenuta dei conti pubblici.

C'è un fatto che sembra quasi sfuggire, o rimanere in secondo piano, ai molti commentatori che pure pongono l'accento sull'importanza di stabilire come fare prima di «fare».
Fare è verbo transitivo: l'azione compiuta dal soggetto transita al complemento oggetto: non rimane attaccata al soggetto, come nel caso, chessò, del dormire o dell'andare.
No! Per poter fare bisogna necessariamente fare qualcosa. e questo qualcosa non può essere sottinteso come nel caso del mangiare, verbo sì transitivo, che però diventa quasi intransitivo nell'espressione «Hai già mangiato?», nella quale il complemento oggetto è sottinteso, ma in fondo inutile: perché non c'importa nulla di sapere se il nostro interlocutore abbia pasteggiato a salsiccia e patate oppure a salmone con panna acida, bensì solo che egli non sia assalito dai morsi della fame.
Quando si parla di qualcuno che vuole o deve fare, è necessario sapere cosa egli farà: e difatti l'interlocutore spesso lo chiede. Il barbiere ci domanda: «Barba o capelli?»; il barista: «Negroni o Martini?»; e perfino l'agente delle pompe funebri ci chiede, compunto: «Cosa posso fare per Lei?».

Ecco: sembra che gli unici a non chiedersi cosa debbano fare sono proprio i politici di questa generazione secondorepubblicana: per essi l'agire fine a sé stesso sembra essere l'unico merito, indipendentemente dalla direzione verso la quale debba indirizzarsi lo sforzo.
E, al contempo, sembra che gli stessi elettori siano partecipi, consapevolmente o meno, di questo inganno: dato che coloro che mai darebbero la macchina in mano al carrozziere senza aver preteso di sapere cosa egli farà, e quanto poi ciò costerà loro, contrattando anche sui più minuti ritocchi di colore del sottoscocca, sono poi pronti a dare il proprio voto al primo faccione (dell'una o dell'altra parte politica, indifferentemente) che prometta loro di «FARE».
Ecco: io vi invito ad evitare come la peste di votare un qualsiasi politico che vi presenti il verbo «fare» in accezione intransitiva.
E non solo per motivi sintattici.

Drogo

Stamattina avevo un appuntamento in una di quelle società di revisione/consulenza/advisory/legal/etc/etc che sono presenti un po' ubiquitariamente nel mondo. Sono tre o quattro in tutto, e fanno le pulci ai bilanci delle società (o dovrebbero farle, le pulci, ma questo è un altro discorso).
Questa società, in particolare, ha ora sede in un elegantissimo e modernissimo palazzo, dalle parti di Piazza Lotto, progettato da un architetto che ha costruito anche la sede berlinese della medesima società, in una piazza che fino a pochi anni fa era un grande buco, e tante altre cose magnifiche a Parigi, a Genova, a Roma e perfino a San Giovanni Rotondo (ma anche queste sono solo inutili divagazioni, che scrivo per allungare la frittata e per ricordare meglio questo momento).
Insomma: sta di fatto che finita la riunione, verso le undici, sono uscito e ho slegato la mia bici, che era attaccata alla balaustra della metropolitana. C'erano cinque gradi, una pioggerellina lieve ma tesa, un senso di novembre, un cielo color di Parmia.
E, per la prima volta dopo tanti anni, ho riflettuto un po', ho legato di nuovo la bici alla balaustra, ho sceso le scale e sono venuto in ufficio in metrò.
Mi chiedo: non è per caso che proprio oggi, 22 febbraio 2010, sia il giorno in cui ho smesso di fare i gradini due e due?

sabato 20 febbraio 2010

E' morto Friendfeed?

Sembrerebbe che Friendfeed sia sparito dai DNS, proprio la sera della finale di Sanremo.
Mi dite cortesemente se è così, oppure si tratta solo di un problema mio?
Se fosse solo un problema di DNS, qualcuno sa qual è l'IP da raggiungere?

aggiornamento effettivamente i DNS di FF sono andati a donne di facili costumi. Ora sembra che qualcuno sia risorto, Comunque l'IP è 64.13.142.66

mercoledì 17 febbraio 2010

Cose fatte per bene

L'essermi trovato la mia ex moglie tra i follower su Google Reader mi ha fatto ritenere che la misura fosse colma, e che pertanto Buzz non meritasse di avere ancora neppure un minuto di vita, per quanto mi riguarda.
Intendiamoci: non che avessi nulla da nascondere (il mio blog, il mio reader, il mio profilo su friendfeed sono rigorosamente pubblici). Ma altro è lasciare che la gente ti possa cercare, confidando nel fatto che mai si metterà a farlo per assoluto disinteresse e incapacità tecnica, altro invece è andare a bussare alla sua porta dicendogli: «ehi, guarda, quel tipo scrive delle cose, leggile, dai!».
Così ho trovato l'opzione per disabilitare completamente Buzz, che ho azionato senza pensarci troppo e senza stare a leggere tutta la pappardella. E mi sono cancellato anche tutti i follow che avevo coltivato su reader nel corso del tempo.
Google questa volta ha fatto un bel lavoro, non c'è che dire.

Giù dalle brande

A Carnevale, a Milano, molte scuole elementari chiudono per una settimana intiera, in un riuscito tentativo di accorpare i desiderata dei genitori che vorrebbero portare il pargoletto a sciare, degli insegnanti che pure vogliono riposarsi e della continuità didattica messa a rischio dalla moda della settimana bianca autoorganizzata, che quando ero piccino io faceva sì che tra febbraio e marzo ci fossero sempre almeno due-tre assenti per "motivi familiari". Chiudendo a Carnevale, chi vuole andare a sciare ha modo di farlo in quella settimana, e poi può seguire le lezioni regolarmente.
Purtroppo molte cose sono cambiate, da quando ero piccino io: tra il lavoro più impegnativo e la circostanza che oggi, a parità di qualifica, siamo molto più poveri in termini reali di quanto lo fossero i nostri genitori, il lusso di andare a sciare una settimana se lo possono permettere in pochi; e perfino il lusso di stare a casa a badare al pupo. Del disagio di questi genitori la scuola se ne infischia, e dire che sono la maggioranza!
Parte quindi, un paio di settimane prima del Carnavale, una frenetica serie di consultazioni in occasione delle quali i genitori fortunati, che hanno programmato di passare qualche giorno con il proprio pargoletto, vengono fatti oggetto di profferte di amicizia, di eterna gratitudine e talora anche di ben altro da parte di altri genitori e genitrici precettati a casa dal lavoro o dal bisogno, affinché imbarchino insieme al proprio anche il figlio altrui.
E' così che ho passato quattro giorni a sciare, io e una piccola banda di tre maschietti quasi undicenni: e solo qualche spudorata menzogna sul numero di posti letto disponibili mi ha consentito di limitare la brigata entro tali termini.

Orbene, tre maschietti quasi undicenni sono, come dire, un po' impegnativi. Abbastanza grandi da voler fare di testa loro ed avere la forza delle loro idee accompagnata da una malizia che rende ormai impossibile condirli via con qualche giro di parole o la promessa di qualche sciocchezzuola, e al contempo non ancora abbastanza grandi da vivere una vita meramente tangenziale rispetto all'adulto accompagnatore, il quale deve necessariamente accudirli, guidarli e sorvegliare che, forti dell'incoscienza riveniente dalla forza dell'essere gruppo, non commettano sciocchezze.
Ci sono coloro -di regola si tratta di persone che conoscono per filo e per segno le nuove tendenze della musica pop e della moda stagionale, avendo tutto il tempo per coltivare tali interessi in quanto felicemente e pervicacemente single- che pontificano su come e qualmente i bambini vadano educati con l'esempio, il dialogo costruttivo, il ragionamento deduttivo e l'evidenziazione delle aporie e contraddizioni dei loro comportamenti distruttivi o antisociali. Attraverso questi strumenti si favorisce il processo di crescita e responsabilizzazione degli infanti, che così vengono in possesso degli strumenti per esprimere appieno la propria personalità e divenire, un domani, uomini maturi e completi, rispettosi della collettività e degli altri da sé.
Ecco, mi piacerebbe se la prossima volta che dovessi andare a sciare con tre maschietti quasi undicenni, uno di costoro pontificatori o pontificatrici mi facesse l'onore di accompagnarmi (tanto il posto letto c'è), e mi mostrasse il metodo all'opera.
Io, per mio conto, ho perso un paio di chiletti, ho la gola in fiamme e necessito di un paio di giorni di lavoro per riprendermi dalla vacanza.

a messa a canfronto del loro com

giovedì 11 febbraio 2010

Parlare a vanvera

Francesco Costa ha scritto una cosa assai poco condivisibile in questo post: egli infatti afferma che la risoluzione della Commissione di vigilanza Rai prevede una più rigida applicazione della par condicio, e che «Ballarò, Annozero e compagnia potranno tranquillamente andare in onda, purché si preoccupino di ospitare in studio esponenti di tutti i partiti, garantendo loro parità di tempo e spazi. Se non vorranno strutturare così i loro programmi, potranno spostarli in un’altra fascia oraria e lasciare il prime time a tribune politiche che obbediscano a quei criteri».
In realtà le cose stanno in modo assai diverso: l'art. 2 del provvedimento infatti definisce una serie di categorie programmi RAI: a) tribune politiche; b) messaggi politici autogestiti; c) programmi d'informazione; d) tutte le altre trasmissioni.
I programmi d'informazione sono: i telegiornali, i giornali radio, i notiziari, i relativi approfondimenti e ogni altro programma di contenuto informativo a rilevante presentazione giornalistica, caratterizzati dalla correlazione ai temi dell’attualità e della cronaca, purché la loro responsabilità sia ricondotta a quella di specifiche testate giornalistiche, e devono attenersi alle stringenti regole dettate dall'art.3; per tutti gli altri programmi invece è previsto, sic et simpliciter che: "in tutte le altre trasmissioni della programmazione nazionale della RAI, nonché della programmazione regionale nelle regioni interessate dalla consultazione elettorale, è vietata, a qualsiasi titolo, la presenza di candidati o di esponenti politici e non possono essere trattati temi di evidente rilevanza politica ed elettorale, ovvero che riguardino vicende o fatti personali di personaggi politici."
Insomma: tutto ciò che ha rilevanza politica ed elettorale è escluso se non segue le regole della Commissione: e dato che in tempi di elezioni tutto ciò che riguarda l'attualità ha rilevanza elettorale, ecco che tutto ciò che riguarda l'attualità è escluso.
Sono certo che avrete notato quelle paroline: "fatti personali di personaggi politici": il che esclude a priori che qualunque trasmissione RAI possa parlare di donnine, escort, divorzi, amicizie e relazioni d'affari di personaggi politici, tra i quali certo rientrano i membri del governo: Presidente del Consiglio, Ministri, Sottosegretari.
Veniamo alle regole che dovrebbero ispirare le trasmissioni "d'informazione": esse devono garantire l'accesso:
a) alle forze politiche che sono costitute in Gruppo parlamentare, anche in una sola delle due Camere; per i Gruppi parlamentari composti da forze politiche distinte, o rappresentate da sigle diverse, il Presidente del Gruppo individua, secondo criteri che contemperino le esigenze di rappresentatività con quelle di pariteticità, le forze politiche che di volta in volta rappresenteranno il Gruppo;
b) al Gruppo Misto della Camera dei deputati e al Gruppo Misto del Senato della Repubblica, intesi come unico soggetto, i cui Presidenti individuano, d'intesa fra loro, secondo criteri che contemperino le esigenze di rappresentatività con quelle di pariteticità, le forze politiche, diverse da quelle di cui alle lettere c), d) ed e), che di volta in volta rappresenteranno i due Gruppi;
c) alle forze politiche, diverse da quelle di cui alla lettera a) e b), che hanno eletto, con proprio simbolo, almeno due rappresentanti al Parlamento europeo;
d) alle forze politiche, diverse da quelle di cui alle lettere a), b) e c), che hanno eletto, con proprio simbolo, almeno un rappresentante in tanti Consigli regionali da interessare complessivamente almeno un quarto degli elettori chiamati alla consultazione;
e) alle forze politiche, diverse da quelle di cui alle lettere a), b), c) e d), che hanno eletto con proprio simbolo almeno un rappresentante nel Parlamento nazionale e che sono oggettivamente riferibili ad una delle minoranze linguistiche indicate dall'articolo 2 della legge 15 dicembre 1999, n. 482;
Da far venire il mal di testa.
Bontà sua, la norma non richiede che tutti i rappresentanti di questi soggetti partecipino tutti insieme: la partecipazione può anche essere frazionata, purché siano garantite eguali opportunità su base bisettimanale: il che a casa mia vuol dire ogni tre giorni e mezzo. Quindi una trasmissione quotidiana come Porta a Porta potrebbe cercare di frazionare in tre appuntamenti il folto parterre degli invitati necessari, mentre trasmissioni settimanali certo non possono sfruttare questa finestra d'opportunità.
Un'ultima cosa: se andate a verificare, il discorso del Prime Time non c'è scritto da nessuna parte.

aggiornamento Luca Sofri ha fatto notare, giustamente, che la lista che ho riportato sopra si applicava anche alla campagna elettorale 2009. Le cose però non stanno esattamente così: vi rimando ai commenti per una disamina della questione.

Non rimandare a domani ciò che puoi fare oggi

Stavo scrivendo un pezzo sulla trasformazione della Protezione Civile in SpA e sulla sottrazione degli appalti al controllo della Corte dei Conti. Ci stavo mettendo dentro anche qualche considerazione sulla perenzione del giudizio di conto e del giudizio di responsabilità alla luce del disegno di legge sul processo breve.
Oggi tutto ciò è diventato inutile: la prossima volta devo sbrigarmi.

mercoledì 10 febbraio 2010

Coppa America

Ho già scritto, in tempi non sospetti, quel che penso della deriva grillo-travaglista di Alessandro Gilioli, e quindi non ci sarebbe motivo per infierire.
Un post odierno tuttavia merita un commento: perché se è vero che la maggioranza di governo ha fatto passare in Commissione Vigilanza una mozione che di fatto impedisce qualunque trasmissione di approfondimento giornalistico nel periodo elettorale, tacere del fatto che la proposta è stata avanzata da un radicale eletto nelle liste del PD (Partito Democratico, non PdL!) non è fare cattiva informazione, bensì travisare della realtà.
Forse gioca in questa decisione il fatto che sia proprio una radicale (anzi: il simbolo stesso della lista radicale) la candidata alle elezioni regionali nel Lazio? Non lo so; ma so che la mozione di Beltrandi non fa che confermare tutto ciò che ho sempre pensato sui radicali e sul loro modo di affrontare la politica; e so anche che se abitassi a Roma o a Frosinone, avrei seri dubbi sul partecipare o meno al turno di ballottaggio.

aggiornamento - mi vien fatto notare che il ballottaggio alle regionali non c'è: sono un cretino, ma invoco a mia discolpa il fatto che in Italia i sistemi elettorali sono più variabili della pressione atmosferica nel Triangolo delle Bermude.

lunedì 8 febbraio 2010

La faccia come il culo /3

Geniale l'intervento del Ministro Castelli riportato da questo articolo del Corriere.
Dato che l'Alta Velocità si sta dimostrando l'ennesimo progetto fallimentare, il nostro ingegnere acustico propone di spostare il centro della comunicazione su altri aspetti rispetto alla velocità quali, ad esempio, il fatto che: «per andare, ad esempio, da Roma a Milano in treno le emissioni di Co2 sono 70 volte inferiori rispetto all’impiego dell’aereo».
Dunque, si è costruito un enorme e costosissimo progetto, si sono bucate montagne devastando l'equilibrio idrogeologico, disseccando interi boschi e prosciugando fonti millenarie, ma l'alta velocità è ecologica perché fa risparmiare anidride carbonica rispetto all'aereo.
E nessuno che gli abbia risposto che la bassa velocità, che corre sulle linee preesistenti, ne fa risparmiare ancora di più, di anidride carbonica.

venerdì 5 febbraio 2010

Cambio di passo

- Ciao Marco!
- Ciao I! lo sai che questa è l'ora dell'aperitivo, cazzo. Ma non ci hai una famiglia? Non te ne sei già andato a casa da un'ora?
- Eh, sì, bravo: magari. Senti, ho preparato la WBS e il piano di lavoro per il progetto "nuovi prodotti", possiamo condividerlo domani?
- Scusa?!?
- No, dicevo: ho preparato la WBS...
- I., guarda, forse non hai capito. A partire da oggi, io qui non muovo più una matita. Anzi: non muovo più nemmeno il cappuccio della matita.
- Eh. Quando ho visto quella comunicazione sapevo che non ti sarebbe piaciuta.
- E ringrazia che sono in un periodo di buon umore, altrimenti domattina venivo lì e ti costringevo a rimettere al loro posto tutte le matite che ho spostato nel 2009. Con la lingua.

giovedì 4 febbraio 2010

Risparmiatemi di pensarmi così cretino*

Un post riguardo all'applicazione iMussolini, scritto facendo finta che essa non sia stata ritirata per questioni di Copyright

Giorgio Galli è un anziano e illustre politologo, di chiara fama, di grande simpatia e di ferreo posizionamento politico a sinistra.
Kaos Edizioni è una piccola casa editrice della quale si può dire tutto il male o il bene possibile, ma se c'è una cosa che è sicura è che dal punto di vista ideologico si situa in un'area talmente a sinistra che sarebbe stata extraparlamentare anche nei bei tempi in cui in Parlamento c'era una sinistra.
Gianfranco Maris è un avvocato milanese, ex senatore del P.C.I., presidente dell'ANED (Associazione Nazionale ex Deportati) e vicepresidente dell'ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d'Italia; e non ci sarebbe bisogno di decodificarle, queste sigle, ma con i tempi che corrono è meglio essere chiari).
Giorgio Galli ha curato, Gianfranco Maris ha prefato, e Kaos Edizioni ha pubblicato il libriccino che vedete qui a fianco. Sì, proprio lui: il Mein Kampf di Adolf Hitler. Il libro che in molti Stati europei e non è inserito nel locale Index Librorum Prohibitorum, e che in alcuni Stati ne costituisce l'unica voce.
Nessuno dei predetti tre soggetti può essere sospettato di avere anche una sola stilla di simpatia verso il libro, il suo autore o l'ideologia da questi propugnata o rappresentata, anzi! Ma la pubblicazione del Main Kampf è stato uno splendido atto politico e culturale, nel quale Galli ha creduto fermamente e che gli è costato molta fatica, come egli stesso mi ha raccontato in tante conversazioni che abbiamo avuto sul tema specifico e più in generale sul nazismo.
Illuminante è la prefazione al libro: ma credo sia più efficace qui riportare la scheda tratta dal sito di Kaos Edizioni:
«Questa riedizione del Mein Kampf ha un triplice significato. Il rifiuto etico-intellettuale di ogni tabù e di qualunque forma di censura. La storicizzazione di un testo la cui lettura deve rappresentare un imperituro monito. La denuncia di rimozioni e mistificazioni all’ombra delle quali si vorrebbero legittimare disinvolti quanto pericolosi revisionismi storiografici.
È opinione diffusa che il Mein Kampf hitleriano sia un libro dell’orrore, un compendio di farneticazioni. Si può continuare a ritenerlo tale, ma solo dopo averlo letto (e quasi nessuno, oggi, all’inizio del Terzo millennio, lo ha davvero letto), debitamente contestualizzato, e ben compreso nella sua autentica dimensione non già di causa bensì di effetto degenerativo della cultura occidentale»
Poco importa che poche o tante copie del Mein Kampf possano essere acquistate e idolatrate da qualche decina o centinaia di fanatici: ciò che importa davvero è che sia possibile conoscere il messaggio da questo veicolato, per comprenderlo, criticarlo, e riconoscelo quando dovesse presentarsi sotto la stessa o altra forma.
Questa è un'operazione politica, prima ancora che culturale, ed è per questo che mi fanno cadere le braccia coloro che ritengono che i discorsi di Mussolini non debbano essere divulgati al grande o al piccolo pubblico del telefono figo.

* E' una citazione, beninteso. Trovatela.

mercoledì 3 febbraio 2010

Il processo breve

Ne avevo già parlato un po' qui, ma ieri, dopo aver sentito per l'ennesima volta raccontare sciocchezze in televisione, ho deciso di scrivere ancora qualche riga sul cosiddetto processo breve o, in termini più tecnici, sulla proposta di legge già approvata in Senato e ora all'esame della Camera al n. 3137.
La mia noia si appunta sulla circostanza che in ciascun salotto mediatico si enunci come una verità rivelata il numero di processi pendenti in Italia (che secondo la lezione più diffusa ammonterebbero a una decina di milioni), mettendo in un gran calderone la giustizia civile, penale ed amministrativa, e dando la falsa illusione che la norma proposta si applicherebbe a tutti i procedimenti e risolverebbe tutti i problemi sfoltendone una certa parte. Notate bene: qui non sto ragionando sul merito, se cioè io ritenga più o meno giusto far decadere un processo dopo un certo numero di anni: sto semplicemente illustrando come ciò non sia vero.

Il progetto di legge va a modificare la L. 24 marzo 2001 n. 89, secondo la quale chi abbia subito un danno, patrimoniale o meno, in conseguenza della durata non ragionevole di un processo, ha diritto ad un'equa riparazione. A tal fine chi chiede questo risarcimento deve ricorrere presso la Corte d'Appello, che stabilisce se egli abbia riritto all'equa riparazione, e in che misura.
Bene: cosa dice il progetto di legge? anzitutto statuisce che non è considerata irragionevole una durata "di due anni per il primo grado, di due anni per il grado di appello e di ulteriori due anni per il giudizio di legittimità, nonché di un altro anno per ogni successivo grado di giudizio nel caso di giudizio di rinvio". Non si dice che sopra tale limite la durata sia irragionevole, bensì che sotto tale limite non è irragionevole: che è cosa ben diversa.
Altri articoli del progetto di legge parlano poi del procedimento penale e del giudizio di responsabilità contabile, statuendo, solo per questi giudizi che superata una certa durata del processo (variabile secondo i casi) questo si estingua.
Il processo civile, che è poi quello che ingolfa i Tribunali e la cui durata talora è più una farsa che una tragedia, non può infatti venire estinto, come vado a spiegarvi.
Alla base del processo, di qualunque processo, c'è l'azione, che è un po' come il motorino di avviamento che fa partire tutto.
Se io credo che il mio condominio mi debba risarcire il danno per una macchia d'umidità, agisco nei suoi confronti chiedendo la condanna a risarcirmi, chessò, 1.000 euri. Così se credo di essere danneggiato da un medico incompetente, o se pretendo che mi venga consegnata della merce che ho pagato, o se voglio ottenere da un debitore il pagamento del proprio debito: in tutti questi casi bisogna esercitare un'azione presso il giudice competente.
La medesima cosa avviene in sede penale: se crede che Tizio abbia rubato una gallina, il PM esercita l'azione penale, chiedendo al GIP il rinvio a giudizio dell'imputato. E la stessa cosa più o meno avviene nel giudizio di responsabilità contabile, anche se lì l'azione è automatica: ma vi risparmio i dettagli del meccanismo.
Il concetto che però voglio farvi comprendere è che nel procedimento civile, l'azione pertiene a un privato per il riconoscimento di un proprio diritto, mentre nel procedimento penale l'azione pertiene solo al Pubblico Ministero a tutela dell'interesse pubblico. Pertanto, è possibile (prescindendo dal fatto che sia o meno giusto) che lo Stato decida che la lunghezza eccessiva del processo fa decadere il medesimo (e quindi l'azione penale), ma non è assolutamente possibile che la lunghezza del processo faccia decadere il processo (e quindi l'azione civile: in quanto ciò darebbe un vantaggio ingiusto e inammissibile al convenuto rispetto all'attore, vale a dire favorirebbe uno dei due privati citadini rispetto ad un altro privato cittadino.
Nel procedimento penale, invece, l'estinzione del processo comporta l'estinzione dell'azione penale, che pertiene solo allo Stato. Io personalmente ho fieri dubbi sul fatto che lo Stato possa rinunciarvi, sia pur per motivi oggettivi quali il decorso del tempo, dal momento che l'art. 112 Cost. dice che il PM ha l'obbligo di esercitare l'azione penale; ma è anche vero che esiste la prescrizione del reato, e quindi forse forse potrebbe anche avere spazio di legittimità la prescrizione del processo.
In ogni caso, per tornare a noi, è evidente che i processi civili continueranno ad essere pendenti esattamente come oggi, dato che nessuno verrà estinto per decorso del tempo. Anzi, se ci avete fatto caso, la proposta di legge dice che chi ha esercitato l'azione ha la possibilità di ricorrere in Corte d'Appello per vedersi risarcito il danno: e quindi, anziché diminuirne il numero, questa bella trovata avrà l'effetto di moltiplicare le cause pendenti, dato che chi si sia trovato a vedersi riconoscere le proprie ragioni oltre il termine di legge con tutta probabilità ricorrerà in questa forma per vedersi riconosciuto un ulteriore gruzzoletto.

martedì 2 febbraio 2010

L'ultima parola

C'è chi si diverte a collezionare francobolli di sperduti staterelli del Sud-est asiatico, e chi coltiva bonsai: cose che a me paiono sommamente inutili e noiosissime.
Non mi faccio quindi troppi scrupoli a dire che una delle cose che mi divertono, nella partecipazione al socialcoso, sono i thread nei quali il socialcosista di turno affronta il tema di qualche cosa che gli è capitato (di solito con suo danno) e in relazione al quale chiede a amici e corrispondenti di suggerirgli una soluzione. Una variante non infrequente è quella nella quale lo sfortunato protagonista ha già escogitato da sé una soluzione, e chiede al proprio pubblico conforto e sprone nella decisione di perseguire tale strada.
Sono thread frizzanti, nei quali di solito molti intervengono, con contributi talvolta lunari, ma il più delle volte all'insegna del più sano buonsenso. Di grande intrattenimento quelli in cui il postatore ha già individuato la soluzione per lui ideale, che di regola viene difesa aprioristicamente anche quando l'intero mondo esterno cerca di suggerirgli che, più che un'idea, egli ha escogitato una sonora stupidaggine; ma sono rari: c'è sempre infatti qualcuno che dà ragione al postatore-amico, al di là di qualunque evidenza logica, per il noto meccanismo psicologico per il quale l'amico ha sempre ragione.
Il fatto è che il buonsenso molte volte non è la giusta strada: molto spesso le norme sembrano cozzare contro il buonsenso, vuoi per motivi storici, vuoi per motivi sistematici, vuoi perché vedendo le cose in un'ottica un po' più ampia del proprio particulare si vede che è giusto che una certa materia sia regolata in una certa maniera, anche se ciò, in certi casi specifici, sembra stupido o assurdo. A volte poi è proprio la legge ad essere obiettivamente ingiusta: ma titto sommato sono casi abbastanza rari.
Mi capita sovente di intervenire, in queste discussioni, postando un paio d'articoli della normativa applicabile al caso concreto. E' vero che la legge è complicata e bisogna sapercisi muovere dentro, ma una volta che si sa arrivare alla norma dura e pura, questa di solito è assai più chiara di quanto il profano si possa aspettare: e spesso si applica così bene al caso concreto che si potrebbe esclamare: «Pare che abbian fatta la legge apposta per me!»
Il più delle volte, di fronte all'evidenza della norma, la discussione muore lì, subitaneamente, non essendoci granché più da speculare: talvolta si può andare avanti discettando sul fatto che la legge sia giusta o sbagliata, ma che la regola da applicare al caso concreto sa proprio quella, trascritta nero su bianco, c'è poco da recriminare.

Orbene: c'è gente che si fa pagare, e profumatamente, per rendere simili servizi. Io lo faccio, talvolta, in qualche ritaglio di tempo: e gratis. Però, non dico un «grazie», ma almeno un «apperò!» ogni tanto, farebbe anche piacere.

 

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